Il fazzoletto rosa

Il fazzoletto rosa

Il giovane si era lasciato cadere sulla panchina nel parco e si era preso la testa fra le mani!
Tutta la disperazione degli ultimi tempi gli impediva, quasi, di respirare…
Era arrabbiato e aveva voglia di piangere!
Una ragazza graziosa si sedette sulla panchina accanto a lui…
“Perché sei così triste?” gli chiese all’improvviso.
“La mia vita è una schifezza!” mormorò il giovane, “Tutto è contro di me:

non ho un briciolo di fortuna… Mai!

Non ce la faccio più a continuare!”
“Uhm!” sospirò la ragazza.
“Dove tieni il tuo fazzoletto rosa?
Mostramelo!
Voglio dargli un’occhiata!”
“Che cos’è il fazzoletto rosa?” domandò il giovane, “Io ho solo un fazzoletto nero!”

In silenzio glielo consegnò…

La ragazza guardò il fazzoletto e fu scossa da un brivido:
“È pieno di incubi, di cupa infelicità e di orribili esperienze!”
“È quello che ti ho detto…
Che ci posso fare?
Non posso cambiare la vita!”
“Prendi questo!” disse la ragazza porgendogli un fazzoletto rosa, “Guardaci dentro!”
Con mani esitanti il giovane lo aprì e vide che era pieno di ricordi gioiosi e dolci momenti!

“E dov’è, il tuo fazzoletto nero?” chiese il giovane incuriosito.

“Lo butto ogni giorno nella spazzatura e non ci penso più!” rispose la ragazza, “Metto tutti i momenti più belli della vita nel mio fazzoletto rosa.
Così, quando sento arrivare un po’ di tristezza, o mi sento scoraggiata, apro il fazzoletto e mi dico: “Questa è la mia vera vita!”.”
Il giovane non fece in tempo a replicare!
La ragazza gli schioccò un bacio, sulla guancia, e scomparve…
Al suo posto, sulla panchina, c’era un fazzoletto rosa con la scritta:
“Per te!”
Lo aprì e vide che era vuoto, tranne il piccolo, tenero bacio che la ragazza gli aveva dato…
A quel pensiero sorrise, e si sentì il cuore più caldo e una gran voglia di ricominciare!

“Se cerchi bene, anche tu, hai un fazzoletto rosa…”

Brano senza Autore

Il rimorso di un padre

Il rimorso di un padre

Ascolta, figlio:
“Ti dico questo mentre stai dormendo con la manina sotto la guancia e i capelli biondi appiccicati alla fronte.”
Mi sono introdotto nella tua camera da solo:
“Pochi minuti fa, quando mi sono seduto a leggere in biblioteca, un’ondata di rimorso mi si è abbattuta addosso, e pieno di senso di colpa mi avvicino al tuo letto.”
E stavo pensando a queste cose:
“Ti ho messo in croce, ti ho rimproverato mentre ti vestivi per andare a scuola perché invece di lavarti ti eri solo passato un asciugamano sulla faccia, perché non ti sei pulito le scarpe.
Ti ho rimproverato aspramente quando hai buttato la roba sul pavimento.

A colazione, anche lì ti ho trovato in difetto:

hai fatto cadere cose sulla tovaglia, hai ingurgitato cibo come un affamato, hai messo i gomiti sul tavolo.
Hai spalmato troppo burro sul pane e, quando hai cominciato a giocare e io sono uscito per andare a prendere il treno, ti sei girato, hai fatto ciao ciao con la manina e hai gridato:
“Ciao, papino!” e io ho aggrottato le sopracciglia e ho risposto: “Su diritto con la schiena!”
E tutto è ricominciato da capo nel tardo pomeriggio, perché quando sono arrivato eri in ginocchio sul pavimento a giocare e si vedevano le calze bucate.
Ti ho umiliato davanti agli amici, spedendoli a casa.
Le calze costano, e se le dovessi comperare tu, le tratteresti con più cura.
Ti ricordi più tardi come sei entrato timidamente nel salotto dove leggevo, con uno sguardo che parlava dell’offesa subita?
Quando ho alzato gli occhi dal giornale, impaziente per l’interruzione, sei rimasto esitante sulla porta.

“Che vuoi?” ti ho aggredito brusco.

Tu non hai detto niente, sei corso verso di me e mi hai buttato le braccia al collo e mi hai baciato e le tue braccine mi hanno stretto con l’affetto che Dio ti ha messo nel cuore e che, anche se non raccolto, non appassisce mai.
Poi te ne sei andato sgambettando giù dalle scale.
Be’, figlio, è stato subito dopo che mi è scivolato di mano il giornale e mi ha preso un’angoscia terribile.
Cosa mi sta succedendo?
Mi sto abituando a trovare colpe, a sgridare; è questa la ricompensa per il fatto che sei un bambino, non un adulto?
Nient’altro per stanotte, figliolo.
Solo che son venuto qui vicino al tuo letto e mi sono inginocchiato, pieno di vergogna.
È una misera riparazione, lo so che non capiresti queste cose se te le dicessi quando sei sveglio.
Ma domani sarò per te un vero papà.
Ti sarò compagno, starò male quando tu starai male e riderò quando tu riderai, mi morderò la lingua quando mi saliranno alle labbra parole impazienti.

Continuerò a ripetermi, come una formula di rito:

“È ancora un bambino, un ragazzino!”
Ho proprio paura di averti sempre trattato come un uomo.
E invece come ti vedo adesso, figlio, tutto appallottolato nel tuo lettino, mi fa capire che sei ancora un bambino.
Ieri eri dalla tua mamma, con la testa sulla spalla.
Ti ho sempre chiesto troppo, troppo!”

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

La raffica di schiaffi

La raffica di schiaffi

Un giovane di nome Paolo, qualche anno fa, si trovava in ferie in un rifugio sulle Dolomiti.
Era la sua ultima sera di soggiorno e stava sorseggiando un aperitivo sulla veranda in attesa della cena, quando sopraggiunsero due centauri, evidentemente alticci per aver bevuto troppo, che presero di mira un minuto vecchietto che stava bevendo tranquillamente un boccale di birra con la cannuccia.

Iniziarono ad insultarlo e a schermirlo per quello che stava facendo.

Paolo, che aveva un trascorso da scout, intimò loro di desistere e di prendersela con lui che era grande e grosso.
Ai due non parve vero e lo presero a schiaffi ripetutamente.
Lui, da uomo mite, non reagì alla violenza gratuita anche perché convinto pacifista.
Il giorno dopo, rientrato a casa, quando la madre lo vide tutto rosso e gonfio in viso, gli chiese:
“Paolo, è possibile che l’aria di montagna ti faccia così bene da farti ingrassare così tanto in pochi giorni?”

Paolo rispose:

“Mamma, ho preso una raffica di schiaffi da dei delinquenti professionisti per aver difeso un vecchietto inerme.
Non potevo denunciarli perché me li hanno dati così ben distribuiti per ogni guancia che non sarei stato creduto.
Li hanno perfino contati, fino a quando quello che si atteggiava come capo disse che ne avevo ricevuti abbastanza.”

Il Paolo in questione è mio zio.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

E Dio creò la mamma

E Dio creò la mamma

Il buon Dio aveva deciso di creare… la mamma.
Ci si arrabattava intorno già da sei giorni, quand’ecco comparire un angelo che gli fa:
“Questa qui te ne fa perdere di tempo, eh?”
E Lui: “Sì, ma hai letto i requisiti dell’ordinazione?
Dev’essere completamente lavabile, ma non di plastica…
avere 180 parti mobili tutte sostituibili…
funzionare a caffè e avanzi del giorno prima…
avere un bacio capace di guarire tutto, da una sbucciatura ad una delusione d’amore…
e sei paia di mani.”

L’angelo scosse la testa e ribatté incredulo: “Sei paia?”

“Il difficile non sono le mani,” disse il buon Dio, “ma le tre paia di occhi che una mamma deve avere!”
“Così tanti?” chiese l’angelo.
Dio annuì.
“Un paio per vedere attraverso le porte chiuse quando domanda “Che state combinando lì dentro, bambini?” anche se lo sa già;
un altro paio dietro la testa, per vedere quello che non dovrebbe vedere, ma che deve sapere;
un altro paio ancora per dire tacitamente al figlio che si è messo in un guaio “Capisco e ti voglio bene lo stesso.” ”
“Signore,” fece l’angelo sfiorandogli gentilmente un braccio, “va’ a dormire.
Domani è un altro giorno.”

“Non posso,” ripose il Signore, “ho quasi finito ormai.

Ne ho già una che guarisce da sola se è malata, che può lavorare 18 ore di seguito, preparare un pranzo per sei con mezzo chilo di carne tritata e che riesce a tenere sotto la doccia un bambino di nove anni!”
L’angelo girò lentamente intorno al modello di madre, esaminandolo con curiosità:
“E’ troppo tenera!” disse poi con un sospiro.
“Ma resistente,” ribatté il Signore con foga, “tu non hai idea di quello che può sopportare una mamma!”
“Sa pensare?” domandò allora l’angelo.
“Non solo, ma sa anche fare un ottimo uso della ragione e venire a compromessi.” ribatté il Creatore.
A quel punto l’angelo si chinò sul modello della madre e le passò un dito su una guancia:

“Qui c’è una perdita!” dichiarò.

“Non è una perdita,” lo corresse il Signore, “è una lacrima!”
“E a che cosa serve?” domandò l’angelo.
“Esprime gioia, tristezza, delusione, dolore, solitudine, orgoglio.” rispose Dio.
“Ma sei un genio!” esclamò l’angelo.
Con sottile malinconia Dio aggiunse:
“A dire il vero, non sono stato io a mettercela quella cosa lì…”

Brano tratto dal libro “40 Storie nel deserto.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Qual è il nostro valore? (La banconota da 50 euro)


Qual è il nostro valore? (La banconota da 50 euro)

Paolo, con la faccia triste e abbattuta, si ritrovò con la sua amica Carla in un bar per prendere un caffè.
Depresso, scaricò su di lei tutte le sue preoccupazioni:
il lavoro, i soldi, il rapporto con la sua ragazza!
Tutto sembrava andar male nella sua vita!
Aveva l’impressione di valere poco, di aver fallito in molte occasioni.
Carla introdusse la mano nella borsa, prese una banconota da 50 EURO e gli disse:

“Vuoi questo biglietto?”

Paolo, un po’ confuso all’inizio, poco dopo le rispose:
“Certo Carla!
Sono 50 EURO, chi non li vorrebbe!”
Allora Carla prese la banconota in mano, la strinse forte fino a farla diventare una piccola pallina.
Mostrando la pallina accartocciata a Paolo, gli chiese un’altra volta:
“E adesso, li vuoi ancora?”
“Carla, non so cosa intendi con questo, però continuano ad essere 50 EURO.

Certo che li prenderò anche così, qualora me li volessi dare!”

Carla spiegò il biglietto, lo gettò al suolo e lo stropicciò ulteriormente con il piede, riprendendolo quindi sporco e segnato, e chiese a Paolo:
“Continui a volerlo?”
“Ascolta Carla, continuo a non capire dove vuoi arrivare, rimane comunque una banconota da 50 EURO, e finché non la strappi, ha sempre il suo valore!” esclamò Paolo.
Carla gli rispose:
“Paolo, devi sapere che anche se a volte qualcosa non va come vuoi, anche se la vita ti piega o ti accartoccia, continui ad essere tanto importante come lo sei stato sempre!
Quello che devi chiederti è quanto vali in realtà, e non quanto puoi essere abbattuto in un particolare momento.”

Subito dopo mise la banconota spiegazzata affianco a lui, sul tavolo, e con un sorriso gli disse:

“Prendila, per ricordarti di questo momento quando ti sentirai male o per poterla usare con il prossimo amico che ne dovesse avere bisogno…
Però mi devi una banconota nuova da 50 EURO!”
Gli diede un bacio sulla guancia e si allontanò verso la porta.

Brano senza Autore, tratto dal Web