Il figlio più intelligente (L’uomo e i tre figli)

Il figlio più intelligente
(L’uomo e i tre figli)

Molto tempo fa c’era un uomo che aveva tre figli ai quali voleva molto bene.
Non era nato ricco, ma con la sua saggezza e il duro lavoro era riuscito a risparmiare un bel po’ di soldi e a comprare un fertile podere.
Quando divenne vecchio, cominciò a pensare a come dividere tra i suoi figli ciò che possedeva.
Un giorno, quando ormai era molto vecchio e malato, decise di fare una prova per capire quale dei suoi figli fosse il più intelligente.

Chiamò allora i tre figli al suo capezzale.

Diede a ciascuno cinque soldi e chiese loro di comprare qualcosa che riempisse la sua stanza, che era vuota e spoglia.
Ciascuno dei figli prese i soldi e uscì per esaudire il desiderio del padre.
Il figlio più grande pensò che fosse un lavoro facile.
Andò al mercato e comprò un fascio di paglia, ossia la prima cosa che gli capitò sotto gli occhi.
Il secondo figlio, invece, rifletté per qualche minuto.
Dopo aver girato tutto il mercato e aver cercato in tutti i negozi, comprò delle bellissime piume.

Il figlio più piccolo considerò per un lungo tempo il problema.

“Cosa c’è che costa solo cinque soldi e può riempire una stanza?” si chiedeva.
Solo dopo molte ore passate a pensare e ripensare, trovò, qualcosa che faceva al suo caso, e il suo volto si illuminò.
Andò in un piccolo negozio nascosto in una stradina laterale e comprò, con i suoi cinque soldi, una candela e un fiammifero.
Tornando a casa era felice e si domandava cosa avessero comprato i suoi fratelli.
Il giorno seguente, i tre figli si riunirono nella stanza del padre.
Ognuno portò il suo regalo, l’oggetto che doveva riempire una stanza.
Per primo il figlio grande sparse la sua paglia sul pavimento, ma purtroppo questa riempì solo un piccolo angolo.

Il secondo figlio mostrò le sue piume:

erano molto graziose, ma riempirono appena due angoli.
Il padre era molto deluso degli sforzi dei suoi due figli maggiori.
Allora il figlio più piccolo si mise al centro della stanza: tutti gli altri lo guardavano incuriositi chiedendosi:
“Cosa può aver comprato?”
Il ragazzo accese la candela con il fiammifero e la luce di quell’unica fiamma si diffuse per la stanza e la riempì.
Tutti sorrisero.
Il vecchio padre fu felice del regalo del figlio più piccolo.
Gli diede tutta la sua terra e i suoi soldi, perché aveva capito che quel ragazzo era abbastanza intelligente da farne buon uso e si sarebbe preso saggiamente cura dei suoi fratelli.

Brano tratto dal libro “Tutte storie. Per la catechesi, le omelie e la scuola di religione.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

L’astronauta in viaggio (La scoperta del pianeta Terra)

L’astronauta in viaggio
(La scoperta del pianeta Terra)

Ciao mia cara,
Non vedo l’ora di poteri abbracciare!
Da quanto tempo è che non ci vediamo:
più o meno saranno 3000 anni luce.
Non puoi immaginare quanto mi manchi e mi sembra ieri quando ci siamo lasciati.
Quanta fatica, e per quanto tempo abbiamo sognato di poter raggiungere un pianeta abitato come il nostro.
Mi sembra ieri quando i primi pionieri del volo violarono la quiete del cielo sfidando le leggi della natura; sento l’eco delle loro grida di gioia che risuonano nel tempo.
Noi, noi siamo la storia!
Ma a dirti la verità non è proprio come me lo aspettavo…

Ah, come sta la piccola?

Dalle un bacio e dille che presto il papà tornerà a casa.
Qui, il pianeta è insopportabile:
c’è un atmosfera irrespirabile, umida e piena d’acqua, tanto che la senti infilarsi nella tua tuta spaziale.
Le terre emerse occupano solo un terzo della superficie e per di più gli abitanti del pianeta con le loro costruzioni la stanno devastando, per non parlare dei rapporti che hanno tra loro:
sembrano divisi in tribù, parlano in lingue diverse e si comportano differentemente:
alcuni godono di stima e si vantano di possedere delle pietre luccicanti; hai presente quel metallo che noi usiamo per fare i tappi, ecco quello, mentre altri non vengono nemmeno considerati.
Pensa che dopo tutto questo, ed è solo un piccolo assaggio, si credono la razza più intelligente dell’universo.

Ma dove andremo a finire?

Non sono capaci di organizzarsi, non sono ancora al nostro livello tecnologico, non fanno altro che mangiarsi il cibo l’un l’altro e per di più sono anche orribili nell’aspetto.
Quando siamo scesi ci hanno circondato con delle armi insignificanti, credendo di spaventarci, e ci osservavano come se fossimo dei marziani.
Potevo vestirmi di verde, così almeno li avrei fatti felici!
Sono veramente disgustosi:
hanno peli sul corpo per proteggersi dal clima del pianeta, a volte fa un caldo insopportabile mentre altre volte fa un freddo, forse mi sto ammalando…
Comunque dovresti vederli:
sono piccoli e gracili perché la forza di gravità è inferiore di due volte rispetto alla nostra.
Emettono degli strani suoni, un po’ stornanti e quasi mai dolci, mi sembra quasi di impazzire per quanto mi rimbombano nella testa.
Non sono per niente socievoli e si credono padroni di tutto, pensa che volevano farmi una miriadi di analisi come se fossi un giocattolo; tutti erano diffidenti con me.

E noi che eravamo venuti in pace!

Fortunatamente è una sciocchezza imparare la loro lingua:
è semplicissima ed ha una struttura razionale primitiva; un po’ come sono loro fisicamente.
Quasi quasi assomigliano ai nostri progenitori nella loro evoluzione più arretrata …
Ormai, ad esser sincero, mi sto abituando:
sai com’è tutto il mondo è paese ed io non posso rinnegare la tolleranza e la solidarietà fraterna che mi hanno insegnato i miei genitori fin da quando ero piccolino!
Tutto sommato basta abituarsi alle diversità.
Ah ! Mi stavo dimenticando di dirti che ho fatto una nuova amicizia:
si chiama Giuseppe ed un essere umano della Terra!

Brano senza Autore, tratto dal Web

Un lupo, un uomo ed un leone ingrato

Un lupo, un uomo ed un leone ingrato

Molto tempo fa, in un piccolo villaggio, viveva un leone.
Disturbava continuamente la gente del villaggio e uccideva chiunque passasse vicino alla sua capanna.
Il re del villaggio allora indisse una riunione straordinaria, dove tutti i cacciatori del villaggio decisero di andare in cerca del leone e di ucciderlo.
Costruirono anzitutto una capanna molto resistente, dove potessero rinchiudere il leone prima di ucciderlo.
I cacciatori riuscirono, con molti sforzi, a catturare il leone e lo rinchiusero nella capanna in attesa di punirlo senza pietà.

Il giorno dopo, un uomo stava passando vicino alla capanna:

il leone lo supplicò di aprire la capanna e di farlo uscire.
L’uomo all’inizio non voleva, ma poi cedette alla continua implorazione del leone e aprì la capanna.
Appena il leone usci fuori si avventò sull’uomo cercando di ucciderlo.
Questi pregò il leone di risparmiarlo, ma il leone lo voleva mangiare.
Passava di là un lupo, che viveva nelle vicinanze del villaggio, e si fermò ad ascoltare la controversia.

Chiese poi le diverse argomentazioni.

L’uomo e il leone raccontarono la loro versione dei fatti.
L’uomo raccontò al lupo che il leone nella capanna stava soffrendo:
lo aveva supplicato di aprire la capanna per poter uscire.
Così aveva fatto, ma il leone dopo essere uscito aveva cercato di ucciderlo.
Il lupo ascoltò molto attentamente il racconto dell’uomo.
Il lupo, animale molto saggio e intelligente, disse che non gli erano chiari i termini della controversia, per cui proponeva una dimostrazione.

Consigliò di tornare alla capanna per verificare sul posto l’accaduto.

Allora l’uomo tornò alla capanna, aprì la porta e il leone vi entrò; il lupo chiese di riportare la porta nella posizione originaria.
L’uomo e il leone dissero che era chiusa ermeticamente:
l’uomo allora chiuse la porta con il lucchetto, cosi ché il leone non potesse uscire.
Il lupo parlò al leone e gli disse:
“Sei un ingrato: una persona ti ha aiutato a uscire dalla capanna e tu volevi ucciderla.
Perciò tu rimarrai nella capanna e vi morirai, mentre l’uomo andrà via libero.”
L’uomo poté andarsene, mentre il leone rimase dentro la capanna rinchiuso.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La felicità a scoppio ritardato

La felicità a scoppio ritardato

C’era una volta un re che aveva una figlia, bella e virtuosa.
Il re non voleva che la sua unica figlia, buona e intelligente, finisse per sposare il primo figlio di re o principe che domandasse la sua mano.
Era giustamente preoccupato e brontolava:
“Questi giovani che sono stati educati nei palazzi, tra onori e ricchezze smisurate, sono dei bambini viziati; ricercano solo il loro piacere, e non sarebbero in grado di governare dopo la mia morte.
Quello che voglio è una persona degna di fiducia, fosse anche un contadino o un operaio.”
Ma tutti quelli che facevano la fila davanti alla sua porta per chiedere la mano della bellissima principessa o erano stupidi e vanitosi, o rozzi e scortesi, o grandi intenditori di armi e cavalli, ma ignoranti e incolti.
Il re decise di cercare per sua figlia un buon artigiano, un operaio, laborioso e previdente, che potesse prendersi cura di lei.

Iniziò perciò a girare i cantieri, alla ricerca di un uomo prestante, laborioso, simpatico e intelligente.

Davanti a ogni casa in costruzione chiamava il proprietario e il capomastro perché gli indicasse qualcuno che faceva al caso suo, un uomo che potesse diventare suo genero e che fosse degno di ereditare un giorno il suo trono.
Un giorno il re passò davanti a una casa in costruzione e vide dei giovani operai che trasportavano mattoni su un’impalcatura.
Uno di loro attrasse la sua attenzione; andò a cercare il proprietario dell’edificio e chiese informazioni su di lui.
“E’ un operaio che lavora per me senza ricevere salario.
Mangia e beve alla mia tavola, dorme in casa mia, ma non riceve denaro!” rispose il proprietario.
E continuò:
“Suo padre era un mercante importante.
Quando morì mi doveva ancora centomila denari d’oro.
Allora ho preso con me il ragazzo e gli ho insegnato il mestiere.
Lavora dall’alba al tramonto, e in tal modo paga il debito del suo defunto padre.”

Il re allora disse:

“Ti pago tutto quello che ha mangiato e bevuto e in più saldo l’intero suo debito.”
Il proprietario accettò e ricevette la somma proveniente dal tesoro del re.
Senza parlare, il re condusse il giovane muratore nel palazzo reale.
I servitori gli tolsero i suoi abiti dismessi e sporchi di calce.
Il barbiere di corte gli tagliò accuratamente barba e capelli.
I sarti gli prepararono su misura degli abiti ricamati, poi un solerte maggiordomo lo guidò nella sala da pranzo, dove fu servita una squisita cenetta.
Il giovane mangiò e bevve, ma si sentiva frastornato, per tutto quello che gli stava capitando.
I servitori del re lo condussero allora in una stanza del palazzo che era stata preparata per lui, e il giovane cadde sul letto, stanchissimo, e si addormentò.
Tutti erano allegri, meno lo sposo
Il mattino dopo, il re fece chiamare nel suo studio il giovane muratore e gli disse:
“Mi sei piaciuto.
Voglio darti mia figlia in sposa.

Se vuoi sposarla, così com’è, bene.

Altrimenti ti farò uccidere.
Nella stanza accanto ci sono le mie guardie del corpo.
Se rifiuterai, ti incateneranno e ti taglieranno la testa.”
Il povero giovane non aveva scelta.
Perdere la vita, dopo tutto, gli sarebbe dispiaciuto assai.
Perciò rispose al re:
“Accetto.”
Incominciarono i preparativi per le solenne nozze reali.
Il re invitò tutti i nobili del regno, i suoi ministri, i fedeli vassalli e i notabili della città.
La festa cominciò tre giorni dopo e venne celebrata con molto sfarzo e splendore.
Il vino scorreva come acqua.
Tutti gli invitati si divertivano ed erano allegri e felici.
Lo sposo invece era triste e preoccupato:

“Come sarà la mia sposa?

Forse è cieca e zoppa, forse muta o malata…
Perché il re mi obbliga a sposarla per forza?
C’è sicuramente una ragione!”
Il povero giovane era in preda allo sconforto e alla preoccupazione.
Con un certo batticuore attese la fine del ricevimento.
Finalmente tutti gli invitati fecero ritorno a casa e gli sposi rimasero soli.
Il giovane di rivolse alla ragazza:
“Vieni, avvicinati.”
Lei si avvicinò.
“Preparami qualcosa da mangiare.” disse lui tanto per metterla alla prova, “Ho fame.
Non sono abituato alla cucina del castello.”
Sorridendo, la figlia del re preparò una deliziosa macedonia di frutta e del latte.
Poi lui le disse:
“Scrivi una lettera alla mia vecchia madre.”
E lei si sedette e scrisse la lettera.

Lui le disse ancora:

“Raccontami una bella storia, mi piacciono le storie.”
E la figlia del re fece quello che le aveva chiesto suo marito, già conquistata dal suo fascino e dalla sua intelligenza.
Nel giro di pochissimo tempo, insomma, il giovane muratore scoprì che la moglie che gli era stata imposta era praticamente perfetta.
Era bellissima, intelligente, una brava massaia, buona e capace in tutto.
Il giovane si rallegrò moltissimo che gli fosse toccata una sorte così.
Qualche mese dopo, il genero del re invitò tutti i ministri e i notabili del regno e fece dare a palazzo reale una grande festa.
Era contento, allegro, felice.
Ballò tutta la notte, bevve del vino e mangiò frutti deliziosi.
I re e i suoi ministri gli chiesero:
“Come mai eri così triste alle tue nozze e sei invece così felice ora?”
Il genero ed erede del re rispose:
“Il re mi aveva costretto a sposare sua figlia, minacciando di mettermi a morte se non avessi accettato.
Pensai che forse sua figlia aveva un’infermità, che forse fosse cieca o zoppa…”
Ma ora che ho vissuto con lei per alcuni mesi, so che possiede ogni virtù: è bella e buona.
Ecco perché la mia gioia è grande, ho il privilegio di ave ricevuto una perla: la figlia di un grande re, una moglie buona e fedele.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’uomo che non credeva nell’amore



L’uomo che non credeva nell’amore

Voglio raccontarvi una storia molto antica su un uomo che non credeva nell’amore.
Si trattava di un uomo comune, proprio come voi e me, ma ciò che lo rendeva speciale era il suo modo di pensare:
era convinto che l’amore non esistesse.
Naturalmente l’aveva cercato a lungo, aveva osservato le persone intorno a sé, trascorrendo gran parte della vita in cerca d’amore, solo per scoprire che l’amore non esisteva.
Dovunque andasse, diceva a tutti che l’amore è soltanto un’invenzione dei poeti e delle religioni, usata per manipolare la debole mente umana, per controllare le persone.
Diceva che l’amore non è reale, e per questo è impossibile trovarlo quando lo si cerca.
Era un uomo molto intelligente e riusciva ad essere convincente.
Lesse una quantità di libri, frequentò le migliori università e diventò un rinomato studioso.
Poteva parlare ovunque, davanti a qualunque pubblico, e la sua logica era inoppugnabile.

Diceva che l’amore è come una droga:

ti fa sentire bene, ma crea una dipendenza.
E cosa succede se una persona diventa dipendente dall’amore, e poi non riceve la sua dose quotidiana?
Quell’uomo diceva che la maggior parte dei rapporti d’amore è come il rapporto che c’è tra un tossicodipendente e il suo spacciatore.
Quello dei due che ha il bisogno maggiore è il drogato, e l’altro assume il ruolo dello spacciatore.
Quest’ultimo è quello che controlla il rapporto.
E’ una dinamica facilmente osservabile, perché in ogni relazione di solito c’è uno che ama di più e un altro che si limita a ricevere, ad approfittare di chi gli ha donato il suo cuore.
E’ facile vedere come si manipolano a vicenda, tramite le loro azioni e reazioni, proprio come un drogato e uno spacciatore.
Il tossicodipendente, quello che ha il bisogno maggiore, vive con il timore costante di non ricevere la prossima dose d’amore.
Pensa:
“Cosa farò se mi lascia?”
E tale paura lo rende possessivo.

Diventa geloso ed esigente.

Lo spacciatore comunque può sempre manipolarlo, dandogli dosi maggiori o minori, oppure negandogliele del tutto.
La persona con il bisogno maggiore si arrende ed accetta di fare qualunque cosa pur di non essere abbandonata.
L’uomo della nostra storia continuava a spiegare a tutti perché l’amore non esiste.
“Ciò che gli uomini chiamano amore è solo una relazione basata sul controllo e sulla paura.
Dov’è il rispetto?
Dov’è l’amore che dichiariamo di provare?
Non esiste.”
Le giovani coppie, davanti a un simulacro di Dio, e davanti alle loro famiglie e agli amici, si scambiano una quantità di promesse:
di vivere insieme per sempre, di amarsi e rispettarsi l’un l’altro, di restare uniti nella salute e nella malattia.
Promettono di amare e onorare l’altro… promesse e ancora promesse.
La cosa stupefacente è che credono davvero in ciò che promettono.
Ma dopo il matrimonio, dopo una settimana, un mese o alcuni mesi, le promesse vengono infrante una dopo l’altra.
Scoppia una guerra di potere, di manipolazione, per stabilire chi è il drogato e chi lo spacciatore.
Pochi mesi dopo le nozze, il rispetto che avevano giurato di mantenere l’uno per l’altra è scomparso.
Resta il risentimento, il veleno, il modo in cui si fanno male a vicenda, finché ad un certo punto, senza che se ne rendano conto, l’amore finisce.
I due restano insieme perché hanno paura di restare soli, temono i giudizi degli altri e anche i propri.

Ma dov’è l’amore?

Quell’uomo sosteneva di conoscere molte coppie anziane che avevano vissuto insieme per trenta o quarant’anni, e ne erano molto fiere.
Ma quando parlavano del loro rapporto dicevano:
“Siamo sopravvissuti al matrimonio.”
Ciò significava che uno dei due a un certo punto si era arreso all’altro.
La persona con la volontà più forte aveva vinto la guerra.
Ma dov’era la fiamma che chiamavano amore?
Si trattavano come una proprietà, l’uno dell’altro.
“Lui è mio.”
“Lei è mia.”
L’uomo spiegava senza fine tutte le ragioni per cui non credeva nell’esistenza dell’amore, e diceva:
“Io ho già vissuto situazioni del genere e non permetterò più a nessuno di manipolare la mia mente, di controllare la mia vita in nome dell’amore.”
Le sue argomentazioni erano logiche e convincevano molte persone.
Poi un giorno, mentre quell’uomo camminava in un parco, vide una bella donna in lacrime seduta su una panchina.
Si incuriosì e avvicinatosi le chiese se poteva aiutarla.
Potete immaginare la sua sorpresa quando lei rispose che piangeva perché aveva scoperto che l’amore non esiste.

L’uomo disse:

“Stupefacente.
Una donna che non crede nell’esistenza dell’amore.”
Naturalmente volle subito sapere qualcosa di più.
“Perché dici che l’amore non esiste?” chiese.
“E’ una lunga storia!” rispose lei.
“Mi sono sposata molto giovane, piena di amore e di illusioni.
Credevo che avrei condiviso tutta la vita con mio marito.
Ci giurammo reciprocamente fedeltà e rispetto e creammo una famiglia.
Ma presto tutto cambiò.
Io ero la moglie devota che si occupava della casa e dei bambini.
Mio marito continuò a seguire la sua carriera.
Il suo successo e la sua immagine esteriore per lui erano più importanti della famiglia.

Smise di rispettarmi e io smisi di rispettare lui.

Ci facemmo del male a vicenda e un giorno scoprii che non lo amavo più e che neppure lui mi amava.
Ma i bambini avevano bisogno di un padre e quella fu la scusa che adottai per non lasciarlo, facendo anzi di tutto per sostenerlo.
Ora i bambini sono diventati adulti e se ne sono andati.
Non ho più scuse per restare con lui.
Tra noi non c’è rispetto né gentilezza.
So anche che se trovassi un altro sarebbe la stessa cosa, perché l’amore non esiste.
Non ha senso cercare ciò che non esiste e per questo piango.”
L’uomo la comprendeva benissimo.
L’abbracciò e disse:
“Hai ragione, l’amore non esiste.
Lo cerchiamo, apriamo il nostro cuore, ci rendiamo vulnerabili e troviamo solo egoismo.
Questo ci fa del male anche quando pensiamo di esserne usciti indenni.

Non importa quante volte ci proviamo, accade sempre la stessa cosa.

Perché allora continuare a cercare l’amore?”
Erano così simili che diventarono grandi amici.
Il loro era un rapporto meraviglioso.
Si rispettavano e nessuno dei due cercava di prevalere sull’altro.
Ogni passo che facevano assieme li rendeva felici.
Tra loro non c’era invidia né gelosia, non c’era controllo né possesso.
La relazione continuava a crescere.
Amavano stare insieme, perché si divertivano molto.
Quando erano soli ciascuno sentiva la mancanza dell’altro.
Un giorno l’uomo, mentre era fuori città, ebbe un’idea assurda.
“Forse ciò che sento per lei è amore!” pensò.

Ma è così diverso da ciò che ho provato in passato.

Non è ciò che dicono i poeti, o la religione, perché io non mi sento responsabile per lei.
Non le chiedo nulla e non ho bisogno che si occupi di me.
Non sento la necessità di incolparla dei miei problemi.
Insieme stiamo bene e ci divertiamo.
Io rispetto il suo modo di pensare e lei non mi mette mai in imbarazzo.
Non mi sento geloso quando è con altri e non invidio i suoi successi.
Forse l’amore esiste davvero, alla fine, ma non è ciò che tutti credono che sia.”
Non vedeva l’ora di tornare a casa e parlare con la donna, per raccontarle dei suoi strani pensieri.
Appena cominciarono a parlare, lei disse:
“So esattamente a cosa ti riferisci.
Forse dopotutto l’amore esiste, ma non è ciò che pensavamo che fosse.”
I due decisero di diventare amanti e di vivere insieme, e sorprendentemente le cose tra loro non cambiarono.

Continuavano a rispettarsi e a sostenersi e l’amore cresceva sempre di più.

Anche le cose più semplici li facevano gioire, perché si amavano ed erano felici.
Il cuore dell’uomo era così pieno d’amore che una notte accadde un grande miracolo.
Era intento a guardare le stelle e ne vide una bellissima.
Il suo amore era così forte che la stella scese dal cielo e finì nelle sue mani.
Quindi accadde un altro miracolo e la sua anima si fuse con la stella.
La sua felicità era intensa, e andò subito dalla donna per mettere la stella nelle sue mani.
Non appena lo fece, lei ebbe un momento di dubbio:
quell’amore era troppo forte.
Non appena quel pensiero le attraversò la mente, la stella le cadde di mano e si ruppe in un milione di pezzi.
Ora c’è un vecchio che gira per il mondo giurando che l’amore non esiste.
E in una casa c’è una donna anziana che aspetta un uomo, versando lacrime amare per il paradiso che aveva tenuto tra le mani, perdendolo in un momento di dubbio.
Questa è la storia dell’uomo che non credeva nell’amore.

Di chi fu l’errore?

Cosa non funzionò?
Fu l’uomo a sbagliare, pensando di poter dare alla donna la sua felicità.
La sua felicità era la stella e l’errore fu quello di mettere la stella nelle mani della donna.
La felicità non viene mai dal di fuori.
L’uomo era felice per tutto l’amore che proveniva da se stesso.
La donna era felice per tutto l’amore che proveniva da lei.
Ma appena lui la rese responsabile della propria felicità, lei ruppe la stella, perché non poteva farsi carico della felicità di un altro essere.
Indipendentemente da quanto lo amasse, non avrebbe potuto renderlo felice, perché non poteva sapere ciò che lui aveva in mente, non poteva conoscere le sue aspettative, i suoi sogni.
Se prendete la vostra felicità e la mettete nelle mani di un’altra persona, prima o poi quella persona la distruggerà.

Se la felicità invece vive dentro di voi, siete voi ad esserne responsabili.

Non possiamo rendere nessuno responsabile della nostra felicità, ma quando andiamo in chiesa e ci sposiamo, la prima cosa che facciamo è quella di scambiarci gli anelli.
Mettiamo la nostra stella nelle mani dell’altro, sperando che ci renda felici e che noi renderemo felici lui, o lei.
Ma indipendentemente da quanto amate un’altra persona, non sarete mai ciò che quella persona vuole che siate.
Questo è l’errore che quasi tutti facciamo fin dall’inizio.
Basiamo la nostra felicità sul partner.
Trovate la vostra stella e tenetela nel cuore…
sarà la sua luce a trasmettere l’amore… perché…
L’amore esiste.

Brano tratto dal libro “La Padronanza dell’amore.” di Don Miguel Ruiz

L’importanza del Tenore di Vita


L’importanza del Tenore di Vita

Un ragazzo di umili origini era follemente innamorato della figlia di un uomo molto ricco e altolocato.
Un giorno il ragazzo fece una proposta di matrimonio alla ragazza che seccamente rispose: “Stai scherzando?
Il tuo stipendio mensile equivale a quello che spendo in un giorno!
Come posso minimamente pensare di essere tua moglie?
Non potrò mai innamorarmi di una persona come te.

Dimenticami e trova una persona del tuo stesso livello.”

Per il povero ragazzo fu un colpo tremendo.
Passarono gli anni, ma quella ferita rimase sempre aperta e lui non dimenticò mai quelle parole.
Circa dieci anni dopo i due si rincontrano casualmente in un centro commerciale.
Quando lei lo vide, subito disse:
“Hey, quanto tempo!
Come stai?
Ora sono felicemente sposata.
Mio marito è un uomo molto intelligente e un esperto uomo d’affari.
Sai quanto prende?

15.000 euro al mese.”

Nel sentire quelle parole, gli occhi dell’uomo diventarono lucidi e qualche lacrima scese sul suo viso.
Nonostante i dieci anni, ancora non aveva del tutto superato quel rifiuto.
Pochi secondi dopo il marito di lei fece ritorno dalla toilette e, prima che la moglie potesse dire una parola, nel vedere l’uomo esclamò:
“Capo, anche tu qui!
Che piacere incontrarti!
Vedo che hai conosciuto mia moglie.”
Poi si girò verso la moglie e disse:

“Lui è il mio capo.

Il progetto da 100 milioni di euro al quale sto lavorando da tanto è suo.
Nonostante le sue doti e il suo talento ha deciso di rimanere single.
Lui tempo fa ha amato follemente una ragazza, ma non è mai riuscito a conquistare il suo cuore perché non rientrava nei suoi “standard economici!”
Pensa che beffa!
Ora lui è uno degli uomini più ricchi della città!”
La donna, in totale stato di shock, non pronunciò neanche una parola.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La Rosa Bianca


La Rosa Bianca

C’era una volta un ragazzo.
Non era un bellissimo principe azzurro sul cavallo bianco, né un perfetto gentiluomo in carriera.
Era un semplice e banalissimo ragazzo, come quelli che potreste vedere all’uscita di una scuola.
Certo, era molto bello e intelligente, ma non era felice perché sentiva che gli mancava qualcosa.
Gli mancava qualcuno da amare.
Ogni notte, si ritrovava triste a osservare il cielo e piangeva, perché si sentiva solo.
Più le lacrime scorrevano sul suo viso, più si rendeva conto che nessuno gliele avrebbe mai asciugate.
Così era sempre più infelice e il cuore gli faceva tanto, tanto male.

Un giorno, uscendo da scuola, decise di cambiare strada per tornare a casa.

Voleva solo distrarsi, per non pensare a quanto fosse solo, quando si ritrovò di fronte a un’enorme cancellata.
Era stata costruita in modo tale da sembrare una grande siepe di ferro.
Purtroppo, il tempo aveva fatto arrugginire la vernice verde brillante, adesso presente solo in pochi punti.
“Strano,” pensò “non ricordavo ci fosse un qualcosa del genere, da queste parti!”
“Perché non c’è mai stato!” rispose una vocetta gracchiante alle sue spalle.
Spaventato, il ragazzo si voltò.
Un vecchietto tutto ricurvo gli sorrideva gentilmente.
Aveva entrambe le mani appoggiate a un bastone di legno.

La giacca e i pantaloni color castagna erano vecchi e bucati, mentre le scarpe erano sporche di terra.

Era quasi totalmente calvo, tranne ai lati della testa dove resistevano due ciuffi di capelli bianchi.
Sulla punta del naso, spiccavano un paio di occhialetti tondi.
Al di là delle lenti, due furbi occhietti nocciola parevano brillare di contentezza.
“Che significa che non c’è mai stato?
Non è possibile, il cancello è tutto rovinato!” balbettò il ragazzo ripresosi dallo spavento.
“Ma, ma come avete fatto?
Io l’avevo solo pensato!”
Il vecchietto trattenne una risatina.
“Io so tutto, ragazzo mio. So tutto!” esclamò l’anziano agitando il bastone sotto il naso del giovane. “Che ne diresti di entrare a dare un’occhiatina?” proseguì facendogli l’occhiolino.

“Ma il cancello è chiuso, e poi i proprietari…”

“Si dia il caso che io sia il custode di questo meraviglioso posto!” lo interruppe, vantandosi “Allora che ne dici?
Vuoi entrare?” lo tentò.
“Ma perché io?
Perché lo chiedete proprio a me?” chiese il ragazzo allargando le braccia.
“Perché tu sei in cerca di qualcosa, ragazzo mio.
E qui la puoi trovare…” rispose serio il vecchio.
Lo sguardo del giovane si fece dubbioso.
“Come posso trovare, qui, ciò che mi manca? Non è possibile!”
“Invece ti sbagli!
Qui, tutto è possibile.” lo corresse “Allora, vuoi entrare sì o no?”
Il ragazzo annuì.

“Ah-ha! Lo sapevo!” esultò il vecchietto facendo un saltello.

Detto questo, conficcò il suo bastone di legno nella serratura del cancello.
“Com’era? Due giri a destra, uno a sinistra e altri tre a destra…” mormorò, mentre era intento a girare la chiave nella toppa.
Con un cigolio spettrale, il cancello si aprì.
“Ah-ha! Ci siamo!” esclamò il custode.
Davanti a loro c’era un bellissimo giardino.
Era talmente grande che non si poteva vedere la fine.
Anzi, sembrava che non ce l’avesse affatto, una fine.
C’erano solo tanti fiori di ogni genere, tutti colorati e profumati.
Poi, alberi di tutte le dimensioni, dalle imponenti querce ai più piccoli bonsai.

E ancora, panchine e fontane in pietra finemente lavorata.

Si poteva addirittura udire l’allegro cinguettio degli uccellini.
Un paradiso.
A quella vista, il giovane rimase senza parole.
Era tutto così bello che pareva un sogno.
“Benvenuto ragazzo mio.
Benvenuto nel Giardino delle Meraviglie!” disse il vecchio.
“Cosa?
Ma non è possibile!
Il Giardino delle Meraviglie non esiste!” esclamò incredulo il ragazzo.
“Eppure ce l’hai davanti agli occhi…” esclamò il vecchio.

Quante volte la mamma gli aveva raccontato di questo fantastico giardino?

Tante, così tante volte che era diventata la sua favola preferita quando andava a dormire.
Il Giardino delle Meraviglie era un luogo fantastico, pochi erano i fortunati che potevano entrarvi, poiché si mostrava solo a chi poteva amare con tutto il cuore.
“E, purtroppo, in questo mondo, non sono più in tanti a farlo.
La maggior parte delle persone ha dimenticato sentimenti puri e nobili come l’amore e l’amicizia…” disse triste il custode “Ma non tu, ragazzo mio, non tu.
Hai il cuore limpido e cristallino.
Un cuore puro.
Avanti, non avere paura, entra!” continuò il vecchio, dandogli una pacca sulla schiena.

Imbambolato, il ragazzo traballò e, per un soffio, non cadde con la faccia sull’erba.

“Qui ci sono fiori per tutti e sono più che sicuro che troverai quello che cerchi…” continuò il custode allargando le braccia.
Poi, facendosi serio in viso, gli si avvicinò.
“Ma ricorda!
Potrai prenderne solo uno!” sottolineò puntandogli contro il nodoso indice “Quindi scegli bene, perché sarà tuo per la vita.”
Detto questo, si alzò una folata di vento così forte, che il ragazzo chiuse gli occhi.
Quando li riaprì, del vecchio custode non c’era più traccia.
“Va bene, solo uno.
Sceglierò bene!” ripeté tra sé e sé.
Seguendo il viottolo in ciottolato, iniziò a guardarsi intorno.
Che fiore avrebbe scelto?
Una simpatica margherita bianca?

O un elegante giglio?

Oppure un allegro girasole?
C’era davvero l’imbarazzo della scelta.
Ma più li osservava, più si rendeva conto che non c’era nessun fiore che lo attirasse sul serio.
Non c’era nessun fiore che desiderasse davvero.
Non c’era nessun fiore che fosse speciale, almeno per lui.
Stanco e sconsolato, si sedette su una panchina.
Le mani gli sorreggevano la testa e gli occhi iniziarono a velarsi di lacrime.
“Il vecchio custode mi ha detto una bugia.
Non esiste un fiore solo per me!” si lamentò.
Facendosi forza, si rialzò e stava per imboccare il cancello quando la vide.

Era lì, in un angolo, vicino ad un muretto caduto in rovina.

Le ragnatele la stavano avvolgendo, eppure era bellissima, così candida e pura come la neve.
Era perfetta.
Una rosa bianca.
“Ecco, è lei ciò che cerco!” disse a bocca aperta.
Era lei il fiore che voleva, non aveva dubbi, e ora che l’aveva trovata, non l’avrebbe lasciata mai più.
“Ottima scelta!” esclamò il custode comparendogli nuovamente alle spalle “Guardandoti negli occhi, posso dire con certezza che nei sei proprio sicuro.
Prendila!
Su, forza, prendila.
E’ tua!” gli suggerì consegnandogli un paio di forbici d’argento.
“Ma se la taglio, morirà…” mormorò il giovane.
“Oh, no… quello succede con i fiori normali.
E credo che tu sappia che questi non sono fiori normali!

Non temere, quindi, non morirà.

Ella si nutrirà del tuo amore.
Finché tu avrai amore nel cuore, non potrà morire!” lo rincuorò il vecchio. “Ora su, coraggio, prendila!”.
Il ragazzo annuì e, prese le forbici, tagliò la rosa.
Un bagliore accecante l’avvolse e fu costretto a chiudere gli occhi.
Quando li riaprì, la rosa bianca non c’era più.
Al suo posto, c’era una bellissima ragazza dalla pelle chiara e dai vestiti candidi.
Stupito, il ragazzo non fece in tempo a riprendersi che la sua rosa lo aveva già avvolto in un caldo abbraccio.
Si guardarono negli occhi e sorrisero felici, perché capivano perfettamente i pensieri dell’altro.

E le loro labbra si unirono in un dolcissimo bacio.

“Mi raccomando ragazzo mio, prenditene cura…” disse commosso il custode.
“Sì, lo farò.
Per me, esiste solo lei!” rispose deciso il ragazzo, senza distogliere lo sguardo dalla sua amata.
Mano nella mano, i due varcarono il cancello e non si resero conto che il Giardino delle Meraviglie era scomparso.
Al suo posto, era ritornato il vecchio parco cittadino.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Saper insegnare: L’incredibile storia di Teddy Stoddard



Saper insegnare: L’incredibile storia di Teddy Stoddard

Mentre se ne stava davanti alla sua classe di quinta elementare, il primo giorno di scuola, la maestra disse ai bambini una falsità.
Come la maggior parte degli insegnanti, guardò i suoi studenti e disse che lei li amava tutti allo stesso modo.
Tuttavia, ciò era impossibile perché lì in prima fila, accasciato sulla sedia, c’era un ragazzino di nome Teddy Stoddard.
La signora Thompson aveva osservato Teddy l’anno precedente e aveva notato che non giocava serenamente con gli altri bambini…
I suoi vestiti erano disordinati e spesso avrebbe avuto bisogno di farsi un bagno.

Inoltre, Teddy era scontroso e solitario.

Arrivò il momento in cui la signora Thompson avrebbe dovuto evidenziare in negativo il rendimento scolastico di Teddy; prima però volle consultare i risultati che ogni bambino aveva raggiunto negli anni precedenti; per ultima, esaminò la situazione di Teddy.
Tuttavia, quando vide il suo fascicolo, rimase sorpresa:
in prima elementare il maestro di Teddy aveva scritto:
“Teddy è un bambino brillante con una risata pronta.
Fa il suo lavoro in modo ordinato e ha buone maniere…”

Il suo insegnante, in seconda elementare, aveva scritto:

“Teddy è uno studente eccellente, ben voluto dai suoi compagni di classe, ma è tormentato perché sua madre ha una malattia terminale e la vita in casa deve essere una lotta.”
Il suo insegnante di terza elementare aveva scritto:
“La morte di sua madre è stata dura per lui e tenta di fare del suo meglio, ma suo padre non mostra molto interesse e, se non verranno presi i giusti provvedimenti, il suo contesto famigliare presto lo influenzerà.”
Infine l’insegnante del quarto anno aveva scritto:
“Teddy si è rinchiuso in se stesso e non mostra più interesse per la scuola.

Non ha amici e qualche volta dorme in classe.”

A questo punto, la signora Thompson si rese conto del problema e si vergognò di se stessa.
Si sentì anche peggio quando i suoi studenti le portarono i regali di Natale, avvolti in bellissimi nastri e carta brillante, fatta eccezione per Teddy.
Il suo dono era stato maldestramente avvolto nella pesante carta marrone di un sacchetto di generi alimentari.
La signora Thompson però aprì il regalo prima degli altri.
Alcuni bambini cominciarono a ridere quando videro un braccialetto di strass con alcune pietre mancanti e una bottiglietta di profumo piena per un quarto, ma lei soffocò le risate dei bambini esclamando quanto fosse grazioso il braccialetto e mettendo un po’ di profumo sul polso.
Quel giorno Teddy Stoddard rimase dopo la scuola, giusto il tempo di dire:

“Signora Thompson, oggi profumava come la mia mamma quando usava proprio quel profumo.”

Dopo che i bambini se ne furono andati, la signora Thompson pianse per almeno un’ora; da quel giorno si dedicò veramente ai bambini e non solo per insegnare loro le sue materie.
Prestò particolare attenzione a Teddy e, con la sua vicinanza, la mente del piccolo iniziò a rianimarsi.
Più lei lo incoraggiava, più velocemente Teddy rispondeva.
Alla fine dell’anno, Teddy era diventato uno dei bambini più intelligenti della classe e, nonostante la sua bugia che avrebbe amato tutti i bambini in ugual modo, la maestra si accorse che Teddy divenne uno dei suoi “preferiti.”
Un anno dopo la fine della scuola, la signora Thompson trovò un biglietto sotto la porta: era da parte di Teddy; la lettera diceva che era stata la migliore insegnante che avesse mai avuto in vita sua.

Passarono sei anni prima che ricevesse un altro messaggio da Teddy.

Terminato il liceo, terzo nella sua classe, riferiva che la signora Thompson era ancora la migliore insegnante che avesse mai avuto in vita sua.
Quattro anni dopo, ricevette un’altra lettera, dicendo che quando le cose erano difficili, a volte, era rimasto a scuola, si era impegnato al massimo e ora si sarebbe presto laureato al college con il massimo degli onori.
Confermava che la signora Thompson era sempre la migliore insegnante che avesse mai conosciuto in tutta la sua vita, la sua preferita.
Poi passarono altri quattro anni e arrivò ancora un’altra lettera.
Questa volta spiegava che dopo aver ottenuto la laurea, aveva deciso di andare avanti.
La lettera spiegava che lei era ancora la migliore e preferita insegnante che avesse mai avuto, ma ora la sua firma era un po’ più lunga.

La lettera riportava, in bella grafia, Dr. Theodore F. Stoddard.

Ma la storia non finisce qui.
Arrivò ancora un’altra lettera quella primavera.
Teddy scrisse che aveva incontrato una ragazza e stava per sposarsi.
Spiegò che suo padre era morto un paio di anni prima e chiese alla signora Thompson di accompagnarlo al matrimonio facendo le veci della madre dello sposo.
Naturalmente, la signora Thompson accettò.
E indovinate un po’ che fece?
Indossò proprio quel braccialetto, quello con gli strass mancanti, quello che Teddy le aveva regalato; fece anche in modo di mettere il profumo che la madre di Teddy indossava l’ultimo Natale che passarono insieme.

Si abbracciarono e il Dr. Stoddard sussurrò all’orecchio della signora Thompson:

“Grazie signora Thompson per aver creduto in me.
Grazie mille per avermi fatto sentire importante e per avermi mostrato che avrei potuto fare la differenza.”
La signora Thompson, con le lacrime agli occhi, sussurrò:
“Teddy, ti stai sbagliando.
Sei tu quello che mi ha insegnato che potevo fare la differenza: non sapevo come insegnare fino a quando ti ho incontrato.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Sei enormemente magnifica!


Sei enormemente magnifica!

Così scrive una adolescente nel suo diario personale.

Il mio papà dice che sono enormemente magnifica.
Io mi chiedo se lo sono davvero.

Per essere enormemente magnifica…
Sara dice che bisogna avere bellissimi, lunghi capelli ricci come i suoi.
Io non li ho.

Per essere enormemente magnifica…
Gianni dice che bisogna avere denti bianchi e perfettamente dritti come i suoi.
Io non li ho.

Per essere enormemente magnifica…
Jessica dice che non devi avere quelle piccole macchie marroni sulla faccia che si chiamano lentiggini.
Io le ho.

Per essere enormemente magnifica…
Marco dice che bisogna essere la più intelligente della classe.
Io non lo sono.

Per essere enormemente magnifica…
Stefano dice che bisogna saper dire le battute più buffe della scuola.
Io non lo so fare.

Per essere enormemente magnifica…
Laura dice che bisogna vivere nel quartiere più carino della città e nella casa più graziosa.
Io non lo faccio.

Per essere enormemente magnifica…
Mattia dice che bisogna indossare solo i vestiti più carini e le scarpe più alla moda.
Io non li indosso.

Per essere enormemente magnifica…
Samantha dice che bisogna provenire da una famiglia perfetta.
Non è il mio caso.

Ma ogni sera, quand’è ora di dormire, papà mi abbraccia forte e dice:
“Tu sei enormemente magnifica ed io ti voglio bene!”
Papà deve sapere qualcosa che i miei amici non sanno…

Brano senza Autore