Festa per le nozze

Festa per le nozze

La storia racconta del matrimonio di una coppia italiana.
Gli sposi si erano messi d’accordo con il parroco per tenere un piccolo ricevimento nel cortile della parrocchia, fuori della chiesa, non avendo grandi possibilità economiche.
Ma si mise a piovere, e non potendo tenere il ricevimento fuori, i due chiesero al prete se fosse stato possibile festeggiare in chiesa.
Il parroco non era affatto contento che si festeggiasse all’interno della chiesa, ma i due dissero:
“Mangeremo un po’ di torta, canteremo una canzoncina, berremo un po’ di vino, e poi andremo a casa!”

Il parroco si convinse.

Ma gli invitati bevvero un po’ di vino, cantarono una canzoncina, poi bevvero un altro po’ di vino, cantarono qualche altra canzone, e poi ancora vino e ancora canzoni, e così dopo una mezz’ora in chiesa si stava festeggiando alla grande.
Tutti si divertivano da morire, godendosi la festa.
Ma il parroco, tesissimo, passeggiava avanti e indietro nella sacrestia, turbato dal rumore che gli invitati stavano facendo.
Entrò il suo viceparroco, che gli disse:

“Vedo che è molto teso.”

“Certo che sono teso!
Senti che rumore stanno facendo, proprio nella Casa del Signore!
Per tutti i Santi!” rispose il parroco.
“Ma Padre, non avevano davvero alcun posto dove andare!” spiegò il viceparroco.
“Lo so bene!
Ma è assolutamente necessario fare tutto questo baccano?” domandò allora il parroco.
“Beh, in fondo, Padre, non dobbiamo dimenticare che Gesù stesso ha partecipato una volta a un banchetto di nozze!” replicò il viceparroco.

Il parroco rispose:

“So benissimo che Gesù Cristo ha partecipato a un banchetto di nozze, non devi mica venire a dirmelo tu!
Ma a Cana non avevano il Santissimo Sacramento!”

Brano tratto dal libro “Messaggio per un’ aquila che si crede un pollo.” di Anthony De Mello

La gatta innamorata di un giovane

La gatta innamorata di un giovane

C’era una volta una gatta che bruciava d’amore per un giovane.
Era tanto innamorata che chiese aiuto ad una fata perché la trasformasse in una donna molto bella, capace di conquistare il giovane.

La fata l’accontentò e la gatta assunse l’aspetto di donna.

Conobbe il giovane e ben presto iniziarono i preparativi per il matrimonio.
Venne il giorno delle nozze, che furono celebrate tra canti e danze e girotondi.

Molte luci illuminavano la festa e agli invitati venivano offerti cibi squi­siti.

Tutto andava per il meglio.
Ma ecco che d’un tratto la sposa vide correre via un sorcetto, e immediatamente si lanciò a rincorrerlo.

Brano tratto dal libro “365 piccole storie per l’anima.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

I momenti di felicità

I momenti di felicità

Un turista si fermò, per caso, nei pressi di un grazioso villaggio immerso nella campagna.
La sua attenzione fu attirata dal piccolo cimitero:
era circondato da un recinto di legno lucido e c’erano tanti alberi, uccelli e fiori incantevoli.
Il turista s’incamminò lentamente in mezzo alle lapidi bianche distribuite a casaccio in mezzo agli alberi.

Cominciò a leggere le iscrizioni.

La prima:
Giovanni Tareg, visse 8 anni, 6 mesi, 2 settimane e 3 giorni.
Un bambino così piccolo seppellito in quel luogo…
Incuriosito, l’uomo lesse l’iscrizione sulla pietra di fianco, diceva:
Denis Kalib, visse 5 anni, 8 mesi e 3 settimane.
Un altro bambino…
Una per una prese a leggere le lapidi.
Recavano tutte iscrizioni simili:
il nome e il tempo di vita esatto del defunto, ma la persona che aveva vissuto più a lungo aveva superato a malapena gli undici anni…
Si sentì pervadere da un grande dolore, si sedette e scoppiò in lacrime.
Una persona anziana che stava passando rimase a guardarlo piangere in silenzio e poi gli chiese se stesse piangendo per qualche famigliare.
“No, no, nessun famigliare,” disse il turista, “ma che cosa succede in questo paese?
Che cosa c’è di così terribile da queste parti?
Quale orribile maledizione grava su questa gente, per cui tutti muoiono bambini?”

L’anziano sorrise e disse:

“Stia sereno.
Non esiste nessuna maledizione.
Semplicemente qui seguiamo un’antica usanza.
Quando un giovane compie quindici anni, i suoi genitori gli regalano un quadernetto, come questo qui che tengo appeso al collo.
Ed è tradizione che a partire da quel momento, ogni volta che uno di noi vive intensamente qualcosa apre il quadernetto e annota quanto tempo è durato il momento di intensa e profonda felicità.
Si è innamorato… Per quanto tempo è durata la grande passione?
Una settimana? Due? Tre settimane e mezzo?
E poi… l’emozione del primo bacio quanto è durata?
Il minuto e mezzo del bacio? Due giorni? Una settimana?

E la gravidanza o la nascita del primo figlio?

E il matrimonio degli amici?
E il viaggio più considerato?
E l’incontro con il fratello che ritorna da un paese lontano?
Per quanto tempo è durato il piacere di quelle situazioni?
Ore? Giorni?
E così continuiamo ad annotare sul quadernetto ciascun momento in cui assaporiamo il piacere… ciascun momento.
Quando qualcuno muore, è nostra abitudine aprire il suo quadernetto e sommare il tempo in cui ha assaporato una soddisfazione piena e perfetta per scriverlo sulla sua tomba, perché secondo noi quello è l’unico, vero tempo vissuto!”

Non limitarti ad esistere… vivi!
Non limitarti a toccare… senti!
Non limitarti a guardare… vedi!
Non limitarti a udire… ascolta!
Non limitarti a parlare… dì qualcosa!

Brano tratto dal libro “I fiori semplicemente fioriscono.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

La moglie nascosta sotto al letto

La moglie nascosta sotto al letto

Una donna, dopo qualche anno di matrimonio, fu assalita da tantissimi dubbi.
Non riusciva a capire se il marito l’amasse o meno e non sapeva come risolvere la situazione.
Dopo aver seguito una trasmissione televisiva sui tradimenti, decise di scoprirlo.
Scrisse una lettera che lasciò sul comodino della camera.
Si nascose sotto il letto della camera ed aspettò il marito.
Amava tantissimo suo marito ma era disposta a rischiare di perderlo pur di vedere la sua reazione, voleva capire se i sentimenti del marito per lei erano ancora gli stessi.

Dopo essere rientrato, molto stanco come al solito, trovò solo silenzio:

niente TV accesa, niente cena pronta.
Non trovò neanche la moglie, ma pensò semplicemente che fosse andata da qualche parte senza avvisarlo, quando, giunse nella camera da letto e vide la lettera.
La aprì e lesse ad alta voce il contenuto:
“Il nostro rapporto non è più lo stesso e la routine sta devastando il nostro matrimonio.
Quando torni a casa sei sempre stanco, non vuoi mai stare con me e neppure uscire.
Infatti, le nostre uscite si sono diradate; preferisci guardare le partite di calcio in TV.

Non mi dici più che mi ami come un tempo…

mi dispiace, ma il nostro rapporto non può continuare così!”
Finì di leggere, prese un pezzo di carta e scrisse anche lui una lettera, dopodiché iniziò a saltare di gioia e fece subito una telefonata:
“Ciao Amore!
Mia moglie finalmente ha capito che la nostra storia era finita e se ne è andata di casa.
Ora siamo liberi di stare insieme.
Tra qualche minuto sarò da te.”
Salì in macchina e se ne andò.
La moglie rimase in silenzio, nascosta e tremante, in attesa che suo marito, ormai ex, uscisse di casa.
Non appena il marito ebbe lasciato l’appartamento, la donna, con il volto rigato dalle lacrime, uscì dal suo nascondiglio.
Scioccata si guardò intorno finché non notò una seconda lettera sulla scrivania,

la prese ed iniziò a leggere:

“Ciao amore!
Ti darò qualche consiglio.
La prossima volta che vuoi farmi uno scherzo, assicurati che i tuoi piedi sotto il letto siano ben nascosti.
Sei pazza, ma ti amo tanto!
Sono andato a comprare la cena.
Ci vediamo tra poco.”

Brano senza Autore.

Il sogno nel cassetto

Il sogno nel cassetto

Era una sera d’autunno e, alla periferia di un grande città, dei “topi da appartamento” entrarono in una viletta per fare razzia.
Da esperti del mestiere individuarono immediatamente

un cassetto chiuso con una serratura.

I ladri pensarono subito ad un ricco bottino di denaro o a dei gioielli preziosi.
Aperto dopo varie peripezie il cassetto, vi trovarono dentro, rimanendo estremamente sorpresi, solo una foto incorniciata di una giovane coppia,

immortalata nel giorno del loro matrimonio,

con la sposa su una carrozzina per disabili ed un paio di scarpette di lana per neonati.
I malviventi non trovarono il tesoro agognato, ma solo il sogno nel cassetto di una giovane coppia desiderosa di avere un figlio.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La penitenza del chierichetto (Il sacchetto di fagioli)

La penitenza del chierichetto
(Il sacchetto di fagioli)

Anch’io sono stato chierichetto ed anche molto serio.
Mia mamma era rimasta molto colpita ed era orgogliosa dell’invito che mi aveva fatto il Parroco dell’epoca, Don Mario, per fare il chierichetto e ciò perché noi eravamo una famiglia di immigrati e, l’immigrato in genere, non è da subito ben inserito nella vita del paese.
Un tempo era così, ora la mentalità è più aperta, ma al tempo dovevi avere pazienza.
Allora mia mamma mi manda subito da un’amica sarta, che mi prenda le misure e mi confeziona la vestina del chierichetto.
Nella mia Parrocchia allora i chierichetti indossavano una tunica nera con sopra una cotta bianca
corta.
La sarta era brava e mi confezionò la più bella vestina di tutti gli altri ragazzi, che facevano i chierichetti.
Io ero uno dei più piccoli e dovevo ancora imparare molte cose allora il Parroco mi affidò ad uno più vecchio che mi doveva insegnare i compiti del chierichetto nelle varie cerimonie.

Scoprii allora che i chierichetti non sono tutti uguali:

c’era il turiferario in genere più anziano (si fa per dire) degli altri, che portava il turibolo per porgerlo al celebrante nel momento opportuno per incensare.
Il turiferario è assistito da quello che porta l’incenso dentro la navicella, poi ci sono quelli che portano le torce accese, quelli che seguono la messa, il cerimoniere che dà gli ordini, quelli che accendono e spengono le candele, quelli che rispondono alla Messa.
Insomma molti compiti e per ogni compito serviva una specifica istruzione perché il Parroco era severissimo, non bisognava assolutamente parlare tra noi, né litigare, ecc.
Il Parroco ci chiamava a fare l’istruzione dei chierichetti una volta la settimana e durante le vacanze anche due volte alla settimana.
Lui teneva la conferenza, ci raccomandava il silenzio, la meditazione, le buone letture e poi ci lasciava alle istruzioni pratiche affidate al capo chierichetto più anziano.
Io venni destinato a “rispondere alla messa” ossia alla liturgia della messa domenicale o feriale, ero troppo piccolo, infatti per il turibolo, che era più alto di me ed anche per le candele alle quali non arrivavo nemmeno con lo stoppino acceso lungo venti centimetri.
La Santa Messa era in latino ed io il latino non lo sapevo,

ma il Parroco mi diede il libricino della messa in latino scritto in due caratteri.

Le frasi scritte con caratteri normali le diceva il Parroco o Celebrante mentre le risposte in neretto le dovevo dire io.
Ed io in un lampo imparai tutte le risposte al celebrante in latino anche se non sapevo cosa volessero dire.
L’altare non era rivolto verso il pubblico come ora ma rivolto verso il fondo della Chiesa ed il Parroco dava le spalle al pubblico e la fila dei chierichetti si metteva nel presbiterio alle spalle del celebrante su due file.
Si entrava dalla Sagrestia, genuflessione ai piedi dell’altare poi il Parroco saliva all’altare poggiava il calice, quindi scendeva e mi ricordo ancora le prime frasi della Messa.
Dopo aver recitato in ginocchio il tradizionale:
“In nomine Patris et Filii…… ecc”, il celebrante diceva:
“introibo ad altare Dei.” ed io subito pronto, “Ad Deum qui laetificat juventutem meam.”
Il Parroco celebrante rispondeva:
“Adiutorium nostrum in nomine Domini.” ed io pronto e immediato, “Qui fecit caelum et terram….”
Poi veniva il Confiteor e cosi via.
Ma noi piccoli chierichetti non sapevano il latino e quindi le frasi le troncavamo o non eravamo pronti a rispondere ed allora il Parroco ci riprendeva ed anche ci suggeriva.

Io però più che dal latino ero impacciato con la mia bella tunica.

La prima parte della Messa si diceva tutta in ginocchio.
Il pavimento del presbiterio non era mai stato finito e non aveva il marmo come adesso, ma c’era il cemento grezzo.
Avevo i calzoni corti, mi sollevavo allora la tunica per non rovinarla e mi inginocchiavo sul cemento grezzo, che era fatto tutto di piccoli sassolini che sulle ginocchia nude diventavano dolorose.
Dopo un po’ bruciavano, allora per trovare un riparo arrotolavo la tunica sotto le ginocchia così per un po’ il dolore passava.
Il Parroco se ne accorgeva dei vari spostamenti e movimenti e sommessamente ci invitava a stare fermi.
Tra i chierichetti mi feci notare per la serietà ed allora mi chiamavano soprattutto per i funerali, mentre quelli più vecchi e forse anche un tantino più furbi preferivano i matrimoni.
Chissà perché!
Tra i chierichetti c’era sempre qualche monello.
Qualche carboncino destinato al turibolo prendeva qualche altra strada e poi lo si usava per accendere il fuoco o per bruciare le barbe del granoturco o i semi del fenocio che davano un certo aroma di anice.
Il Parroco però ci diceva, che il chierichetto doveva essere sempre irreprensibile e studioso ed allora invece che mandarci in gita premio, ci mandava a fare gli esercizi spirituali a Villa Immacolata a Torreglia.

Ci andai anch’io, ancora molto piccolo così scoprii cosa fossero questi esercizi spirituali:

silenzio, raccoglimento, preghiera, poco gioco, nessun pallone, meditazione al mattino, meditazione al pomeriggio, silenzio assoluto dopo la cena.
La Messa tutti i giorni poi l’istruzione dei chierichetti per gruppi.
Anche se non si poteva parlare tuttavia conobbi lo stesso un mio coetaneo di una Parrocchia vicina e facemmo subito amicizia perché mi era parso subito molto sveglio.
Mi confidò infatti che nella sua Parrocchia dopo la Messa degli sposi lui andava dai compari degli sposi li salutava e tra un saluto e l’altro diceva loro:
“La settimana scorsa abbiamo fatto un bel matrimonio, ma così bello che ci hanno anche dato una mancia per i chierichetti!”
In genere l’allusione funzionava e subito, anche i nuovi compari, gli sganciavano una bella mancia, che lui raccoglieva diligentemente in una musina per fare una bella gita a fine anno.
Dopo la meditazione sul finire degli esercizi spirituali venne anche la confessione.
Andai a confessarmi da un prete che non conoscevo.

Si dimostrò subito molto severo ed austero.

Come penitenza, dopo la confessione, non mi prescrisse come faceva di solito il mio Parroco di recitare delle preghiere, ma di mettere una manciata di fagioli nelle scarpe e di camminare il giorno dopo con i fagioli dentro alle scarpe.
Mi consegnò infatti un sacchettino piccolissimo con dentro una decina di fagiolini bianchi con l’occhio nero.
Misi i fagioli nelle scarpe come mi aveva detto e poi non riuscivo più a correre perché mi facevano male le piante dei piedi lungo le stradine in salita della Villa Immacolata.
Incontrai il mio nuovo amico e vidi che lui camminava invece spedito e correva senza problemi.
Lo chiamai e gli dissi sottovoce, perché si doveva stare in silenzio:
“Sono andato a confessarmi ed il prete mi ha dato un sacchettino di fagioli da mettere come penitenza nelle scarpe!”
“Anche a me ha dato la stessa penitenza,” mi disse l’amico, “ed anch’io ho messo i fagioli nelle scarpe!”

Ed allora io replicai tutto stupito:

“Come mai tu corri senza problemi ed io ho un male boia alle piante dei piedi?” gli chiesi molto stupito.
E Lui mi rispose sorridendo:
“I fasoi non mi fanno male ai piedi, perché io ieri sera li ho messi a bagno in una tazza di acqua calda.
Il confessore non mi ha detto, infatti, che i fagioli dovevano essere secchi o bagnati e io prima di metterli nelle scarpe li ho messi a bagno.”
Rimasi molto colpito dalla furbata e dissi tra me questo amico si toglie facilmente dai problemi.
Beh stenterete a credere, poi ci perdemmo di vista, ma questo compagno di esercizi spirituali divenne in seguito Direttore di Banca e le rare volte, che andavo nella sua agenzia dicevo a gran voce:
“Direttore mi fanno male i piedi!” e lui replicava:
“Acqua calda e fasoi!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il mercante, il cavallo ed il chiodo

Il mercante, il cavallo ed il chiodo

Un mercante aveva concluso ottimi affari alla fiera:
aveva venduto tutta la merce e la sua borsa era gonfia di pezzi d’oro e d’argento.
Per prudenza voleva rientrare a casa prima del cadere della notte e decise perciò di mettersi sollecitamente in marcia.
Assicurò saldamente la sua borsa alla sella del suo cavallo e poi lo spronò, partendo al galoppo.

Verso mezzogiorno fece tappa in una città.

Il palafreniere che aveva accudito il suo cavallo, tendendogli le redini, gli fece notare un particolare:
“Signore, al cavallo manca un chiodo al ferro della zampa posteriore sinistra!”
“Lascia perdere,” sbottò il mercante, “per le sei leghe soltanto che mi restano da fare, il ferro terrà benissimo. Ho fretta!”
A metà pomeriggio, il mercante sostò a una locanda e fece dare una razione d’avena al suo cavallo.
Il valletto che badava alla stalla venne a dirgli:
“Signore, manca un ferro alla zampa posteriore sinistra del vostro cavallo.

Se volete, provvedo a ferrarlo.”

“Ma no,” disse il mercante, “ho molta fretta e la bestia sopporterà bene le due leghe che mi restano da fare.”
Risalì in sella e continuò la strada, ma poco dopo il cavallo cominciò a zoppicare.
Non zoppicò a lungo prima di incominciare a vacillare.
Non vacillò a lungo prima di cadere e spezzarsi una zampa.
Così il mercante fu costretto ad abbandonarlo.
Si caricò la borsa sulle spalle, fu sorpreso dalla notte quando la strada si inoltrava in un bosco pericoloso, due malandrini lo derubarono di tutto e arrivò a casa il mattino dopo, pesto e arrabbiato.

“E tutto per colpa di un maledetto chiodo!” concluse.

Le catene non tengono unito un matrimonio.
Sono i fili, centinaia di piccoli fili, a cucire insieme i coniugi nel corso degli anni.
Tanti piccoli fili “da niente.”
Ma noi abbiamo sempre fretta e spesso ne spezziamo qualcuno.
Finché ci sorprende il disastro.

Brano dei Fratelli Grimm

Quattro brani brevi di Bruno Ferrero

Quattro brani brevi
di Bruno Ferrero
—————————–

L’anima al sole

Credi in Dio?

Che cosa devo fare per la pace del mondo?

Devi imparare ad ascoltare

—————————–
“L’anima al sole”

 

Un missionario in Papua Nuova Guinea si accorse che uno dei suoi nuovi cristiani, un fiero capo della tribù kanaka, alla fine di ogni Messa andava davanti al tabernacolo e vi rimaneva a lungo, dritto come una palma, a torso nudo.
Era un uomo molto semplice, che non aveva ancora neppure imparato a leggere la Bibbia.
Un giorno il missionario non resistette alla curiosità e gli chiese che cosa facesse, così fermo e silenzioso davanti al tabernacolo.
Ridendo, il kanako rispose:
“Tengo la mia anima al sole!”

Tratto dal libro “Quaranta (40) storie nel deserto.” Edizioni ElleDiCi.

—————————–
“Credi in Dio?”

 

Due pesci rossi vivevano in un vaso di vetro.
Nuotando pigramente in tondo avevano anche tempo per filosofare.
Un giorno un pesce chiese all’altro:
“Tu credi in Dio?”
“Certo!” rispose il secondo pesce.
“E come fai a saperlo?” chiese il primo pesce.
“Chi credi che ci cambi l’acqua, tutti i giorni?” domandò filosoficamente il secondo pesce.

Tratto dal libro “Il segreto dei pesci rossi.” Edizioni ElleDiCi.

—————————–
“Che cosa devo fare per la pace del mondo?”

 

Un giovane studente che aveva una gran voglia di impegnarsi per il bene dell’umanità, si presentò un giorno da San Francesco di Sales e gli chiese:
“Che cosa devo fare per la pace del mondo?”
San Francesco di Sales gli rispose sorridendo:
“Non sbattere la porta così forte…”

Tratto dal libro “L’importane è la rosa.” Edizioni ElleDiCi.

—————————–
“Devi imparare ad ascoltare”

 

Un uomo, preoccupato perché il suo matrimonio era in crisi, si recò a chiedere consiglio da un famoso maestro.
Questi lo ascoltò e poi gli disse:
“Devi imparare ad ascoltare tua moglie.”
L’uomo prese a cuore questo consiglio e tornò dopo un mese per dire che aveva ascoltato ogni parola che la moglie dicesse.
Il maestro gli disse sorridendo:
“Ora torna a casa e ascolta ogni parola che non dice.”

Tratto dal libro “Il canto del grillo.” Edizioni ElleDiCi.

Il saggio e le due donne

Il saggio e le due donne

Due donne si recarono da un saggio, che aveva fama di santo, per chiedere qualche consiglio sulla vita spirituale.
Una pensava di essere una grande peccatrice.
Nei primi anni del suo matrimonio aveva tradito la fiducia del marito.
Non riusciva a dimenticare quella colpa, anche se poi si era sempre comportata in modo irreprensibile, e continuava a torturarsi per il rimorso.
La seconda invece, che era sempre vissuta nel rispetto delle leggi, si sentiva perfettamente innocente e in pace con se stessa.

Il saggio si fece raccontare la vita di tutte e due.

La prima raccontò tra le lacrime la sua grossa colpa.
Diceva, singhiozzando, che per lei non poteva esserci perdono, perché troppo grande era il suo peccato.
La seconda disse che non aveva particolari peccati da confessare.
Il sant’uomo si rivolse alla prima:
“Figliola, vai a cercare una pietra, la più pesante e grossa che riesci a sollevare e portamela qui!”
Poi, rivolto alla seconda:
“E tu, portami tante pietre quante riesci a tenerne in grembo, ma che siano piccole.”
Le due donne sì affrettarono a eseguire l’ordine del saggio.
La prima tornò con una grossa pietra, la seconda con un’enorme borsa piena di piccoli sassi.

Il saggio guardò le pietre e poi disse:

“Ora dovete fare un’altra cosa:
riportate le pietre dove le avete prese, ma badate bene di rimettere ognuna di esse nel posto esatto dove l’avete presa.
Poi tornate da me.”
Pazientemente, le due donne cercarono di eseguire l’ordine del saggio.
La prima trovò facilmente il punto dove aveva preso la pietrona e la rimise a posto.
La seconda invece girava invano, cercando di ricordarsi dove aveva raccattato le piccole pietre della sua borsa.
Era chiaramente un compito impossibile e tornò mortificata dal saggio con tutte le sue pietre.

Il sant’uomo sorrise e disse:

“Succede la stessa cosa con i peccati.
Tu,” disse rivolto alla prima donna, “hai facilmente rimesso a posto la tua pietra perché sapevi dove l’avevi presa:
hai riconosciuto il tuo peccato, hai ascoltato umilmente i rimproveri della gente e della tua coscienza, e hai riparato grazie al tuo pentimento.
Tu, invece,” disse alla seconda, “non sai dove hai preso tutte le tue pietre, come non hai saputo accorgerti dei tuoi piccoli peccati.
Magari hai condannato le grosse colpe degli altri e sei rimasta invischiata nelle tue, perché non hai saputo vederle!”

Brano di Bruno Ferrero