Tobia e la preghiera dell’alfabeto

Tobia e la preghiera dell’alfabeto

La giornata di Tobia, come accade a tutti i bambini, aveva molti più impegni di quella del Presidente della Repubblica.
Il mattino alle sette, la mamma arrivava ronzando come un implacabile elicottero: “
Tobia, pigrone, fuori dal letto, giù i piedoni!”
Il bambino fingeva di riaddormentarsi e la mamma gli faceva il solletico dappertutto.

Subito dopo, arrivavano le cose serie:

“Le orecchie, tutte e due!
I denti!
Non ti accorgi che i calzini sono scompagnati?
No e poi no!
A scuola con le scarpe da ginnastica non ci vai!
Non me ne importa un fico secco se sono comode!
Attento che scivoli…
Te l’avevo detto che scivolavi!”
In cucina, il ronzio ripartiva:
“Mangia con calma!
Niente brioche!
Pane e marmellata!
Non sorbire il latte come un’idrovora.
Non ti sporcare!
Ti sei sporcato!
Intanto la sorellina gli faceva le boccacce e lui non poteva reagire perché la mamma stava sempre dalla parte della più piccola.
Quando finalmente si sedeva sul bus, tirava un grosso sospiro di sollievo.
Un sollievo che durava poco.

Le maestre ronzano come la mamma:

“State fermi!
Oggi impariamo il passato remoto del verbo “crogiolarsi”.
Tobia, prova tu!”
Poi c’era l’inglese:
“Toby, can you speak more slowly, please?”
E l’aritmetica:
“Se ho cinque pere, due mele, quattro kiwi, ma perdo una pera e due kiwi, che mi resta?”
Fino all’ora di tornare a casa.
Qui tutto ricominciava:
“Tobia, lascia stare tua sorella!”
“Mi ha sporcato il quaderno apposta!” replicava il bimbo.
“Tobia, lavati le mani!
Tobia, non mettere i gomiti sul tavolo!
Tobia, mangia la verdura!” gridava la mamma.
Finalmente dopo il rito del pigiamino, dei piedi, dei denti, Tobia poteva andare a letto.
Il rito della buonanotte era il migliore della giornata.
Il papà lo abbracciava, la sorellina fingeva di baciarlo e gli morsicava l’orecchio, la mamma lo stringeva forte.

Per Tobia l’odore di mamma era la cosa più bella del mondo.

“II mio ometto.
Ti voglio tanto bene, Tobia!” gli sussurrava la mamma.
“Anch’io, mamma!” rispondeva Tobia.
“E prima di addormentarti ricordati la preghiera!” gli ricordò la mamma.
“Sì, mamma!” esclamò Tobia.
Le lenzuola sapevano di fiori e di mamma.
Tobia affondò nel letto e chiuse gli occhi.
Si ricordò della preghiera.
Allora pregò in questo modo:
“Sono veramente stanco, Signore.
E non mi ricordo neanche una preghiera.
Facciamo così: reciterò molto lentamente tutto l’alfabeto e tu, che conosci ogni preghiera, potrai mettere insieme le lettere in modo da formare le preghiere che ti piacciono di più!”
Quella sera, il buon Dio disse ai suoi angeli:
“Di tutte le preghiere che oggi ho sentito, questa è senz’altro la più bella, perché è nata da un cuore semplice e sincero!”

Brano senza Autore

Realizzate i vostri sogni

Realizzate i vostri sogni
Discorsi ai Laureati del 2020
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Discorso di Bill Gates


Discorso di Steven Spielberg


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“Discorso di Bill Gates”


Qualcuno di voi potrebbe essere stato ispirato da questa crisi a perseguire carriere nell’epidemiologia o nel campo della salute.
È fantastico, ma non è l’unico modo per contribuire.
I politici avranno molte decisioni da prendere nei mesi e negli anni a venire su come riprenderci da questa crisi e su come impedire che si ripeta.
Potete usare la vostra voce e il vostro voto per sostenere politiche che creino un futuro più sano e migliore per tutti, ovunque.
La cosa importante da ricordare dei percorsi di carriera è che non devono durare per sempre.

Quando avevo vent’anni,

pensavo che avrei lavorato nel settore dei software per sempre.
Non mi sono mai visto lavorare nella filantropia o nella salute globale, per non parlare del fatto di lasciare il mio lavoro in Microsoft per occuparmi di questi temi a tempo pieno.
Man mano che invecchierete, i vostri interessi e le vostre abilità si evolveranno.
Il mio consiglio è di essere aperti al cambiamento.
Non abbiate paura di provare qualcosa di nuovo.

Bill Gates
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“Discorso di Steven Spielberg”


I sogni sono un ottimo test.
Perché un sogno metterà alla prova la vostra determinazione e riconoscerete un sogno da quanto è irrealizzabile.

Un vero sogno è qualcosa che non solo attrae ma a cui ci si può anche aggrappare.

E vi supporterà attraverso ogni ostacolo che le persone e il vostro ambiente lanceranno contro di voi.
Perché se noi siamo al servizio dei nostri sogni, invece che i nostri sogni al nostro servizio, si crea qualcosa di più grande.
Ciò ci permette di superare la nostra paura di andare avanti, indipendentemente dagli ostacoli che troveremo sul nostro cammino.

Steven Spielberg
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La studentessa ed il prete professore

La studentessa ed il prete professore

Una studentessa irrequieta aveva vissuto la brutta esperienza di una “overdose”:
come tanti suoi coetanei aveva deciso di “risolvere” i propri problemi d’infelicità nello sballo.
Tuttavia, invece di essere consegnata alla polizia, fu accompagnata dagli amici in una comunità di accoglienza.
Quando la situazione lo permise, il prete che guidava la comunità, un uomo colto e preparato, professore di teologia e di psicologia, la invitò nel suo ufficio.

Così ricorda:

“Ogni sua parola era intercalata da una bestemmia.
Devo ammettere che in quel momento mi chiesi se mangiasse con la stessa bocca con cui parlava.
Cominciò col raccontarmi del suo “brutto viaggio”!”
I colloqui, nonostante tutto, continuarono.
“Ero semplicemente e completamente sconvolto dalle cose che mi descriveva ad ogni nostra seduta!” riferisce il prete, che cercava di cambiare la ragazza con i ragionamenti più sottili e convincenti.
Quando per gli studenti iniziarono le vacanze estive, finirono gli incontri tra il professore e la ragazza.
Alla ripresa autunnale, la ragazza non si fece vedere.
Il prete domandò alla sua migliore amica dove fosse.
“Oh,” disse l’amica, “si è convertita e adesso vive in una comunità cristiana del Nord, e scrive lettere come una suora!”

Il prete rimase di stucco:

non se lo sarebbe proprio aspettato.
Passarono diversi mesi ed un giorno la ragazza tornò per vedere la famiglia e gli amici.
Andò anche nell’ufficio del prete e per prima cosa lo abbracciò.
Era evidentemente molto cambiata.
Il prete le chiese come fosse avvenuta la sua conversione e soprattutto se era stato grazie ai loro colloqui, ma lei rispose:
“Oh, no.
Lei mi ha trattata con i guanti di velluto.
Il cuoco della pizzeria in cui ho lavorato quest’estate, invece, ha usato dei modi diversi.

Più di una volta mi ha detto, con il suo forte accento:

“Certo che sembri proprio triste, ragazza.
Perché non permetti a Gesù Cristo di entrare nella tua vita?
Lascia che Gesù esca dalle pagine della Bibbia per entrare nella tua vita!”.”
La ragazza sorrise e continuò:
“Io gli rispondevo:
“Taglia corto con queste fesserie” ma, a sua insaputa, cominciai a leggere la Bibbia tutte le sere.
E, una di quelle sere, Gesù Cristo “uscì” veramente da quelle pagine per entrare nella mia vita.”
Il prete professore con tutti i suoi gradi accademici era stato completamente superato dal cuoco di una pizzeria.

Brano senza Autore

San Pietro, il predicatore ed il tassista

San Pietro, il predicatore ed il tassista

Un famoso predicatore morì e salì in Paradiso, dove si accorse che un tassista della sua città occupava un posto migliore del suo.
Corse a lamentarsi da San Pietro.

“Non capisco.

Ci dev’essere stato un errore.
Io ho dedicato tutta la mia vita alla predicazione.”

San Pietro rispose:

“Noi premiamo i risultati.
Ricorda, reverendo, l’effetto delle sue prediche?”
Il pastore, a malincuore, fu costretto ad ammettere che qualcuno tra i fedeli ogni tanto si addormentava durante le prediche.

“Proprio così!” disse San Pietro,

“Invece, quando le persone salivano sul taxi di quell’uomo, non solo stavano ben sveglie, ma pregavano.”

Brano tratto dal libro “L’importante è la rosa.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

L’importanza della lettura

L’importanza della lettura

“Ho letto moltissimi libri, ma ho dimenticato la maggior parte di essi.
Ma allora qual è lo scopo della lettura?”
Fu questa la domanda che un allievo una volta fece al suo Maestro.

Il Maestro in quel momento non rispose.

Dopo qualche giorno, però, mentre lui e il giovane allievo se ne stavano seduti vicino ad un fiume, egli disse di avere sete e chiese al ragazzo di prendergli dell’acqua usando un vecchio setaccio tutto sporco che era lì in terra.
L’allievo trasalì, poiché sapeva che era una richiesta senza alcuna logica.
Tuttavia, non poteva contraddire il proprio Maestro e, preso il setaccio, iniziò a compiere questo assurdo compito.
Ogni volta che immergeva il setaccio nel fiume per tirarne su dell’acqua da portare al suo Maestro, non riusciva a fare nemmeno un passo verso di lui che già nel setaccio non ne rimaneva neanche una goccia.

Provò e riprovò decine di volte ma,

per quanto cercasse di correre più veloce dalla riva fino al proprio Maestro, l’acqua continuava a passare in mezzo a tutti i fori del setaccio e si perdeva lungo il tragitto.
Stremato, si sedette accanto al Maestro e disse:
“Non riesco a prendere l’acqua con quel setaccio.
Perdonatemi Maestro, è impossibile e io ho fallito nel mio compito.”

“No,” rispose il vecchio sorridendo, “tu non hai fallito.

Guarda il setaccio, adesso è come nuovo.
L’acqua, filtrando dai suoi buchi lo ha ripulito!”
“Quando leggi dei libri,” continuò il vecchio Maestro, “tu sei come il setaccio ed essi sono come l’acqua del fiume!”
“Non importa se non riesci a trattenere nella tua memoria tutta l’acqua che essi fanno scorrere in te, poiché i libri comunque, con le loro idee, le emozioni, i sentimenti, la conoscenza, la verità che vi troverai tra le pagine, puliranno la tua mente ed il tuo spirito, e ti renderanno una persona migliore e rinnovata.
Questo è lo scopo della lettura.”

Brano senza Autore.

La divisione dei fagioli

La divisione dei fagioli

Correva l’anno bisestile 1948.
Uno dei primi anni in cui l’Italia stava cercando di riprendersi dalla seconda guerra mondiale, con una difficile ricostruzione da cui ripartire, mentre il mondo stava per dividersi in due blocchi geopolitici, quello comunista e quello occidentale, che daranno inizio, nei successivi anni, alla guerra fredda ed alla costruzione del muro di Berlino.
La società veneta era in grande fermento, soprattutto quella contadina, aggravata dall’atavico assetto dell’istituzione patriarcale, che costringeva a vivere e lavorare, sotto lo stesso tetto, fratelli con prole allora numerosa.
A gestire, con le rigide regole di quell’epoca, era di norma il vecchio capofamiglia che, quando veniva a mancare,

rendeva la divisione per i figli quasi obbligatoria.

Erano le donne a proporre maggiormente i propri uomini per la gestione del nucleo famigliare e per la divisione dei beni, sperando di ottenere più autonomia e libertà.
La parola più gettonata era democrazia.
Non sempre la divisione avveniva in un clima sereno.
Risultava sempre difficile ottenere la parte migliore dal poco che si aveva e, nel tirare la coperta troppo corta, qualcuno rimaneva sempre scoperto.
In questo contesto, a Levada, due fratelli decisero di procedere alla spartizione dell’eredità, assoldando un mediatore per dividere casa, terra e bestiame.
Per le cose restanti decisero di fare da soli, per cercare di risparmiare.

Sorsero, però, subito dei problemi.

L’incidente più eclatante avvenne nel granaio dove, dopo essersi strattonati per la divisione di un sacco di mais e uno di preziosi e nutrienti fagioli, fecero cadere per le scale i due sacchi, che si ruppero.
I cereali si mischiarono con i legumi provocando un vero e proprio disastro, anche se l’aspetto cromatico dei vari colori era veramente bello da vedere.
Tutta la famiglia, bambini compresi, fu costretta a separare i due prodotti con una pazienza certosina, ma nel contempo aiutò tutti a riflettere ed a riportare calma e armonia.
La divisione dei beni proseguì.
Grazie a questo episodio nacque una grande e duratura solidarietà, che si perpetuò nel tempo.
Anche oggi, i discendenti diretti beneficiano di quel particolare episodio.
Inoltre ne trae giovamento anche il paese, che li fa operare in armonia per la riuscita della festa patronale.

Emilio Durighello,

testimone bambino di allora, si commuove nell’evocare l’episodio e conserva gelosamente, ancora oggi, una piccola manciata di quei fagioli, riservati per il gioco collettivo della tombola.
Per il proprietario, il tempo trascorso li ha impreziositi di valore, dato che, quei fagioli fanno riaffiorare nella sua mente un vivo ricordo della singolare vicissitudine famigliare.
I fagioli possiedono, come caratteristica magica, la forza di unire e mai quella di dividere, come avviene nel campo, nel baccello, in pentola ed in famiglia.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Amiche del cuore

Amiche del cuore

“Per piacere, resta!” imploravo.
Ann era la mia migliore amica, l’unica ragazzina del vicinato, e non volevo che andasse via.
Stava seduta sul mio letto, con gli occhi blu privi di espressione.
“Mi annoio!” disse arrotolandosi gli spessi riccioli rossi intorno a un dito.
Era venuta a giocare solo mezz’ ora prima.
“Per piacere, non andare!” chiesi supplichevole, “Tua mamma ha detto che potevi restare per un’ ora!”
Ann fece per alzarsi, poi vide un paio di mocassini indiani in miniatura sul mio comodino.
Con le loro perline dai colori vivaci sulla morbida pelle, quei mocassini erano la cosa che mi era più preziosa.
“Rimarrò se me li dai!” disse Ann.

Aggrottai le sopracciglia.

Non potevo immaginare di separarmi da quei mocassini.
“Ma me li ha dati la zia Reba!” protestai.
Mia zia era stata una donna bella e gentile, e io l’adoravo.
Non era mai troppo occupata per dedicarmi un po’ di tempo.
Ci inventavamo storie buffe e ridevamo tanto.
Il giorno in cui era morta, avevo pianto per ore sotto una coperta, incapace di credere che non l’avrei più rivista.
In quel momento, mentre tenevo con cura i mocassini nella mano, ero invasa dal dolce ricordo di zia Reba.
“Andiamo.” incitava Ann, “Sono la tua migliore amica!”
Come se ci fosse bisogno di ricordarmelo!
Non so che cosa mi prese, ma desideravo più di ogni altra cosa avere qualcuno che giocasse con me.
Lo volevo così tanto che porsi i mocassini ad Ann!
Dopo che li ebbe riposti in tasca, andammo in bicicletta sul vialetto per diverse volte e presto fu tempo per lei di tornare a casa.
Sconvolta per quello che avevo fatto, non avevo comunque voglia di giocare.

Quella sera sostenni di non avere fame e andai a letto senza cena.

Una volta nella mia stanza, iniziai davvero a sentire la mancanza dei mocassini!
Dopo che la mamma mi ebbe rimboccato le coperte e spento la luce, mi chiese cosa ci fosse che non andasse.
Le raccontai tra le lacrime di come avessi tradito la memoria di zia Reba e di quanto mi sentissi in colpa.
La mamma mi abbracciò con calore, ma tutto quello che mi disse fu:
“Bene, immagino che dovrai decidere cosa fare.”
Le sue parole non mi furono d’aiuto.
Sola nel buio, cercai di chiarirmi le idee.
“La legge dei bambini dice che non devi dare una cosa e poi riprendertela.” mi dicevo, “Ma è stato un affare conveniente?
Perché ho permesso ad Ann di giocare con i miei sentimenti?
Ma soprattutto, Ann è davvero la mia migliore amica?”
Decisi che cosa avrei fatto.
Mi agitai e mi rivoltai per tutta la notte, non vedendo l’ora che si facesse giorno.
A scuola, il giorno seguente, affrontai Ann.
Trassi un profondo respiro e le chiesi di rendermi i mocassini.

Sbarrò gli occhi e mi guardò a lungo.

“Per piacere!” pensavo, “Per piacere!”
“Okay.” disse infine, tirando fuori dalla tasca i mocassini, “Tanto non mi piacevano.”
Fui sopraffatta da una sensazione di sollievo.
Dopo qualche tempo io e Ann smettemmo di giocare insieme.
Scoprii nei dintorni dei bambini che non erano niente male, e spesso mi invitavano a giocare a softball.
Mi feci anche nuove amiche in altri quartieri.
Nel corso degli anni, ho avuto altre amiche del cuore.
Ma non ho più supplicato per la loro compagnia.
Sono arrivata a capire che gli amici sono persone che vogliono trascorrere il tempo con te, senza chiedere niente in cambio.

Brano di Mary Beth Olson

Dio, il latte e la volpe

Dio, il latte e la volpe

Quando errava nel deserto, un giorno, Mosè incontrò un pastore.
Passò tutta la giornata con lui e l’aiutò a mungere le pecore.
All’imbrunire, Mosè vide il pastore versare un po’ del latte migliore in una scodella per poi deporla su una pietra poco distante dalla capanna dove si trovavano.
Mosè domandò a che cosa servisse quel latte e il pastore rispose:
“È il latte di Dio!”
Incuriosito Mosè gli chiese di spiegarsi.

Il pastore disse:

“Metto sempre da parte il latte migliore e lo offro a Dio.”
Mosè sentì il bisogno di correggere la fede ingenua del pastore, e insistette:
“E Dio lo beve?”
“Certo!” rispose il pastore.
Mosè cominciò a spiegare che Dio è puro spirito e quindi non può bere latte.
Il pastore non gli credeva e Mosè gli suggerì di nascondersi dietro il cespuglio per vedere se Dio sarebbe veramente venuto a bere il suo latte.
Il pastore si nascose appena scese la notte.
Al chiaror della luna, vide un volpacchiotto arrivare dal deserto trotterellando.
Dopo aver guardato a destra e a sinistra, l’animale si buttò sul latte che lappò golosamente.

Poi sparì di nuovo nel deserto.

Il giorno dopo, Mosè vide il pastore triste.
“Qualcosa non va?” gli chiese.
“Avevi ragione tu!” gemette, “Dio è un puro spirito e non beve il mio latte.”
Sbalordito, Mosè esclamò:
“Dovresti essere contento.
Adesso sai qualcosa di più su Dio rispetto a qualche giorno fa!”
“Si.” ammise il pastore, “Ma la sola cosa che avevo per mostrargli il mio amore mi è stata tolta.”
Mosè comprese.
Si ritirò in solitudine e cominciò a pregare con tutte le sue forze.

Nel corso della notte, Dio gli apparve e gli disse:

“Mosè, hai sbagliato.
È vero che sono puro spirito, ma accettavo con piacere il latte offerto dal pastore, in segno del suo amore; però, dal momento che non avevo bisogno del suo latte, lo dividevo con quel volpacchiotto che ne è goloso!”

Brano senza Autore.

I fagioli corona

I fagioli corona

Nei primi anni del 1900, un levadese andò a Venezia con tre precisi scopi:
vedere per la prima volta il mare, visitare la basilica di San Marco e mangiare ed essere servito finalmente da gran signore, non badando a spese.
Giunta l’ora del pranzo, chiese informazioni e gli venne consigliato il ristorante migliore nonché il più costoso.
Quando il cameriere andò per la comanda, il levadese, in livrea, esclamò:

“Portatemi il piatto della casa!”

“Le porterò senza dubbio i corona che vanno a ruba!” rispose il cameriere facendo un inchino.
Si immaginò una portata degna di un re per aver evocato il nome “corona” ma grande fu la delusione quando gli furono serviti dei grossi fagioli bianchi lessi con una salsa verde al prezzemolo.
Li mangiò, con grande delusione e per fame, trovandoli meno pregiati dei suoi quotidiani borlotti di Levada.
Grande fu l’invidia per un vicino di tavola che stavo gustando una grande bistecca mostrando segni evidenti di soddisfazione.

Questi rivolgendosi al cameriere disse “bis”,

e poco dopo gli venne servita un’altra bistecca.
Vedendo questa scena, il buon paesano disse anche lui la magica parola “bis” per avere la agognata bistecca ma gli furono riportati gli odiati fagioli.
La parte che meno gradiva del piatto che gli avevano appena servito era la salsa al prezzemolo, siccome questa salsa gli faceva tornare in mente quando lui stesso dava abbondante prezzemolo ai suoi conigli, soprattutto quando questi erano ammalati.

Iniziò a porsi alcune domande:

“Che sembrasse anche lui ammalato?
Cosa non andava in lui?
Cosa racconterò al mio ritorno?”
Ma il povero contadino non riuscì a rispondere a nessuna delle tre.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

È così che mi ami, Dio?

È così che mi ami, Dio?

Per anni sono stato un nevrotico.
Ero ansioso, depresso ed egoista.
E tutti continuavano a dirmi di cambiare.
E tutti continuavano a dirmi quanto fossi nevrotico.

E io mi risentivo con loro,

ed ero d’accordo con loro, e volevo cambiare, ma non ci riuscivo, per quanto mi sforzassi.
Ciò che mi faceva più male era che anche il mio migliore amico continuava a dirmi quanto fossi nevrotico.
Anche lui continuava a insistere che cambiassi.
E io ero d’accordo anche con lui, e non riuscivo ad avercela con lui.
E mi sentivo così impotente e intrappolato.

Poi un giorno mi disse:

“Non cambiare. Rimani come sei.”
Non importa se cambi o no.
Io ti amo così come sei; non posso fare a meno di amarti.
Quelle parole suonarono come una musica per le mie orecchie:
“Non cambiare. Non cambiare. Non cambiare… Ti amo.”

E mi rilassai.

Mi sentii vivo.
E, oh meraviglia delle meraviglie, cambiai!
Ora so che non potevo cambiare davvero finché non avessi trovato qualcuno che mi avrebbe amato, che fossi cambiato o meno.
È così che mi ami, Dio?

Brano tratto dal libro “Il canto degli uccelli. Frammenti di saggezza nelle grandi religioni.” di Anthony de Mello. Edizioni Paoline.