I bambini sono un miracolo!

I bambini sono un miracolo!

Un bambino risponde “grazie” perché ha sentito che è il tuo modo di replicare a una gentilezza, non perché gli insegni a dirlo.
Un bambino si muove sicuro nello spazio quando è consapevole che tu non lo trattieni, ma che sei lì nel caso lui abbia bisogno di te.
Un bambino quando si fa male piange molto di più se percepisce la tua paura.
Un bambino è un essere pensante, pieno di dignità, di orgoglio, di desiderio di autonomia, non sostituirti a lui, ricorda che la sua implicita richiesta è “aiutami a fare da solo.”
Quando un bambino cade correndo e tu gli avevi appena detto di muoversi piano su quel terreno scivoloso, ha comunque bisogno di essere abbracciato e rassicurato; punirlo è un gesto crudele, purtroppo sono molte le madri che infieriscono in quei momenti.
Avrai modo più tardi di spiegargli l’importanza del darti ascolto, soprattutto in situazioni che possono diventare pericolose.

Lui capirà.

Un bambino non apre un libro perché riceve un’imposizione (quello è il modo più efficace per fargli detestare la lettura), ma perché è spinto dalla curiosità di capire cosa ci sia di tanto meraviglioso nell’oggetto che voi tenete sempre in mano con quell’aria soddisfatta.
Un bambino crede nelle fate se ci credi anche tu.
Un bambino ha fiducia nell’amore quando cresce in un esempio di amore, anche se la coppia con cui vive non è quella dei suoi genitori.
L’ipocrisia dello stare insieme per i figli alleva esseri umani terrorizzati dai sentimenti.
“Non sono nervosa, sei tu che mi rendi così!” è una frase da non dire mai.
Un bambino sempre attivo è nella maggior parte dei casi un bambino pieno di energia che deve trovare uno sfogo, non è un paziente da curare con dei farmaci; provate a portarlo il più possibile nella natura.

Un bambino troppo pulito non è un bambino felice.

La terra, il fango, la sabbia, le pozzanghere, gli animali, la neve, sono tutti elementi con cui lui vuole e deve entrare in contatto.
Un bambino che si veste da solo abbinando il rosso, l’azzurro e il giallo, non è malvestito ma è un bambino che sceglie secondo i propri gusti.
Un bambino pone sempre tante domande, ricorda che le tue parole sono importanti; meglio un “questo non lo so!” se davvero non sai rispondere; quando ti arrampichi sugli specchi lui lo capisce e ti trova anche un po’ ridicola.
Inutile indossare un sorriso sul volto per celare la malinconia, il bambino percepisce il dolore, lo legge, attraverso la sua lente sensibile, nella luce velata dei tuoi occhi.

Quando gli arrivano segnali contrastanti, resta confuso, spaventato, spiegagli perché sei triste, lui è dalla tua parte.

Un bambino merita sempre la verità, anche quando è difficile, vale la pena trovare il modo giusto per raccontare con delicatezza quello che accade utilizzando un linguaggio che lui possa comprendere.
Quando la vita è complicata, il bambino lo percepisce, e ha un gran bisogno di sentirsi dire che non è colpa sua.
Il bambino adora la confidenza, ma vuole una madre non un’amica.
Un bambino è il più potente miracolo che possiamo ricevere in dono, onoriamolo con cura.

Brano di Giorgio Gaber

I due amici

I due amici

Il più vecchio si chiamava Frank e aveva vent’anni.
Il più giovane era Ted e ne aveva diciotto.
Erano sempre insieme, amicissimi fin dalle elementari.
Insieme decisero di arruolarsi nell’esercito.
Partendo promisero a se stessi e ai genitori che avrebbero avuto cura l’uno dell’altro.

Furono fortunati e finirono nello stesso battaglione.

Quel battaglione fu mandato in guerra.
Una guerra terribile tra le sabbie infuocate del deserto.
Per qualche tempo Frank e Ted rimasero negli accampamenti protetti dall’aviazione.
Poi una sera venne l’ordine di avanzare in territorio nemico.
I soldati avanzarono per tutta la notte, sotto la minaccia di un fuoco infernale.
Al mattino il battaglione si radunò in un villaggio.

Ma Ted non c’era.

Frank lo cercò dappertutto, tra i feriti, fra i morti.
Trovò il suo nome nell’elenco dei dispersi.
Si presentò al comandante.
“Chiedo il permesso di andare a riprendere il mio amico.” disse.
“È troppo pericoloso,” rispose il comandante, “Ho già perso il tuo amico.
Perderei anche te.
Là fuori stanno sparando.”

Frank partì ugualmente.

Dopo alcune ore trovò Ted ferito mortalmente.
Se lo caricò sulle spalle.
Ma una scheggia lo colpì.
Si trascinò ugualmente fino al campo.
“Valeva la pena morire per salvare un morto?” gli gridò il comandante.
“Sì,” sussurrò, “perché prima di morire, Ted mi ha detto: Frank, sapevo che saresti venuto!”

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero

La leggenda di Amore e Psiche

La leggenda di Amore e Psiche

Tantissimi anni fa, in un grande regno, vivevano un re e una regina che avevano tre bellissime figlie.
Delle tre figlie, le due più grandi, nonostante fossero molto belle, potevano essere descritte con parole umane; mentre la splendida bellezza della figlia minore non si poteva descrivere, si poteva solo ammirare.
Psiche, questo era il nome della sorella più piccola, era bellissima, la sua grazia e il suo splendore erano tali da attirare le invidie di Venere (Dea della bellezza) che, per vendicarsi, decise di chiedere aiuto a suo figlio Amore (Cupido).

L’invidiosa dea chiese a suo figlio di colpire Psiche con una delle sue infallibili frecce e di farla innamorare dell’uomo più brutto della terra.

Amore accettò ma, una volta arrivato di fronte alla fanciulla, rimase così incantato dalla sua bellezza da distrarsi al punto che una delle sue frecce lo colpì, facendolo innamorare perdutamente della splendida fanciulla.
Psiche, nonostante fosse bellissima, non riusciva a trovare marito, i genitori preoccupati consultarono un oracolo ed in seguito al consiglio dato dallo stesso, la ragazza venne portata a malincuore sulla cima di una rupe e venne lasciata lì da sola.
Con l’aiuto di Zefiro, Cupido riuscì a portarla nel suo palazzo.

Per vivere la sua storia romantica senza farlo sapere alla madre, non le rivelò la sua identità.

Ogni sera, al calar del sole, Amore andava dalla fanciulla e, senza mai mostrare il proprio volto, i due vivevano intensi momenti di passione.
La giovane principessa aveva accettato il compromesso ma, si sa, la curiosità è donna, ed una notte, mentre Amore dormiva, Psiche si avvicinò al suo volto con una lampada restando folgorata dalla bellezza del suo amante.
Mentre ammirava il profilo di Amore, però, una goccia d’olio della lampada cadde accidentalmente sul giovane che, risvegliatosi, scappò via abbandonando la fanciulla.
Quando Venere venne a sapere dell’accaduto scatenò la sua ira su Psiche che, per punizione, venne sottoposta dalla Dea a difficili prove.
La principessa superò brillantemente le prove, anche grazie all’aiuto di vari esseri divini, e questo fece ancora più infuriare Venere che le pose un’ultima prova:

discendere negli inferi e chiedere alla dea Prosepina un po’ della sua bellezza.

Come ordinatole dalla Dea, Psiche si recò negli inferi ma, stavolta, fallì.
Nonostante le fosse stato ordinato di non aprire l’ampolla donatale da Prosepina, la fanciulla, incuriosita, aprì l’ampolla dalla quale uscì una nuvola che fece cadere Psiche in un sonno profondissimo.
Intanto Amore, preso dalla nostalgia, andò alla ricerca della sua amata e, quando la trovò, la risvegliò.
Per non rischiare di perderla di nuovo Amore condusse Psiche sull’Olimpo dove, grazie all’appoggio e all’aiuto di Giove, la giovane principessa, dopo aver bevuto dell’ambrosia, divenne una dea.
Venne celebrato il matrimonio dei due innamorati ed in seguito dalla loro unione nacque una bellissima bambina che prese il nome di Voluttà.

Leggenda Mitologica.
Brano senza Autore, tratto dal Web

Il nastro bianco

Il nastro bianco

Un giovane era seduto da solo; teneva lo sguardo fisso fuori del finestrino.
Aveva poco più di vent’anni ed era di bell’aspetto, con un viso dai lineamenti delicati.
Una donna si sedette accanto a lui.
Dopo avere scambiato qualche chiacchiera a proposito del tempo, caldo e primaverile, il giovane disse, inaspettatamente:
“Sono stato in prigione per due anni.
Sono uscito questa mattina e sto tornando a casa.”
Le parole gli uscivano come un fiume in piena mentre le raccontava di come fosse cresciuto in una famiglia povera ma onesta e di come la sua attività criminale avesse procurato ai suoi cari vergogna e dolore.

In quei due anni non aveva più avuto notizie di loro.

Sapeva che i genitori erano troppo poveri per affrontare il viaggio fino al carcere dov’era detenuto e che si sentivano troppo ignoranti per scrivergli.
Da parte sua, aveva smesso di spedire lettere perché non riceveva risposta.
Tre settimane prima di essere rimesso in libertà, aveva fatto un ultimo, disperato tentativo di mettersi in contatto con il padre e la madre.
Aveva chiesto scusa per averli delusi, implorandone il perdono.
Dopo essere stato rilasciato, era salito su quell’autobus che lo avrebbe riportato nella sua città e che passava proprio davanti al giardino della casa dove era cresciuto e dove i suoi genitori continuavano ad abitare.

Nella sua lettera aveva scritto che avrebbe compreso le loro ragioni.

Per rendere le cose più semplici, aveva chiesto loro di dargli un segnale che potesse essere visto dall’autobus.
Se lo avevano perdonato e lo volevano accogliere di nuovo in casa, avrebbero legato un nastro bianco al vecchio melo in giardino.
Se il segnale non ci fosse stato, lui sarebbe rimasto sull’autobus e avrebbe lasciato la città, uscendo per sempre dalla loro vita.
Mentre l’automezzo si avvicinava alla sua via, il giovane diventava sempre più nervoso, al punto di aver paura a guardare fuori del finestrino, perché era sicuro che non ci sarebbe stato nessun fiocco.

Dopo aver ascoltato la sua storia, la donna si limitò a chiedergli:

“Cambia posto con me.
Guarderò io fuori del finestrino.”
L’autobus procedette ancora per qualche isolato e a un certo punto la donna vide l’albero.
Toccò con gentilezza la spalla del giovane e, trattenendo le lacrime, mormorò:
“Guarda! Guarda!
Hanno coperto tutto il giardino di nastri bianchi.”

Brano tratto dal libro “La vita è tutto quello che abbiamo.” di Bruno Ferrero

Un giorno un giovane ragazzino chiese a suo nonno…


Un giorno un giovane ragazzino chiese a suo nonno

Un giorno un giovane ragazzino chiese a suo nonno:
“Nonno, come hai potuto vivere prima senza tecnologia, senza internet, senza computer, senza droni, senza bitcoin, senza telefoni cellulari, senza Facebook e senza gli altri social network?”
Il nonno rispose:
“Proprio come la tua generazione vive oggi, senza umanità, senza dignità, senza compassione, senza vergogna, senza onore, senza rispetto, senza personalità, senza carattere, senza amore e senza modestia.
Noi, oggi che voi ci chiamate “vecchi”, siamo stati benedetti, la nostra vita è la prova.

In bicicletta non abbiamo mai usato il casco.

Dopo la scuola, abbiamo fatto i compiti da soli e siamo sempre andati a giocare nei prati fino al tramonto.
Abbiamo giocato con amici veri, non con amici su Internet.
Se mai abbiamo avuto sete, abbiamo bevuto acqua dalla fontanella, non dall’acqua in bottiglia.
Non ci siamo mai ammalati ad usare lo stesso bicchiere con i nostri amici.
Non siamo mai ingrassati mangiando pane e pasta tutti i giorni.

Non è successo niente ai nostri piedi nonostante camminassimo scalzi.

Non abbiamo mai usato integratori per mantenerci sani.
Abbiamo creato con le nostre mani i nostri giocattoli e giocato con loro.
I nostri genitori non erano ricchi ma ci hanno dato tanto amore, non video giochi per tenerci buoni.
Non abbiamo mai avuto telefoni cellulari, DVD, Play Station, Xbox, videogiochi, personal computer, internet… ma, abbiamo avuto veri amici.
Abbiamo visitato la casa dei nostri amici senza essere stati invitati e ci siamo goduti con loro pane e olio a merenda.

I membri adulti della famiglia vivevano nelle vicinanze per godersi il tempo tra di loro.

Potremmo essere stati in foto in bianco e nero, ma troviamo ricordi molto colorati in quelle foto.
Siamo una generazione unica e più comprensiva, perché siamo l’ultima generazione che ha ascoltato i loro genitori… ed anche la prima che ha dovuto ascoltare i propri figli.
Siamo un’edizione limitata!
Godeteci e fatene tesoro.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Qual è …?


Qual è …?

il giorno più bello? … Oggi.
la cosa più facile? … Sbagliarsi.
 l’ostacolo più grande? … La paura.
lo sbaglio peggiore? … Arrendersi.
 la radice di tutti i mali? … L’egoismo.

… la distrazione più bella? … Il lavoro.

 la peggiore sconfitta? … Lo scoraggiamento.
Chi sono i migliori insegnanti? … I bambini.
 la prima necessità? … Parlare con gli altri.
 la cosa che più fa felici? … Essere di aiuto agli altri.
 il Mistero più grande? … La morte.

il peggiore difetto? … Il malumore.

 la persona più pericolosa? … Il bugiardo.
 il sentimento più dannoso? … Il rancore.
 il regalo più bello? … Il perdono.
 la cosa di cui non se ne può fare a meno? … La casa.

 la strada più rapida? … Il cammino giusto.

 la sensazione più gratificante? … La pace interiore.
 il gesto più efficace? … Il sorriso.
 il migliore rimedio? … L’ottimismo.
 la maggiore soddisfazione? … Il dovere compiuto.
 la forza più potente del mondo? … La fede.
Quali sono le persone più necessarie? … I genitori.
 la cosa più bella di tutte? … L’Amore!

Brano di Madre Teresa di Calcutta

Rimpiango i genitori di una volta


Rimpiango i genitori di una volta

Rimpiango quei genitori risoluti di una volta, per i quali un “si” era un “si” e un “no” era un “no”.
Quelli che ci insegnavano come non sia possibile avere tutto e subito e

ci facevano capire che si può vivere dignitosamente con poco.

Quelli che ci spiegavano che la nobiltà d’animo si evince dai comportamenti, e non da ciò che si possiede.
Quelli che non ci davano ciò che pretendevamo ma solo ciò di cui avevamo bisogno e sapevamo meritarci.

Quelli che non ci viziavano per tentare di comprare il nostro affetto,

ma ci preparavano alla vita, anche a costo di mortificarci, perché quest’ultima ci propone una lunga catena di sconfitte che bisogna affrontare con determinazione ed equilibrio interiore.
Quelli che ci invitavano ad essere uomini di valore, piuttosto che rincorrere la strada del successo che, col tempo, si rivela sempre illusorio e temporaneo.

Quelli che ci davano sempre torto al cospetto dei professori,

senza pretendere di aver ragione o imporre suggerimenti agli educatori.
Quelli che ci imponevano il rispetto delle regole e delle persone.
Allora, tutto questo si chiamò severità, oggi io so che era educazione all’umiltà.

Brano di Antonio Curnetta

Il Nonno e il Nipote



Il Nonno e il Nipote

C’era una volta un uomo molto anziano che camminava a fatica, le ginocchia gli tremavano, ci vedeva poco e non aveva più neanche un dente.
Quando sedeva a tavola, reggeva a malapena il cucchiaio e versava sempre il brodo sulla tovaglia; spesso gliene colava anche dall’angolo della bocca.

Il figlio e la nuora provavano disgusto,

perciò costringevano il vecchio a sedersi nell’angolo dietro la stufa e gli davano da mangiare in una brutta ciotola di terracotta.
Il poveretto guardava sconsolato il loro tavolo, con gli occhi lucidi.
Un giorno le sue mani, sempre tremanti, non riuscirono a reggere la ciotola, che cadde a terra e andò in pezzi.
La donna lo rimproverò, ma il vecchio non disse nulla e sospirò.

Allora per pochi soldi gli comprarono una ciotola di legno.

Mentre sedevano in cucina, si accorsero che il figlioletto di 4 anni armeggiava per terra con dei pezzetti di terracotta.
“Che cosa stai combinando?” gli domandò il padre.
“Ecco,” rispose il bambino, “sto accomodando la ciotola per farci mangiare te e la mamma quando sarete vecchi.”

I genitori allora si guardarono e scoppiarono in lacrime.

Fecero subito sedere il vecchio nonno al loro tavolo e da quel giorno lo lasciarono mangiare sempre assieme a loro.
E quando versava il brodo non gli dicevano più nulla.

Favola dei Fratelli Grimm

Il vecchio pittore


Il vecchio pittore

Aveva lunghi capelli e occhi come le stelle.
Un giorno fu colpita da una malattia misteriosa che lentamente fece spegnere le stelle nei suoi occhi e la trascinò in un sonno simile alla morte.
Nei rari momenti di lucidità invocava la primavera e chiedeva di vedere i fiori del giardino.

Ma era inverno e il giardino era ingiallito e le piante secche.

I suoi genitori chiesero aiuto ai medici, ma nessuno seppe capire quella strana malattia.
Fu sentita anche la maga del villaggio: disse che la fanciulla sarebbe guarita solo se avesse visto i fiori della primavera.
La disperazione scese allora in quella casa perché tutti presentivano che la fanciulla non sarebbe vissuta sino alla nuova stagione.

Venne a conoscenza della storia un vecchio pittore;

era povero, dormiva in una barca e di notte si recò nel piccolo giardino che stava davanti alla finestra della fanciulla.
Faceva molto freddo, ma non se ne curava e per tutta la notte, con le mani intirizzite, dipinse fiori bellissimi sul muro di cinta: per incanto nel giardino era fiorita la primavera.

Al mattino, quando la fanciulla,

in uno dei suoi rari momenti di lucidità, aprì gli occhi e vide i fiori, il suo viso si illuminò di gioia.
Da quel giorno incominciò a star meglio e guarì, mentre del vecchio pittore non si seppe più nulla.
Lo cercarono tra le onde e sulla riva del mare, ma lui dormiva per sempre nella sua barca dove era morto di gelo.

Brano di Romano Battaglia

Il guerriero più degno


Il guerriero più degno

Tre giovani africani furono fatti entrare nella capanna delle riunioni.
Il capo era seduto in fondo, circondato dai vecchi guerrieri.
I ragazzi gli s’avvicinarono.
“Per sei giorni,” egli disse, parlando lentamente, “siete stati lasciati nella foresta per mettere alla prova le vostre capacità, affinché noi potessimo giudicare se siete degni di essere considerati guerrieri.
Siete ritornati sani e salvi, nonostante i mille pericoli.

Ma non basta.

Che cosa avete fatto per meritare il nome di guerrieri?”
Tra l’attento silenzio degli uomini della tribù, i ragazzi narrarono le loro imprese.
Uno aveva ucciso un leopardo, un altro aveva lottato con un pitone.
Solo il terzo dei ragazzi non parlò.
“E tu, Mamadù, che cosa hai fatto?” chiese il capo.
“Ho preso un orcio di miele dalle api selvatiche!” rispose sommessamente Mamadù.

I ragazzi sorrisero.

Che cos’era rubare del miele dalle api?
Ci voleva pazienza, audacia anche, ma non era una prova degna di un guerriero della tribù.
“Perché hai preso il miele e non hai cacciato qualche animale feroce?” chiese il capo.
“Tu sai,” rispose Mamadù, “che i miei genitori sono vecchi e ammalati; dovevo pensare a loro e l’ho fatto portando loro il miele.”

Il capo si alzò.

Tese la lancia verso Mamadù e disse:
“Prendila, perché fra tutti tu sei il più degno.
Prima di essere cacciatore, un uomo deve essere uomo.
E c’è solo un modo per sapere quando egli è tale:
quando sopra ogni cosa egli mette l’amore e il rispetto per i suoi genitori.”

Brano di Alberto Manzi