L’orsacchiotto di peluche e la renna

L’orsacchiotto di peluche e la renna

Misha era un orsacchiotto di peluche.
Aveva le piante dei piedi in velluto avana, una sciarpetta e un nasetto, sempre di velluto, marrone.
Apparteneva ad una bambina capricciosa, che a volte lo colmava di coccole e a volte lo sbatteva di malagrazia sul pavimento prendendolo per le delicate orecchie di stoffa.
Così, un bel giorno, Misha prese la più grande decisione della sua vita: scappare.
Approfittò della confusione dei giorni che precedevano il Natale, infilò la porta e si riprese la libertà.
Se ne andò nella neve battendo i tacchi, felice come non era mai stato.

In ogni angolo faceva scoperte meravigliose:

gli alberi, gli insetti, gli uccelli, le stelle.
Misha sgranava gli occhi:
era tutto così incredibilmente bello.
Venne la sera di Natale, quella in cui tutte le creature sono invitate a fare una buona azione.
Misha sentì i sonagli di una slitta.
Era una Renna che correva tirando una slitta carica di pacchetti avvolti in carta colorata.
La Renna vide l’orsacchiotto, si fermò e gli spiegò, con molta cortesia che sostituiva Babbo Natale, il quale era troppo vecchio e malandato e con tutta quella neve non poteva andare in giro a piedi.

La Renna invitò Misha a salire.

E così Misha cominciò a girare città e paesi sulla slitta magica di Babbo Natale.
Era proprio lui che deponeva in ogni camino un giocattolo o un regalino confezionato apposta.
Si divertiva, era pieno di gioia.
Se fosse rimasto il piccolo saggio giocattolo, avrebbe mai conosciuto una simile notte?
Ed ecco che arrivò l’ultima casa: una povera capanna ai margini del bosco.
Misha cacciò la mano nel gran sacco, cercò, frugò: non c’era più niente!
“Renna, o Renna!
Non c’è più niente nel tuo sacco!” disse l’orsacchiotto.

“Oh!” gemette la Renna.

Nella capanna viveva un ragazzino ammalato.
L’indomani, svegliandosi, avrebbe visto le sue scarpe vuote davanti al camino?
La Renna guardò Misha coi suoi begli occhi profondi.
Allora Misha sospirò, abbracciò con un colpo d’occhio la campagna dove gli piaceva tanto gironzolare tutto solo e, alzando le spalle, mettendo avanti una zampa dopo l’altra, uno-due, uno-due, per fare la sua buona azione di Natale, entrò nella capanna, si rannicchiò in una scarpa e aspettò il mattino.

Brano senza Autore

Il regalo (Il cammino lungo e difficile)

Il regalo
(Il cammino lungo e difficile)

Tobia era un bambino di quarta elementare, silenzioso e sereno.
Viveva con i genitori e la sorellina in una modesta casetta, ai margini del paese, appollaiato su una collina costellata di ulivi, a qualche chilometro dal mare.
Il giorno della chiusura della scuola, prima delle vacanze di Natale, tutti i bambini della quarta elementare fecero a gara per portare un regalo alla maestra, che si chiamava Marisa, ed era gentile e simpatica.

Sulla cattedra, si ammucchiarono pacchetti colorati…

La maestra ne notò subito uno piccolo piccolo, con un bigliettino vergato dalla calligrafia chiara ed ordinata di Tobia:
“Alla mia maestra.”
Marisa ringraziò i bambini, uno alla volta.
Quando venne il turno di Tobia, aprì il pacchettino e vide che conteneva una piccola, magnifica conchiglia, la più bella che la maestra avesse mai visto:
era tutta un ricamo pieno di fantasia, foderato di madreperla iridescente.
“Dove hai preso questa conchiglia, Tobia?” chiese la maestra.

“Giù, alla Scogliera Grande!” rispose il bambino.

La Scogliera Grande era molto lontana, e si poteva raggiungere solo tramite un sentierino scosceso.
Era un cammino interminabile e tribolato, ma solo là si potevano trovare delle conchiglie speciali, come quella di Tobia.
“Grazie, Tobia!
Terrò sempre con me questo bellissimo regalo, che mi ricorderà la tua bontà…
Ma dovevi proprio fare tutto quel lungo e difficile cammino, per cercare un regalo per me?” chiese.

Tobia sorrise e rispose:

“Il cammino lungo e difficile fa parte del regalo!”

Brano tratto dal libro “C’è ancora qualcuno che danza.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

È Natale ogni volta che…

È Natale ogni volta che…

… sorridi a un fratello e gli tendi la mano.

… rimani in silenzio per ascoltare l’altro.

… non accetti quei principi che relegano gli oppressi ai margini della società.
… speri con quelli che disperano nella povertà fisica e spirituale.

… riconosci con umiltà i tuoi limiti e la tua debolezza.

… permetti al Signore di rinascere per donarlo agli altri.

Poesia di Madre Teresa di Calcutta

Il sogno, la croce ed il burrone

Il sogno, la croce ed il burrone

Un uomo sempre scontento di sé e degli altri continuava a brontolare con Dio perché diceva:
“Ma chi l’ha detto che ognuno deve portare la sua croce?
Possibile che non esista un mezzo per evitarla?
Sono veramente stufo dei miei pesi quotidiani!”

Il Buon Dio gli rispose con un sogno.

Vide che la vita degli uomini sulla Terra era una sterminata processione.
Ognuno camminava con la sua croce sulle spalle.
Lentamente, ma inesorabilmente, un passo dopo l’altro.
Anche lui era nell’interminabile corteo e avanzava a fatica con la sua croce personale.
Dopo un po’ si accorse che la sua croce era troppo lunga:
per questo faceva tanta fatica ad avanzare.
“Sarebbe sufficiente accorciarla un po’ e tribolerei molto meno!” si disse.
Si sedette su un paracarro e, con un taglio deciso, accorciò d’un bel pezzo la sua croce.
Quando ripartì si accorse che ora poteva camminare molto più spedito e leggero.
E senza tanta fatica giunse a quella che sembrava la meta della processione degli uomini.

Era un burrone:

una larga ferita nel terreno, oltre la quale però incominciava la “terra della felicità eterna.”
Era una visione incantevole quella che si vedeva dall’altra parte del burrone.
Ma non c’erano ponti, né passerelle per attraversare.
Eppure gli uomini passavano con facilità.
Ognuno si toglieva la croce dalle spalle, l’appoggiava sui bordi del burrone e poi ci passava sopra.
Le croci sembravano fatte su misura:
congiungevano esattamente i due margini del precipizio.

Passavano tutti.

Ma non lui.
Aveva accorciato la sua croce e ora essa era troppo corta e non arrivava dall’altra parte del baratro.
Si mise a piangere e a disperarsi:
“Ah, se l’avessi saputo…”
Ma, ormai, era troppo tardi e lamentarsi non serviva a niente.

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero. Edizioni Elledici.