Tonto Zuccone ed il periodo del lockdown

Tonto Zuccone ed il periodo del lockdown
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Il giapponese

Fuori dal comune

Il vaccino anti-covid

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“Il giapponese”

Tonto Zuccone, fino a quando non siamo stati costretti a rimanere a casa per paura del covid-19 (coronavirus), saltuariamente si recava a mangiare in una tipica osteria, dove proponevano, con successo, una frittata con le cipolle di Tropea.
Il prezzo elevato non scoraggiava i tanti turisti che facevano la fila per un posto a sedere.
Tonto vi entro con le mani in tasca, essendo di casa e, per averlo visto fare nei film, aprì con lo sterno del torace la porta, la quale si apriva a libro con una lieve spinta e si richiudeva veloce in automatico, con il sistema delle molle.

Dietro di lui, ad una distanza ravvicinata, c’era un giapponese, che prese in piena faccia la porta che Tonto aveva fatto basculare.

Il giapponese nascose le lacrime portandosi le mani al viso, anche se il suo piagnucolare attirò l’attenzione dell’oste che chiese a Tonto:
“Come sei riuscito a far piangere il giapponese, se avevi le mani in tasca, la bocca chiusa e gli voltavi le spalle?
Hai forse mangiato il solito pentolone di fagioli?”
Tonto non aveva capito di aver colpito, involontariamente, il signore giapponese, quindi replicò:
“Io non centro; lo avrai spaventato tu con il prezzo spropositato della frittata appeso nella porta, dove trasformi le normali uova di corte che ti fornisco io in quelle d’oro e, certamente non piange per le cipolle di Tropea, che sono di una delicatezza infinita!”

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“Fuori dal comune”

Tonto Zuccone, come tutti in tempo di covid, per via delle restrizioni imposte in seguito al periodo di lockdown, è stato costretto a cambiare le sue abitudini di vita, rinunciando, per esempio, a frequentare il bar del paese, dove incontrava gli amici, per evitare assembramenti.
Nonostante la zona rossa imposta dal governo, nel quale erano vietati gli spostamenti da un comune all’altro, se non motivati da questioni urgenti o di lavoro, Tonto, per smaltire il mal da frigo, causato dalle troppe aperture e dalle esagerazioni, non aveva rinunciato alla sua passeggiata quotidiana, sconfinando, però, in un comune limitrofo.

Fermato per un controllo dalle forze dell’ordine si sentì dire:

“Dobbiamo sanzionarti perché sei fuori comune!”
Tonto, rimasto quasi senza parole, replicò:
“È una vita che mi sento dire che sono un tipo fuori dal comune, ma non mi hanno mai sanzionato prima per questo, se mai aiutato!”

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“Il vaccino anti-covid”

Tonto Zuccone aspettava con ansia il momento in cui si sarebbe potuto vaccinare contro il covid19 (coronavirus).
Bramava il momento in cui sarebbe potuto tornare ad una vita normale, soprattutto per riprendere le relazioni interpersonali, di cui aveva tanto bisogno.
Arrivò il giorno in cui si dovette recare al centro vaccinale e, una volta espletate le formalità dell’accettazione e del giudizio medico, fu indirizzato dai volontari in divisa a fare una breve fila per l’inoculazione del siero.
Arrivato il suo turno, tentennò per la paura improvvisa dell’ago.
L’infermiera, intanto, lo squadrò da cima a fondo, trovandolo alquanto folcloristico e singolare.
Fissandolo, gli disse:
“Avanti un altro!”

Tonto intrepretò male questa frase.

Capì, infatti, che si sarebbe dovuto mettere da parte, come gli era capitato tante altre volte nella sua vita, suo malgrado.
Non riusciva a capire il motivo di questa richiesta nel contesto in cui si trovava e, invece di fare i due passi avanti per il vaccino, si girò e riprese la fila dall’ultimo posto.
La cosa fu notata da un addetto allo smistamento che gli chiese:
“Perché hai rifatto la fila se era il tuo turno?”
Tonto rispose:
“Perché l’infermiera ha detto avanti un altro, e quell’altro non ero certo io, ma quello che veniva dopo di me!”
“Ma allora sei proprio tonto a non capire come funzionano le cose semplici?” domandò l’addetto. “Certo che sono proprio io!
Tonto Zuccone in persona.
È scritto anche nei miei documenti di identità!” e sorridendo, lasciò l’addetto senza parole.

Brani di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione dei racconti a cura di Michele Bruno Salerno

Ma che sia una regina

Ma che sia una regina

C’era una volta, tanti secoli fa, una città famosa.
Sorgeva in una prospera vallata e, siccome i suoi abitanti erano decisi e laboriosi, in poco tempo crebbe enormemente.
I pellegrini la vedevano da lontano e rimanevano ammirati e abbagliati dallo splendore dei suoi marmi e dei suoi bronzi dorati.
Era insomma una città felice nella quale tutti vivevano in pace.
Ma un brutto giorno, i suoi abitanti decisero di eleggere un re.
Le trombe d’oro degli araldi li riunirono tutti davanti al Municipio.

Non mancava nessuno.

Poveri e ricchi, giovani e vecchi si guardavano in faccia e parlottavano a bassa voce.
Lo squillo argentino di una tromba impose il silenzio a tutta l’assemblea.
Si fece avanti allora un tipo basso e grasso, vestito superbamente.
Era l’uomo più ricco della città.
Alzò la mano carica di anelli scintillanti e proclamò:
“Cittadini!
Noi siamo già immensamente ricchi.
Non ci manca il denaro.
Il nostro re deve essere un uomo nobile, un conte, un marchese, un principe, perché tutti lo rispettino per il suo alto lignaggio!”
“No!
Vattene!
Fatelo tacere!
Buuuu!” esclamarono i cittadini.
I meno ricchi della città cominciarono una gazzarra indescrivibile:
“Vogliamo come re un uomo ricco e generoso che ponga rimedio ai nostri problemi!”
Nello stesso tempo, i soldati issarono sulle loro spalle un gigante muscoloso e gridarono, agitando minacciosamente le picche:
“Questo sarà il nostro re!
Il più forte!”

Nella confusione generale, nessuno capiva più niente.

Da tutte le parti scoppiavano grida, minacce, applausi, armi che s’incrociavano.
I parapiglia si moltiplicavano e i contusi erano già decine.
Suonò di nuovo la tromba.
A poco a poco, la moltitudine si acquietò.
Un anziano, sereno e prudente, salì sul gradino più alto e disse:
“Amici, non commettiamo la pazzia di batterci per un re che non esiste ancora.
Chiamiamo un bambino innocente e sia lui ad eleggere un re tra di noi!”
Presero per mano un bambino e lo condussero davanti a tutti.
L’anziano gli chiese:
“Chi vuoi che sia il re di questa città così grande?”
Il bambinetto li guardò tutti, si succhiò il pollice e poi rispose:
“I re sono brutti.
Io non voglio un re.

Voglio che sia una regina:

la mia mamma!”
Le mamme al governo.
È un’idea magnifica.
Il mondo sarebbe certamente più pulito, si direbbero meno parolacce, tutti darebbero la mano ad uno più grande prima di attraversare la strada…
Dio l’ha pensata allo stesso modo.
E ha fatto Maria.

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il santino elettorale dimenticato

Il santino elettorale dimenticato

Per diversi anni fui consigliere di una importante cooperativa, operante nel territorio Montebellunese, la cui attività si basava sull’acquisto e sulla vendita di beni e sul supporto ai servizi inerenti l’agricoltura.
Ero, e sono tutt’ora, convinto dell’importanza di questo istituto, infatti rimasi consigliere di questa organizzazione finché non venne assorbita da una società più grande.
Nel corso degli anni, imparai tante cose e diedi il mio modesto contributo, comunque sempre apprezzato.

Facendo parte del consiglio di amministrazione,

capitava di dover partecipare a delle riunioni in vesti ufficiali e, in una di queste occasioni, mi mandarono a rappresentare la cooperativa ad un importante convegno sul terzo settore, dove il relatore più atteso era un onorevole, nonché sottosegretario del governo di allora.
Fui inviato, soprattutto, per cercare di mediare con il politico affinché espletasse una importante pratica riguardante la nostra cooperativa, giacente al Ministero da anni.
Anche altri soci avevano provato a mettersi in contatto con il suddetto onorevole, ma tutte le iniziative precedenti non avevano avuti riscontri positivi.
Indossai per l’occasione una giacca di velluto leggera, usata raramente ma considerata, da me, un portafortuna.
Seduto su una poltroncina, durante la pausa del convegno, toccandomi le tasche della giacca, mi ritrovai nel taschino un vecchio santino elettorale di propaganda di qualche anno prima, proprio dell’onorevole in questione, con la sua bella effige patinata.

Sembrava proprio un segnale della Dea bendata.

Finita la sua relazione andai a congratularmi e gli ricordai il nostro problema, che naturalmente ben conosceva.
Parlandogli, estrassi il suo santino elettorale.
Notai con piacere che, con immensa rapidità, me lo levò dalla mano per guardarlo.
Dopo averlo girato dalla parte opposta alla propria immagine, vide un numero di telefono scritto con un pennarello rosso, e mi chiese a chi appartenesse.
Non sapendo cosa rispondergli, improvvisai, mentendo.
Gli spiegai che il numero di telefono era servito per la catena telefonica, organizzata dalla cooperativa, per la sua elezione.

Finita la spiegazione, notai il suo volto appagato.

A prova di quanto detto, appena rientrato a Roma, evase la nostra pratica senza alcun problema.
In seguito a questa autorizzazione, al primo consiglio della cooperativa, ricevetti una busta con un biglietto aereo per un soggiorno organizzato, ovviamente tutto pagato, per otto giorni a Istanbul.
Fu il mio primo e unico viaggio in aereo all’estero, ottenuto grazie ad un santino elettorale dimenticato nel taschino da anni.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Sono grata per…

Sono grata per…

Sono grata per mio marito, che si lamenta, quando la sua cena non è pronta, perché è a casa con me.
Per mia figlia, che si sta lamentando, perché deve lavare i piatti, perché questo significa che è a casa e non per strada.

Per le tasse che pago, perché questo significa che ho un impiego.

Per il caos da pulire dopo una festa, perché questo significa che sono stata circondata da amici.
Per i vestiti che sono stretti, perché questo significa che ho abbastanza da mangiare.
Per la mia ombra che mi guarda lavorare, perché questo significa che sono fuori, al sole.
Per il prato che ha bisogno di essere tagliato, le finestre che hanno bisogno di essere pulite e le grondaie che hanno bisogno di essere aggiustate,

perché questo significa che ho una casa.

Per tutte le lamentele che sento sul governo, perché questo significa che abbiamo libertà di parola.
Per il parcheggio che trovo lontano da casa, perché questo significa che posso camminare e che sono stata benedetta con un mezzo di trasporto.
Per la cara bolletta del riscaldamento, perché questo significa che sono al caldo.
Per la donna che sì seduta dietro di me in chiesa, che canta stonata,

perché questo significa che posso sentire.

Per il mucchio di vestiti da stirare, perché questo significa che ho vestiti da indossare.
Per la stanchezza e i muscoli che mi fanno male alla fine della giornata, perché questo significa che ho potuto lavorare duramente.
Per la sveglia che suona presto di mattina, perché questo significa che sono in vita.
E finalmente, per questa lettera, perché questo significa che ho amici che stavano pensando a me!

Brano tratto dal libro “Piccole storie per riflettere.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

L’uomo nel pozzo


L’uomo nel pozzo

Un uomo cadde in un pozzo da cui non riusciva a uscire.
Una persona di buon cuore che passava di là disse:
“Mi dispiace davvero tanto per te. Partecipo al tuo dolore!”
Un politico impegnato nel sociale che passava di là disse:
“Era logico che, prima o poi, qualcuno ci sarebbe finito dentro!”

Un pio disse: “Solo i cattivi cadono nei pozzi!”

Uno scienziato calcolò come aveva fatto l’uomo a cadere nel pozzo.
Un politico dell’opposizione si impegnò a fare un esposto contro il governo.
Un giornalista promise un articolo polemico sul giornale della domenica dopo.
Un uomo pratico gli chiese se erano alte le tasse per il pozzo.

Una persona triste disse:

“Il mio pozzo è peggio!”
Un umorista sghignazzò:
“Prendi un caffè che ti tira su!”

Un ottimista disse:

“Potresti star peggio!”
Un pessimista disse:
“Scivolerai ancora più giù!”
Gesù, vedendo l’uomo, lo prese per mano e lo tirò fuori dal pozzo.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero