Chi sono io?


Chi sono io?

“Chi sono io?” chiese un giorno un giovane ad un anziano.
“Sei quello che pensi!” rispose l’anziano,

“Te lo spiego con una piccola storia.”

Un giorno, dalle mura di una città, verso il tramonto, si videro sulla linea dell’orizzonte due persone che si abbracciavano.
“Sono un papà e una mamma!” pensò una bambina innocente.
“Sono due amanti!” pensò un uomo dal cuore torbido.
“Sono due amici che s’incontrano dopo molti anni!” pensò un uomo solo.

“Sono due mercanti che hanno concluso un buon affare!” pensò un uomo avido di denaro.

“È un padre che abbraccia un figlio di ritorno dalla guerra!” pensò una donna dall’anima tenera.
“Sono due innamorati!” pensò una ragazza che sognava l’Amore.
“Chissà perché si abbracciano!” pensò un uomo dal cuore asciutto.
“Che bello vedere due persone che si abbracciano!” pensò un uomo di Dio.

“Ogni pensiero rivela a te stesso quello che sei.

Esamina di frequente i tuoi pensieri:
ti possono dire molte più cose su te di qualsiasi maestro!” concluse l’anziano.

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero

La storia della forchetta


La storia della forchetta

Una giovane donna seppe improvvisamente di avere una malattia terribile e che le restavano solamente tre mesi di vita.
Quindi chiamò il parroco per le sue ultime volontà.
Scelse gli abiti da indossare, la musica, le parole e le canzoni.
Quando finì di parlare con il parroco, lo trattenne per un braccio dicendogli:

“C’è un’altra cosa…”

“Dica.” rispose gentilmente il parroco.
“Questo è importante.
Voglio che mi si sotterrino con una forchetta nella mano destra!”
Il parroco rimase molto sorpreso.
“La cosa la meraviglia, vero?” chiese la giovane donna.
“Per essere sincero sono piuttosto perplesso dalla sua richiesta!” esclamò il parroco.
Ed allora iniziò a spiegare il perché al parroco:
“Dunque! Mia nonna mi ha raccontato questa storia ed io ho sempre provato a trasmettere questo messaggio a tutti quelli che amo ed hanno bisogno di incoraggiamento.
In tutti i miei anni di partecipazione ad eventi sociali e pranzi ricordo che sempre c’era qualcuno che rivolgendosi a me diceva:

“Tenga la sua forchetta!”

ed era il momento che preferivo, perché sapevo che qualcosa di meglio sarebbe arrivato, come una torta, una mousse al cioccolato o una torta di mele.
Qualcosa di meraviglioso e di sostanza.”
Quando la gente mi vedrà nella cassa da morto con una forchetta nella mano, voglio che si chieda:
“Perché quella forchetta?” ed allora lei potrà rispondere:
“Tenete sempre la vostra forchetta in mano perché il meglio deve ancora arrivare!” e dicendo questo, la giovane donna terminò la propria spiegazione.

Il parroco, con le lacrime agli occhi, la strinse forte per darle l’arrivederci, pur sapendo che molto probabilmente non la avrebbe rivista mai più viva.

E pensando inoltre che quella giovane donna aveva un’idea del paradiso migliore sia della sua che di tanta altra gente.
Lei sapeva che qualcosa di meglio sarebbe successo.
Ai funerali la gente sfilava davanti alla cassa della giovane donna, dove si potevano notare sia il suo bel vestito che la forchetta nella mano destra.
Tutto ad un tratto il parroco sentì l’attesa domanda:
“Perché la forchetta?” e sorrise.
Durante la predica, il parroco raccontò la conversazione avuta con la giovane donna alla vigilia della sua morte e raccontò loro la storia della forchetta dicendo che non riusciva a smettere di pensarci e che da quel momento in poi anche loro, ogni qual volta avessero avuto nella mano una forchetta, si sarebbero dovuti ricordare che il meglio doveva ancora avvenire.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La città da colorare


La città da colorare

C’era una volta una piccola città dominata dalle ciminiere di una grande fabbrica.
Il cielo della città era grigio per il fumo, grigio era il colore delle case, grigia la faccia della gente.
I bambini erano pallidi e non avevano mai voglia di giocare.
Un giorno arrivò nella piccola città uno sconosciuto.
Era un uomo giovane, dal sorriso simpatico e gli occhi luminosi.
Portava un voluminoso zaino rosso e blu e, sotto il braccio, un grosso ombrellone giallo.

Lo sconosciuto aprì l’ombrellone nella piazza della città e sotto dispose, in bell’ordine, delle statuine di vetro.

I passanti si fermavano, guardavano le statuine, molti le compravano.
In realtà lo sconosciuto non faceva molto per vendere le sue statuine.
Egli si interessava soprattutto alla gente:
parlava con loro, li ascoltava sorridendo, li incoraggiava…
Finché, un mattino, lo sconosciuto estrasse dalle tasche del suo zaino dei gessetti colorati e si mise a disegnare sul marciapiede grigio una città meravigliosa dai colori splendidi, piena di verde, di gente sorridente, di bambini che giocavano.
Da tutta la città accorreva gente per vedere il magnifico disegno, che riusciva a riempire gli occhi e a riscaldare il cuore.

Quando il disegno fu terminato, lo sconosciuto distribuì fra tutti i presenti i suoi gessetti colorati.

Poi se ne andò.
Nessuno l’ha mai più visto.
La gente della piccola città decise di staccare il marciapiede dal suolo e di esporlo nel museo cittadino perché tutti potessero vedere la città meravigliosa dipinta dallo strano venditore.
Ma pochi avevano voglia di andare al museo e i colori cominciarono a sbiadire.
Presto si dimenticarono di lui.
Ma un giorno alcuni bambini trovarono i gessetti colorati che lo sconosciuto aveva distribuito e cominciarono a riempire di colori e di meravigliosi disegni i muri grigi della città grigia.
Oggi la chiamano: “La piccola città colorata dove la gente sorride!”

Brano tratto dal libro “Altre storie.” di Bruno Ferrero

Il giovane albero e l’indipendenza


Il giovane albero e l’indipendenza

Gli alberelli ormai si tenevano su da soli e sentivano il naturale desiderio di indipendenza, per questo volevano liberarsi dai sostegni che il contadino gli aveva messo alla base quando erano alberi piccini.
“Vi spostate?” chiese un alberello ai suoi sostegni, “Ora posso stare su da solo.”
I due sostegni lo guardarono dispiaciuti, dicendo:
“E questo è il tuo ringraziamento? Ti sosteniamo da quando eri un verde ramoscello.
Lo so, lo so e ve ne sono grato ma adesso posso andare avanti da solo.” disse l’alberello.

Mai i due sostegni non lo vollero lasciare e continuarono a volerlo strettamente abbracciare.

L’albero crebbe ugualmente ma con la convinzione che ciò che era divenuto dipendeva dal sostegno che aveva ricevuto.
E quando il sostegno non ci fu più, l’alberello non credendo in se stesso, restò basso.
Un altro alberello fece la stessa richiesta ma mentre stava per dire ai suoi sostegni di spostarsi, si accorse che di sostegno in realtà ne aveva uno solo e che si spostava instancabile un po’ di qua e un po’ di la, per dargli sempre la giusta direzione.

L’alberello ne fu commosso, il suo sostegno essendo da solo aveva imparato a camminare e a spostarsi da una parte all’altra, facendosi in due ed a volte in quattro.

Il sostegno lo liberò dal suo abbraccio, sapeva che quello era il momento del balzo verso l’indipendenza e si poteva fare solo con un pizzico di incoscienza, di cui l’età giovanile era l’essenza.
Da lì in poi l’alberello continuò a crescere e divenne alto e proteso al cielo, non ebbe mai dubbi sulle sue capacità ed andò avanti senza alcuna difficoltà.
Il suo sostegno ogni giorno doveva alzare il capo al cielo per scorgerne la cima, ed ogni giorno lo vedeva più grande di prima.
La giovinezza era la culla dell’incoscienza ma questo apparente eccesso madre natura lo aveva volutamente concesso, anche il primo volo degli uccellini era dall’incoscienza contaminato altrimenti per paura nessun uccello avrebbe mai volato.

Brano di Cleonice Parisi

La porta piccola è sempre aperta


La porta piccola è sempre aperta

Intorno alla stazione principale di una grande città, si dava appuntamento, ogni giorno e ogni notte, una folla di relitti umani: barboni, ladruncoli, marocchini e giovani drogati.
Di tutti i tipi e di tutti i colori.
Si vedeva bene che erano infelici e disperati.
Barbe lunghe, occhi cisposi, mani tremanti, stracci, sporcizia.
Più che di soldi, avevano tutti bisogno di un po’ di consolazione e di coraggio per vivere;

ma queste cose oggi non le sa dare quasi più nessuno.

Colpiva, tra tutti, un giovane, sporco e con i capelli lunghi e trascurati, che si aggirava in mezzo agli altri poveri naufraghi della città come se avesse una sua personale zattera di salvezza.
Quando le cose gli sembravano proprio andare male, nei momenti di solitudine e di angoscia più nera, il giovane estraeva dalla sua tasca un bigliettino unto e stropicciato e lo leggeva.
Poi lo ripiegava accuratamente e lo rimetteva in tasca.
Qualche volta lo baciava, se lo appoggiava al cuore o alla fronte.
La lettura del bigliettino faceva effetto subito.
Il giovane sembrava riconfortato, raddrizzava le spalle, riprendeva coraggio.
Che cosa c’era scritto su quel misterioso biglietto?
Sei piccole parole soltanto:
“La porta piccola è sempre aperta!”

Tutto qui.

Era un biglietto che gli aveva mandato suo padre.
Significava che era stato perdonato e in qualunque momento sarebbe potuto tornare a casa..
E una notte lo fece.
Trovò la porta piccola del giardino di casa aperta.
Salì le scale in silenzio e si infilò nel suo letto.
Il mattino dopo, quando si svegliò, accanto al letto, c’era suo padre.

In silenzio, si abbracciarono.

Il biglietto misterioso spiega che c’è sempre una piccola porta aperta per l’uomo.
Può essere la porta del confessionale, quella della chiesa o del pentimento.
E là sempre un Padre che attende.
Un Padre che ha già perdonato e che aspetta di ricominciare tutto dall’inizio.

Brano senza Autore