La leggenda del tronchetto di Natale

La leggenda del tronchetto di Natale

Ogni sera, quando il padre di Nellina rientrava dal bosco, scuoteva la neve dagli stivali e brontolava:
“Oh, là là!
Che caldo fa, qui!
Sembra un forno!
Guarda, Nellina, i vetri delle finestre sono tutti appannati!
E poi, sempre questo odore di dolci e creme bruciacchiate!
Toh, guarda tua madre, coperta di farina dalla testa ai piedi!
Che idea che ho avuto di sposare una fornaia!”
Naturalmente la mamma di Nellina non era contenta.
I suoi occhi brillavano di collera.

Gridava:

“Che cosa?
Dolci bruciacchiati?
lo?
I miei panettoni farciti sono i migliori dei mondo!
E poi io faccio delle cose con le mie mani.
Tu, grand’uomo, non fai che demolire dei poveri alberi che non t’hanno fatto niente.
Guardalo, Nellina, tutto coperto di segatura dalla testa ai piedi!”
Nellina ne aveva abbastanza di questi litigi.
Si arrotolava le trecce bionde forte forte intorno alle orecchie e non sentiva più niente.
Ma il papà continuava a gridare:
“Questa sedia è tutta appiccicosa.
È ancora la tua crema!”

E la mamma urlava:

“Crema? ma quale crema:
è la resina dei tuoi maledetti alberi.
La spiaccichi dappertutto!”
Quella sera, Nellina piangeva nel suo lettino.
Amava tanto il papà e la mamma.
Ma ora stavano esagerando.
Due giorni dopo era Natale e loro non facevano nessuno sforzo per andare d’accordo e passare una bella festa insieme.
Il papà si era rifiutato di ridipingere l’insegna della pasticceria.
La mamma non aveva voluto rammendare il gilet dei marito.
I grossi lacrimoni di Nellina bagnavano la sua bambola preferita.
Il giorno dopo Nellina raccontò tutto al cugino Gianni.
“Non serve a niente piangere!” le disse Gianni., “Devi fare qualcosa.
I tuoi genitori ti vogliono bene.
Prepara tu la festa.
Fabbrica un regalino, addobba la casa e Natale sarà una festa fantastica!”

Nellina tornò a casa di corsa.

Aprì le finestre, spazzò fuori farina e segatura.
Pulì e lucidò.
Decorò la casa con rametti di agrifoglio e carta crespa, aggiustò il gilet del papà e stirò il nastro che la mamma si annodava nei capelli.
Poi si disse:
“E adesso preparo una bella sorpresa!
Almeno a Natale non litigheranno!”
E mentre mamma e papà erano al lavoro, Nellina preparò la sua sorpresa, ridendo da sola.
Quando il padre rientrò, non riuscì a trattenere un fischio di sorpresa:
“Oh, là, là!
Che bella casa!
E il mio gilet riparato per Natale.”
La madre a sua volta:
“La casa addobbata e il mio nastro lavato e stirato.
Che meraviglia!”
Il giorno di Natale, andarono a Messa tutti insieme e poi tornarono per il pranzo.

Al momento del dolce, Nellina portò la sua sorpresa.

Mamma e papà aggrottarono le sopracciglia.
La mamma domandò:
“Che cos’è?
Sembra un tronco d’albero, con la corteccia scura e un po’ di neve.
È disgustoso!”
Il papà annusò e disse:
“Sa di biscotti, cioccolato e zucchero in polvere.
È disgustoso!”
Poi, tutto d’un colpo, la mamma scoppiò a ridere e disse:
“È un dolce, è per me.
Grazie Nellina!”
Il papà scoppiò a ridere anche lui:
“È un tronchetto d’albero, è per me.
Grazie Nellina!”
Nellina, felice, gridò:
“È per tutti e tre.
E lasciatene un po’ anche per me!”

Brano di Bruno Ferrero

Ora so perché dovevi farlo

Ora so perché dovevi farlo

C’era una volta un uomo che considerava il Natale una favola incomprensibile.
Era una persona gentile e discreta, amorevole con la sua famiglia, onesta in tutti i suoi rapporti con gli altri uomini.
Ma non riusciva a credere all’Incarnazione.
Ed era troppo onesto per fingere di crederci.
La vigilia di Natale la moglie e i figli andarono in chiesa per la Messa di mezzanotte.
“Mi dispiace, ma non vengo.” disse lui, “Non riesco a capire l’affermazione che Dio si fa uomo.

Preferisco stare a casa.

Vi aspetterò per prendere qualcosa di caldo insieme.”
La sua famiglia si allontanò in auto, la neve cominciò a cadere.
L’uomo andò alla finestra e guardò le folate sempre più fitte e pesanti.
“Un vero Natale con i fiocchi!” pensò.
Tornò alla sua poltrona vicino al fuoco e cominciò a leggere il suo libro.
Pochi minuti dopo fu sorpreso da un tonfo sordo, subito seguito da un altro, poi da un altro ancora.
Pensò che qualcuno si divertisse a tirare palle di neve alla finestra del suo soggiorno.
Quando andò alla porta d’ingresso per indagare vide uno stormo di uccelli che svolazzavano nella tempesta alla disperata ricerca di un riparo e attirati dalla luce della sua finestra andavano a sbattere contro i vetri.

Molti finivano a terra tramortiti.

“Non posso permettere che queste povere creature giacciano lì a congelare!” pensò, “Ma come posso aiutarli?”
Si ricordò della rimessa che non usava più:
avrebbe potuto fornire un riparo caldo.
Indossò il cappotto e gli scarponi e con passo pesante attraverso la neve si diresse alla rimessa.
Spalancò l’ampia porta e accese la luce.
Ma gli uccelli non entravano.
“Un po’ di cibo li attirerà!” pensò.
Così si affrettò a tornare a casa per le briciole di pane, che sparse sulla neve per fare un percorso verso la rimessa.
Ma gli uccelli ignoravano le briciole di pane e continuavano a svolazzare sempre più intorpiditi nella tormenta.
L’uomo si mise ad agitare le braccia, ma quelli, spaventati, si disperdevano in ogni direzione, invece di rifugiarsi nel deposito caldo e illuminato.
“Mi vedono come una creatura strana e terrificante.” si disse, “Li ho solo terrorizzati di più.
Come faccio a comunicare loro che possono fidarsi di me?”

Uno strano pensiero lo colpì:

“Se solo potessi essere un uccello io stesso per qualche minuto, forse potrei guidarli verso la salvezza!”
Proprio in quel momento le campane della chiesa cominciarono a suonare.
Rimase in silenzio per un po’, ascoltando le campane.
Poi cadde in ginocchio nella neve.
“Adesso capisco.” sussurrò, “Ora so perché dovevi farlo!”

Brano di Bruno Ferrero

Il bambino che spostò un armadio con un dito

Il bambino che spostò un armadio con un dito

Seduto e in silenzio, Gesù guardava con tenerezza un bambino che cercava di spostare un grosso armadio, molto pesante, di casa sua.
Spingeva da un lato, poi spingeva da un altro, sbuffando e stringendo i denti, ma niente… il grosso armadio non si spostava neanche di un millimetro.
Il bambino voleva spostare l’armadio per fare contenti i suoi genitori.
Loro avevano molto bisogno di spostare l’armadio, ma non trovavano mai il tempo e la voglia di farlo.
Certo, poveretti, tornavano a casa sempre stanchi del lavoro!

Questo il bambino lo capiva.

Quello che non capiva era perché litigavano sempre per colpa di quell’armadio.
La mamma rimproverava il papà di non fare assolutamente nulla per spostarlo.
Il papà accusava la mamma di non volere togliere tutta la roba che era dentro l’armadio per renderlo più leggero e permettergli di spostarlo.
In casa c’era sempre tensione e sembrava che andasse sempre peggio.
Così il bambino si sforzava di spostare l’armadio, e ci provava in tutti i modi.
Niente!
L’armadio era sempre al suo posto.
Il bambino era tutto sudato e anche molto stanco.
Ci aveva messo tutta la sua forza.
“Hai usato proprio tutte le tue forze?” gli chiese Gesù con un tono di voce molto delicato.
“Si!” rispose il bambino, cercando di riprendere fiato.
“Non mi sembra,” ribatté Gesù, “anzi, direi proprio di no…

Pensaci bene.

Hai fatto proprio tutto quello che potevi fare per spostarlo?”
“Si!” rispose deluso e convinto il bambino.
“Guarda che non hai ancora usato la tua forza più grande!” disse Gesù con un bellissimo sorriso.
“Quale forza?” domandò il bambino con gli occhi spalancati per la meraviglia.
“Non mi hai chiesto di aiutarti.” disse dolcemente Gesù, “Io sono la tua forza più grande!”
Il bambino cominciò a pregare, e pregare, e pregare.
L’armadio non si spostò.
Ma il papà una sera, rientrando a casa, sembrava più sereno.
E, senza dire una parola, si mise a svuotare i cassetti dell’armadio.
La mamma lo vide e, dopo un po’, andò da lui dicendo:

“Aspetta che ti aiuto!”

Insieme vuotarono l’armadio cominciando a ridere di tutti gli episodi che quelle cose gli ricordavano.
Poi insieme spinsero l’armadio fuori della loro stanza da letto.
Insieme prepararono la cena, e insieme andarono a riposarsi sul divano, abbracciati l’uno all’altro.
Il bambino si tuffò felice in mezzo a loro.
Da quel giorno imparò non a spingere gli armadi, ma a spingere i suoi genitori ad andare insieme a Messa la domenica, perché anche loro potessero ricevere la forza di Gesù.
Passò ancora un po’ di tempo.
I genitori ed il bambino cominciarono a sentire il bisogno e il gusto di pregare insieme.
Ci si sentiva un po’ strani all’inizio su quel divano con la televisione spenta, ma poi era diventato il momento più bello della giornata.
Ci si sentiva uno dentro l’altro.
Ci si sentiva stanchi ma contenti, in una semplice e dolce pace.
Una colomba aveva preso l’abitudine di posarsi sul davanzale della loro finestra proprio mentre pregavano, chissà perché…
E fu così che, dopo qualche anno, in quella casa, gli armadi si spostavano con un solo dito.

Brano senza Autore

Il biscotto, la nonna ed il bimbo

Il biscotto, la nonna ed il bimbo

Un bimbo raccontava alla sua nonna che tutto andava male: la scuola, problemi con la famiglia, malattie, ecc.
Intanto, la nonna preparava un biscotto.

Dopo averlo ascoltato, la nonnina gli disse:

“Vuoi fare merenda?”
Il bimbo rispose:
“Certamente!”
“Prendi, eccoti un poco di olio da cucinare!” esclamò la nonna.

“Mmm, ma non è buono da mangiare da solo!” replicò il bimbo.

“Cosa diresti di un paio di uova crude?” continuò la nonna.
“Mamma mia, che disgustose saranno, nonna!” rispose il bambino.
“Allora gradisci un po’ di farina di grano, o magari un po’ di lievito?” domandò la nonna.
“Nonna, sei diventata matta, tutto questo è immangiabile!” disse il bambino.

Allora la nonna rispose:

“Sì, tutte queste cose sembrano ripugnanti, se le consideri separate.
Però se le metti tutte insieme in maniera adeguata, formano un meraviglioso e delizioso biscotto!
Funziona così anche nella nostra vita.
Se ricordi (e prendi) solo le cose brutte, non riuscirai mai a vedere quelle belle.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La bambina e le due mele

La bambina e le due mele

Un giorno, una mamma, rientrando a casa dal lavoro, trovò la sua bambina con due mele nelle sue piccole manine.
Le guardava, le annusava, se le stava godendo prima di mangiarle, pregustando la loro dolcezza e morbidezza.
La mamma si avvicinò e chiese alla figlioletta se le potesse dare una delle sue due mele.

La bimba guardò le sue due mele, una era rossa e l’altra gialla.

Dubitò per un attimo, guardandole entrambe, e finalmente morse quella rossa, l’assaporò per bene, e poi morse anche quella gialla, con la stessa calma e compiacenza.
La mamma sentì il sorriso sul suo volto congelarsi, si chiedeva perché e da quando sua figlia era diventata così egoista.
Si chiedeva in cosa aveva sbagliato nel corrompere quell’angioletto che era stata quando era più piccola.
E cercava di non rivelare la sua delusione.
In quello stesso momento, la bambina le porse una delle due mele dicendo:

“Tieni mammina, questa è quella più dolce.”

La mamma prese la mela e abbracciò la sua bambina perché non vedesse che aveva le lacrime agli occhi.
Insieme si sedettero a mangiare le mele.
Entrambe avevano un sorriso gioioso e sereno, guardando le nuvole nel cielo si raccontarono le proprie giornate, una fatta di giochi e cose da imparare,

l’altra fatta di problemi e cose da risolvere.

Poi, quando la bambina fu concentrata su altro, la mamma scrisse un piccolo pensiero nel suo taccuino per non dimenticare:
“Non importa chi sei, come sei vissuto, cosa credi di aver visto o sentito, quanta esperienza e conoscenza pensi di avere, ritarda sempre il giudizio.
Dai agli altri il privilegio di spiegarsi.
Quello che percepisci può essere o non essere la realtà.”

Brano senza Autore

La farfalla su uno stelo

La farfalla su uno stelo

Una farfalla volava instancabile tra i fiori, quando d’un tratto un pianto sommesso la fece sobbalzare.
“Che fatto insolito, pensò, in un giardino!” e impaurita si spezzò le ali andando a urtare contro un alberello.
“Ah, che mai sarà di me adesso!

Non volerò più… morirò di tristezza!”

E mentre così si lamentava, si ricordò del pianto appena udito e chiese al vento:
“Chi piangeva prima di me?”
“Io, stelo nudo senza fiore; una folata di vento mi ha ridotto così.

E a che serve uno stelo senza fiore?” disse.

La farfalla si trascinò stancamente fino a lui:
“Non sei il solo a soffrire; con le mie ali spezzate, non volerò mai più libera nell’aria!”
Lo stelo tacque e sembrò riflettere, ma tanto durava il suo silenzio, che la farfalla quasi si innervosì.

Alla fine parlò:

“Insieme, possiamo aiutarci.
Posati su di me, così tu porgerai le ali al vento ed io avrò di nuovo un fiore.”
La farfalla si illuminò tutta di un sorriso.
I passeri accorsero ad aiutarli e unirono per sempre la farfalla al verde stelo.
Da allora ci sono farfalle che volano ed altre che, trasformate in fiori, si lasciano cullare sugli steli.

Brano di Don Ezio del Favero

La volpe e la cicogna

La volpe e la cicogna

La volpe e la cicogna una volta erano buone amiche, spesso passavano insieme del tempo.
Un giorno la volpe invitò a pranzo la cicogna; per farle uno scherzo,

le servì della minestra in una scodella poco profonda:

la volpe leccava facilmente, ma la cicogna riusciva soltanto a bagnare la punta del lungo becco e dopo pranzo era più affamata di prima.
“Mi dispiace,” disse la volpe ghignando tra i denti, “la minestra non è di tuo gradimento?”

“Oh, non ti preoccupare:

spero anzi che vorrai restituirmi la visita e che verrai presto a pranzo da me.” rispose la cicogna.
Così fu stabilito il giorno in cui la volpe sarebbe andata a trovare la cicogna.
Sedettero a tavola, mai i cibi erano preparati in vasi dal collo lungo e stretto nei quali la volpe non riusciva ad infilare il muso:

tutto ciò che poté fare fu leccare l’esterno del vaso,

mentre la cicogna tuffava il becco nel brodo e mangiava con gran gusto:
“Non ti piace, cara, ciò che ho preparato?”
Fu così che la volpe burlona fu a sua volta presa in giro dalla cicogna.

Favola di Esopo

La leggenda della nascita del deserto

La leggenda della nascita del deserto

Tanto tempo fa la terra intera era verde e fresca come una foglia appena spuntata.
C’erano mille ruscelli che correvano tra l’erba.
Arance, mandorle, ciliegie, datteri e melograni crescevano insieme sullo stesso ramo.
Il leone giocava con l’agnello e le tribù degli uomini vivevano in pace.
Essi non sapevano cosa fosse il male.

All’inizio dei tempi, il Signore aveva detto agli uomini:

“Questo giardino fiorito è tutto vostro, e vostri sono i suoi frutti.
Badate però, che ad ogni azione malvagia io lascerò cadere sulla terra un granello di sabbia, e un giorno gli alberi verdi e l’acqua fresca potrebbero scomparire per non tornare mai più!”
Per molto tempo il suo monito venne obbedito e ricordato, finché un giorno due uomini litigarono per il possesso di un cammello.
Appena la prima parola cattiva fu pronunciata il Signore gettò al suolo un granello di sabbia, così minuscolo e leggero che nessuno se ne accorse.
Ben presto alle parole seguirono i fatti, e molti nuovi granelli si formarono e caddero.
Il piccolo mucchio di sabbia cresceva lentamente.
Gli uomini allora si fermarono a guardarlo, incuriositi.

“Cos’è questo, Signore?” chiesero a Dio.

“È il frutto della vostra cattiveria!” rispose Lui.
“Tutte le volte che agirete ingiustamente, che alzerete la mano su un fratello, che mentirete e ingannerete, un granellino si aggiungerà agli altri.
E chissà che un giorno la sabbia non arrivi a coprire la terra intera!”
Ma gli uomini si misero a ridere.
“Anche se fossimo i più perfidi fra i perfidi, non basteranno milioni di milioni di anni perché questa polvere leggera riesca a farci del male.
E poi, chi può aver paura di un po’ di sabbia?”
Così ricominciarono a ingannare e a combattere, uno contro l’altro, tribù contro tribù.
Finché la sabbia seppellì i pascoli verdi e i campi, cancellò il corso dei ruscelli e cacciò le bestie lontano in cerca di cibo.

In questo modo fu creato il deserto.

E da allora le tribù vagano per il deserto, pensando alla verde terra perduta.
E qualche volta in pieno deserto, sognano e vedono cose che non ci sono più:
laghi azzurri e alberi fioriti.
Ma sono visioni che subito svaniscono:
la gente li chiama miraggi.
Solo dove gli uomini hanno osservato le leggi di Dio ci sono ancora palme verdi e sorgenti pulite.
E la sabbia non può cancellare queste cose, ma le circonda come il mare fa con le isole.
I viaggiatori le chiamano oasi.
E là si fermano per trovare riposo e ristoro, ricordando ogni volta le parole del Signore alle tribù:
“Non trasformate il mio mondo verde in un deserto infinito!”
Ora sapete perché, anche oggi, sulla terra i deserti continuano ad avanzare.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Quando il sole tramonta, tu con chi balli?


Quando il sole tramonta, tu con chi balli?

Tanto tempo fa un missionario attraversava le Montagne Rocciose con un giovane indiano che gli faceva da guida.
Tutte le sere, ad un preciso momento del tramonto,

il giovane indiano si appartava,

si voltava verso il sole e cominciava a muovere ritmicamente i piedi e a cantare sottovoce una canzone dolcissima, soffusa di nostalgia.
Quel giovane che danzava e cantava rivolto al sole morente era uno spettacolo che riempiva di ammirata curiosità il missionario.

Così, un giorno, chiese alla sua guida:

“Qual è il significato di quella strana cerimonia che fai tutte le sere?”
“Oh, è una cosa semplice.” rispose il giovane, “Io e mia moglie abbiamo composto insieme questa canzone.
Quando siamo separati, ciascuno di noi, dovunque si trovi, si volta verso il sole un attimo prima che tramonti,

e comincia a danzare e cantare.

Così, ogni sera, anche se siamo lontani, cantiamo e balliamo insieme.”
Quando il sole tramonta, tu con chi balli?

Brano tratto dal libro “Il segreto dei pesci rossi.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.