Dare o prendere

Dare o prendere

Una volta, un ministro era seduto sul bordo di una fontana cittadina.
Per disattenzione, vi scivolò dentro.
Alcuni passanti si fecero avanti e gli tesero la mano dicendo:

“Dammi la mano!”

Ma l’uomo politico non ne voleva sapere e non tendeva la mano a nessuno.
In quel momento passò un uomo che si aprì la strada nella folla ed esclamò:
“Amici miei, il nostro ministro fin dalla nascita ha imparato solo il verbo prendere; non conosce il verbo dare!”

Così dicendo gli tese la mano:

“Buongiorno, Vostra Eccellenza; prendete, dunque, la mia mano!”
Immediatamente il ministro afferrò la mano dell’uomo e uscì dalla vasca.

Brano senza Autore

Il re e gli indovinelli

Il re e gli indovinelli

Un re polacco adorava gli indovinelli.
Per lui erano la massima forma di saggezza.
Un giorno, camminando con il primo ministro lungo il fiume, vide un povero contadino che lavava i panni nell’acqua gelata.
Allora il re chiese al contadino:
“Cos’è di più, cinque o sette?»”
E il contadino rispose:
“Cos’è di più, trentadue o dodici?”
Il re sorrise e gli domandò ancora:
“In casa tua hai avuto un incendio?”

Il contadino rispose:

“Sì. Ce ne sono stati cinque e ne aspetto altri due!”
Il re scosse la testa e continuò:
“Se ti mando un pollo, lo saprai spennare?”
Il contadino gli rispose:
“Mandalo e vedrai!”
Il re e il primo ministro si allontanarono e il re domandò al primo ministro se avesse capito di cosa stessero parlando.
“Sire, non ho capito nulla.
Come avrei potuto?
Avete parlato per enigmi!” esclamò il primo ministro.
Il re sembrò scontento:
“Ma come?
Tu sei il mio primo ministro.
Dovresti essere il più saggio del reame e un semplice contadino mi ha capito meglio di te?
Ti do tempo tre giorni per indovinare cosa ci siamo detti.
Se non ci riuscirai, sarò costretto a cacciarti!”
II primo ministro, disperato, convocò tutti i suoi consiglieri, ma nessuno riusciva a risolvere quegli enigmi.

Allora il primo ministro fece chiamare il contadino.

“Racconta,” gli ordinò, “cosa vi siete detti col re?”
Il contadino rispose:
“Lo farò, ma è una faccenda delicata, per cui voglio mille ducati!”
“È una vergogna!
Un furto!” esclamò il primo ministro, “Mille ducati per tre risposte?”
Il contadino fece per andarsene, ma il primo ministro lo trattenne.
“Va bene!” disse e gli consegnò il denaro, “Ed ora spiegami!”
Il contadino, con molta calma, cominciò:
“Io stavo lavando i panni nel fiume ghiacciato.
Vedendomi, il re mi ha chiesto se non mi bastassero i sette mesi caldi e dovevo lavare anche d’inverno.
Io gli ho risposto che i miei trentadue denti mangiano più di quel che riesco a guadagnare in dodici mesi.
Poi il re mi ha chiesto degli incendi, cioè se in casa mia avevo avuto dei matrimoni, perché per organizzare un matrimonio si spende ogni risparmio e si resta senza niente, come dopo un incendio.
E io gli ho risposto che avevo sposato cinque figlie e me ne restavano altre due.

Infine il re mi ha chiesto:

“Se ti mando un pollo, lo saprai spennare?”
ed io ho risposto:
“Mandalo e vedrai!”
Ecco: indovini adesso chi è il pollo?
Giudica tu se l’ho spennato per bene…
E, soprattutto, non mancare di riferirlo al re, che saprà apprezzare i dettagli!”

Brano senza Autore

Salomone e l’uovo sodo

Salomone e l’uovo sodo

Tanti anni fa, in un giorno di festa, alcuni ministri della corte di re David erano seduti ad un banchetto e si preparavano a mangiare.
Uno di loro aveva così fame che ingoiò un uovo, ma poi, vedendosi il piatto vuoto, si vergognò e si lamentò:
“Magari potessi avere un uovo!”

Il suo vicino lo sentì e gli offrì il suo:

“A patto,” disse, “che, quando te lo chiederò indietro, tu mi darai tutto quello che un uomo può ricavare da un uovo!”
L’uomo giurò davanti a testimoni e poi si dimenticò della faccenda.
In fondo, doveva solo rendere un uovo.
Passarono alcuni anni e un giorno il ministro che aveva prestato l’uovo lo volle indietro.
“Non c’è problema!” assicurò l’altro, “Ecco l’uovo.”
“Eh no, mio caro.
Un uovo da un pulcino, il quale a sua volta, nel giro di un anno, può generarne altri diciotto.
L’anno dopo ciascuno dei diciotto pulcini può generarne altri diciotto e così via.” replicò il ministro.
Insomma, il conto era lunghissimo e i due ministri andarono a chiedere udienza a re David.

“Cosa vi porta qui da me?” domandò lui.

I due ministri raccontarono tutto e re David decise che il ministro che aveva dato l’uovo aveva ragione; l’altro gli doveva pagare una cifra esorbitante:
era giusto così.
Il giovane Salomone ascoltava ogni udienza da dietro la porta.
Quando il ministro che era stato giudicato debitore passò davanti a lui, lo fermò.
“Non essere afflitto!” lo consolò, “Ti voglio aiutare.”
“E come?” chiese l’uomo sospirando.
“Domani, quando il re passerà davanti al cortile del palazzo, fatti trovare a seminare fave lesse!” spiego Salomone.
“Che cosa?” si meravigliò l’uomo.
“Sì, e quando il re ti chiederà cosa stai facendo, digli che è possibile che dalle fave lesse spunti qualcosa, visto che dalle uova sode nascono i pulcini!” spiegò Salomone.

Così fece l’uomo!

Re David capì la giustezza di quel ragionamento e annullò il precedente giudizio.
“Va’ ora, ed estingui il tuo debito con un uovo!” disse re David al ministro.
Ma il re aveva riconosciuto subito l’intervento di suo figlio che, nonostante fosse molto giovane, era incredibilmente saggio.
E fu fiero di lui e della sua capacità di far giustizia.

Brano senza Autore

Il libro del tesoro in regalo

Il libro del tesoro in regalo

In una piccola città della Persia, ai tempi del grande scià Selciuk, viveva una vedova che aveva un solo figlio.
Quando si sentì giunta alla fine della vita terrena, la vedova chiamò il figlio e gli disse:
“Abbiamo vissuto di stenti, perché siamo poveri; ma ti affido una grande ricchezza:
questo libro.
Mi venne donato da mio padre e contiene tutte le indicazioni necessarie per giungere a un tesoro immenso.
Io non avevo né la forza, né il tempo per leggerlo, ma ora lo affido a te.

Segui le istruzioni e diventerai ricchissimo.”

Il figlio, passata la profonda tristezza per la perdita della madre, cominciò a leggere quel grosso libro antico e prezioso che iniziava con queste parole:
“Per giungere al tesoro leggi pagina dopo pagina.
Se salti subito alla conclusione, il libro sparirà per magia e non potrai raggiungere il tesoro.”
Proseguiva poi descrivendo la quantità di ricchezze accumulate in un paese lontano, ben custodite in una vasta caverna.
Senonché dopo le prime pagine il testo persiano si interrompeva continuando in lingua araba.
II giovane che già si vedeva ricco, per non correre il pericolo che, facendo tradurre il testo, degli altri venissero a conoscenza del tesoro e se ne impadronissero dandogli false informazioni, si mise a studiare con passione l’arabo, sino a che fu in grado di leggere a perfezione il testo.
Ma ecco che, dopo altre pagine, questo continuava in cinese, e poi ancora in altre lingue che il giovane, con accanimento e pazienza, studiò tutte.
Nel frattempo, per vivere, mise a frutto la sua perfetta conoscenza di quelle lingue e cominciò ad essere noto anche nella capitale come uno dei migliori interpreti, cosicché anche la sua vita divenne meno precaria.

Dopo le molte pagine in varie lingue,

il libro proseguiva ancora con istruzioni per amministrare il tesoro, dopo averlo raggiunto, e il giovane studiò volentieri economia, contabilità, e anche la valutazione dei metalli pregiati, delle pietre preziose, dei beni mobili e immobili per non essere imbrogliato una volta in possesso del tesoro.
Nel frattempo metteva a frutto le sue nuove conoscenze anche per assicurarsi un miglior tenore di vita, tanto che la sua fama di poliglotta esperto di finanza e abile economista giunse fino alla corte dello scià.
Lo scià ordinò che fosse assunto tra i suoi consiglieri e gli affidò dapprima dei piccoli incarichi, poi, conoscendolo meglio, gli confidò alcune missioni difficili e delicate e, alla fine, lo nominò amministratore generale dell’impero.
Il giovane non tralasciava però di continuare la lettura del suo libro, che finalmente si addentrava nel vivo della questione, indicando come bisognava fare per costruire un grande ponte e degli argani, delle macchine per giungere alla caverna, aprire le porte di pietra scartando grandi massi, riempiendo anfratti e avvallamenti per appianare la strada, e altre cose del genere.
Sempre con l’idea di non confidare a nessuno il suo segreto, e quindi di non farsi aiutare da altri, il figlio della vedova, divenuto ormai un uomo colto e rispettato, studiò anche ingegneria e urbanistica, al punto che lo scià, apprezzandone il valore e la cultura, lo nominò ministro e architetto di corte, e infine primo ministro.
Non c’era nel regno un altro uomo tanto colto, pratico e abile in tutte le scienze, come il lettore del “Libro del tesoro.”
Proprio nel giorno in cui sposava la figlia dello scià, il giovane arrivò all’ultima pagina del libro.
Con un po’ di batticuore, afferrò il lembo dell’ultima pagina:
stava per conoscere la rivelazione definitiva.

Lentamente voltò il foglio e… scoppiò in una risata.

Di sorpresa, gioia e gratitudine.
L’ultima pagina era una lastra di metallo perfettamente levigato che faceva da specchio:
nell’ultima pagina il figlio della vedova vide il proprio volto.
Un volto di uomo maturo, consapevole, saggio e destinato ad una grande carriera.
E tutto questo grazie al libro che sua madre gli aveva donato.
Il grande tesoro era lui stesso e il libro l’aveva aiutato a scoprirlo.

Brano tratto dal libro “Nuove storie. Per la scuola e la catechesi.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

La porta verde

La porta verde

La prima volta successe quando aveva sei anni.
Mentre saltellava nel viale, al centro di un lungo muro bianco, vide una porticina verde.
La porta aveva un’aria invitante.
Sembrava dicesse:
“Aprimi, entra.”
Spalancò la porta ed entrò.
Si trovò di colpo nel giardino più incantevole che avesse mai immaginato.
Tutto era immerso in un profumo esaltante, che dava una sensazione di leggerezza, di felicità e di benessere.
E nei colori c’era qualcosa di magico che li rendeva incredibilmente vividi, perfetti, luminosi.

Sentiva di respirare felicità:

non si era mai sentito così bene.
Quando, la sera uscì, si voltò indietro, ma nel muro, malinconico e screpolato, non c’era più nessuna porta.
A casa raccontò quello che gli era successo, ma nessuno gli credette.
Ogni sera, dopo le preghiere ufficiali, però aggiungeva sempre un’accorata preghiera personale.
Ma per quanto vagabondasse non riusciva più a trovare la porta verde.
Dieci anni dopo, era diventato uno studente modello, diligente e impegnato.
Una mattina, mentre si affrettava verso la scuola, si trovò davanti all’improvviso la sua porta.
L’aveva tanto cercata…
Ma non pensò neppure un istante ad entrare.
Era preoccupato solo di non arrivare a scuola in ritardo.
Tornò il giorno dopo ma non trovò più neanche il muro bianco.
Non rivide più la porta verde fino a ventidue anni.
Proprio il giorno in cui doveva sostenere l’esame più importante dell’Università.

Era combattuto tra due opposte volontà:

entrare nel giardino o affrettarsi per dare il suo esame.
Tentennò un attimo, poi scrollò le spalle e ripartì verso l’università.
Si laureò e cominciò una brillante carriera di avvocato.
La sua porta, ora, era la carriera.
Rivide altre volte la porta verde e il muro bianco.
La prima volta stava correndo all’appuntamento con la ragazza che sarebbe diventata sua moglie.
La seconda volta, dopo altri anni ancora, la porta gli si presentò livida sotto la luce dei fari dell’automobile.
Sentì come un dolore acuto al petto.
Ma proprio quella sera aveva un incontro importantissimo con un noto personaggio politico.
La terza volta (era ormai diventato un famoso deputato), vide la porta con la coda dell’occhio.
Stava passeggiando con il ministro di un paese estero.

La sfiorò quasi…

Era a meno di mezzo metro di distanza, ma non poteva certo sparire in quel momento.
L’avrebbero preso per matto.
E poi figurarsi i giornali!
Passarono altri anni.
La nostalgia del giardino incantato si faceva sempre più forte.
Rimpiangeva le volte che non aveva avuto il coraggio di fermarsi ed entrare nella porta verde.
“La prossima volta entrerò di sicuro…
La prossima volta, qualunque cosa accada, mi fermerò…” continuava a ripetere.
Girava e rigirava per la città.
Ogni volta che intravedeva un muro bianco, il suo cuore raddoppiava i battiti.
Ormai viveva soltanto quella porta verde.
Ma non la ritrovò più.

Brano tratto dal libro “L’allodola e le tartarughe.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

L’albero dai frutti d’oro


L’albero dai frutti d’oro

C’era una volta un imbroglione che fu catturato e condannato a morte.
Chiese clemenza perché gli venisse salvata la vita e per convincere i giudici, offrì un segreto sbalorditivo:
il metodo per piantare alberi capaci di produrre frutti d’oro.
La notizia giunse al Sovrano, il quale pensò che valesse la pena fare un tentativo.
L’imbroglione spiegò che era pronto a dimostrare la sua straordinaria capacità:
gli sarebbero serviti soltanto un pizzico di polvere d’oro, e una pala.
Il sovrano accettò: “Ma, se non è vero, finirai nelle mani del boia!” disse.
Il mattino seguente, il Re insieme a tutta la sua corte, si ritrovarono nel giardino reale.
L’uomo si inchinò profondamente davanti a tutti i nobili e disse:

“Sua Maestà vedrà quanto è semplice.

Io scaverò una piccola buca nella terra:
vi metterò un pizzico d’oro e, per tre giorni, verserò un secchio d’acqua.
Il terzo giorno l’albero spunterà, e porterà tre frutti d’oro che a loro volta potranno essere seminati e diventare altri alberi, ognuno carico di frutti d’oro!”
“Allora!” si spazientì il Re “Smettila di chiacchierare, e semina l’oro!
Se fra tre giorni da ora non vedrò i frutti d’oro, finirai sul patibolo!”
“Oh, sommo Signore!” piagnucolò il furbo imbroglione “Non posso farlo io direttamente!
Tale segreto funzionerà solo a una condizione:
la mano che seminerà l’oro dovrà essere totalmente innocente e non aver mai commesso nulla di ingiusto!

In caso contrario il prodigio non avverrà.

Per questo motivo, come Sua Maestà potrà ben comprendere, non mi è possibile utilizzare il segreto da solo, per me stesso.
Ma, Sua Maestà è nobile e clemente, pertanto potrà compiere questo gesto.”
Il Re afferrò la vanga, ma gli venne in mente quello che aveva commesso durante l’ultima guerra in difesa del regno.
“Le mie mani grondano di crudeltà, compiute in guerra verso i nemici!
Renderei vana la magia.
È bene che ci provi qualcun altro.”
Il Sovrano fece un cenno verso il Ministro del Tesoro, ma il Ministro, invece di avvicinarsi, si ritrasse.
“Oh magnifico Sovrano, ti ho sempre servito fedelmente, ma una volta, una sola volta, mi è occorso un incidente increscioso nella camera del Tesoro:
un pezzo d’oro è rimasto attaccato alla suola delle mie scarpe, e così…”
“Va bene!” brontolò il Re “Sarà il mio incorruttibile Giudice supremo a impugnare la pala!”

Il Giudice rifiutò, con un inchino:

“Volentieri lo farei, Sire.
Tuttavia in questo momento sta per iniziare un importante processo a cui non posso assolutamente mancare… Scusatemi!”
Il Re si voltò a destra e a sinistra, e vide che piano piano, Ministri, gentiluomini, consiglieri, e cortigiani, se l’erano squagliata.
Allora si mise a ridere e, rivolto all’imbroglione, disse:
“Me l’hai fatta, furbo delinquente!
Così, ora so per certo che nessuno è innocente.
Neppure io!
Ho capito la lezione:
prendi i tuoi soldi, vattene, e non farti mai più vedere!”

Brano senza Autore, tratto dal Web