L’importanza del silenzio

L’importanza del silenzio

Gli allievi della scuola di Tendai solevano studiare meditazione anche prima che lo Zen entrasse in Giappone.
Quattro di loro, che erano amici intimi, si ripromisero di osservare sette giorni di silenzio.

Il primo giorno rimasero zitti tutti e quattro.

La loro meditazione era cominciata sotto buoni auspici; ma quando scese la notte e le lampade a olio cominciarono a farsi fioche, uno degli allievi non riuscì a tenersi e ordinò a un servo:
“Regola quella lampada!”
Il secondo allievo si stupì nel sentire parlare il primo:

“Non dovremmo dire neanche una parola!” osservò.

“Siete due stupidi.
Perché avete parlato?” disse il terzo.
“Io sono l’unico che non ha parlato!” concluse il quarto.

Storia Zen
Brano senza Autore, tratto dal Web

La rosa nel diamante

La rosa nel diamante

Il più prezioso diamante del mondo era in origine deturpato da una screpolatura.
Avevano deciso di farne una tranciata di diamanti industriali, ma un abile intagliatore,

con infinita pazienza e molto tempo,

trasformò quella screpolatura in una splendida rosa.
Quella che oggi tutti ammirano, intagliata nel diamante.

La vita è piena di sorprese.
Ci sono giorni buoni e giorni cattivi.

Ci sono problemi e guai che ci fanno soffrire.

Ma ci tengono svegli.
E spesso ci costringono a tirar fuori la parte migliore di noi stessi.

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

La bilancia

La bilancia

Sognai che ero passato a miglior vita.
Avendo concluso i miei giorni su questa terra, mi trovavo tra le soffici nubi del cielo.
Appena gli occhi si furono abituati alla luce accecante e bianchissima, vidi una lunga fila di persone davanti a me.

Me l’aspettavo:

tutti in coda, anche in attesa del giudizio!
Man mano che avanzavo, cominciai a intravedere una figura barbuta.
L’espressione era mite, eppure le rughe che solcavano l’ampia fronte, gli conferivano un aspetto autoritario.
Appese alla candida tunica un mazzo di grosse chiavi dorate; in mano reggeva una bilancia.

Allora era tutto vero!

Per ogni anima che gli si presentava davanti, vidi che annotava qualcosa su una pergamena.
In breve fu quasi il mio turno.
Deciso a non farmi cogliere impreparato, ripercorsi la mia vita, da cima a fondo ricordando tutte le colpe commesse, perfino le più insignificanti marachelle compiute da bambino.

Toccò a me:

timidamente mi avvicinai, mentre il giudice protendeva la bilancia nella mia direzione.
Stavo per cominciare il resoconto dei miei peccati, ma quale enorme sorpresa mi colse, quando lo sentii chiedere:
“Figliolo, quanto hai amato?”

Brano di Kociss Fava

E Dio creò la mamma

E Dio creò la mamma

Il buon Dio aveva deciso di creare… la mamma.
Ci si arrabattava intorno già da sei giorni, quand’ecco comparire un angelo che gli fa:
“Questa qui te ne fa perdere di tempo, eh?”
E Lui: “Sì, ma hai letto i requisiti dell’ordinazione?
Dev’essere completamente lavabile, ma non di plastica…
avere 180 parti mobili tutte sostituibili…
funzionare a caffè e avanzi del giorno prima…
avere un bacio capace di guarire tutto, da una sbucciatura ad una delusione d’amore…
e sei paia di mani.”

L’angelo scosse la testa e ribatté incredulo: “Sei paia?”

“Il difficile non sono le mani,” disse il buon Dio, “ma le tre paia di occhi che una mamma deve avere!”
“Così tanti?” chiese l’angelo.
Dio annuì.
“Un paio per vedere attraverso le porte chiuse quando domanda “Che state combinando lì dentro, bambini?” anche se lo sa già;
un altro paio dietro la testa, per vedere quello che non dovrebbe vedere, ma che deve sapere;
un altro paio ancora per dire tacitamente al figlio che si è messo in un guaio “Capisco e ti voglio bene lo stesso.” ”
“Signore,” fece l’angelo sfiorandogli gentilmente un braccio, “va’ a dormire.
Domani è un altro giorno.”

“Non posso,” ripose il Signore, “ho quasi finito ormai.

Ne ho già una che guarisce da sola se è malata, che può lavorare 18 ore di seguito, preparare un pranzo per sei con mezzo chilo di carne tritata e che riesce a tenere sotto la doccia un bambino di nove anni!”
L’angelo girò lentamente intorno al modello di madre, esaminandolo con curiosità:
“E’ troppo tenera!” disse poi con un sospiro.
“Ma resistente,” ribatté il Signore con foga, “tu non hai idea di quello che può sopportare una mamma!”
“Sa pensare?” domandò allora l’angelo.
“Non solo, ma sa anche fare un ottimo uso della ragione e venire a compromessi.” ribatté il Creatore.
A quel punto l’angelo si chinò sul modello della madre e le passò un dito su una guancia:

“Qui c’è una perdita!” dichiarò.

“Non è una perdita,” lo corresse il Signore, “è una lacrima!”
“E a che cosa serve?” domandò l’angelo.
“Esprime gioia, tristezza, delusione, dolore, solitudine, orgoglio.” rispose Dio.
“Ma sei un genio!” esclamò l’angelo.
Con sottile malinconia Dio aggiunse:
“A dire il vero, non sono stato io a mettercela quella cosa lì…”

Brano tratto dal libro “40 Storie nel deserto.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Peter e il filo magico

Peter e il filo magico

C’era una volta Peter, un ragazzino molto vivace a cui tutti volevano bene: la sua famiglia, i suoi maestri e i suoi amici…
Ma Peter aveva un piccolo, grande problema.
Peter non riusciva a vivere il presente.
Non aveva imparato a godere della vita.
Quando era a scuola, sognava di essere fuori a giocare.
Quando giocava, sognava di essere già in vacanza.
Peter sognava sempre ad occhi aperti, non godendosi mai il presente che la vita gli offriva.
Un mattino, Peter stava camminando nel bosco vicino a casa.
Siccome si sentiva stanco, decise di fermarsi in una radura e di fare un pisolino.
Si addormentò come un sasso, ma dopo qualche minuto, si sentì chiamare per nome:
“Peter, Peter!” ripeteva una voce stridula.

Quando aprì gli occhi… sorpresa!

Si ritrovò dinnanzi una donna vecchia di almeno cent’anni, con i capelli candidi che le ricadevano sulle spalle come matasse di lana arruffata.
Nella mano rugosa aveva una pallina magica, con un foro nel centro da cui pendeva un lungo filo dorato.
“Peter,” disse la vecchia, “questo è il filo della vita.
Se lo tiri piano piano, in pochi secondi passerà un’ora, se tiri più forte, in pochi minuti passeranno giorni interi.
Se tiri con tutta la tua forza, in pochi giorni passeranno dei mesi o addirittura degli anni!”
Peter era eccitato dalla scoperta.
“Oh, mi piacerebbe tanto averlo!” esclamò smanioso.
Allora la vecchietta si chinò e gli diede la pallina con il filo magico.
Il giorno dopo, Peter era seduto nel suo banco a scuola, e si sentiva annoiato e irrequieto. Improvvisamente si ricordò del suo nuovo giocattolo.

Tirò il filo pian piano e si trovò subito a casa, a giocare nel suo giardino.

Rendendosi conto dei poteri del filo magico, Peter presto si stancò di andare a scuola e desiderò essere un ragazzo più grande, alla scoperta della vita.
Allora tirò il filo un po’ più forte e si ritrovò adolescente, con una ragazza di nome Elise.
Ma Peter non era ancora soddisfatto.
Egli non era in grado di cogliere la bellezza di ogni istante e di esplorare le semplici meraviglie offerte dalle diverse fasi della vita.
Sognava invece di essere già adulto, e così tirò di nuovo il filo, sicché gli anni passarono in un lampo.
Si ritrovò allora trasformato in un uomo maturo.
Elise era diventata sua moglie e Peter era circondato da tanti bambini.
Ma notò un’altra cosa:
i suoi capelli neri avevano iniziato a diventare grigi, e la sua dolce e adorata mamma era diventata vecchia e debole.

Eppure, Peter ancora non riusciva a vivere il presente.

Perciò, tirò un’altra volta il filo d’oro e attese la nuova trasformazione.
Adesso aveva novant’anni.
Ormai i suoi folti capelli scuri erano diventati bianchi come la neve e la moglie, un tempo bellissima, era morta già da qualche anno.
I suoi deliziosi bambini erano cresciuti ed erano usciti di casa per vivere la loro vita.
Così, a un tratto, Peter si rese conto di non essersi mai fermato a godere di nulla.
Non era mai andato a pescare con suo figlio, non aveva mai fatto una passeggiata al chiaro di luna con sua moglie, non aveva mai piantato un albero… e non aveva mai nemmeno trovato il tempo di leggere quei bellissimi libri che tanto piacevano a sua madre.
Era sempre andato di corsa, senza fermarsi a guardare le bellezze che adornavano il suo cammino.

Questa scoperta rattristò molto Peter.

Allora, per riordinare le idee e rasserenarsi un po’, decise di andare a fare un giro nel bosco dove era solito giocare da bambino.
Entrò nel bosco, si accorse che gli alberelli della sua infanzia erano diventati querce gigantesche; era stupendo, sembrava di trovarsi in un Paradiso Terrestre.
Allora si distese sull’erba di una radura e si addormentò profondamente.
Dopo qualche minuto, qualcuno lo chiamò: “Peter, Peter!”
Aprì gli occhi e con suo grande stupore rivide la vecchia che gli aveva regalato la pallina molti anni prima.
“Ti è piaciuto il mio regalo?” chiesa la vecchia.
“All’inizio è stato divertente, ma ora lo odio a morte.” disse Peter, “Tutta la vita mi è passata davanti agli occhi senza che potessi goderne un solo istante.
Certo, ci saranno anche stati dei momenti molto belli e altri molto tristi, ma non ho avuto la possibilità di coglierli.

Ora mi sento vuoto, mi manca il dono della vita!”

“Sei davvero un ingrato!” disse la vecchietta, “Ma ti concederò di esprimere un ultimo desiderio.”
Peter ci pensò un istante e poi rispose fulmineamente:
“Vorrei ridiventare bambino e riprovare a vivere daccapo!”
Poi si riaddormentò.
A un tratto sentì di nuovo che qualcuno lo chiamava, e si risvegliò.
“Chi sarà questa volta?” si chiese.
Quando aprì gli occhi, scoprì con gioia che era sua madre che lo stava chiamando, e che era tornata giovane, sana e forte.
Allora Peter si rese conto che la vecchietta aveva mantenuto la promessa e che l’aveva riportato all’infanzia.
“Su, Peter, dormiglione!
Se non ti sbrighi ad alzarti farai tardi a scuola!” lo ammoniva sua madre.
Naturalmente Peter scattò su dal letto e da quel momento incominciò a vivere come aveva sperato: una vita piena, ricca di gioie, soddisfazioni e successi…
Ma tutto ebbe inizio quando smise di sacrificare il presente per il futuro e si rese conto di dovere vivere nell’oggi.

Brano tratto dal libro “Il monaco che vendette la sua Ferrari.” di Robin Sharma

I giorni perduti



I giorni perduti

Qualche giorno dopo aver preso possesso della sontuosa villa, Ernest Kazirra, rincasando, avvistò da lontano un uomo che con una cassa sulle spalle usciva da una porticina secondaria del muro di cinta, e caricava la cassa su di un camion.
Non fece in tempo a raggiungerlo prima che fosse partito.
Allora lo inseguì in auto.
Lo sconosciuto scaricò la cassa dal camion e, fatti pochi passi, la scaraventò nel baratro, che era ingombro di migliaia e migliaia di altre casse uguali.
Kazirra si avvicinò all’uomo e gli chiese:
“Ti ho visto portare fuori quella cassa dal mio parco.

Cosa c’era dentro?

E cosa sono tutte queste casse?”
Quello lo guardò e sorrise:
“Ne ho ancora tante sul camion, da buttare.
Non sai?
Sono i tuoi giorni perduti.
Li aspettavi vero?
Sono venuti.
Che ne hai fatto?
Guardali, infatti, ancora gonfi.

E adesso…”

Kazirra guardò.
Formavano un gruppo immenso.
Scese giù per la scarpata e ne aprì uno.
C’era dentro una strada d’autunno, e in fondo Graziella, la sua fidanzata che se ne andava per sempre.
E lui neppure la chiamava.
Ne aprì un secondo.
C’era una camera d’ospedale, e sul letto suo fratello Giosuè che stava male e lo aspettava.
Ma lui era in giro per affari.
Si sentì prendere da una certa cosa qui, alla bocca dello stomaco.

Boccheggiò.

Lo scaricatore stava diritto sul ciglio del vallone, immobile come un giustiziere.
“Signore,” gridò Kazirra, “mi ascolti.
Lasci che mi porti via almeno questi due giorni.
La supplico.
Io sono ricco.
Le darò tutto quello che vuole!”
Lo scaricatore fece un gesto con la destra, come per dire che era troppo tardi.
Poi svanì nell’aria.
E l’ombra della notte scendeva.

Brano tratto dal libro “Centottanta racconti.” di Dino Buzzati

Una vita in crociera


Una vita in crociera

C’era una volta una donna anziana che viaggiava felice su una nave da crociera.
Un uomo aveva notato che nonostante fosse sola, la donna era in grande confidenza con tutto lo staff della nave.
Un giorno l’uomo chiese a un cameriere informazioni su di lei, immaginando che l’anziana signora potesse essere la proprietaria della nave.
Il cameriere rispose all’uomo che non sapeva molto di lei.
L’aveva solamente vista nelle ultime quattro crociere.
Una sera, lasciando la sala ristorante, la vide di nuovo e decise di fermarsi a salutarla.
Chiacchierarono amabilmente quando lui le disse:
“So che ha partecipato alle ultime quattro crociere!”

“Sì, è vero.” rispose lei.

“Ma perché?”
“Perché è più economico di una casa di riposo!
Io non voglio andare in una casa di riposo.
Rimarrò su questa nave da crociera.
Una casa di riposo costa circa duecento euro al giorno.
Qui ho uno sconto fedeltà e uno sconto senior.
In tutto pago centotrentacinque euro al giorno.
Gli altri sessantacinque euro li destino agli extra e alle mance per questi giovani così gentili.

Qui posso avere fino a dieci pasti al giorno, e la qualità è ottima.

Posso anche chiedere il servizio in camera.
A volte faccio colazione a letto.
La piscina è gratis.
C’è la palestra.
Anche la lavanderia è gratis.
Ogni sera ci sono degli spettacoli.
Anche dentifricio, rasoi, shampoo e sapone sono gratis.

Mi trattano come una cliente VIP, non come una paziente d’ospedale.

Ogni sette o quattordici giorni poi incontro gente nuova e interessante con cui faccio piacevoli chiacchierate.
Lenzuola e asciugamani sono sempre puliti.
A bordo c’è sempre un medico.
E’ così che voglio vivere il resto dei miei giorni.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Gandhi e lo zucchero


Gandhi e lo zucchero

Una nonna trovò l’occasione di portare suo nipote al Mahatma Gandhi.
Il bambino aveva un’attrazione insaziabile per lo zucchero e ciò stava mettendo in pericolo la sua salute.
“Per favore,” supplicando Gandhi “dica a mio nipote che smetta di mangiare lo zucchero, poiché lui la rispetta molto e so che l’ascolterà perché è lei che glielo dice.”

Gandhi allora chiese che si ripresentassero dopo quattro giorni.

Quattro giorni più tardi la nonna ed il nipote ritornarono.
Gandhi guardando fisso negli occhi del ragazzo, gli disse con autorità:
“Smetti di mangiare zucchero, stai ferendo il tuo corpo.”

Dopo un breve silenzio, la nonna domandò a Gandhi:

“Signore, perché ci chiese di aspettare quattro giorni e poi di ritornare?
Questo è lo stesso che poteva dire quattro giorni fa!”

Gandhi rispose:

“Signora, quattro giorni fa io avevo mangiato dello zucchero e non potevo parlare con autorità a suo nipote.
Ora posso, perché sono quattro giorni che non mangio più zucchero.”

Eric Yaverbaum nel suo libro “Segreti della Leadership dei dirigenti che hanno più successo nel mondo” scrive che il loro più grande segreto è quello di guidare con l’esempio.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La domanda di un bambino. (Ma il cuore, ce l’ha una casa?)


La domanda di un bambino. (Ma il cuore, ce l’ha una casa?)

Oggi, un bimbo mi ha chiesto:
“Ma il cuore sta sempre nello stesso posto, oppure, ogni tanto, si sposta?
Va a destra e a sinistra?”
Io:
“No, il cuore resta sempre nello stesso posto, a sinistra!”
Ed intanto penso:

“… poi, un giorno, crescerai.

Ed allora capirai che il cuore vive in mille posti diversi, senza abitare davvero nessun luogo.
Ti sale in gola, quando sei emozionato.
O precipita nello stomaco, quando hai paura, o sei ferito.
Ci sono volte in cui accelera i suoi battiti, e sembra volerti uscire dal petto.

Altre volte, invece, fa cambio col cervello.

Crescendo, imparerai a prendere il tuo cuore per posarlo in altre mani.
E, il più delle volte, ti tornerà indietro un po’ ammaccato.
Ma tu non preoccupartene.
Sarà bello uguale.
O, forse, sarà più bello ancora.

Questo però, lo capirai solo dopo molto, molto tempo.

Ci saranno giorni in cui crederai di non averlo più, un cuore.
Di averlo perso.
E ti affannerai a cercarlo in un ricordo, in un profumo, nello sguardo di un passante, nelle vecchie tasche di un cappotto malandato.
Poi, ci sarà un altro giorno, un giorno un po’ diverso, un po’ speciale, un po’ importante…
… quel giorno, capirai che non tutti hanno un cuore.”

Brano di Antonia Storace. Viola Editrice.