Il “gioco” degli sguardi

Il gioco degli sguardi

Alla cortese attenzione della rivista “Raccontaci la tua estate”:

Nei primi giorni di ottobre del 1987, alla soglia dei trent’anni, fui nominato dal provveditore agli studi di Macerata per un incarico annuale fino al 30 giugno, come professore di lettere in un istituto alberghiero.
Nato e cresciuto a Nuoro, dopo la laurea ed il dottorato presso l’università di Cagliari, lasciavo la mia bella Sardegna per la terraferma.
Accettai al volo poiché, dopo aver terminato il dottorato, avevo ricoperto solo qualche breve supplenza in una scuola media di Cagliari.
Quello fu il mio primo incarico annuale e, in quel caso, mi vennero affidate due prime e due seconde, per un totale di 18 ore settimanali.
Fu una esperienza entusiasmante e formativa, nonostante la poca voglia di impegnarsi dei miei studenti.
Andai a vivere da miei zii (ecco il perché della scelta della città di Macerata), che avevano due figli.

Zio Lele era un postino e Zia Mariella una professoressa di biologia alle scuole medie.

Mio cugino Alfonso, che aveva la mia età, lavorava in una piccola industria tessile come contabile, mentre mia cugina Nunzia, di 23 anni, stava studiando Matematica all’Università di Perugia e che, conseguentemente, vedevo una o due volte al mese.
I miei cugini avevano trascorso quasi tutte le estati, fin da quando eravamo piccoli, da noi a Nuoro, in particolar modo fino ai miei primi anni universitari.
Durante quelle estati, con Alfonso eravamo, praticamente, inseparabili.
Terminata la scuola, insieme alla zia arrivavano lui e Nunzia, che essendo più piccola di noi di sette anni, non veniva minimamente considerata.
Questa abitudine di non considerare Nunzia, non mutò neanche con il trascorrere del tempo.
Mille avventurose scorribande estive, dai primi anni del 1960 alla fine del 1970.
La nostra estate iniziava i primi di giugno e terminava qualche giorno prima dell’inizio della scuola a settembre.
Ad agosto arrivava anche lo zio e, tra i nonni, i miei genitori ed i miei fratelli, entrambi più grandi di me, era sempre una grande festa.

In quel momento, per la prima volta, mi ritrovai a vivere con i miei zii e mio cugino.

Alfonso mi fece integrare alla grande, guidandomi per le strade di Macerata e coinvolgendomi nella sua comitiva.
Alla fine dell’anno scolastico, dopo aver aspettato che mia cugina avesse terminato gli esami di quella sessione, con lei e mia zia, ci recammo a Nuoro.
Non dovendo presenziare agli esami dei miei studenti, la mia prima esperienza come professore terminò, per questa ragione, i primi di giugno del 1988.
Arrivammo in Sardegna due giorni prima della sconfitta dell’Italia contro l’URSS agli europei di quell’anno, poi vinti dall’Olanda, guidata dal trio milanista Gullit, Van Basten e Rijkaard (che sarebbe arrivato in Italia solo alla fine del campionato europeo).
Ripresi ad uscire abitualmente con i miei pochi amici rimasti a vivere a Nuoro, però senza Alfonso.
Ma, ogni giorno che passava, vedevo Nunzia sempre più annoiata.
Le chiesi se volesse uscire con me e, pur di non stare a casa con sua mamma, i miei genitori e la nonna, accettò la proposta al volo.
Nei suoi modi di fare ritrovai tanti atteggiamenti di Alfonso e, praticamente, fino all’arrivo di quest’ultimo, trascorremmo l’intero mese di luglio insieme.
Eravamo così affiatati che anche io rimasi sorpreso.
Sostanzialmente mia cugina era una macchietta.
La situazione non cambiò neanche quando arrivò, i primi di agosto, Alfonso.
Nunzia continuò ad uscire con noi, nonostante il fratello non fosse particolarmente entusiasta della cosa.

Le serate di luglio, prima che arrivasse Alfonso, avevano il seguente copione:

aperitivo pre-cena al bar della signora Amelia, post-cena ancora nello stesso posto e poi in giro per Nuoro fino alle 2 – 3 di notte.
Tanti compaesani, non riconoscendo mia cugina, che con gli anni era diventata una ragazza carina, ci scambiavano per una coppia.
Ma questo non ci stupiva più di tanto e continuavamo con la nostra routine.
Alcuni momenti al bar mi facevano sorridere:
a volte, incrociavo lo sguardo timido e pungente di Emma, una coetanea di mia cugina, che aveva gli occhi azzurri ed i capelli biondi.
Emma era la cameriera, nonché la figlia minore di Amelia, rientrata per l’estate dall’università per aiutare la mamma e la sorella maggiore Manuela, di un paio di anni più grande della stessa Emma, a gestire il bar.
Avevo visto crescere Emma, essendo quel bar il nostro locale di riferimento e, anche lei crescendo, come mia cugina, era diventata graziosa.
L’unico problema era che le tre (Nunzia, Emma e Manuela), un tempo appartenenti alla stessa compagnia estiva, anni prima avevano litigato e, nonostante il tempo trascorso, mia cugina ancora non parlava le due sorelle.
Anzi, ogni volta che mia cugina notava qualche sguardo tra me ed Emma o si arrabbiava o mi faceva battutine.
La situazione non cambiò in seguito all’arrivo di Alfonso ma, a parte qualche altro sguardo, l’estate trascorse in un lampo senza che accadesse di niente di rilevante.
I miei cugini ed i miei zii rientrarono a Macerata ed io restai a Nuoro in attesa di una nuova chiamata a scuola.

Che arrivò puntualmente gli ultimi giorni di settembre.

Mi affidarono le stesse classi dell’anno prima, quindi ora insegnavo a due seconde e due terze.
Le terze le avrei dovute accompagnare alla qualifica professionale di fine anno.
Anche questo secondo anno trascorse tranquillo ma, rispetto all’anno precedente, riuscì a rientrare a Nuoro solo a fine giugno.
Durante l’anno scolastico acquisii maggior consapevolezza nei miei mezzi e questo aiutò sia me che i ragazzi, che a giugno dovettero sostenere l’esame per ottenere la qualifica triennale.
Ogni giorno, inoltre, prendevo confidenza e sicurezza nel vivere nella meravigliosa città di Macerata, in compagnia, anche, degli amici di mio cugino.
Giunse fine anno e insieme a zia Mariella, finiti gli esami, ci recammo a Nuoro.
Zio Lele e Alfonso ancora lavoravano mentre Nunzia stava per sostenere l’ultimo esame universitario e, dopo aver terminato, intorno al 10 di luglio, ci raggiunse in Sardegna.
Riprendemmo le abitudini dell’anno precedente e, ormai, per buona parte dei miei compaesani, eravamo diventati una coppia fissa.
Tra i pochi a non pensarla così c’era ovviamente Emma, con la quale continuammo a scambiarci qualche sguardo.
Anche Nunzia iniziò a rassegnarsi all’idea, soprattutto dopo che un suo vecchio amico, Nicola, nonché amico di Emma, mi disse, non proprio velatamente, che quest’ultima avesse un interesse nei miei confronti.

Si susseguirono i giorni, ma la situazione non cambiò.

Non avevo preso ancora in considerazione l’idea di avvicinarmi seriamente a lei, e neanche la stessa fece qualcosa per farmi cambiare idea.
Con l’arrivo di agosto giunsero a Nuoro sia Alfonso che una mia vecchia amica, Lara, che, poco prima delle ferie estive, si era lasciata con il fidanzato.
Trascorremmo in quattro un’estate spensierata, circondati anche dai restanti amici del nostro gruppo e, contemporaneamente, anche l’idea su Emma si volatilizzò.
A settembre non partirono solo i miei zii ed i miei cugini, ma anche io mi unii a loro.
Avevo ricevuto dal provveditorato una nomina dal primo settembre per un incarico annuale in un liceo scientifico.
Mi affidarono due quarte e due quinte ginnasio (l’equivalente attuale di primo e secondo anno del liceo scientifico).
Anche quell’anno trascorse in maniera tranquilla.
Ad ogni mese di lezione trascorso, per me ed Alfonso, si aggiungeva anche un invito ad un matrimonio, ricevuto direttamente da Nuoro.
Subito dopo Natale Nunzia si laureò.
Rientrata Nunzia eravamo in cinque a casa degli zii, così decisi di “avvicinarmi” a Nuoro.
Per l’anno successivo feci domanda di trasferimento per insegnare a Cagliari e decisi di iniziare a preparare l’esame per l’abilitazione come professore.

A fine aprile arrivò una notizia poco piacevole.

L’azienda di mio cugino a breve avrebbe chiuso e così, Alfonso iniziò a cercare un nuovo lavoro.
Arrivarono altri inviti per dei matrimoni, per un totale finale di sei.
La scuola finì e data la situazione, con i primi di giugno del 1990, arrivammo a Nuoro.
Io, la zia, Alfonso, Nunzia ed il suo fidanzato che, da qualche tempo, aveva iniziato a frequentare casa dei miei zii.
Giusto in tempo per seguire, qualche giorno dopo, i mondiali di Italia 90 e le sue notti magiche.
Il bar di Amelia si era organizzato alla grande, coadiuvata sempre da Manuela ed Emma che, durante l’ultimo anno, era, però, dimagrita parecchio.
Il popolo italiano era festante dopo le vittorie, seppur risicate, con Austria, Stati Uniti e Cecoslovacchia.
Il giorno degli ottavi con l’Uruguay combaciò con il compleanno di Emma ed il caso volle che al mio gruppo si fosse unita anche Lara.
La partita terminò ovviamente a favore della nazionale italiana e poco dopo, Emma invitò controvoglia tutto il gruppo, per mangiare insieme una fetta di torta.
Ovviamente non era entusiasta del fatto che ci fosse Lara.
Ma questo episodio la aiutò a farle capire che io e Lara non stessimo insieme.
Durante un aperitivo pomeridiano, prima dei quarti della nazionale italiana, per uno strano caso del destino, io ed Emma rimanemmo soli per circa dieci minuti ed iniziammo a parlare.

E ci trovammo al volo.

Da quel momento in poi, ogni qual volta andavamo con gli amici al bar, io ed Emma scambiavamo quattro chiacchiere.
E anche Amelia sembrava contenta di questa cosa mentre Manuela era, a dir poco, contrariata.
La sera dei quarti, dopo la vittoria con l’Irlanda, Emma si aggregò al nostro gruppo con un paio di suoi amici, la sua migliore amica Nadia, Nicola ed Enzo, la sorella ed altri ragazzi, e così fece anche in alcune delle serate seguenti.
Il 3 luglio, giorno delle semifinali, terminarono le notti magiche della nazionale italiana, in seguito alla sconfitta rimediata contro l’Argentina ai calci di rigori, nello scenario surreale del San Paolo che, invece di sostenere all’unisono la nazionale italiana, supportò la nazionale argentina capitanata da Maradona.
All’atto conclusivo del torneo, però, l’Argentina venne sconfitta in finale dalla Germania, riunitasi da poco, in seguito alla caduta del muro di Berlino.
L’Italia si accontenterà del terzo gradino del podio ottenuto ai danni dell’Inghilterra.
Emma continuò, in quelle sere, ad unirsi al nostro gruppo, ma sempre accompagnata dai propri amici.
Ovviamente sotto gli sguardi contrariati di Nunzia e Manuela.
Il mercoledì seguente con Alfonso ci recammo a Sassari per il primo dei sei matrimoni, che si sarebbe tenuto di giovedì, e poi sabato ci recammo a Cagliari per quello successivo.

Rientrammo a Nuoro nella tarda serata di lunedì.

Il giorno dopo, in attesa dei seguenti matrimoni, che ci avrebbero rallegrato le seguenti quattro domeniche, con la solita combriccola, andammo a degustare l’abituale aperitivo.
Emma non si avvicinò minimamente al tavolo in quel momento, ma la sera si unii tranquillamente al nostro gruppo.
E, quella sera, rimasi perplesso.
Era abbracciata ad un suo amico, Enzo.
Subito dopo incrociai lo sguardo compiaciuto, ma anche ironico, di Nunzia.
Ricordavo chi fosse Enzo poiché, quando io ero rover negli scout, lui era un simpatico lupetto sempre molto cordiale con tutti noi poco più grandi di lui.
Quella sera fu il preludio ad altre scene strane.
Dopo altri due matrimoni, Enzo per qualche giorno non si fece vedere.
Emma riprese a guardarmi, sotto lo sguardo perplesso di Alfonso, Nunzia, Lara e degli altri che conoscevano la storia.
Nei giorni precedenti il quinto matrimonio, Emma ed Enzo ripresero ad unirsi al nostro gruppo e, in quei momenti, alternavano abbracci, rapide passeggiate mano nella mano e, una sera, anche un bacio fugace.
Nunzia, intanto, gongolava.
I giorni trascorsero rapidamente e con i primi di agosto, con Alfonso, ci recammo al quinto matrimonio.
Durante questa giornata notai una graziosa ragazza con gli occhi cangianti, che attirò fortemente la mia attenzione.
Avendo vissuto per dieci anni lontano da Nuoro, non ricordavo precisamente chi fosse questa ragazza.

Con il trascorrere delle ore, la riconobbi.

Era Viola, una cugina della sposa, figlia di un fornaio che abitava nei pressi di casa di mia nonna, ma anche coetanea di Nunzia.
Come era cambiata e come era diventata carina con il passare degli anni.
Finita la cerimonia e la festa, rientrammo a casa.
In seguito, prendemmo parte all’ultimo matrimonio e per i restanti giorni di agosto ci dedicammo a rilassarci.
Trascorsero tante altre serate in compagnia, in cui a volte si univano Emma, Enzo ed il loro gruppetto, che continuavano il loro teatrino, mentre in altre sere, si univa la sola Emma con Manuela ed altri amici.
Il 31 di agosto, cioè due giorni prima di raggiungere la mia nuova destinazione (Cagliari) e il giorno prima della partenza dei miei zii e dei miei cugini, io e Nunzia fummo raggiunti da un amico o da una amica, ora non ricordo con precisione, di Emma, che mi chiese come avessi reagito al fatto di aver visto stare insieme Emma ed Enzo.
Risposi con assoluta tranquillità e sincerità di aver già accennato ai miei amici che, qualora fossero stati realmente fidanzati, a me poteva fare solo piacere.
La cosa importante era che Emma fosse convinta e felice di questa scelta.
Altre persone al mio posto, dopo gli atteggiamenti che aveva assunto nelle settimane precedenti, non avrebbero voluto sapere più niente di lei e gli spiegai che, non essendo superficiale, non basavo le mie idee esclusivamente sulle apparenze e, in ogni caso, per me, non cambiava nulla.

Nunzia avallò la mia risposta.

Il giorno dopo, prima di partire, Nunzia mi ribadì di non pensare più ad Emma.
Conosceva la mia idea, cioè che fossi semplicemente intrigato dal fatto che lei potesse essere interessata a me, ma anche del fatto che io non avrei fatto nulla se non in seguito ad una sua palese dimostrazione di interesse.
Conclusi questo breve scambio di idee con mia cugina con le parole di Cesare Pavese:
“Tu sarai amato il giorno in cui potrai mostrare la tua debolezza, senza che l’altro se ne serva per affermare la sua forza.”
Alla fine, le raccontai di aver notato, durante un matrimonio, questa graziosa ragazza con gli occhi cangianti.
Ma questa… è un’altra storia.

Cordialmente, Professor Antonello.

“Il vostro futuro non è ancora stato scritto, quello di nessuno.
Il vostro futuro è come ve lo creerete.
Perciò createvelo buono.”
Citazione del Dr. Emmett L. Brown, “Doc”, in “Ritorno al futuro – Parte III”
Brano di Michele Bruno Salerno

© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente. 

I bambini zebra

I bambini zebra

Agostino era un bambino che frequentava la scuola elementare e, secondo la sua maestra, era particolarmente fortunato.
Difatti la sua insegnante lo aveva classificato come bambino zebra, termine coniato, dalla psicologa Jeanne Siaud-Facchin, per indicare i bambini che hanno in comune con le zebre la capacità di fondersi con l’ambiente circostante, avendo in dote un quoziente intellettivo sopra la media.

Questi bambini, inoltre, erano dotati di una profonda sensibilità e straordinarie capacità d’ascolto e di interazione.

Agostino amava ascoltare, a fine giornata, sua nonna Ester che, tra racconti fantastici, leggende e vite di santi, stimolava l’intelligenza del nipote.
Il bimbo traeva grande beneficio da questi racconti, riuscendo ad integrarli anche nel suo percorso scolastico.
Dopo qualche anno, una sera, la nonna gli disse che stava per esaurire il suo repertorio, anche per le lacune di memoria date dall’età.

Consigliò ad Agostino di suggerirle, nelle pause, dei passaggi narrativi, anche se inventati.

I suoi racconti potevano non essere più precisi ma, per allietare le ore serali, ne avrebbero potute coniare loro.
Decisero che questi nuovi racconti li avrebbero chiamati “Storie Belorie”, dato che erano simil vere.
Esortò il nipote a ricordare tutte le storie che lei gli raccontava poiché, queste, gli sarebbero potute servire nella vita.
Gli suggerì anche di trascriverle, in modo grammaticalmente corretto, in un quaderno, in modo che queste potessero essere raccontate, a loro volta, in futuro, avendo tutte una morale.

La nonna auspicò che il nipote diventasse un attore e che avesse il “sacro fuoco” della recitazione.

Trascorsero diversi anni, nei quali Agostino continuò brillantemente i propri studi e giunto alla laurea, dedicò la tesi, conseguita con il massimo dei voti, a sua nonna.
Rientrato a casa, le portò, pieno di gratitudine, il bacio accademico ricevuto dopo aver discusso la propria tesi sui bambini zebra, evidenziando che questi, spesso, hanno in comune dei nonni fantastici che raccontano loro delle bellissime storie con morale.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Chi conosce il tuo valore ti apprezza

Chi conosce il tuo valore ti apprezza

Un padre, finita la festa di laurea della propria figlia, le disse:
“Ti sei laureata con il massimo dei voti!

Ecco il tuo regalo.

Un’auto che ho acquistato molti anni fa!
Ha diversi anni, ma prima che te la dia, portala nel parcheggio delle auto usate in centro e dì loro che voglio venderla, poi fammi sapere quanto ti offrono.”
La figlia andò al parcheggio delle auto usate, tornò da suo padre e disse:
“Mi hanno offerto mille euro (1.000,00 €) perché sembra molto logora!”

Il padre, prontamente, le disse:

“Portala al banco dei pegni.”
La figlia andò al banco dei pegni, tornò da suo padre e gli disse:
“Il banco dei pegni mi ha offerto cento euro (100,00 €), dato che è una macchina molto vecchia!”
Il padre chiese a sua figlia di andare in un club automobilistico e mostrare loro l’auto.
La figlia portò la macchina al club, tornò da suo padre e gli disse:
“Alcune persone nel club hanno offerto centomila euro (100.000,00 €) per questa auto, dato che è una Nissan Skyline R34 GTR, un’auto iconica e ricercata da molti!”

Il padre, allora, disse a sua figlia:

“Volevo che tu sapessi che il posto giusto ti valorizza nel modo giusto.
Se non sei valutata, non essere arrabbiata, significa che sei nel posto sbagliato.
Chi conosce il tuo valore ti apprezza.
Non stare mai in un posto dove nessuno vede il tuo valore!”

Brano senza Autore.

Il dottore e l’avvocato

Il dottore e l’avvocato

Finalmente laureato, un giovane dottore desidera lavorare in ospedale, ma non riesce a trovare lavoro, quindi con un po’ di fatica decide di aprire un suo studio medico privato.
Alla porta di ingresso mette un grande cartello arrecante la seguente scritta:
“La cura costa 25 euro, se non dovesse funzionare, vi saranno restituiti 100 euro.”
Un avvocato vede il cartello, e pensa subito che sia una buona occasione per intascare 100 euro facilmente, e dice:
“Dottore, ho perso il senso del gusto…”

Il dottore si rivolge alla sua infermiera:

“Prendi la medicina della scatola 12 e somministrane 3 gocce sulla lingua.”
L’infermiera esegue e l’avvocato comincia a tossire per espellere quanto ha ingerito:
“Sput, sput, sput, ma è benzina!”
Dottore:
“Esatto, complimenti!
Ha funzionato, ha riacquistato il gusto, sono 25 euro, grazie.”
Irritatissimo l’avvocato paga e se ne va meditando vendetta…

Infatti il giorno dopo si ripresenta allo studio medico.

Avvocato:
“Dottore, ho perso la memoria, non mi ricordo più nulla…”
Di nuovo, il dottore si rivolge alla sua infermiera:
“Prendi la medicina della scatola 12 e somministrane 3 gocce sulla lingua.”
L’avvocato, più irritato che mai:
“No! Lì c’è la benzina, me l’avete data ieri!”
Dottore:
“Complimenti! La sua memoria è tornata, sono 25 euro, grazie.”
L’avvocato è furioso, ma paga tramando sempre più una vendetta esemplare.

Il giorno dopo quindi si ripresenta.

Avvocato:
“Dottore, la mia vista è debole e annebbiata, non riesco a distinguere le cose…”
Dottore:
“Mi dispiace, sono desolato ma per questo non ho una cura da darle.
La prego, accetti i 100 euro.”
Gli occhi dell’avvocato iniziano a brillare, finalmente ce l’ha fatta, ma mentre allunga la mano per prendere la banconota che gli sta porgendo il dottore esclama:
“Ma questi non sono 100 euro, sono 20 euro!”
E il dottore:
“Complimenti, la sua vista non ha più problemi! Sono 25 euro, grazie!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il Tesoro


Il Tesoro

Gli era stata promessa per la sua festa di laurea un’auto nuova, fiammante, all’uscita dell’università, con il diploma di laurea sotto il braccio.
Quale non fu la sua amara sorpresa quando, il giorno fatidico, il padre lo abbracciò sorridente, non però con le chiavi della macchina, bensì con un libro in mano, appena ritirato nella vicina libreria.

Una Bibbia.

Il giovane neo dottore scagliò rabbiosamente il libro fuori dalla finestra dell’aula e da quel giorno non rivolse più la parola al padre.
Rimise piede in casa quando anni dopo gli fu comunicata la notizia della morte dell’anziano genitore.

La notte del funerale,

mentre rovistava tra le carte della scrivania paterna, trovò la Bibbia che gli era stata regalata il giorno della laurea.
In preda a un vago rimorso, soffiò via la polvere che si era depositata sulla copertina del libro e cominciò a sfogliarlo.

Scoprì tra le pagine

un assegno datato il giorno della laurea e con l’importo esatto dell’auto promessa.

Brano tratto dal bimestrale “Pane Quotidiano.” di Don Oreste Benzi

Saper insegnare: L’incredibile storia di Teddy Stoddard



Saper insegnare: L’incredibile storia di Teddy Stoddard

Mentre se ne stava davanti alla sua classe di quinta elementare, il primo giorno di scuola, la maestra disse ai bambini una falsità.
Come la maggior parte degli insegnanti, guardò i suoi studenti e disse che lei li amava tutti allo stesso modo.
Tuttavia, ciò era impossibile perché lì in prima fila, accasciato sulla sedia, c’era un ragazzino di nome Teddy Stoddard.
La signora Thompson aveva osservato Teddy l’anno precedente e aveva notato che non giocava serenamente con gli altri bambini…
I suoi vestiti erano disordinati e spesso avrebbe avuto bisogno di farsi un bagno.

Inoltre, Teddy era scontroso e solitario.

Arrivò il momento in cui la signora Thompson avrebbe dovuto evidenziare in negativo il rendimento scolastico di Teddy; prima però volle consultare i risultati che ogni bambino aveva raggiunto negli anni precedenti; per ultima, esaminò la situazione di Teddy.
Tuttavia, quando vide il suo fascicolo, rimase sorpresa:
in prima elementare il maestro di Teddy aveva scritto:
“Teddy è un bambino brillante con una risata pronta.
Fa il suo lavoro in modo ordinato e ha buone maniere…”

Il suo insegnante, in seconda elementare, aveva scritto:

“Teddy è uno studente eccellente, ben voluto dai suoi compagni di classe, ma è tormentato perché sua madre ha una malattia terminale e la vita in casa deve essere una lotta.”
Il suo insegnante di terza elementare aveva scritto:
“La morte di sua madre è stata dura per lui e tenta di fare del suo meglio, ma suo padre non mostra molto interesse e, se non verranno presi i giusti provvedimenti, il suo contesto famigliare presto lo influenzerà.”
Infine l’insegnante del quarto anno aveva scritto:
“Teddy si è rinchiuso in se stesso e non mostra più interesse per la scuola.

Non ha amici e qualche volta dorme in classe.”

A questo punto, la signora Thompson si rese conto del problema e si vergognò di se stessa.
Si sentì anche peggio quando i suoi studenti le portarono i regali di Natale, avvolti in bellissimi nastri e carta brillante, fatta eccezione per Teddy.
Il suo dono era stato maldestramente avvolto nella pesante carta marrone di un sacchetto di generi alimentari.
La signora Thompson però aprì il regalo prima degli altri.
Alcuni bambini cominciarono a ridere quando videro un braccialetto di strass con alcune pietre mancanti e una bottiglietta di profumo piena per un quarto, ma lei soffocò le risate dei bambini esclamando quanto fosse grazioso il braccialetto e mettendo un po’ di profumo sul polso.
Quel giorno Teddy Stoddard rimase dopo la scuola, giusto il tempo di dire:

“Signora Thompson, oggi profumava come la mia mamma quando usava proprio quel profumo.”

Dopo che i bambini se ne furono andati, la signora Thompson pianse per almeno un’ora; da quel giorno si dedicò veramente ai bambini e non solo per insegnare loro le sue materie.
Prestò particolare attenzione a Teddy e, con la sua vicinanza, la mente del piccolo iniziò a rianimarsi.
Più lei lo incoraggiava, più velocemente Teddy rispondeva.
Alla fine dell’anno, Teddy era diventato uno dei bambini più intelligenti della classe e, nonostante la sua bugia che avrebbe amato tutti i bambini in ugual modo, la maestra si accorse che Teddy divenne uno dei suoi “preferiti.”
Un anno dopo la fine della scuola, la signora Thompson trovò un biglietto sotto la porta: era da parte di Teddy; la lettera diceva che era stata la migliore insegnante che avesse mai avuto in vita sua.

Passarono sei anni prima che ricevesse un altro messaggio da Teddy.

Terminato il liceo, terzo nella sua classe, riferiva che la signora Thompson era ancora la migliore insegnante che avesse mai avuto in vita sua.
Quattro anni dopo, ricevette un’altra lettera, dicendo che quando le cose erano difficili, a volte, era rimasto a scuola, si era impegnato al massimo e ora si sarebbe presto laureato al college con il massimo degli onori.
Confermava che la signora Thompson era sempre la migliore insegnante che avesse mai conosciuto in tutta la sua vita, la sua preferita.
Poi passarono altri quattro anni e arrivò ancora un’altra lettera.
Questa volta spiegava che dopo aver ottenuto la laurea, aveva deciso di andare avanti.
La lettera spiegava che lei era ancora la migliore e preferita insegnante che avesse mai avuto, ma ora la sua firma era un po’ più lunga.

La lettera riportava, in bella grafia, Dr. Theodore F. Stoddard.

Ma la storia non finisce qui.
Arrivò ancora un’altra lettera quella primavera.
Teddy scrisse che aveva incontrato una ragazza e stava per sposarsi.
Spiegò che suo padre era morto un paio di anni prima e chiese alla signora Thompson di accompagnarlo al matrimonio facendo le veci della madre dello sposo.
Naturalmente, la signora Thompson accettò.
E indovinate un po’ che fece?
Indossò proprio quel braccialetto, quello con gli strass mancanti, quello che Teddy le aveva regalato; fece anche in modo di mettere il profumo che la madre di Teddy indossava l’ultimo Natale che passarono insieme.

Si abbracciarono e il Dr. Stoddard sussurrò all’orecchio della signora Thompson:

“Grazie signora Thompson per aver creduto in me.
Grazie mille per avermi fatto sentire importante e per avermi mostrato che avrei potuto fare la differenza.”
La signora Thompson, con le lacrime agli occhi, sussurrò:
“Teddy, ti stai sbagliando.
Sei tu quello che mi ha insegnato che potevo fare la differenza: non sapevo come insegnare fino a quando ti ho incontrato.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Dedicato alle mamme… Ed anche alle nonne!


Dedicato alle mamme… Ed anche alle nonne!

Quando sei venuto al mondo, lei ti ha accolto tra le braccia, tu l’hai ringraziata gridando.
Quando avevi 1 anno, lei ti ha dato da mangiare e ti ha pulito, tu l’hai ringraziata piangendo per notti intere.
Quando avevi 2 anni, lei ti insegnò a camminare, tu la ringraziasti scappando quando ti chiamava.
Quando avevi 3 anni, lei ti preparava da mangiare con amore, tu la ringraziavi facendo cadere i piatti sul pavimento.
Quando avevi 4 anni, lei ti comprò alcuni pennarelli colorati, tu la ringraziasti scrivendo sui muri della sala da pranzo.
Quando avevi 5 anni, lei ti vestiva bene per le occasioni speciali, tu la ringraziavi camminando nelle pozzanghere della via.
Quando avevi 6 anni, lei ti accompagnava a scuola, tu la ringraziavi gridandole: non voglio andare!

Quando avevi 7 anni, lei ti regalò un pallone, tu la ringraziasti calciandolo nella finestra del vicino.

Quando avevi 8 anni, lei ti comprò un gelato, tu la ringraziasti rovesciandolo sulla sua gonna.
Quando avevi 9 anni, lei ti pagò le lezioni di piano, tu la ringraziasti non frequentandole.
Quando avevi 10 anni, lei ti scarrozzava in macchina da tutte le parti: a scuola, alla partita di calcio, alle feste di compleanno e ad ogni altra festa, tu la ringraziavi scendendo sempre dalla macchina senza mai voltarti indietro.
Quando avevi 11 anni, lei accompagnava te e i tuoi amici al cinema, tu la ringraziavi dicendole di sedersi in un’altra fila.
Quando avevi 12 anni, ti consigliò di non guardare alla tv certi programmi, tu la ringraziasti sperando che lei se ne stesse a lungo fuori casa.
Quando avevi 13 anni, lei ti regalò un giaccone in pelle, tu la ringraziasti dicendole che non aveva gusto.

Quando avevi 14 anni, ella ti pagò un mese di vacanze estive in campeggio, tu la ringraziasti dimenticandoti di mandarle una cartolina.

Quando avevi 15 anni, tornava dal lavoro e avrebbe voluto abbracciarti, tu la ringraziasti chiudendo a chiave la tua stanza.
Quando avevi 16 anni, ti insegnò a guidare la sua macchina, tu la ringraziasti usandola ogni volta che potevi.
Quando avevi 17 anni, lei aspettava una telefonata importante, tu la ringraziasti occupando il telefono tutta notte.
Quando avevi 18 anni, lei pianse alla festa del tuo diploma, tu la ringraziasti restando alla festa fino all’alba.
Quando avevi 19 anni, lei ti pagò le tasse dell’università, ti accompagnò al campus trasportando i tuoi bagagli, tu la ringraziasti salutandola fuori della tua stanza, per non vergognarti davanti ai tuoi amici.
Quando avevi 20 anni, ti domandò se stavi uscendo con una ragazza, tu la ringraziasti dicendole: non ti interessa!

Quando avevi 21 anni, lei ti propose alcune strade per il futuro, tu la ringraziasti dicendole: non voglio essere come te !

Quando avevi 22 anni, ti abbracciò alla festa di laurea, tu la ringraziasti chiedendole una vacanza premio per l’Europa.
Quando avevi 23 anni, lei ti diede dei mobili per il tuo primo appartamento, tu la ringraziasti dicendo ai tuoi amici che erano brutti.
Quando avevi 24 anni, conobbe la tua futura sposa, e le domandò dei progetti per il futuro, tu la ringraziasti gridandole ferocemente: taci !
Quando avevi 27 anni, ti aiutò a pagar le spese del matrimonio, e piangendo ti diceva che ti amava moltissimo, tu la ringraziasti trasferendoti in un altro paese.
Quando avevi 30 anni, lei ti diede alcuni consigli per tuo figlio appena nato, tu la ringraziasti dicendo che le cose non erano più come una volta.
Quando avevi 40 anni, ti chiamò per ricordarti il compleanno di papà, tu la ringraziasti dicendo che eri molto occupato.
Quando avevi 50 anni, lei si ammalò e necessitò di cure, tu la ringraziasti discutendo sugli obblighi dei genitori verso i figli.

Improvvisamente, un giorno, lei morì.

Tutto ciò che non avevi fatto per lei, ti cadde addosso come fulmine e tempesta.
Prenditi un momento per pensare.
Rendi onore e omaggio, dimostra quanto ami colei che chiami mamma.
Non c’è sostituto alcuno per lei.
E anche se non sempre la si può considerare la migliore amica, anche se il suo modo di pensare non s’accorda con il tuo, lei è sempre la mamma.
Domandati: hai avuto tempo per star con lei, per ascoltare le sue lamentele, per alleviare le sue stanchezze?
Sii prudente e generoso.
Portale il debito rispetto.
Quando lei avrà lasciato questo mondo, ti resteranno solo bei ricordi di colei che hai chiamato mamma.

Evviva le mamme!
Brano senza Autore