La lampada del minatore

La lampada del minatore

Un uomo scendeva ogni giorno nelle viscere della terra a scavare sale.
Portava con sé il piccone ed una lampada.
Una sera, mentre tornava verso la superficie, in una galleria tortuosa e scomoda, la lampada gli cadde di mano e si infranse sul suolo.

Inizialmente il minatore ne fu quasi contento:

“Finalmente!
Non ne potevo più di questa lampada.
Dovevo portarla sempre con me, fare attenzione a dove metterla, pensare a lei anche durante il lavoro.
Adesso ho un ingombro di meno.
Mi sento molto più libero!
E poi… faccio questa strada da anni, non posso certo perdermi!”
Ma la strada ben presto lo tradì.

Al buio era tutta un’altra cosa.

Fece alcuni passi, ma urtò contro una parete.
Si meravigliò:
non era quella la galleria giusta?
Come aveva fatto a sbagliarsi così presto?
Tentò di tornare indietro, ma finì sulla riva del laghetto che raccoglieva le acque di scolo.
“Non è molto profondo,” pensò, “ma se ci finisco dentro, così al buio, annegherò di certo!”
Si gettò a terra e cominciò a camminare carponi.

Si ferì le mani e le ginocchia.

Gli vennero le lacrime agli occhi quando si accorse che in realtà era riuscito a fare solo pochi metri ritrovandosi sempre al punto di partenza.
E gli venne un’infinita nostalgia della sua lampada.
Attese umiliato che qualcuno scendesse per andare a cercarlo e lo portasse su facendogli strada con qualche mozzicone di candela.

Brano senza Autore

L’ago perduto

L’ago perduto

In Veneto, fino alla fine degli anni 60, era usanza comune fare una veglia serale, chiamata filò.
Il filò era un vero e proprio rito comunitario, ed il nome, probabilmente, era derivato dal filare la lana o dal tenere il filo del discorso.
Una sera d’estate, la stalla in cui si svolgeva questo evento era particolarmente affollata.

Le ragazze erano affaccendate a ricamare corredi mentre le signore più anziane erano intente a rammendare capi di vestiario.

Gli uomini, invece, mentre confabulavano tra loro del più e del meno, riparavano piccoli attrezzi.
Durante la serata, una giovane di nome Teresa, notando l’arrivo del fidanzatino, si distrasse e non ritrovò più l’ago da ricamo, scatenando il panico tra i partecipanti.
Perdere l’ago, secondo la credenza popolare, portava sfortuna e perderlo in una stalla portava ancora più sfortuna, poiché una mucca avrebbe potuto ingoiarlo provocandone, con la perforazione, una peritonite con esito fatale.

Fu accesa un’altra lampada a petrolio e tutti iniziarono a cercare il benedetto ago.

Il vecchio padrone di casa si mise a imprecare contro Teresa come se fosse cascato il mondo, facendola vergognare.
In questo clima surreale, le donne presenti decisero di creare ancor più tensione, iniziando a recitare i sequeri (forma di preghiera popolare cristiana, che la tradizione consiglia per recuperare le cose perdute) in latino.
Giulia, la mia meravigliosa nonna, vista la situazione, interpretò i sequeri a modo suo e, facendo finta di raccoglierlo per terra, mostrò il suo ago ai presenti esclamando:

“Ecco l’ago perso!”

Questo fu sufficiente per far tornare l’armonia in quell’assemblea e, le ombre da molto mosse si chetarono, per far sì che nell’angolo più buio della stalla, i fidanzatini potessero darsi un bacio rubato.
Solo qualche istante dopo Teresa si accorse che il suo l’ago lo aveva avuto, da sempre, appuntato al petto.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Gli innamorati e l’opale

Gli innamorati e l’opale

C’era una volta una coppia di giovani fidanzati che si fermò ad ammirare le pietre preziose esposte nella vetrina di una gioielleria.
Entrati nel negozio venero incantati da diamanti, zaffiri e smeraldi che il gioielliere mostrò loro.
La coppia stava cercando una pietra che rappresentasse simbolicamente il loro amore.
Il loro sguardo cadde su una pietra modesta, scura e senza splendore.
Il gioielliere lesse la domanda nei loro occhi e spiegò:

“Questo è un opale:

è fatto di silice, polvere e sabbia del deserto, e deve la sua bellezza ad un difetto invece che alla sua perfezione.
L’opale è una pietra con il cuore spezzato, poiché è pieno di minuscole fessure che permettono all’aria di penetrare all’interno.

L’aria, poi, rifrange la luce,

e il risultato è che l’opale possiede delle sfumature così incantevoli da essere chiamato “lampada di fuoco,” perché ha dentro il soffio di Dio.”
Poi il gioielliere prese la pietra e la strinse forte avvolgendola con tutta la sua mano, continuando a parlare ai due giovani innamorati:
“Un opale perde la sua lucentezza se viene messo in un posto freddo e buio, ma torna ad essere luminoso quando è scaldato dal tepore di una mano oppure è illuminato dalla luce.”

L’uomo aprì la mano.

La pietra era un palpito di luce tenera, morbida, carezzevole.
Alla fine i due giovani innamorati acquistano proprio l’opale come simbolo del loro amore.

Brano senza Autore.

L’importanza del silenzio

L’importanza del silenzio

Gli allievi della scuola di Tendai solevano studiare meditazione anche prima che lo Zen entrasse in Giappone.
Quattro di loro, che erano amici intimi, si ripromisero di osservare sette giorni di silenzio.

Il primo giorno rimasero zitti tutti e quattro.

La loro meditazione era cominciata sotto buoni auspici; ma quando scese la notte e le lampade a olio cominciarono a farsi fioche, uno degli allievi non riuscì a tenersi e ordinò a un servo:
“Regola quella lampada!”
Il secondo allievo si stupì nel sentire parlare il primo:

“Non dovremmo dire neanche una parola!” osservò.

“Siete due stupidi.
Perché avete parlato?” disse il terzo.
“Io sono l’unico che non ha parlato!” concluse il quarto.

Storia Zen
Brano senza Autore, tratto dal Web

Accendi la lampada

Accendi la lampada

Un tale aveva un alloggio al pian terreno che dava su un vicolo stretto e buio.
Annottava quando, per un guasto al suo impianto elettrico, rimase avvolto dalle tenebre.
Allora cominciò ad annaspare incespicando.

Fu preso dal panico e gridava:

“Aiuto! Aiuto!”
Proprio in quel momento passava di lì un amico.
Sentì e s’affacciò alla finestrella di quel monolocale.
Aveva acceso, intanto, il suo “accendino.”
Rendendosi conto dell’accaduto, disse:

“Ti faccio luce io.

Mi ricordo che hai un’antica lampada a petrolio lì in mezzo, sul camino.
Sta’ calmo, va al centro della tua casa.”
All’uomo non sembrò vero di potersi muovere pur con quella fioca luce, e subito trovò la lampada.
L’amico gli prestò l’accendino allungando il braccio dalla finestra.
La fiamma divampò sullo stoppino e ci fu una calda luce in tutto il monolocale…

Non importa da dove ti viene l’accendino.

Forse da un libro, da un amico, da altro.
Ricorda però che la lampada puoi accenderla solo tu, se vai con calma al centro del tuo cuore.
La luce che conta è Dio-Amore, Dio-luce che abita il tuo cuore profondo.
Credilo e vivrai.

Brano di Suor Maria Pia Giudici.
Casa di preghiera San Biagio. Subiaco.

Una lettera d’amore – La porta

La porta

C’è un quadro famoso che rappresenta Gesù in un giardino buio.
Con la mano sinistra alza una lampada che illumina la scena, con la destra bussa ad una porta pesante e robusta.
Quando il quadro fu presentato per la prima volta ad una mostra, un visitatore fece notare al pittore un particolare curioso:

“Nel suo quadro c’è un errore.

La porta è senza maniglia!”
“Non è un errore!” rispose il pittore, “Quella è la porta del cuore umano.
Si apre solo dall’interno.”

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero
Una lettera d’amore

Per il suo compleanno, una principessa ricevette dal fidanzato un pesante pacchetto dall’insolita forma tondeggiante.
Impaziente per la curiosità, lo apri e trovò… una palla di cannone.
Delusa e furiosa, scagliò a terra il nero proiettile di bronzo.
Cadendo, l’involucro esteriore della palla si aprì apparve una palla più piccola d’argento.

La principessa la raccolse subito.

Rigirandola fra le mani, fece una leggera pressione sulla sua superficie.
La sfera d’argento si aprì a sua volta e apparve un astuccio d’oro.
Questa volta la principessa aprì l’astuccio con estrema facilità.
All’interno, su una morbida coltre di velluto nero, spiccava un magnifico anello, tempestato di splendidi brillanti che facevano corona a due semplici parole:
“Ti amo.”

Brano tratto dal libro “Quaranta (40) storie nel deserto.” di Bruno Ferrero

Il genio e le richieste impossibili

Il genio e le richieste impossibili

Un uomo passeggiando in un bosco alla ricerca di funghi, si imbatté nella più perfetta ed antica lampada ad olio; iniziò subito a strofinarla e apparve il Genio.
L’uomo chiese:
“Posso avere i miei tre desideri?”
Il genio rispose:
“No! A causa dei cattivi tempi, della recessione, della globalizzazione, dell’inflazione, degli scioperi e di tutti gli altri problemi mondiali, oggi come oggi posso offrirti un solo desiderio da esaudire.”

L’uomo prese allora una cartina geografica e disse:

“In tal caso, vorrei la pace in Medio Oriente.
Vedi la cartina?
Vorrei che questi Paesi smettessero di farsi la guerra!”
Il Genio guardò la cartina e replicò:
“Ma accidenti, questi paesi sono in guerra da tempi lontanissimi!

Non credo di poterci fare niente, sono potente ma non così tanto!

Non pensarci neppure.
Neanche se chiedessi l’aiuto del mio Maestro potrei riuscire a realizzare questo desiderio.
Lascia perdere!
Dai, chiedimi qualcos’altro.”
L’uomo pensò per qualche altro minuto e disse:

“Non sono mai riuscito a trovare la donna giusta:

una donna sensibile, dolce e affettuosa, capace di rispettare il suo uomo, che sappia cucinare e farsi carico dei lavori domestici senza lamentarsi continuamente, che sia una brava amante e che non abbia mai il mal di testa, che non passi tutto il tempo a fare spese o a guardare la moda in tv, che non sia sempre nervosa, che mi tratti con amore e che non mi tradisca.”
E il genio sospirando:
“… dai qua, fammi rivedere un po’ la cartina…”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il falenino e la stella (Osare)


Il falenino e la stella (Osare)

Una piccola falena d’animo delicato s’invaghì una volta di una stella.
Ne parlò alla madre e questa gli consigliò d’invaghirsi invece di un abat-jour.
“Le stelle non son fatte per svolazzarci dietro.” gli spiegò, “Le lampade, a quelle sì puoi svolazzare dietro!”
“Almeno lì approdi a qualcosa.” disse il padre, “Andando dietro alle stelle non approdi a niente!”

Ma il falenino non diede ascolto né all’uno né all’altra.

Ogni sera, al tramonto, quando la stella spuntava s’avviava in volo verso di essa e ogni mattina, all’alba, se ne tornava a casa stremato dall’immane e vana fatica.
Un giorno il padre lo chiamò e gli disse:
“Non ti bruci un’ala da mesi, ragazzo mio, e ho paura che non te la brucerai mai.
Tutti i tuoi fratelli si sono bruciacchiati ben bene volteggiando intorno ai lampioni di strada, e tutte le tue sorelle si sono scottate a dovere intorno alle lampade di casa.
Su avanti, datti da fare, vai a prenderti una bella scottatura!

Un falenotto forte e robusto come te senza neppure un segno addosso!”

Il falenino lasciò la casa paterna ma non andò a volteggiare intorno ai lampioni di strada né intorno alle lampade di casa:
continuò ostinatamente i suoi tentativi di raggiungere la stella, che era lontana migliaia di anni luce.
Lui credeva invece che fosse impigliata tra i rami più alti di un olmo.
Provare e riprovare, puntando alla stella, notte dopo notte, gli dava un certo piacere, tanto che visse fino a tardissima età.
I genitori, i fratelli e le sorelle erano invece morti tutti bruciati ancora giovanissimi!

Brano tratto dal libro “40 storie nel deserto.” di Bruno Ferrero