I bergamaschi

I bergamaschi

Gli anni che la vita ci riserva sono tutti unici e preziosi, e quello che trascorsi da militare è ben vivo nella mia memoria.
Lo considerai un anno sabbatico, lontano da casa e da impegni.
Lo passai molto serenamente, mai in ozio, frequentando tutti i corsi proposti.
Ad esempio, conseguì la licenza di terza media, che ancora non avevo, vivendo comunque i miei 20 anni.

La caserma era come un alveare, tutti avevano una mansione.

Mi assegnarono l’incarico di autista di camion e questo mi permetteva di avere tanto tempo libero.
Tempo che dedicavo alla lettura, leggendo libri che mi venivano prestati dal cappellano militare.
Ebbi modo di conoscere ed apprezzare due bravi ragazzi bergamaschi, che mi onoravano della loro amicizia.
Ci ritrovammo nella stessa camerata, con i letti vicini, ed io, vedendoli veramente stanchi la sera, rifacevo anche i loro.
Il loro incarico fu quello di effettuare la manutenzione ordinaria della caserma ed il loro lavoro lo presero veramente sul serio, svolgendo tutto in maniera ammirevole,

con riparazioni e manutenzioni fatte a regola d’arte.

La caserma era una base missilistica, soggetta a costanti controlli Nato ed era, anche grazie a loro, sempre in ordine.
Mi confermarono così la nomea che per lavoro i bergamaschi non hanno pari e, per questo, a mio avviso, vennero un po’ sfruttati.
Gli unici due privilegi loro concessi furono quello di non fare la fila alla mensa e quello di non dover fare turni di guardia, essendo sempre impegnati.
Pochi giorni prima del nostro congedo si ruppe il sistema fognario e le competenze, ed il lavoro, dei due bergamaschi risultarono indispensabili.

Vennero trattenuti con una punizione.

Restammo tutti sorpresi poiché, a nostro avviso, dovevano essere premiati con il grado di caporali.
Ma, nonostante questo, con nostra grande meraviglia, li vedemmo lavorare alacremente senza lamentarsi, anzi quasi felici di farlo per il bene collettivo.
Diedero a tutti una grande lezione, come tantissimi italiani che, in seguito, apprezzai per aver fatto grande l’Italia con il loro operare silenzioso.

In questo momento di difficoltà, un grande abbraccio virtuale va a tutti i cittadini italiani, in particolare ai bresciani ed ai bergamaschi, i più colpiti dal coronavirus.
Ed un grande applauso ai dottori, agli infermieri ed alle forze dell’ordine.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Scherzo in fabbrica

Scherzo in fabbrica

Qualche anno fa gli operai entravano in fabbrica per lavorare prestissimo.
Tantissimi ragazzi giovani portavano allegria nonostante operassero su complicati macchinari e nelle catene di montaggio.
Anche in questo ambito abbiamo fatto la nostra piccola rivoluzione del 1968, insieme agli studenti, che ha portato tantissimi cambiamenti.
Cose che ora vengono date per scontate, come la settimana ridotta, le ferie, i diritti ed i rappresentanti sindacali.

Ora, la fabbrica dicono sia anonima, con lavoratori che competono con i robot.

In quel periodo lavoravo allo stampaggio di un particolare per scarponi da sci.
Il numero di pezzi da fare era 250 in 8 ore, ed i ritagli di tempo libero li impegnavo a fare schizzi ed a comporre qualche poesiola.
I sindacalisti spesso portavano moltissimi pacchetti di fogli propagandistici di scioperi o altro che finito il loro scopo, io recuperavo per il retro immacolato e ne facevo buona scorta dentro il mio tavolo di lavoro.
Un giorno decisi di prendere un pacchetto di fogli di qualche anno prima con su scritto

“Giovedì sciopero per il Mezzogiorno!”

e li misi nell’apposito spazio dove venivano distribuiti per vedere cosa succedesse.
Il giovedì seguente, tre quarti degli operai della fabbrica rimase a casa essendo sia giorno di mercato sia giorno utile per cercar funghi, dato che proprio in quel periodo abbondavano.

Quando al venerdì incrociai il direttore, temevo il peggio, ma questi mi disse solamente:

“Bravo, ci hai risolto un problema perché abbiamo un calo di lavoro per qualche giorno.
La pausa non remunerata è stata utile ma non fare più di questi scherzi nemmeno a carnevale!”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il lustrascarpe

Il lustrascarpe

In Scozia, nella città di Glasgow, c’era un lustrascarpe di nome Jack.
Un giorno questo ragazzo pensò che avrebbe potuto fare qualcosa di meglio nella vita e decise di diventare commesso in un elegante negozio della città.
Senza perdere tempo, Jack andò a presentarsi sul posto e chiese di parlare con il capo del personale.
Questi diede una rapida occhiata al ragazzo, lo vide a piedi nudi e gli disse:
“Per poter lavorare qui dovresti almeno avere un paio di scarpe.”

Senza dire una parola il lustrascarpe se ne andò.

Ritornò al suo posto all’angolo della strada e continuò a lavorare per giorni e giorni fino a che non riuscì a guadagnare abbastanza per comprarsi un discreto paio di scarpe.
Allora, tutto contento, corse al negozio e si presentò al capo del personale.
Questi, un po’ sorpreso della visita di Jack, ascoltò la richiesta del ragazzo e poi osservò:
“Non hai nemmeno un vestito decente; non puoi lavorare per noi con quegli stracci addosso!”
Anche questa volta Jack se ne andò senza fiatare e ritornò al suo vecchio lavoro.
Ce la mise tutta, risparmiò ogni centesimo e, dopo alcuni mesi, ecco che poté comprarsi il vestito necessario.
Ora, abito indosso e scarpe ai piedi, viso e mani pulite, Jack si presentò per la terza volta al capo del personale.
Egli lo guardò con interesse e simpatia.
“Bene,” gli disse, “riempi questo modulo!”

Triste e sconsolato Jack mormorò:

“Non so scrivere!”
“Mi dispiace davvero,” ribatté il capo del personale, “ma non puoi essere assunto se non sai né leggere né scrivere!”
Deluso, ma non scoraggiato, Jack ringraziò e andò via.
L’essersi procurato un paio di scarpe e un vestito sviluppò in lui rispetto per se stesso e l’ambizione di potere riuscire nel suo intento di fare qualcosa di meglio del lustrascarpe.
Allora trovò un lavoro diverso.
Si iscrisse a una scuola serale.
Dedicò tutto il tempo libero a studiare con successo altre materie e, nel giro di due anni, eccolo in grado di ripresentarsi al grande negozio, dove venne subito assunto.

“Mi sa che un giorno quel ragazzo prenderà il mio posto!”

disse fra sé il capo del personale.
Questa non è una storia inventata, ma un fatto veramente accaduto tanti anni fa.
Jack era deciso a raggiungere il suo scopo e si impegnò con tutta la sua abilità.
Era un ragazzo pieno di buona volontà, paziente, perseverante ed anche gentile e ben educato.
Sul lavoro intuiva ciò che si doveva fare e lo faceva senza aspettare che glielo chiedessero.
Dopo pochi anni, Jack divenne non solo capo del personale ma socio e azionista del negozio.

Brano tratto dal libro “Incontri con Gesù.” di Fiorella Carelli Ferraro

La partita a scacchi

La partita a scacchi

Disse il giovane all’abate del monastero:
“Vorrei tanto essere un monaco, ma non ho imparato niente di importante nella vita.
Tutto ciò che mio padre mi ha insegnato è giocare a scacchi, cosa che non serve per l’illuminazione!”

“Chi sa che questo monastero non abbia bisogno di svago!”

fu la risposta dell’abate.
L’abate, allora, chiese una scacchiera, convocò un monaco e gli disse di giocare con il ragazzo.
Ma, prima che la partita cominciasse, aggiunse:
“Anche se abbiamo bisogno di svago, non possiamo permettere che stiano tutti a giocare a scacchi.
Dunque, terremo qui solo il migliore dei giocatori.
Se il nostro monaco perderà, andrà via dal monastero e lascerà un posto libero per te.”

L’abate parlava seriamente.

Il ragazzo sentì che era in gioco la sua vita e cominciò a sudare freddo.
La scacchiera divenne il centro del mondo.
Il monaco iniziò a perdere.
Il ragazzo lo incalzò, ma poi notò lo sguardo di santità dell’altro:
da quel momento cominciò a fare di proposito le mosse sbagliate.
In fin dei conti, preferiva perdere, perché il monaco poteva essere più utile al mondo.

All’improvviso, l’abate rovesciò per terra la scacchiera.

“Hai imparato molto di più di ciò che ti hanno insegnato,” disse, “Ti sei concentrato abbastanza per vincere, sei stato capace di lottare per ciò che desideravi.
Poi, hai avuto compassione, ed eri disposto a sacrificarti in nome di una causa nobile.
Che tu sia il benvenuto nel monastero, perché sai equilibrare la disciplina con la misericordia!”

Brano di Paulo Coelho

I merli

I merli

Mi racconto.
Negli anni scorsi, come avevo un po’ di tempo libero, andavo a far visita agli anziani di una casa di riposo del mio comune.
Ci andavo per un senso civico e tornavo a casa appagato da questa esperienza, dato che incontravo una grande e variegata umanità.

Avevo stretto delle belle e vere amicizie.

Alcuni di loro attendevano il mio ritorno per affrontare insieme discorsi interessanti.
Tra coloro che incontravo abitualmente, c’era anche una signora che si chiamava Giulietta, con la quale trattavamo sempre lo stesso tema fisso:
quello della caccia.
Era stata figlia, moglie e madre di un cacciatore ed usava il gergo dei cacciatori e le loro metafore su tutto.
Ricordo che, durante una di quelle visite, appena arrivato,

la vidi nel corridoio e le chiesi come fosse andata.

Intendevo l’operazione a cui si era sottoposta, ma lei non capì la mia domanda.
Mi rispose, pensando alla caccia anche se in senso metaforico, che ai “merli” aveva rinunciato.
Non li cercava più dato che, chiunque la corteggiasse, poco tempo dopo “ci lasciava le penne.”
Attribuiva la colpa di tutto ciò al suo bizzarro comportamento.
Ovviamente si riferiva agli anziani signori ospitati dalla casa di riposo.

Per questa ragione,

aveva deciso di non affezionarsi più a nessuno spasimante, dato che per l’età avanzata, in punta di piedi, uno per volta, i suoi Romei se ne dipartivano, lasciando dentro di lei l’ennesimo vuoto incolmabile.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

L’uomo ed il pettirosso

L’uomo ed il pettirosso

Un uomo trovò un pettirosso fra gli spini e lo catturò, dicendo:
“Che bellezza, me lo porto a casa e me lo faccio allo spiedo!”
Al che il pettirosso gli parlò:
“Che ben magro pasto faresti col mio corpicino minuto!
Se invece mi lasci libero, in cambio ti dirò tre massime di grande valore!”
“Sì, d’accordo,” rispose l’uomo, “ma prima dimmi le massime e poi ti lascerò andare!”

“E come posso fidarmi?

Facciamo così: io ti dico la prima massima mentre mi hai ancora in mano.
Se ti va, mi lasci andare e io volo su quel ramoscello vicino, da dove ti dico la seconda massima, e dove mi puoi anche raggiungere con un salto.
Poi volerò sulla cima dell’albero, e da lì ti dirò la terza massima!”
Così fu convenuto e l’uccellino cominciò:
“Non ti lamentare mai di ciò che hai perso, tanto non serve a nulla.”
“Bene,” disse l’uomo, “mi piace!” e liberò il pettirosso che dal ramoscello vicino disse la seconda massima:
“Non dare mai per scontato ciò che non hai potuto verificare di persona!”
Dopo di che il pettirosso spiccò il volo, e mentre raggiungeva la cima dell’albero gridò tra i gorgheggi:

“Uomo sciocco e stupido!

Nel mio corpo è nascosto un bracciale tutto d’oro, tempestato di diamanti e rubini.
Se mi avessi aperto, a quest’ora saresti un uomo ricco!”
Al che l’uomo, disperato, si buttò a terra stracciandosi le vesti e gridando:
“Povero me, in cambio di tre massime ho perduto un tesoro favoloso!
Me disgraziato, perché ho dato retta al pettirosso!
Perché questo insulso scambio per tre sole massime…
Ma, un momento!
Ehi, pettirosso: me ne hai dette solo due; dimmi almeno anche la terza!”

E il pettirosso rispose:

“Uomo sciocco, tre volte sciocco: ti ho pur detto come prima massima di non lamentarti per ciò che hai perso, tanto è inutile.
Ed ecco che sei per terra a lamentarti.
Poi ti ho detto di non dare mai per scontato ciò che non hai potuto verificare di persona, ed ecco che tu credi a quel che ti ho detto senza averne la benché minima prova.
Ti sembra forse che il mio piccolo corpo possa racchiudere un grosso bracciale?
Se non sai fare uso delle prime due massime, come puoi pretendere di averne una terza?”
E volò via.

Brano tratto dal libro “Saggezza islamica.” di Gabriel Marcel. Edizione Paoline.

Ogni cosa è un dono

Ogni cosa è un dono

Sei single e ti manca un partner.
Sei in coppia e ti manca la libertà.

Lavori e ti manca il tempo.

Hai troppo tempo libero e vorresti lavorare.
Sei giovane e vuoi crescere per fare le cose degli adulti.
Sei adulto e vorresti fare le cose dei giovani.

Sei nella tua città ma vorresti vivere altrove.

Sei altrove ma vorresti tornare nella tua città.
Forse è tempo di smettere col guardare sempre a ciò che ci manca e iniziare a vivere nel presente,

apprezzando davvero quello che abbiamo.

Goditi il profumo della tua casa prima di aprire la porta ed uscire a cercare i profumi del mondo.
Perché niente è scontato, e ogni cosa è un dono.
Dagli valore.

Brano tratto dal libro “Sette secondi.” di Oscar Travino

Lettera di una moglie al marito con una risposta esilarante

Lettera di una moglie al marito con una risposta esilarante

La moglie scrive:

Caro marito, ti scrivo questa lettera per dirti che ti lascio per qualcosa di meglio.
Sono stata una brava moglie per te per sette anni e non devo dimostrartelo.
Queste due ultime settimane sono state un inferno.
Il tuo capo mi ha chiamato per dirmi che oggi ti sei licenziato e questa è stata solo la tua ultima cazzata.
La settimana scorsa sei tornato a casa e non hai notato che ero stata a farmi i capelli e le unghie, che avevo cucinato il tuo piatto preferito ed indossavo una nuova marca di lingerie.

Sei tornato a casa e hai mangiato in due minuti, e poi sei andato subito a dormire dopo aver guardato la partita.

Non mi dici più che mi ami, non mi tocchi più.
Che tu mi stia prendendo in giro o non mi ami più, qualsiasi cosa sia, io ti lascio.
Buona fortuna!
Firmato: la tua ex moglie
P.S. Se stai cercando di trovarmi, non farlo:
tuo fratello e io stiamo andando a vivere a Rimini insieme.

Il marito risponde:

Cara ex moglie, niente ha riempito la mia giornata come il ricevere la tua lettera.
È vero che io e te siamo stati sposati per sette anni, sebbene l’ideale di brava moglie, a patto che esista, sia molto lontano da quello che tu sei stata.
Guardo lo sport così, tanto per cercare di affogarci i tuoi continui rimproveri.
Va così male che non può funzionare.
Ho notato quando ti sei tagliata tutti i capelli la scorsa settimana, e la prima cosa che ho pensato è stata:

“Sembri un uomo!”

Mia madre mi ha insegnato a non dire nulla se non si può dire niente di carino.
Hai cucinato il mio piatto preferito, ma forse ti sei confusa con mio fratello, perché ho smesso di mangiare maiale sedici anni fa.
Sono andato a dormire quando tu indossavi quella nuova lingerie perché l’etichetta del prezzo era ancora attaccata:
ho pregato fosse solo una coincidenza il fatto di aver prestato a mio fratello 50 euro l’altro giorno e che la tua lingerie costasse 49,99 euro.
Nonostante tutto questo, ti amavo ancora e sentivo che potevamo uscirne.
Così quando ho scoperto che avevo vinto alla lotteria 10 milioni di euro, mi sono licenziato e ho comprato due biglietti per la Giamaica.

Ma quando sono tornato tu te ne eri andata.

Penso che ogni cosa succeda per una precisa ragione.
Spero tu abbia la vita piena che hai sempre voluto.
Il mio avvocato ha detto, vista la lettera che hai scritto, che non avrai un centesimo da me.
Abbi cura di te!
Firmato: ricco come il demonio e libero.
P.S. Non so se te l’ho mai detto ma mio fratello, prima di chiamarsi Carlo…
si chiamava Carla: spero che questo non sia un problema.

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’ultimo posto all’inferno

L’ultimo posto all’inferno

L’inferno era al completo ormai, e fuori della porta una lunga fila di persone attendeva ancora di entrare.
Il diavolo fu costretto a bloccare all’ingresso tutti i nuovi aspiranti
Era rimasto un solo posto libero, e logicamente doveva toccare al più grosso dei peccatori, quindi chiese:

“C’è almeno qualche pluriomicida tra voi?”

Per trovare il peggiore di tutti, il diavolo cominciò ad esaminare i peccatori in coda.
Dopo un po’ ne vide uno di cui non si era accorto prima.
“Che cosa hai fatto tu?” gli chiese.
“Niente. Io sono un uomo buono e sono qui solo per un equivoco!”
“Hai fatto certamente qualcosa!” ghignò il diavolo “Tutti fanno qualcosa!”

“Ah, lo so bene!” rispose l’uomo convinto “Ma io mi sono sempre tenuto alla larga.

Ho visto come gli uomini perseguitavano altri uomini, ma non ho partecipato a quella folle caccia.
Lasciano morire di fame i bambini e li vendono come schiavi; hanno emarginato i deboli come spazzatura.
Non fanno che escogitare perfidie e imbrogli per ingannarsi a vicenda.
Io solo ho resistito alla tentazione e non ho fatto niente. Mai!”
“Assolutamente niente?” chiese il diavolo incredulo, “Sei sicuro di aver visto tutto?”

“Con i miei occhi!” replicò l’uomo.

“E non hai fatto niente?” ripeté il diavolo.
“No!”
Il diavolo ridacchiò: “Entra, amico mio. Il posto è tuo!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Pagato in pieno!

Pagato in pieno!

Dopo aver vissuto una vita “decente”, il mio tempo sulla terra giunse alla fine.
La prima cosa che ricordo è che stavo seduto su una sedia nella sala d’aspetto di ciò che pensai fosse un’aula di tribunale.
Le porte si aprirono e mi comandarono di entrare e di prendere posto al tavolo della difesa.
Mentre mi guardavo attorno, vidi l’accusatore, era un malvagio dall’aspetto angelico, il quale ringhiava mentre mi fissava.
Sinceramente era la persona più malvagia che avessi mai visto.
Mi sedetti e guardai alla mia sinistra, lì c’era il mio avvocato, una persona dall’aspetto gentile e amorevole, mi era molto familiare.
La porta all’angolo si aprì e apparve il giudice, vestito di una tunica lunga, il quale emanava una meravigliosa presenza, mentre camminava verso il suo posto, tanto che non potevo fare a meno di guardarlo.

Quindi disse: “Cominciamo!”

L’accusatore cominciò e disse:
“Il mio nome è Satana e sono qui per mostrarvi perché quest’uomo appartiene all’inferno!”
Continuò mettendo in luce le bugie che dissi, le cose che rubai e quando nel passato tradii il prossimo e altre terribili perversioni, che sono state parte della mia vita e, più lui parlava più mi sentivo sprofondare giù.
Ero così imbarazzato che non riuscivo a guardare nessuno, nemmeno il mio avvocato.
Il diavolo parlava di peccati che avevo completamente dimenticato; ero talmente sconvolto all’udire tutte queste cose che Satana stava dicendo, ma lo ero anche perché il mio avvocato stava seduto in silenzio, senza offrire nessuna forma di difesa.
Sapevo di essere colpevole di quelle cose, ma avevo fatto anche delle cose buone durante la mia vita, non avrebbero potuto esse alla fine riparare i danni che avevo causato?

Satana concluse con forza dicendo:

“Quest’uomo appartiene all’inferno, egli è colpevole di tutto ciò che ho appena detto e nessuno può provare il contrario!”
Quando fu il suo turno, il mio avvocato prima di tutto chiese se si potesse avvicinare al giudice e gli fu concesso nonostante la forte obiezione di Satana, ma il giudice gli disse di farsi avanti.
Quando si alzò e cominciò a camminare, fui in grado di vederlo nel suo pieno splendore e maestà.
Capii perché mi sembrava così familiare.
Gesù era il mio Avvocato!
Egli si fermò davanti al giudice e dolcemente gli disse: “Ciao Padre!”
Quindi si rivolse alla corte:
“Satana ha detto bene dicendo che quest’uomo ha peccato, non negherò nulla di ciò che ha detto, ed è vero che la pena per il peccato è la morte e quest’uomo merita di essere punito!”
Gesù fece un profondo respiro e si rivolse al padre suo con le braccia aperte dicendo:
“Ad ogni modo sono morto sulla croce così che questa persona potesse ottenere la vita eterna e lui mi ha accettato come suo Salvatore, così che lui è mio!”

Il Signore continuò dicendo:

“Il suo nome è scritto nel libro della vita e nessuno può strapparmelo.
Satana ancora non l’ha capito del tutto!
Quest’uomo non deve essere consegnato alla giustizia ma alla misericordia.”
Quindi Gesù riprese il suo posto e tranquillamente fece una pausa guardando suo Padre, poi continuò:
“Non c’è altro che è necessario fare.
Ho già fatto ogni cosa!”
Il Giudice alzò le Sue potenti mani e diede la sentenza.

Le seguenti parole uscirono dalle Sue labbra:

“Quest’uomo è libero.
La pena per lui è stata pagata in pieno, il caso è chiuso!”
Mentre il Signore mi guidava fuori, potei sentire Satana infuriato gridare:
“Non mi scoraggio, vincerò sul prossimo!”
Quindi rivolgendomi a Gesù con gratitudine gli chiesi:
“Hai mai perso una causa?”
Cristo mi sorrise amorevolmente e mi rispose:
“Tutti coloro che vengono a me e mi chiedono di rappresentarli, ricevono lo stesso verdetto:
Pagato in pieno!”

Brano senza Autore, tratto dal Web