Ora sai dove sta Dio

Ora sai dove sta Dio

Una comitiva di zingari si fermò al pozzo di un cascinale.
Un bambino di circa cinque anni uscì nel cortile, osservandoli con occhi sgranati.
Uno zingaro in particolare lo affascinava, un pezzo d’uomo che aveva attinto un secchio d’acqua dal pozzo e stava lì, a gambe larghe, bevendo.

Un filo d’acqua gli scorreva giù per la barba di fuoco,

corta e folta, e con le mani forti reggeva il grosso secchio di legno, appoggiandolo alle labbra come se fosse stata una tazza.
Quando ebbe terminato, si tolse la fusciacca multicolore e con quella si asciugò la faccia.
Poi si chinò e scrutò in fondo al pozzo.
Incuriosito, il bambino si alzò in punta di piedi per cercare di vedere oltre l’orlo del pozzo che cosa stesse guardando lo zingaro.
Il gigante si accorse del bambino e sorridendo lo sollevò da terra tra le braccia.

“Sai chi ci sta laggiù?” chiese.

Il bambino scosse il capo.
“Ci sta Dio!” disse.
“Guarda!” aggiunse lo zingaro e tenne il bambino sull’orlo del pozzo.
Là, nell’acqua ferma come uno specchio, il bambino vide riflessa la propria immagine:

“Ma quello sono io!”

“Ah!” esclamò lo zingaro, rimettendolo con dolcezza a terra, “Ora sai dove sta Dio!”

Brano tratto dal libro “Quaranta Storie nel Deserto.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il rito della prosperità (Festa di San Giorgio)

Il rito della prosperità
(Festa di San Giorgio)

Il 23 aprile è il giorno della ricorrenza (della morte) di San Giorgio, protettore di tutti i cavalieri che hanno combattuto il male, il quale, in quasi tutte le storie e nelle leggende, veniva rappresentato dal drago.
Cavaliere viene chiamato in Veneto pure un bruco, il Bombyx Mori, conosciuto come baco da seta.
Proprio in questa data, le piccolissime uova del bruco venivano messe in incubazione sotto un caldo cuscino e, addirittura, venivano nascosti in gran segreto tra i seni procaci delle donne di casa, per accelerare la schiusa delle uova.

Mai nessun cavaliere fu così coccolato e viziato, nonostante fosse, per giunta, un insetto.

I bruchi rappresentavano la fonte del primo guadagno dell’anno, atteso dalle donne, soprattutto da quelle che si dovevano sposare, le quali erano in trepidante attesa della propria dote.
Molto spesso ciò avveniva attraverso la vendita dei preziosi bozzoli di seta.
Ricordo ancora oggi quando, un giorno, da ragazzo, andai a trovare un compagno di scuola e di giochi e non trovandolo subito in casa, iniziai a girovagare per le stanze, come facevo di solito.
Giunsi in un grande locale adibito all’allevamento del baco da seta.
L’allevamento era suddiviso in graticole e, nella stessa stanza, intravidi due donne di mezza età.
Non fui notato, quindi poté assistere ad un singolare rito ancestrale, risalente, molto probabilmente, ad una epoca precristiana e riferito all’antico culto della Dea Madre.
Le donne si erano alzate vistosamente le lunghe gonne fino al ventre, mostrando le bianche nudità, con in testa una corona, realizzata con le foglie e con i rami di gelso, e così “bardate” fecero tre giri intorno alle graticole, mormorando frasi a me incomprensibili.
Non rimasi però turbato dalla singolare scena!

Anzi, rimasi divertito!

Pur non riuscendo a capire lo scopo di quello “spettacolo”, non ebbi mai il coraggio di chiedere ai miei il significato di quello che avevo visto.
Infatti, nonostante anche a casa mia si allevasse il baco da seta, non rividi più la scena vista a casa del mio amico.
Continuai a coltivare i bachi da seta con passione finché, dopo essere rimasto l’unico e l’ultimo nel mio paese, fui costretto a smettere nel 1989, a causa dell’inquinamento ambientale portato da un insetticida irrorato a sproposito nei frutteti.
Il baco da seta, essendo una sentinella ecologica, non tollerava questo insetticida.
In quegli anni, su nostro invito, il parroco veniva a benedire l’allevamento e, in quel momento, veniva esposta per la cerimonia una immagine sacra della Madonna, come auspicio devozionale per la buona riuscita dell’allevamento.

Solo in età adulta, leggendo testi di antropologia religiosa,

ricordai il rito ancestrale a cui avevo assistito, non subito da me interpretato, essendo una prerogativa segreta delle donne, sopravvissuta nei secoli.
Penso di essere stato uno degli ultimi, casuali, spettatori che lo possono ancora raccontare.
Diverse volte ripensai alla scena che vidi, vissuta nel mio tranquillo e secolare borgo di Levada, e giunsi alla conclusione che nei muri e nei sassi dell’epoca sono celati, ancora oggi, segreti che a breve andranno persi per sempre, a causa del cambiamento urbanistico e culturale che il mio borgo e la nostra nazione hanno subito negli ultimi 70 anni.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La foto, che è stata gentilmente fornita dall’autore, lo vede impegnato in una delle varie attività agricole che, ormai, svolge da anni.

Concorso di bellezza

Concorso di bellezza

Una nota azienda produttrice di prodotti di bellezza invitò gli abitanti di una grande città a segnalare i nominativi, allegando anche le foto, delle donne più belle che conoscessero.
Nell’arco di poche settimane la società ricevette migliaia di lettere.
Una lettera in particolare catturò l’attenzione dei selezionatori e fu subito consegnata al presidente.
Era stata scritta da un ragazzo con problemi famigliari che viveva in un quartiere degradato.

Dopo le correzioni ortografiche, la lettera diceva:

“C’è una donna bellissima che vive in fondo alla strada dove abito io.
Vado a trovarla tutti i giorni.
Mi fa sentire il bambino più importante del mondo.

Giochiamo a dama e lei ascolta i miei problemi…

Lei mi capisce e quando vado via si ferma sulla porta e mi grida che è fiera di me.”
Il ragazzo concludeva la lettera dicendo:
“Questa immagine mostra che lei è la donna più bella, spero di avere una moglie bella come lei.”
Incuriosito, il presidente chiese di vedere la foto della donna.

La sua segretaria gli porse una foto di una donna sorridente,

senza denti, avanti negli anni, seduta su una sedia a rotelle.
I pochi capelli bianchi erano raccolti in uno chignon e le rughe che formavano profondi solchi sul suo viso sembravano attenuarsi alla luce dei suoi occhi.
“Non possiamo usare questa donna.” disse il presidente con un sorriso, “Mostrerebbe al mondo intero che i nostri prodotti non sono necessari per essere belle.”

Brano tratto dal libro “More stories for the heart.” di Carla Muir

Tre racconti di Bruno Ferrero su Giovanni Maria Vianney

Tre racconti di Bruno Ferrero su Giovanni Maria Vianney
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La sfida tra fratelli

L’ultimo della classe

Egli guarda me ed io guardo Lui

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“La sfida tra fratelli”

 

Giovanni Maria Vianney ancora fanciullo, aveva un fratello maggiore di lui, di nome Francesco, che lo prendeva sempre in giro per le sue incapacità e per la sua religiosità.
Come fare per avere una giusta rivincita?
Si propose un modello e questo lo trovò in una piccola statuina della Madonna, che una religiosa gli aveva regalato.
Sentite come ebbe la prima vittoria sul fratello.
Mandati tutti e due a zappare nel campo, Francesco, essendo più grande, lo anticipava e lo precedeva nel lavoro.
Come raggiungerlo?

Giovanni Maria pose alcuni passi davanti a sé la statuina:

guardandola, si rincuorava nel lavoro, si sforzava di più e raggiungeva il fratello.
Ma il fratello partiva per la rivincita.
Ecco allora che il piccolo riprendeva l’immagine, la collocava di nuovo davanti a sé, si entusiasmava nel lavoro e progrediva.
Così facendo, tenne testa fino a sera al fratello, che a casa dovette, non senza dispetto, confessare alla madre, che Giovanni Maria aveva fatto tanto lavoro come lui.
Ma aggiungeva:
“La sfida non è stata giusta!
Io ero solo, ma lui no, aveva ad aiutarlo la Vergine Maria!”

Brano tratto dal libro “Mese di maggio per i bambini.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.
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“L’ultimo della classe”

 

Quando era seminarista, Giovanni Maria Vianney, il futuro santo Curato d’Ars, aveva enormi difficoltà con la scuola.
Non riusciva a capire neppure le nozioni più semplici.
I superiori del seminario lo avevano rimandato a casa più volte.
Ma lui caparbiamente insisteva.
Aveva ormai 21 anni e sedeva in aula con ragazzi che avevano dieci anni meno di lui.

Uno di questi, undicenne, cominciò ad aiutarlo nello studio.

Giovanni Battista Vianney era molto grato al suo piccolo maestro, ma le difficoltà persistevano:
non capiva, non ricordava, si smarriva, balbettava.
Il ragazzino si lamentò di questo con i compagni di scuola.
Giovanni Maria Vianney lo sentì.
Si alzò dal suo banco, si inginocchiò davanti al ragazzino e gli disse:
“Perdonami perché sono così stupido.”

Brano di Bruno Ferrero.
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“Egli guarda me ed io guardo Lui”

 

Il Santo Curato d’Ars (Giovanni Maria Vianney) incontrava spesso, in Chiesa, un semplice contadino della sua Parrocchia.
Inginocchiato davanti al Tabernacolo, il brav’uomo rimaneva per ore immobile, senza muovere le labbra.

Un giorno, il Parroco gli chiese:

“Cosa fai qui così a lungo?”
“Semplicissimo.
Egli guarda me ed io guardo Lui!”

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Christine e la Vergine del Carmelo

Christine e la Vergine del Carmelo
(Nostra Signora del Monte Carmelo, o anche del Carmine)

Christine era una buona madre ed un’ottima moglie, ma un triste e desolato giorno il suo giovane marito morì.
Un dolore immenso e rovente dilaniò la sua esistenza.
Niente riusciva ad attenuare la sua sofferenza.
Cercava invano brandelli di consolazione nei suoi bambini, che la fissavano smarriti.
Come specchi, gli umidi occhioni le rimandavano l’immagine del loro papà tanto amato.
Neanche più ricordava il tempo in cui lavorava cantando.
Il lavoro, come il pane, le era diventato amaro e pesante.
Una sera, rannicchiata nel letto, piangeva silenziosamente per non svegliare i bambini, quando le apparve una figura dolce e rassicurante, che la prese per mano.

Era la Vergine del Carmelo.

“Vieni con me, Christine!” le disse, “Vieni con me: ti porterò al Fiume della Pace.
Chiunque si bagna nelle sue acque, troverà la consolazione che cerca!”
Camminarono nella notte per molto tempo.
Ad un certo punto, Christine cominciò a sentire il rumore di acque scroscianti.
Un fiume immenso, dalle acque pure e trasparenti, scorreva davanti a loro.
“Immergiti nel Fiume della Pace!” le intimò la Vergine, “Le sue acque scioglieranno la tua pena e la tua angoscia!”

Christine si immerse.

Il suo corpo fu avvolto da un conforto pieno di vigore e serenità, una pace balsamica che guariva le sue ferite.
Dopo quell’immersione salutare, Christine chiese alla Madonna:
“Da dove viene quest’acqua miracolosa?”
“Sono le lacrime del mondo!” rispose la Vergine.
“Tutte le lacrime del mondo si raccolgono in questo fiume.
Lacrime amare, di paura, di dolore, di delusione, di sconfitta, di rabbia.
Ma anche le lacrime più dolci, quelle versate per amore, per il ritorno di una persona cara, per uno scampato pericolo!”
Christine udì i sospiri ed i gemiti di tutti coloro che avevano versato quelle lacrime, e comprese che anche le sue lacrime erano ormai un unico pianto, puro e indistinto, che scorreva nelle acque di quel fiume.

Si sentì in comunione totale con tutto il dolore e la gioia del mondo.

Fu in quel momento che la Madre di Dio le parlò del dolore di suo Figlio.
Christine sentì il pianto di Cristo davanti alla tomba di Lazzaro, il pianto nel Getsemani, il suo pianto ai piedi della croce.
Christine si ridestò improvvisamente, il cuscino era ancora bagnato, ma una pace profonda si era impadronita di lei…

Brano senza Autore

Il santino elettorale dimenticato

Il santino elettorale dimenticato

Per diversi anni fui consigliere di una importante cooperativa, operante nel territorio Montebellunese, la cui attività si basava sull’acquisto e sulla vendita di beni e sul supporto ai servizi inerenti l’agricoltura.
Ero, e sono tutt’ora, convinto dell’importanza di questo istituto, infatti rimasi consigliere di questa organizzazione finché non venne assorbita da una società più grande.
Nel corso degli anni, imparai tante cose e diedi il mio modesto contributo, comunque sempre apprezzato.

Facendo parte del consiglio di amministrazione,

capitava di dover partecipare a delle riunioni in vesti ufficiali e, in una di queste occasioni, mi mandarono a rappresentare la cooperativa ad un importante convegno sul terzo settore, dove il relatore più atteso era un onorevole, nonché sottosegretario del governo di allora.
Fui inviato, soprattutto, per cercare di mediare con il politico affinché espletasse una importante pratica riguardante la nostra cooperativa, giacente al Ministero da anni.
Anche altri soci avevano provato a mettersi in contatto con il suddetto onorevole, ma tutte le iniziative precedenti non avevano avuti riscontri positivi.
Indossai per l’occasione una giacca di velluto leggera, usata raramente ma considerata, da me, un portafortuna.
Seduto su una poltroncina, durante la pausa del convegno, toccandomi le tasche della giacca, mi ritrovai nel taschino un vecchio santino elettorale di propaganda di qualche anno prima, proprio dell’onorevole in questione, con la sua bella effige patinata.

Sembrava proprio un segnale della Dea bendata.

Finita la sua relazione andai a congratularmi e gli ricordai il nostro problema, che naturalmente ben conosceva.
Parlandogli, estrassi il suo santino elettorale.
Notai con piacere che, con immensa rapidità, me lo levò dalla mano per guardarlo.
Dopo averlo girato dalla parte opposta alla propria immagine, vide un numero di telefono scritto con un pennarello rosso, e mi chiese a chi appartenesse.
Non sapendo cosa rispondergli, improvvisai, mentendo.
Gli spiegai che il numero di telefono era servito per la catena telefonica, organizzata dalla cooperativa, per la sua elezione.

Finita la spiegazione, notai il suo volto appagato.

A prova di quanto detto, appena rientrato a Roma, evase la nostra pratica senza alcun problema.
In seguito a questa autorizzazione, al primo consiglio della cooperativa, ricevetti una busta con un biglietto aereo per un soggiorno organizzato, ovviamente tutto pagato, per otto giorni a Istanbul.
Fu il mio primo e unico viaggio in aereo all’estero, ottenuto grazie ad un santino elettorale dimenticato nel taschino da anni.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

L’arazzo

L’arazzo

Un giovane monaco fu inviato per alcuni mesi in un monastero delle Fiandre a tessere un importante arazzo insieme ad altri monaci.
Un giorno si alzò indignato dal suo scranno:

“Basta!

Non posso andare avanti!
Le istruzioni che mi hanno dato sono insensate!” esclamò, “Sto lavorando con un filo d’oro e tutto ad un tratto devo annodarlo e tagliarlo senza ragione. Che spreco!”
“Figliolo,” replicò un monaco più anziano, “tu non vedi questo arazzo come va visto.

Sei seduto dalla parte del rovescio e lavori soltanto in un punto!”

Lo condusse davanti all’arazzo che pendeva ben teso nel vasto laboratorio, e il giovane monaco rimase senza fiato.
Aveva lavorato alla tessitura di una bellissima immagine della Pasqua e il suo filo d’oro faceva parte dei luminosi raggi attorno al Signore Risorto.

Brano tratto dal libro “L’importante è la rosa.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

L’albero e la natura

L’albero e la natura

C’era una volta un albero che viveva solitario in un piccolo frammento di terra in mezzo ad uno specchio d’acqua.
Era bellissimo, ma su quel pezzettino di terra c’era spazio solamente per lui e lui, per sopravvivere, doveva spingere le sue radici sempre più giù, fin quasi al cuore della Madre Terra.
Gli altri alberi un po’ ne ammiravano ed invidiavano la bellezza, ma soprattutto lo compativano, e nella compassione c’era quasi un piccolissimo, impalpabile velo di disprezzo.
“Guarda quel poveraccio,” dicevano continuamente, “sempre solo, vive, invecchia e muore senza nessuno accanto, senza nessuno da amare e che lo ami.
A che gli serve tanto spreco di bellezza?

A che gli serve vivere così?

Che se ne fa di un cuore se non ha un altro albero per cui battere?
Sarà un cuore indurito e atrofizzato!”
L’albero sentiva giorno dopo giorno queste parole portate dal vento e un po’ lo rattristavano.
I suoi rami non avevano accanto altri rami da carezzare e stringere, ed il destino che lo aveva fatto nascere su un coriandolo di terra, lo aveva condannato ad una vita solitaria.
Lacrime di resina e linfa sgorgavano copiose dal suo cuore.
Madre Terra udì il vibrare del pianto dell’albero, scuoterne le radici e, con voce dolcissima, parlò direttamente al cuore di quella rigogliosa pianta:

“Tu non sei solo!

Ed il tuo cuore non è arido e solitario.
Io lo sento pulsare e battere più forte per ogni nido che i tuoi amici uccellini costruiscono fra i tuoi rami e vedo, alla schiusa delle uova, i tuoi rami amorevolmente e premurosamente protendersi a cullare e proteggere i piccoli appena nati.
Vedo con quanto amore offri i tuoi rami fronzuti agli scoiattoli ed agli altri animaletti che vivono con te.
Tu li ami tutti e da tutti sei amato.
Vedi, albero mio, non esiste soltanto un tipo di amore!
Amore è affetto, c’è tanto amore nell’amicizia e nella solidarietà che dà senza mai chiedere, amore è dare e darsi, e tu ti dai con generosità a tutti quelli che ti sono accanto.
Il tuo cuore è vivo e grande e tu non sei solo e mai tu lo sarai.”
Non soltanto l’albero udì la voce della Madre Terra.

La sentì l’acqua che aggiunse:

“Ti ho visto nascere e crescere e diventare così bello e grande, abbraccio la tua immagine in ogni istante e tu, con la tua ombra, consenti nella calura a tutte le creature che in me vivono di trovar refrigerio.
E tu, lo vedo e sento, tendi con dolcezza i tuoi bei rami a carezzarmi.
Non te l’ho detto mai quanto ti voglio bene?”
A quelle parole si levò un canto.
Tutti gli uccellini intonarono la più dolce canzone d’amore che mai avevano cantato.
Lacrime di felicità carezzarono il cuore di quell’albero, che si unì al loro canto con voce di foglie arpeggiate dalle dita gentili di una brezza amica.

Brano senza Autore.

L’amore, il discepolo ed il saggio

L’amore, il discepolo ed il saggio

Un giovane discepolo andò da un saggio e gli disse:
“Maestro ditemi una parola.
Quando un uomo ama è sa di essere amato è la persona più felice di questo mondo.

Ma come si fa ad imparare ad amare?”

“Beh,” rispose il saggio, “potresti iniziare a mettere in pratica queste regole:

  1. Non dare mai un’immagine falsa di se stessi.
  2. Dire sempre di sì, quando è sì, e no, quando è no.
  3. Mantenere la parola data, anche e soprattutto se costa.
  4. Guardare gli altri ad occhi aperti, cercando di conoscere i pregi e i difetti.
  5. Accogliere degli altri non solo i pregi ma anche i difetti e viceversa.
  6. Esercitarsi a perdonare.
  7. Dare agli altri il meglio di se stessi, senza nascondere loro i propri difetti.
  8. Riprendere il rapporto con gli altri anche dopo delusioni e tradimenti.
  9. Imparare a chiedere scusa, quando ci si accorge di aver sbagliato.
  10. Condividere gli amici, vincendo la gelosia.
  11. Evitare amicizie possessive e chiuse.
  12. Dare agli altri anche quando gli altri non possono darci niente.”
Il discepolo con uno sguardo perplesso disse:

“Sono regole belle ma difficili da vivere!”
“Perché, chi ti ha detto che amare è facile?” rispose il saggio, “Non esiste l’amore facile, non esiste l’amore a buon mercato.
Non esiste la felicità facile, non esiste la felicità comprata a prezzi di saldo.
Tutti cercano l’amore ma pochi sono disposti a pagare il prezzo per ottenerlo: il sacrificio!
Imparare ad amare richiede un lungo cammino e un lungo tirocinio.

È difficile, ma non impossibile!”

“Quando potrò dire a me stesso di aver imparato ad amare?” disse il discepolo.
“Mai. Perché la misura dell’amore è amare senza misura.” esclamò il saggio.

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’importanza delle parole

L’importanza delle parole

Nessuno ci riuscirà mai a spiegare quanto possono far male le parole, quando…
… le aspetti e non arrivano.
… arrivano e non sono quelle giuste.
… pensi a qualcosa e lo scrivi nel modo sbagliato.

… le leggi e le interpreti male.

… ti sembrano chiare e chi le legge ne capisce tutt’altro.
… le leggi e le lacrime scendono sul viso.
… ti feriscono dentro più che se ti colpissero con un coltello.

… ti riprometti di non scriverle più e invece ci ricadi come in un vortice.

… scrivi qualcosa e non riesci a trasmettere il senso giusto, quando le urli per la rabbia.
… vorresti pronunciarle ma rimangono ferme in gola
… è più facile scriverle che dirle a voce.

… le rappresenti con un’immagine che dice tutto.

… aspetti di leggerle e non arrivano mai.
… fai una domanda e non ottieni risposta.
Le parole hanno una potenza incredibile e sono eterne!

Brano senza Autore, tratto dal Web