Cittalavoro, un tempo Cittallegra

Cittalavoro, un tempo Cittallegra

C’era una volta una città che si chiamava Cittallegra.
In quella città alla gente piaceva ridere, parlare e riunirsi per fare festa.

I giorni più belli erano le domeniche.

La gente trovava bello riunirsi in chiesa, ascoltare il sacerdote, cantare i canti religiosi e poi tornare a casa per mangiare insieme l’arrosto.
Cittallegra era una cittadina molto carina, solo che la gente non riusciva a diventare ricca!
Le loro case erano più piccole delle case di altre città e le stradine più strette.
Quando andavano a visitare altre città, i cittallegrini si vergognavano.
“Qualcosa deve cambiare!” decisero i cittadini, e si riunirono per stabilire da dove cominciare.
“Aboliamo le domeniche e le feste, ci saranno giorni in più per lavorare!” fu la prima proposta che incontrò il favore di tutti.
“Ci servono più lavoratori!” e perciò si decise di mandare nelle fabbriche anche le donne.
Ma le donne avevano già tanto da fare a casa per la famiglia e per la cura dei genitori o dei nonni.

Allora i cittadini decisero:

“I bambini vanno all’asilo, i vecchi all’ospizio e i malati all’ospedale!”
Cittallegra diventò un grande cantiere e le imprese edili crescevano sempre di più; esse demolivano, ricostruivano, spianavano piazze, allargavano le strade!
“Perché la nostra città si chiama Cittallegra?” chiese un cittadino, “Sarebbe molto meglio chiamarla Cittalavoro!”
Questa proposta piacque tanto che venne subito accolta.
Cittalavoro cresceva sempre di più:
divenne grande, grigia, rumorosa, noiosa, pericolosa.
Sulle strade correvano le macchine e i pedoni avevano paura.
La gente non si incontrava più come una volta, anzi le persone non si conoscevano più, non si salutavano più.
La domenica era un giorno come gli altri.
Un giorno, i bambini dell’asilo andarono nell’ospizio dei nonni.
“È vero che Cittalavoro prima si chiamava Cittallegra?” chiesero i piccoli.

“Sì, questo è vero!” risposero i nonni.

“Ed era anche una città più allegra?” chiesero allora i bambini.
“Molto più allegra!” spiegarono i nonnini.
“Come mai, poi, tutto è cambiato?” proseguirono i bambini.
“Tutto cominciò quando tolsero le domeniche e le feste!” conclusero i nonni.
I bambini spalancarono gli occhi e domandarono:
“Feste?
Che cosa sono le feste?”

Brano tratto dal libro “I dieci comandamenti raccontati ai bambini.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il colore dell’orizzonte

Il colore dell’orizzonte

Un bambino che abitava in pianura era affascinato dalla linea delle montagne che si stagliava lontano all’orizzonte.
Azzurrine, leggere, compatte, gli apparivano come un luogo di paradiso.

Così diverso dalla terra aspra e grigia dove viveva.

Un giorno, ormai cresciuto, cedette al richiamo dell’orizzonte e decise di raggiungere quel posto incantato.
Il viaggio durò a lungo, attraverso pianure e colline.
Stremato, arrivò infine sulla vetta delle montagne, ma dovette constatare con profonda delusione che le montagne non erano più azzurrine ma grigie e caotiche, sassose, aride ed aspre.
Proprio come il paese che aveva lasciato.
Ma all’orizzonte, davanti a lui, si delineavano altre montagne, azzurre, violette, alonate di luce dorata.

E ripartì.

Gli ci volle molto tempo per raggiungerle.
Ma anche là, man mano che si avvicinava, l’azzurro e il viola scomparivano per lasciare spazio al grigio delle rocce e al giallo stopposo dell’erba bruciata.
Ma davanti l’orizzonte era azzurro e rosa.
E lui si rimetteva in cammino.

Era sempre una delusione:

al suo arrivo anche le nuove terre si rivelavano ruvide e brulle.
Un giorno, ormai vecchio, vista vana la sua ricerca, decise di tornare indietro.
Ed ecco, tutti i paesi che aveva lasciato erano azzurrini, leggeri, immersi in una incantevole luce dorata.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Ho l’impressione di aver dimenticato qualcosa

Ho l’impressione di aver dimenticato qualcosa

Una volta, in una piccola città, uguale a tante altre, cominciarono a succedere dei fatti strani.
I bambini dimenticavano di fare i compiti, i grandi si dimenticavano di togliersi le scarpe prima di andare a dormire, nessuno si salutava più.
Le porte della chiesa rimanevano chiuse.
Le campane non suonavano più.
Nessuno sapeva più le preghiere.

Un lunedì mattina, però, un maestro domandò ai suoi alunni:

“Perché ieri non siete venuti a scuola?”
“Ma ieri era domenica!” risposero gli scolari, “La domenica non c’è scuola!”
“Perché?” chiese il maestro.
Gli alunni non seppero che cosa rispondere.
Si avvicinava il Natale.
“Perché suonano questa musica dolce?”
“Perché sull’albero ci sono le candele?”
Nessuno lo sapeva.

Due amici avevano litigato:

si erano insultati fino a diventare rauchi.
“Ora non ho più nessun amico.” pensava tristemente uno di loro il giorno dopo.
E non sapeva che cosa fare.
La piccola città si faceva sempre più grigia e triste.
La gente diventava ogni giorno più egoista e litigiosa.
“Ho l’impressione di aver dimenticato qualcosa!” ripetevano tutti.
Un giorno soffiava un forte vento tra i tetti, così forte da smuovere le campane della chiesa.

La campana più piccola suonò.

Improvvisamente la gente si fermò e guardò in alto.
E un uomo per tutti esclamò:
“Ecco che cosa abbiamo dimenticato: Dio!”

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.