Il monaco, il predone ed il mercante

Il monaco, il predone ed il mercante

C’era una volta un monaco.
Un piccolo monaco che viveva da solo in una modesta e minuscola capanna nel deserto.
Passava il tempo pregando e per guadagnare da vivere fabbricava cestini e cappelli intrecciando foglie di palma.
Molta gente veniva dalla città e gli sottoponeva i suoi problemi e lui cercava di aiutarli e confortarli.
Il piccolo monaco indossava un vestito di tela grezza, mangiava pane e acqua e non possedeva proprio niente eccetto un libro speciale, che era il suo tesoro e che leggeva ogni giorno.
Un giorno, un predone entrò come una furia nella capanna del monaco.
Un predone truce e cattivo.
Con una folta barba scarmigliata e un’affilata e minacciosa spada.

“Dammi il tuo tesoro!” sbraitò.

Il piccolo monaco gli consegnò il libro prezioso, nonché unico, e stette tristemente a guardare il predone che se andava.
Quando il predone arrivò alla città, si precipitò nella bottega di un mercante e senza tanti preamboli gli chiese il valore di quel libro straordinario.
“Ma io non so niente di libri!” si lamentò il mercante.
“Io ho bisogno di soldi!
Tanti!
Dimmi quanto vale questo librò e io lo venderò!” gridò il predone.
“Non lo so proprio” pigolò il mercante, sfogliando il libro, “Ma conosco qualcuno che se ne intende, un vero esperto.
Lasciami il libro per un giorno o due e glielo chiederò!”
“D’accordo!” grugnì il predone, sguainando la spada, “Tornerò qui tra due giorni.
Fa’ in modo che il libro sia qui, quando tornerò!”
Quella sera, dopo la chiusura della bottega, il mercante montò sul suo mulo e lo spronò nel deserto.
Cavalcò per chilometri finché giunse alla piccola capanna e incontrò il piccolo monaco.
“Ho un libro!” gli spiegò, “Un tipo grande e grosso con una folta barba è venuto da me.

Vuole venderlo.

Mi puoi dire quanto vale?”
Trasse il libro dalla borsa e lo mostrò al monaco.
Il piccolo monaco fissò il libro.
Non avrebbe mai immaginato di rivedere così presto il suo tesoro.
Ma non gridò:
“È mio!” ne puntò il dito contro il mercante dicendo:
“Quell’uomo è un ladro!”
No.
Tutto quello che disse fu:
“Questo è un libro di grandissimo valore.
Vale almeno lo stipendio di un anno!”
Il mercante si accomiatò e ritornò in città.
Quando il predone si presentò aveva l’aria più spietata che mai.
“Allora dimmi,” brontolò, “quanto vale il mio libro?”
“Parecchio!” sorrise il mercante. “Almeno lo stipendio di un anno!”
L’umore del bandito cambiò un po’.
“Magnifico!” ghignò, “E come fai ad esserne così sicuro?”
“È stato facile!” spiegò il mercante, “C’è un piccolo monaco che vive nel deserto in una piccola capanna.
Lui conosce tutto di queste cose.
Gli ho portato il libro e gliel’ho mostrato!”

L’umore del bandito cambiò del tutto.

“Un piccolo monaco?
Nel deserto?” balbettò.
“Proprio così!” rispose il mercante.
“E gli hai detto chi voleva vendere il libro?” domandò il predone.
“Un uomo grande e grosso con una folta barba: questo gli ho detto!” replicò il mercante.
“E il monaco non ha detto niente del libro?
Niente di me?” chiese, allora, il predone.
“Niente.
Perché?” replicò il mercante.

“Così!” mentì il predone, “Tanto per dire.”

Poi afferrò il libro e lasciò la bottega in fretta e furia.
Salì sul suo cavallo e ritornò nel deserto.
Cavalcò e cavalcò fino alla piccola capanna.
“Che cosa significa?” sbraitò entrando come una raffica di vento nella capanna, “Avresti potuto denunciarmi e mi avrebbero arrestato.
Perché non hai detto niente?”
“Perché ti avevo già perdonato!” rispose il monaco.
“Perdonato me?” gridò il predone, “Perdonato?”
La sua voce si smorzò.
“Nessuno mi ha mai perdonato!” quasi sussurrò.
“Mi hanno odiato, cacciato, inseguito, esiliato, condannato.
Ma perdonato, mai!”
In quel momento qualcosa mutò nel cuore del predone grande e grosso.

Estrasse il libro dal suo sacco e lo porse al monaco:

“È tuo!”
Il piccolo monaco sorrise e ringraziò il bandito.
Poi lo invitò a fermarsi nella capanna per imparare qualcosa di più sul perdono e la pace nel cuore.
Non molto tempo dopo, il predone si fece monaco, un monaco grande e grosso con una folta barba, felice di dividere con gli altri il poco che aveva.

Brano tratto dal libro “Tante storie per parlare di Dio.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

La porta verde

La porta verde

La prima volta successe quando aveva sei anni.
Mentre saltellava nel viale, al centro di un lungo muro bianco, vide una porticina verde.
La porta aveva un’aria invitante.
Sembrava dicesse:
“Aprimi, entra.”
Spalancò la porta ed entrò.
Si trovò di colpo nel giardino più incantevole che avesse mai immaginato.
Tutto era immerso in un profumo esaltante, che dava una sensazione di leggerezza, di felicità e di benessere.
E nei colori c’era qualcosa di magico che li rendeva incredibilmente vividi, perfetti, luminosi.

Sentiva di respirare felicità:

non si era mai sentito così bene.
Quando, la sera uscì, si voltò indietro, ma nel muro, malinconico e screpolato, non c’era più nessuna porta.
A casa raccontò quello che gli era successo, ma nessuno gli credette.
Ogni sera, dopo le preghiere ufficiali, però aggiungeva sempre un’accorata preghiera personale.
Ma per quanto vagabondasse non riusciva più a trovare la porta verde.
Dieci anni dopo, era diventato uno studente modello, diligente e impegnato.
Una mattina, mentre si affrettava verso la scuola, si trovò davanti all’improvviso la sua porta.
L’aveva tanto cercata…
Ma non pensò neppure un istante ad entrare.
Era preoccupato solo di non arrivare a scuola in ritardo.
Tornò il giorno dopo ma non trovò più neanche il muro bianco.
Non rivide più la porta verde fino a ventidue anni.
Proprio il giorno in cui doveva sostenere l’esame più importante dell’Università.

Era combattuto tra due opposte volontà:

entrare nel giardino o affrettarsi per dare il suo esame.
Tentennò un attimo, poi scrollò le spalle e ripartì verso l’università.
Si laureò e cominciò una brillante carriera di avvocato.
La sua porta, ora, era la carriera.
Rivide altre volte la porta verde e il muro bianco.
La prima volta stava correndo all’appuntamento con la ragazza che sarebbe diventata sua moglie.
La seconda volta, dopo altri anni ancora, la porta gli si presentò livida sotto la luce dei fari dell’automobile.
Sentì come un dolore acuto al petto.
Ma proprio quella sera aveva un incontro importantissimo con un noto personaggio politico.
La terza volta (era ormai diventato un famoso deputato), vide la porta con la coda dell’occhio.
Stava passeggiando con il ministro di un paese estero.

La sfiorò quasi…

Era a meno di mezzo metro di distanza, ma non poteva certo sparire in quel momento.
L’avrebbero preso per matto.
E poi figurarsi i giornali!
Passarono altri anni.
La nostalgia del giardino incantato si faceva sempre più forte.
Rimpiangeva le volte che non aveva avuto il coraggio di fermarsi ed entrare nella porta verde.
“La prossima volta entrerò di sicuro…
La prossima volta, qualunque cosa accada, mi fermerò…” continuava a ripetere.
Girava e rigirava per la città.
Ogni volta che intravedeva un muro bianco, il suo cuore raddoppiava i battiti.
Ormai viveva soltanto quella porta verde.
Ma non la ritrovò più.

Brano tratto dal libro “L’allodola e le tartarughe.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.