L’imperatore, un giorno, mandò a chiamare uno dei suoi vassalli.
Questi era conosciuto nel suo regno per la crudeltà e l’avarizia, e i suoi sudditi vivevano nel terrore.
L’imperatore gli disse:
“Voglio che ti metta in viaggio per il mondo e mi trovi un uomo veramente buono.”
Quello rispose:
“Sì, signore!” e con obbedienza iniziò la ricerca.
Incontrò molte persone e parlò con loro, e dopo che fu trascorso molto tempo, tornò dall’imperatore e gli disse:
“Signore, ho fatto come mi hai ordinato, cercando per tutto il mondo un uomo davvero buono.
Non lo si può trovare.
Sono tutti egoisti e malvagi.
Non c’è luogo dove si possa trovare l’uomo che cerchi!”
L’imperatore lo mandò via e fece chiamare un altro vassallo, conosciuto per la sua generosità e benevolenza, e molto amato dai suoi sudditi.
L’imperatore gli disse:
“Amico mio, vorrei che ti mettessi in viaggio e mi cercassi un uomo davvero cattivo!”
Anche questo obbedì, e nei suoi viaggi incontrò molta gente e parlò con loro.
Dopo che fu trascorso molto tempo, ritornò dall’imperatore e gli disse:
“Signore, non ce l’ho fatta.
Ci sono persone incaute, traviate, che si comportano da ciechi, ma in nessun luogo sono riuscito a trovare un uomo davvero cattivo.
Sono tutti buoni di cuore, nonostante i loro fallimenti!”
All’imperatore Ciro il Grande piaceva moltissimo conversare amabilmente con un amico molto saggio di nome Akkad.
Un giorno, appena tornato stanchissimo da una campagna di guerra contro i Medi, Ciro si fermò dal suo vecchio amico per passare qualche giorno con lui.
“Sono spossato, caro Akkad.
Tutte queste battaglie mi stanno consumando.
Come vorrei fermarmi a passare il tempo con te, chiacchierando sulle rive dell’Eufrate…” esclamò l’imperatore.
“Ma, caro sire, ormai hai sconfitto i Medi, che cosa farai?” domandò l’amico saggio.
“Voglio impadronirmi di Babilonia e sottometterla!” spiegò Ciro il Grande.
“E dopo Babilonia?” chiese il saggio.
“Sottometterò la Grecia!” disse l’imperatore.
“E dopo la Grecia?” domandò ancora l’amico saggio.
“Conquisterò Roma!” continuò Ciro il Grande.
“E dopo?” continuò a chiedere il saggio.
“Mi fermerò.
Tornerò qui e passeremo giorni felici a conversare amabilmente sulle rive dell’Eufrate…” concluse l’imperatore.
“E perché, sire, amico mio, non incominciamo subito?” domandò Akkad.
Quando l’imperatore morì, il giovane principe si preparò, con un po’ di apprensione, a prenderne il posto.
Il precettore saggio ed anziano gli disse:
“Hai bisogno di un aiuto, subito.
Prima di salire sul trono scegli la futura imperatrice, ma fa’ attenzione:
deve essere una fanciulla di cui puoi fidarti ciecamente.
Invita tutte le fanciulle che desiderano diventare imperatrice, poi ti spiegherò io come trovare la più degna.”
La più giovane delle sguattere della cucina reale, segretamente innamorata del principe, decise di partecipare.
“So che non verrò mai scelta, tuttavia è la mia unica opportunità di stare accanto al principe almeno per alcuni istanti, e già questo mi rende felice.” pensava.
La sera dell’udienza, c’erano tutte le più belle fanciulle della regione, con gli abiti più sfarzosi, i gioielli più ricchi.
Circondato dalla corte, il principe annunciò i termini della competizione:
“Darò un seme a ciascuna di voi.
Colei che mi porterà il fiore più bello, entro sei mesi, sarà la futura imperatrice.”
Quando venne il suo turno, la fanciulla prese il seme, un minuscolo granello scuro e lo portò a casa avvolto nel fazzoletto.
Lo interrò con cura in un vaso pieno di ottima terra soffice e umida.
Non era particolarmente versata nell’arte del giardinaggio, ma riservava alla sua piccola coltivazione un’enorme pazienza e un’infinita tenerezza.
Ogni mattina spiava con ansia la terra scura, in cui sperava di veder spuntare lo sperato germoglio.
I sei mesi trascorsero, ma nel suo vaso non sbocciò nulla.
Arrivò il giorno dell’udienza.
Quando raggiunse il palazzo con il suo vasetto pieno solo di terra e senza pianta, la fanciulla vide che tutte le altre pretendenti avevano ottenuto buoni risultati.
Il principe entrò e osservò ogni ragazza con grande meticolosità e attenzione.
Passò davanti ad ognuna.
I fiori erano davvero splendidi.
Guardò anche la sguattera che non osava alzare gli occhi e quasi nascondeva il suo vasetto mestamente vuoto.
Dopo averle esaminate tutte, il principe si fermò al centro del salone e annunciò il risultato della gara:
“La nuova imperatrice, mia sposa, è questa fanciulla.”
Quasi si sentiva, nel silenzio profondo, il battito all’unisono di tutti i cuori.
Senza esitazione il principe prese per mano la giovane sguattera.
Poi chiarì la ragione di quella scelta.
“Questa fanciulla è stata l’unica ad aver coltivato il fiore che l’ha resa degna di diventare un’imperatrice:
il fiore dell’onestà.
Tutti i semi che vi ho consegnato erano solo granelli di legno dipinto, e da essi non sarebbe mai potuto nascere nulla!”
Brano tratto dal libro “I fiori semplicemente fioriscono” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.
Un artista famoso, fiero ed orgoglioso della sua opera, si recò un giorno dall’imperatore per diventare pittore di corte.
Strada facendo diceva fra sé:
“Non appena vedrà le mie opere resterà stupefatto!
Mi coprirà di onori e farà omaggio al mio genio!” e pregustava tra sé e sé quel momento.
Invece l’imperatore guardò le sue opere senza dire una parola e poi gli ordinò di tornare da lui il giorno dopo, portando di nuovo con sé tutti i suoi quadri.
Il giorno seguente l’artista ritornò, ma l’imperatore si comportò allo stesso modo, ordinandogli di tornare il giorno successivo;
e fu così per più giorni.
Il silenzio dell’imperatore di fronte ai suoi capolavori cominciava a preoccuparlo e, pian piano, prese a dubitare di sé e della sua arte.
Un giorno, persa ogni speranza nel suo sogno di gloria, si recò a corte solo per obbedienza.
“Sono tornato solo per il vostro comando!” confessò dinanzi all’imperatore,
“Ma non sarei più voluto venire.”
L’imperatore, allora, lo ricevette con tutti gli onori e lo elesse a miglior artista del regno.
“L’opera interiore della tua anima,” gli sussurrò in un orecchio, “doveva ancora eguagliare la bellezza dei tuoi quadri: mancava solo più il tocco prezioso dell’umiltà.”
Brano di Silvia Guglielminetti incluso nel libro “Il secondo libro degli esempi. Fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita.” Piero Gribaudi Editore.
Un antico imperatore cinese fece, un giorno, un solenne giuramento:
“Conquisterò e cancellerò dal mio regno tutti i miei nemici!”
Un po’ di tempo dopo, i sudditi, sorpresi,
videro l’imperatore che passeggiava per i giardini imperiali a braccetto con i suoi peggiori nemici, ridendo e scherzando.
“Ma…” gli disse sorpreso un cortigiano,
“…non avevi giurato di cancellare dal tuo regno tutti i tuoi nemici?”
“Li ho cancellati, infatti!” rispose l’imperatore, “Li ho fatti diventare tutti miei amici!”
Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.
C’era una volta un re che abitava una montagna dove migliaia di rose di tutti i colori crescevano rigogliose per tutto l’anno.
In quel regno uomini, donne e bambini vivevano in pace tra loro e con i paesi confinanti.
Un giorno arrivarono nel Regno delle rose dei messaggeri che portarono cattive notizie.
Il re di un paese lontano aveva cominciato un lungo e terrificante viaggio con i suoi eserciti, alla conquista di tutti i regni che incontravano sul loro cammino.
Gli uomini dell’imperatore conquistatore proposero al re delle rose di arrendersi.
“Mai,” rispose lui, “il mio regno dovrà restare libero da ogni schiavitù o imperialismo!”
Purtroppo dopo pochi giorni arrivarono i cavalieri stranieri che iniziarono a distruggere i roseti e le case che incontravano sulla via per la fortezza.
Il re che voleva difendere il suo regno, fu fatto prigioniero e portato in una terra lontana.
Riuscito a fuggire, tornò al suo regno.
Sulla strada del ritorno, da lontano, riusciva a vedere la montagna, ma niente altro.
Infatti l’imperatore aveva distrutto tutte le piante di rose.
Per vendicarsi, il re decise che avrebbe ricostruito tutto come era prima.
Ora che aveva sconfitto il potente imperatore e aveva scatenato contro di lui i popoli conquistati, non rimaneva che ricominciare.
Il re ripensò allo splendore del suo giardino di rose sotto il sole e comprese che cosa aveva attirato gli stranieri sulla sua montagna.
Erano state la serenità e la gioia di un paese bello e semplice come un fiore.
Ma invece di arrendersi al grigio di una natura nascosta, il re volle accrescere l’abbondanza di colori e di vita del suo giardino.
All’arrivo della bella stagione, la montagna era tornata la patria della felicità.
Ormai i roseti arrivavano fino ai piedi dell’altura, non si fermavano come prima della guerra, intorno al castello.
Da tutti i popoli confinanti, quella era conosciuta come la “Montagna di rose!”
Un imperatore, in punto di morte, convocò i suoi fidati generali, per dettare loro le sue ultime volontà.
Ho tre precisi desideri da esprimervi, disse:
1) che la mia bara sia trasportata a spalle, da nessun altro se non dai medici che non hanno saputo guarirmi;
2) che i tesori, gli ori e le pietre preziose conquistate ai nemici vengano sparse e disseminate a vantaggio del popolo, lungo la strada che porta alla mia tomba;
3) che le mie mani siano lasciate penzolare fuori della bara, alla chiara vista di tutti.
Uno dei generali, scioccato da queste strane ed inaudite ultime volontà del grande condottiero, chiese:
“Sire, qual è mai il motivo di tutto questo?”
L’imperatore, con la voce ormai bassa e tremula, gli rispose:
1) voglio solo i medici a portarmi all’ultima mia dimora, per dimostrare a tutti che non hanno alcun potere di fronte alla malattia e alla morte;
2) voglio il suolo pubblico ricoperto dai miei tesori, perché la gente umile ne tragga qualche vantaggio, ma soprattutto per ricordare a tutti che i beni materiali, qui conquistati, qui restano;
3) voglio le mie mani penzolanti al vento, perché la gente capisca che a mani vuote veniamo e a mani vuote andiamo via.
Una volta, un imperatore sognò di aver perso tutti i denti.
Si svegliò spaventato e fece chiamare un saggio in grado di interpretare il suo sogno.
“Signore, che disgrazia!” esclamò il saggio.
“Ciascuno dei denti caduti rappresenta la perdita di un familiare caro a Vostra Maestà.”
“Ma che insolente!” gridò l’imperatore.
“Come si permette di dire tale fesseria?”
Chiamò le guardie ordinando loro di frustarlo.
Chiese in seguito che cercassero un altro saggio.
L’altro saggio arrivò e disse:
“Signore, vi attende una grande felicità!
Il sogno rivela che lei vivrà più a lungo di tutti i suoi parenti.”
Il volto dell’imperatore si illuminò.
Chiese che venissero consegnate cento monete d’oro a quel saggio.
Quando costui lasciò il palazzo, un suddito domandò:
“Com’è possibile?
L’interpretazione data da lei fu la stessa del suo collega.
Tuttavia lui prese delle frustate mentre lei ebbe delle monete d’oro!”
“Mio amico.” rispose il saggio “Tutto dipende da come si vedono le cose…
Questa è la grande sfida dell’umanità.
Da ciò deriva la felicità o l’infelicità, la pace o la guerra.
La verità va sempre detta, non c’è alcun dubbio, ma il modo come la si dice…
È quello che fa la differenza.
La verità deve essere comparata ad una pietra preziosa.
Se la rinfacciamo a qualcuno, può ferire, provocando rivolta.
Ma se l’avvolgiamo in una delicata confezione e la offriamo con tenerezza, sarà sicuramente accettata con più felicità.”