Dire grazie (Madre e figlio)

Dire grazie (Madre e figlio)

Confessione di un figlio, al di sopra di ogni sospetto…
“Ieri sono stato a mangiare in un ristorante!
Un pranzo passabile, ma che prezzi!
Ci serviva una cameriera, né bella, né gentile…
In tutto il pranzo le avrò detto cento volte:

“Grazie!”

Lei neanche ci faceva caso e aveva ragione:
è pagata per fare quel lavoro!
Oggi, mia madre, come sempre, si è alzata per prendermi un bicchiere d’acqua…
Non so come, mi è sfuggito un:
“Grazie!”
Non l’avevo mai fatto!
Mia madre si è messa seduta e mi è sembrato che, quasi, piangesse…

Conclusione:

per far piangere mia madre basta poco;
basta dire un “Grazie!” ogni tredici anni!”

Confessione di una madre, piena di sospetti…
“Oggi, mio figlio mi ha detto: “Grazie!”
Ho pianto…
Che scema!

Spero non se ne sia accorto:

altrimenti non me lo dice più per non farmi piangere…
Se, invece, si fosse accorto che io, “la madre”, sono Lucia, che ho quarant’anni, che spesso sono stanca, che a volte mi sento sola, che spesso desidero parlare, uscire, che a volte sto male…”
Conclusione:
“Se volete imparare la crescita, il progresso personale e la dignità, per incominciare non c’è un posto migliore della vostra famiglia!”

Brano senza Autore

L’albero dei problemi

L’albero dei problemi

Un falegname che avevo chiamato affinché mi aiutasse a fare dei lavori in una vecchia fattoria, aveva appena terminato il primo giorno di duro lavoro, durante il quale la sua motosega si era rovinata facendogli perdere un’ora di lavoro ed il suo vecchio camion non aveva voluto saperne di ripartire.
Lo accompagnai allora a casa e, durante il viaggio, rimase sempre in silenzio.

Appena giunti, mi invitò a conoscere la sua famiglia.

Mentre ci dirigevamo verso la porta, si fermò un momento davanti a un piccolo albero, toccando le punte dei rami con tutte e due le mani.
Quando si aprì la porta, ci fu una sorprendente trasformazione.
Il suo viso abbronzato era pieno di sorrisi.
Abbracciò i suoi due figli piccoli e diede un bacio alla sua sposa.

Poi mi accompagnò alla macchina.

Quando passammo vicino all’albero, incuriosito gli chiesi cosa significasse quello che l’avevo visto fare poco prima.
“Oh, questo è il mio albero dei problemi”, rispose, “So che non posso evitare di avere problemi sul lavoro, ma i problemi non sono della mia casa, né della mia sposa, né tanto meno dei miei figli.

Così ogni sera, quando arrivo a casa, li appendo all’albero, poi al mattino li prendo di nuovo!”

“Ma il bello,” disse sorridendo, “è che quando esco la mattina a prenderli, non ce ne sono tanti come quelli che mi sembrava di aver appeso la sera precedente.”
Pensa questo e farai felici gli altri, soprattutto te stesso.

Brano tratto dal libro “PNL medica e salute: dal corpo all’emotività.” di Claudio Pensieri. Gruppo Armando Curcio Editore.

Due racconti di Bruno Ferrero sulla vita

Due racconti di Bruno Ferrero sulla vita
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Il saggio e la noce di cocco

La vita non può essere un trattino tra due date

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“Il saggio e la noce di cocco”

 

Una scimmia da un albero gettò una noce di cocco in testa ad un saggio.
L’uomo la raccolse, ne bevve il latte, mangiò la polpa, e con il guscio si fece una ciotola.

La vita non smetterà mai di gettarci addosso palate di terra o noci di cocco, ma noi riusciremo a uscire dal pozzo,

se ogni volta reagiremo.

Ogni problema ci offre l’opportunità di compiere un passo avanti.
Ogni problema ha una soluzione, se non ci diamo per vinti…

Brano tratto dal libro “Ma noi abbiamo le ali.” Editrice ElleDici.
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“La vita non può essere un trattino tra due date”

 

L’incisore di lapidi funerarle alzò lo scalpello e disse:
“Ho finito!”
L’uomo esaminò la pietra:
la foto del padre, le due date 1916 e 2000 separate, soltanto, da un trattino di un paio di centimetri.

Poi scosse la testa e disse:

“Non so come spiegarmi, ma mi sembra così poco.
Vede, mio padre ha avuto una vita piena, lunga, avventurosa.
Vorrei si intuisse in qualche modo la sua infanzia in una grande famiglia, la campagna ricca di verde e di animali, i lavori pesanti, la soddisfazione di un buon raccolto, le preoccupazioni per i temporali estivi, la siccità…
Poi la guerra, le divise, le tradotte, la ferita, la fuga da un campo di prigionia, l’incontro con mia madre…
I figli che nascono, crescono, si sposano, i nipotini che arrivano uno dopo l’altro…
Poi la vecchiaia serena, la malattia, certo, ma anche l’affetto, l’amore, l’entusiasmo, la passione, le lunghe giornate di lavoro, le ansie, le preoccupazioni, le gioie…”
L’incisore ascoltava con attenzione, poi impugnò lo scalpello e il martello e con quattro rapidi colpi allungò il trattino tra la data di nascita e quella di morte di quasi mezzo centimetro.

Si voltò verso l’uomo e fece:

“Va meglio così?”

La vita non può essere un trattino tra due date.
Abbraccia ogni istante della tua vita.
Adesso.
La vita è tutto quello che hai.

Brano tratto dal libro “La vita è tutto quello che abbiamo.” Edizioni ElleDiCi.

Aspettando papà

Aspettando papà

Uno dei ricordi più vivi della mia infanzia si riferisce a quando mio padre tornava a casa dal lavoro alle sei e mezzo di sera.
Io e mio fratello lo sentivamo suonare il campanello più e più volte, per gioco, fino a quando uno di noi due non andava ad aprirgli la porta.

Di solito,

noi eravamo in cucina a fare i compiti o a guardare la televisione e lanciavamo grida d’entusiasmo nel sentire quel familiare scampanellio.
Ci precipitavamo giù per le scale, spalancavamo la porta di casa e a quel punto lui ci diceva:

“Be’, come mai ci avete messo tanto?”

Era il momento migliore della giornata quando lui tornava a casa.
C’è un altro ricordo che mi accompagnerà per sempre e si riferisce a quello che per lui era un vero rito quotidiano: la cena.
Ci accomodavamo a tavola tutti insieme e poi lui, posando una mano sul braccio della mamma, diceva:
“Ma voi due lo sapete che avete la mamma più straordinaria del mondo?”

Era una frase che amava ripetere tutte le sere.

La famiglia, nel progetto di Dio, doveva essere un’oasi di amore, di gioia e di pace.
Noi, oggi, cosa ne stiamo facendo?

Brano senza Autore

Tre racconti di Bruno Ferrero su Giovanni Maria Vianney

Tre racconti di Bruno Ferrero su Giovanni Maria Vianney
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La sfida tra fratelli

L’ultimo della classe

Egli guarda me ed io guardo Lui

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“La sfida tra fratelli”

 

Giovanni Maria Vianney ancora fanciullo, aveva un fratello maggiore di lui, di nome Francesco, che lo prendeva sempre in giro per le sue incapacità e per la sua religiosità.
Come fare per avere una giusta rivincita?
Si propose un modello e questo lo trovò in una piccola statuina della Madonna, che una religiosa gli aveva regalato.
Sentite come ebbe la prima vittoria sul fratello.
Mandati tutti e due a zappare nel campo, Francesco, essendo più grande, lo anticipava e lo precedeva nel lavoro.
Come raggiungerlo?

Giovanni Maria pose alcuni passi davanti a sé la statuina:

guardandola, si rincuorava nel lavoro, si sforzava di più e raggiungeva il fratello.
Ma il fratello partiva per la rivincita.
Ecco allora che il piccolo riprendeva l’immagine, la collocava di nuovo davanti a sé, si entusiasmava nel lavoro e progrediva.
Così facendo, tenne testa fino a sera al fratello, che a casa dovette, non senza dispetto, confessare alla madre, che Giovanni Maria aveva fatto tanto lavoro come lui.
Ma aggiungeva:
“La sfida non è stata giusta!
Io ero solo, ma lui no, aveva ad aiutarlo la Vergine Maria!”

Brano tratto dal libro “Mese di maggio per i bambini.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.
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“L’ultimo della classe”

 

Quando era seminarista, Giovanni Maria Vianney, il futuro santo Curato d’Ars, aveva enormi difficoltà con la scuola.
Non riusciva a capire neppure le nozioni più semplici.
I superiori del seminario lo avevano rimandato a casa più volte.
Ma lui caparbiamente insisteva.
Aveva ormai 21 anni e sedeva in aula con ragazzi che avevano dieci anni meno di lui.

Uno di questi, undicenne, cominciò ad aiutarlo nello studio.

Giovanni Battista Vianney era molto grato al suo piccolo maestro, ma le difficoltà persistevano:
non capiva, non ricordava, si smarriva, balbettava.
Il ragazzino si lamentò di questo con i compagni di scuola.
Giovanni Maria Vianney lo sentì.
Si alzò dal suo banco, si inginocchiò davanti al ragazzino e gli disse:
“Perdonami perché sono così stupido.”

Brano di Bruno Ferrero.
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“Egli guarda me ed io guardo Lui”

 

Il Santo Curato d’Ars (Giovanni Maria Vianney) incontrava spesso, in Chiesa, un semplice contadino della sua Parrocchia.
Inginocchiato davanti al Tabernacolo, il brav’uomo rimaneva per ore immobile, senza muovere le labbra.

Un giorno, il Parroco gli chiese:

“Cosa fai qui così a lungo?”
“Semplicissimo.
Egli guarda me ed io guardo Lui!”

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il pellegrino ed il barcaiolo (I remi “Fede” e “Opere”)

Il pellegrino ed il barcaiolo (I remi “Fede” e “Opere”)

Un giorno, un uomo si stava dirigendo in pellegrinaggio verso un paese lontano!
Mentre era in cammino, solitario, verso il luogo di destinazione giunse presso la riva di un fiume.
Non sapendo come continuare il suo viaggio a causa delle profonde acque notò poco distante un barcaiolo che,

con la sua piccola imbarcazione,

svolgeva il proprio lavoro trasportando i passanti da una riva all’altra del fiume!
Il pellegrino, dopo essersi informato dal barcaiolo sul prezzo del trasporto, si accomodò tranquillamente sulla barca, per essere trasportato sulla sponda opposta del fiume.
Mentre si trovavano nel centro del fiume, il pellegrino notò che i remi della barca erano incisi da un’iscrizione a grandi caratteri!

Il primo remo portava la scritta “fede” mentre il secondo “opere.”

L’uomo, mosso da curiosità, domandò al barcaiolo quale fosse il significato di tali incisioni!
E, senza dire neanche una parola, il barcaiolo tirò sopra la barca il remo con la scritta “opere” e, remando solo con l’altro, la barca incominciò a girare su se stessa.
Poi portò sull’imbarcazione il remo con la scritta “fede” e, gettato in acqua quello delle “opere”, anche questa volta la barca girò su se stessa!
A questo punto, sotto lo sguardo attento del pellegrino, il barcaiolo fece scendere in acqua tutti e due i remi e, finalmente,

l’imbarcazione riprese la giusta direzione per raggiungere la meta.

Il pellegrino annuì pensieroso e disse:
“Adesso capisco!”

Brano senza Autore

La brava moglie

La brava moglie

Un blasonato conte, proprietario di numerosi poderi, aveva dato lo sfratto ad un suo mezzadro addicendo a varie motivazioni.
Una tra queste era stata quella di non avergli dato abbastanza onoranze e regalie, come d’uso nei contratti di un tempo, entro l’11 novembre, giorno di san Martino.
In realtà, il povero mezzadro non aveva potuto dargli quasi nulla poiché aveva una “nidiata” di figli in tenera età da sfamare,

che sottraevano, a dire dell’avaro conte, troppo alla proprietà.

Il fondo era chiamato “Carestia” poiché, per l’infelice ubicazione su un terreno sassoso e impervio, rendeva realmente poco.
Paradossalmente si presentarono all’appello per condurlo solamente tre aspiranti mezzadri.
Ognuno fu sottoposto ad un minuzioso interrogatorio circa la capacità e volontà di condurre il problematico fondo.
Il terzo aspirante si presentò dal conte e da sua moglie, assistiti a loro volta dal castaldo, preposto a sorvegliare e a mantenere in ordine i conti di gestione, mostrando le proprie grandi mani callose come prova di laboriosità.

Cercò di balbettare qualcosa ma, imbarazzato per l’emozione, non riuscì quasi a parlare.

Dopo un breve lasso di tempo che parve una eternità, la contessa, squadrandolo da cima a fondo e facendolo agitare, al povero esaminando, disse:
“I calli sulle mani non sono sufficienti a farti avere un nostro giudizio favorevole!”
La contessa lo fece avvicinare ed osservò, minuziosamente, la sua giacca, la quale mostrava il suo tempo, la camicia, che nonostante fosse logora, era pulita e profumava di lavanda, ed i pantaloni, i quali, nonostante fossero tutti rattoppati, erano ben stirati.

Il contadino si stava riprendendo per parlare, quando la nobildonna lo interruppe, dicendo:

“Devi avere una brava e laboriosa moglie, e per questa ragione la terra la diamo a te, principalmente per i meriti di lei!”
Valentino, così si chiamava, tornò a casa con le ali ai piedi, attendendo con ansia il momento in cui avrebbe potuto baciare, romanticamente, sua moglie, per ringraziarla del suo lavoro e del suo amore, emulando, così, i principi delle favole.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il problema dell’orologio

Il problema dell’orologio

C’era una volta un orologio di bell’aspetto che troneggiava su un elegante comò e faceva con entusiasmo il suo lavoro.
Come ogni buon orologio aveva un cuore che ticchettava due battiti al secondo:

“Tic-tac, tic-tac, tic-tac, …”

Così fin dal giorno in cui era uscito dal laboratorio di uno dei migliori orologiai della città.
La sua vita scorreva tranquilla finché nel suo cervello di luccicanti ingranaggi, quasi fosse un granellino di micidiale polvere, si insinuò un dubbio:
“Due battiti al secondo significano centoventi ticchettii al minuto, settemila e duecento battiti all’ora, centosettantaduemilaottocento al giorno, un milione duecentonovemila e seicento alla settimana, sessantaduemilioni ottocentonovantanovemila e ottocento ticchettii all’anno, …”
I delicati ingranaggi dell’orologio emisero un cigolio lamentoso.
“Sessantaduemilioni ottocentonovantanovemila e ottocento ticchettii all’anno!
È impossibile.
Non ce la farò mai!”
In breve, il dubbio si trasformò in panico e poi in profonda depressione.
Così, un giorno, l’orologio prese appuntamento dal miglior psico-orologiaio della città.

“Qual è il suo problema?” chiese gentilmente il dottore.

“Oh, dottore,” si lamentò, “mi è stato affidato un compito immane, nettamente al di sopra delle mie forze.
Devo emettere due battiti al secondo, cioè cento e venti ticchettii al minuto, settemila e duecento battiti all’ora, centosettantaduemilaottocento al giorno, un milione duecentonovemila e seicento alla settimana, sessantaduemilioni ottocentonovantanovemila e ottocento ticchettii all’anno!
E per molti anni!
Non posso farcela!”
“Un momento!” interloquì lo psichiatra, “Quanti ticchettii devi fare alla volta?”
“Un tic alla volta, poi un tac, poi un altro tic e così via!” rispose l’orologio.
“Questa è la cura che ti consiglio:
vai a casa, mettiti tranquillo e pensa ad un tic alla volta, concentrati su ogni tic e goditelo.
Uno alla volta:
non ti preoccupare del successivo!

Pensi di riuscirci?” domandò lo psichiatra.

“Un tic e un tac alla volta!
Ma certo!” rispose l’orologio.
Tornò a casa e non si preoccupò più.

Brano senza Autore

Christine e la Vergine del Carmelo

Christine e la Vergine del Carmelo
(Nostra Signora del Monte Carmelo, o anche del Carmine)

Christine era una buona madre ed un’ottima moglie, ma un triste e desolato giorno il suo giovane marito morì.
Un dolore immenso e rovente dilaniò la sua esistenza.
Niente riusciva ad attenuare la sua sofferenza.
Cercava invano brandelli di consolazione nei suoi bambini, che la fissavano smarriti.
Come specchi, gli umidi occhioni le rimandavano l’immagine del loro papà tanto amato.
Neanche più ricordava il tempo in cui lavorava cantando.
Il lavoro, come il pane, le era diventato amaro e pesante.
Una sera, rannicchiata nel letto, piangeva silenziosamente per non svegliare i bambini, quando le apparve una figura dolce e rassicurante, che la prese per mano.

Era la Vergine del Carmelo.

“Vieni con me, Christine!” le disse, “Vieni con me: ti porterò al Fiume della Pace.
Chiunque si bagna nelle sue acque, troverà la consolazione che cerca!”
Camminarono nella notte per molto tempo.
Ad un certo punto, Christine cominciò a sentire il rumore di acque scroscianti.
Un fiume immenso, dalle acque pure e trasparenti, scorreva davanti a loro.
“Immergiti nel Fiume della Pace!” le intimò la Vergine, “Le sue acque scioglieranno la tua pena e la tua angoscia!”

Christine si immerse.

Il suo corpo fu avvolto da un conforto pieno di vigore e serenità, una pace balsamica che guariva le sue ferite.
Dopo quell’immersione salutare, Christine chiese alla Madonna:
“Da dove viene quest’acqua miracolosa?”
“Sono le lacrime del mondo!” rispose la Vergine.
“Tutte le lacrime del mondo si raccolgono in questo fiume.
Lacrime amare, di paura, di dolore, di delusione, di sconfitta, di rabbia.
Ma anche le lacrime più dolci, quelle versate per amore, per il ritorno di una persona cara, per uno scampato pericolo!”
Christine udì i sospiri ed i gemiti di tutti coloro che avevano versato quelle lacrime, e comprese che anche le sue lacrime erano ormai un unico pianto, puro e indistinto, che scorreva nelle acque di quel fiume.

Si sentì in comunione totale con tutto il dolore e la gioia del mondo.

Fu in quel momento che la Madre di Dio le parlò del dolore di suo Figlio.
Christine sentì il pianto di Cristo davanti alla tomba di Lazzaro, il pianto nel Getsemani, il suo pianto ai piedi della croce.
Christine si ridestò improvvisamente, il cuscino era ancora bagnato, ma una pace profonda si era impadronita di lei…

Brano senza Autore

Gli acquisti della Vigilia di Natale (La commessa e la signora)

Gli acquisti della Vigilia di Natale
(La commessa e la signora)

Era la Vigilia di Natale e la commessa non vedeva l’ora di andarsene.
Pensava in continuazione alla festa che l’attendeva appena finito il lavoro.
Sentiva già i mormorii di ammirazione che l’avrebbero accompagnata mentre entrava vestita con l’abito da sera di velluto, con il cavaliere che la scortava…
Quando arrivò l’ultima cliente.
Mancavano solo cinque minuti alla chiusura.
“Non è possibile che venga proprio al mio banco!” pensò.

Finse di non sentire quando quella si schiarì la voce e disse piano:

“Signorina, signorina quanto costano quelle calze?”
“Credo che sul cartellino ci sia scritto 3 euro!” rispose brusca.
“Non ne avete di meno care?” domandò la signora.
“2 euro.” scattò guardando l’orologio.
“Mi faccia vedere quelle meno care, gentilmente.” chiese la signora.
“Spiacente signora, stasera chiudiamo alle 18,30 perché, se non lo sa, oggi è la Vigilia di Natale!” esclamò la commessa.
Siccome non apriva bocca si decise a guardarla.
Era pallida, aveva l’aria affaticata, le occhiaie profonde, non doveva avere neanche 30 anni.
“Ma i miei figli non hanno neanche un regalo.” disse alla fine tutta d’un fiato.
“Fino a stasera non avevo soldi!” spiego la signora.
“Mi dispiace per lei signora!” disse la commessa e se ne andò.
Non giunse fino al fondo del banco.
La donna non aveva detto una parola ma non le riuscì di fare un passo in più.
Quando si voltò notò nei suoi occhi l’espressione più triste che avesse mai visto.

Si ritrovò dietro al banco:

“D’accordo, signora, ma faccia presto!”
Un sorriso le illuminò il volto, e si mise a correre dai calzini ai nastri poi ai giradischi portatili.
Alla commessa quei pochi minuti sembravano lunghi come l’eternità.
Finalmente si decise per alcune paia di calze, per dei nastri colorati, un giradischi portatile e due dischi di fiabe natalizie.
La commessa gettò gli acquisti in un sacchetto e le diede il resto delle 25 euro.
Ormai non c’era più nessuno.
Andò di corsa negli spogliatoi e si infilò in fretta il vestito e corse fuori dal negozio incontro al suo “cavaliere” che l’attendeva in macchina, con il motore acceso.
Fu al terzo semaforo rosso che vide la donna del negozio:
camminava in fretta tenendo stretto contro il suo esile corpo il pacco dei doni per i suoi figli.
Il suo volto, che aveva perduto la patina di stanchezza, era ancora illuminato dal sorriso.
In quel breve istante qualcosa avvenne dentro di lei.

Non vide solo una donna:

vide i suoi quattro bambini che, il mattino dopo, si sarebbero infilati felici le calze nuove, messi i nastri nei capelli e avrebbero ascoltato le favole natalizie sul giradischi nuovo
Dona ora.
Grazie!

Brano tratto dal libro “Tutte storie. Per la catechesi, le omelie e la scuola di religione.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.