Il professore ed il significato della vita

Il professore ed il significato della vita

Un professore concluse la sua lezione con le parole di rito:
“Ci sono domande?”
Uno studente gli chiese:
“Professore, qual è il significato della vita?”

Qualcuno, tra i presenti che si apprestavano a uscire, rise.

Il professore guardò a lungo lo studente, chiedendo con lo sguardo se era una domanda seria.
Comprese che lo era.
“Le risponderò!” gli disse.
Estrasse il portafoglio dalla tasca dei pantaloni, ne tirò fuori uno specchietto rotondo, non più grande di una moneta.
Poi disse:
“Ero bambino durante la guerra.
Un giorno, sulla strada, vidi uno specchio andato in frantumi.

Ne conservai il frammento più grande.

Eccolo.
Cominciai a giocarci e mi lasciai incantare dalla possibilità di dirigere la luce riflessa negli angoli bui dove il sole non brillava mai:
buche profonde, crepacci, ripostigli.
Conservai il piccolo specchio.
Diventando uomo finii per capire che non era soltanto il gioco di un bambino, ma la metafora di quello che avrei potuto fare nella vita.

Anch’io sono il frammento di uno specchio che non conosco nella sua interezza.

Con quello che ho, però, posso mandare la luce, la verità, la comprensione, la conoscenza, la bontà, la tenerezza nei bui recessi del cuore degli uomini e cambiare qualcosa in qualcuno.
Forse altre persone vedranno e faranno altrettanto.
In questo per me sta il significato della vita!”

Brano tratto dal libro “Solo il vento lo sa.” di Bruno Ferrero

Il club del novantanove

Il club del novantanove

C’era una volta un re molto triste che aveva un servo molto felice che circolava sempre con un grande sorriso sul volto.
“Paggio,” gli chiese un giorno il re, “qual è il segreto della tua allegria?”
“Non ho nessun segreto.
Signore, non ho motivo di essere triste.
Sono felice di servirvi.
Con mia moglie e i miei figli vivo nella casa che ci è stata assegnata dalla corte.
Ho cibo e vestiti e qualche moneta di mancia ogni tanto.”
Il re chiamò il più saggio dei suoi consiglieri:
“Voglio il segreto della felicità del paggio!”
“Non puoi capire il segreto della sua felicità.
Ma se vuoi, puoi sottrargliela!” esclamò il saggio.

“Come?” chiese il re.

“Facendo entrare il tuo paggio nel giro del novantanove.” rispose il saggio.
“Che cosa significa?” domandò il sovrano.
“Fa’ quello che ti dico…” concluse il saggio
Seguendo le indicazioni del consigliere, il re preparò una borsa che conteneva novantanove monete d’oro e la fece dare al paggio con un messaggio che diceva:
“Questo tesoro è tuo.
Goditelo e non dire a nessuno come lo hai trovato!”
Il paggio non aveva mai visto tanto denaro e pieno di eccitazione cominciò a contarle:
dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta, sessanta… novantanove!
Deluso, indugiò con lo sguardo sopra il tavolo, alla ricerca della moneta mancante.

“Sono stato derubato!” gridò, “Sono stato derubato! Maledetti!”

Cercò di nuovo sopra il tavolo, per terra, nella borsa, tra i vestiti, nelle tasche, sotto i mobili…
Ma non trovò quello che cercava.
Sopra il tavolo, quasi a prendersi gioco di lui, un mucchietto di monete splendenti gli ricordava che aveva novantanove monete d’oro.
Soltanto novantanove.
“Novantanove monete.
Sono tanti soldi,” pensò, “ma mi manca una moneta.
Novantanove non è un numero completo!” pensava, “Cento è un numero completo, novantanove no!”

La faccia del paggio non era più la stessa.

Aveva la fonte corrugata e i lineamenti irrigiditi.
Stringeva gli occhi e la bocca gli si contraeva in una orribile smorfia, mostrando i denti.
Calcolò quanto tempo avrebbe dovuto lavorare per guadagnare la centesima moneta, avrebbe fatto lavorare sua moglie e i suoi figli.
Dieci dodici anni, ma ce l’avrebbe fatta!
Il paggio era entrato nel giro del novantanove…
Non passò molto tempo che il re lo licenziò.
Non era piacevole avere un paggio sempre di cattivo umore.

Se ci rendessimo conto, così di colpo, che le nostre novantanove monete sono il cento per cento del tesoro?
E che non ci manca nulla, nessuno ci ha portato via nulla, il numero cento non è più rotondo del novantanove.
È soltanto un tranello, una carota che ci hanno messo davanti al naso per renderci stupidi, per farci tirare il carretto, stanchi, di malumore, infelici e rassegnati.
Un tranello per non farci mai smettere di spingere.

Brano tratto dal libro “Ma noi abbiamo le ali.” di Bruno Ferrero

Il fumo e l’arrosto


Il fumo e l’arrosto

Nelle città orientali vi sono strade in cui i cuochi preparano le pietanze più squisite sul posto, e la gente si affolla intorno alle loro bancarelle per mangiare e far acquisti.
Ad una di queste bottegucce ambulanti, si avvicinò un giorno un povero saraceno.
Non avendo denari per comprarsi qualcosa, allungò il suo pane sopra una teglia di arrosto, lo impregnò del fumo appetitoso che ne usciva, e se lo mangiò avidamente.
Ma proprio quella mattina, il cuciniere non aveva fatto buoni affari ed era di malumore.
Perciò si rivolse con ira al povero saraceno e gli disse:

“Pagami quello che hai preso!”

“Ma io dalla tua cucina non ho preso altro che fumo!” rispose il poveretto.
“E tu pagami il fumo!” tuonò il cuoco inviperito.
La cosa finì in tribunale.
Il Sultano chiamò a raduno tutti i saggi del regno e propose loro di risolvere la questione.

Cominciarono dunque a discutere e sottilizzare:

chi dava ragione all’uno col pretesto che il fumo appartiene al padrone dell’arrosto, e chi all’altro, sostenendo che il fumo è di tutti, come l’aria che si respira.
Finalmente, dopo lunghe perplessità, la sentenza fu questa:
“Dacché il povero ha goduto il fumo, ma non ha toccato l’arrosto, prenda una moneta e la batta sul banco.

Il suono della moneta pagherà il cuciniere.”

Così fu fatto.
In cambio del fumo dell’arrosto, il cuoco ebbe il suono della moneta.

Novella Araba.
Brano senza Autore, tratto dal Web

Il valore dell’anello (Il valore di noi stessi)


Il valore dell’anello (Il valore di noi stessi)

“Sono venuto qui, maestro, perché mi sento così inutile che non ho voglia di fare nulla.
Mi dicono che sono un inetto, che non faccio bene niente, che sono maldestro e un po’ tonto.
Come posso migliorare?
Che cosa posso fare perché mi apprezzino di più?” chiese un giovane.
Il maestro gli rispose senza guardarlo:
“Mi dispiace, ragazzo.
Non ti posso aiutare perché prima ho un problema da risolvere.
Dopo, magari!”

E dopo una pausa aggiunse:

“Ma se tu mi aiutassi, magari potrei risolvere il mio problema più in fretta e dopo aiutare te.”
“Con piacere, maestro!” disse il giovane esitante, sentendosi di nuovo sminuito visto che la soluzione del suo problema era stata rimandata per l’ennesima volta.
“Bene!” continuò il maestro.
Si tolse un anello che portava al mignolo della mano sinistra e, porgendolo al ragazzo, aggiunse:
“Prendi il cavallo che c’è là fuori e va’ al mercato.
Ho bisogno di vendere questo anello perché devo pagare un debito.
Vorrei ricavarne una bella sommetta, per cui non accetta re meno di una moneta d’oro.
Va’ e ritorna con la moneta d’oro il più presto possibile.

Il giovane prese l’anello e partì.

Appena fu giunto al mercato iniziò a offrire l’anello ai mercanti, che lo guardavano con un certo interesse finché il giovane diceva il prezzo.
Quando il giovane menzionava la moneta d’oro, alcuni si mettevano a ridere, altri giravano la faccia dall’altra parte e soltanto un vecchio gentile si prese la briga di spiegargli che una moneta d’oro era troppo preziosa in cambio di un anello.
Pur di aiutarlo, qualcuno gli offrì una moneta d’argento e un recipiente di rame, ma il giovane aveva istruzioni di non accettare meno di una moneta d’oro e rifiutò l’offerta.
Dopo avere offerto il gioiello a tutte le persone che incrociava al mercato, che furono più di cento, rimontò a cavallo demoralizzato per il fallimento e intraprese la via del ritorno.
Quanto avrebbe desiderato avere una moneta d’oro per regalarla al maestro e liberarlo dalle sue preoccupazioni!
Così finalmente avrebbe ottenuto il suo consiglio e l’aiuto.
Entrò nella sua stanza.

“Maestro,” disse “mi dispiace.

Non è possibile ricavare quello che chiedi.
Magari sarei riuscito a ottenere due o tre monete d’argento, ma credo di non poter ingannare nessuno riguardo il vero valore dell’anello.”
“Quello che hai detto è molto importante, giovane amico!” rispose il maestro sorridendo.
“Prima dobbiamo conoscere il vero valore dell’anello.
Rimonta a cavallo e vai dal gioielliere.
Chi lo può sapere meglio di lui?
Digli che vorresti vendere l’anello e chiedigli quanto ti darebbe.
Ma non importa quello che ti offre: non glielo vendere.
E ritorna qui con il mio anello.”

Il giovane riprese di nuovo a cavalcare.

Il gioielliere esaminò l’anello alla luce della lanterna, lo guardò con la lente, lo soppesò e disse al ragazzo:
“Dì al maestro, ragazzo, che se vuole vendere oggi stesso il suo anello, non posso dargli più di cinquantotto monete d’oro.”
“Cinquantotto monete?” esclamò il giovane.
“Si!” rispose il gioielliere.
“Lo so che avendo più tempo a disposizione potremmo ricavare circa settanta monete d’oro, ma se ha urgenza di vendere…”
Il giovane si precipitò dal maestro tutto emozionato a raccontargli l’accaduto.
“Siediti!” disse il maestro dopo averlo ascoltato.
“Tu sei come questo anello: un gioiello unico e prezioso.
E come tale puoi essere valutato soltanto da un vero esperto.
Perché pretendi che chiunque sia in grado di scoprire il tuo vero valore?”
E così dicendo si infilò di nuovo l’anello al mignolo della mano sinistra.

Brano di Jorge Bucay

La campana d’argento


La campana d’argento

C’era una volta una magnifica cattedrale simbolo di una grande città.
Su di essa svettava un superbo campanile, orgoglio di tutti gli abitanti.
Tuttavia l’opera era incompiuta.
Il campanile era muto: mancava la campana.
Il vescovo decise di dotare il campanile di una campana degna dell’immagine della cattedrale:
lanciò a tutta la città un invito per raccogliere oggetti d’argento, da far fondere, per realizzare con il contributo di tutti una campana d’argento.

Cominciarono ad arrivare oggetti e monili d’argento.

Un giorno da Don Enrico, incaricato dal vescovo di raccogliere le oblazioni, arrivò una povera vedova.
Ella consegnò timidamente un centesimo d’argento, che era tutto quello che possedeva.
Il prete prese la moneta con piglio sprezzante e appena la donna lasciò la stanza, lanciò la moneta fuori dalla finestra, nel giardino sottostante:
“Un centesimo…
Va bene solo per i mendicanti!
A cosa può servire per una grande opera come la nostra campana?”
Dopo poche settimane venne raccolto molto argento:
venne fuso e venne realizzata una campana stupenda.
Era un’opera d’arte, una meraviglia che ogni esperto giudicò perfetta.

Nel giorno di Pasqua, la maestosa campana d’argento fu benedetta, innalzata sul campanile e inaugurata.

Fu il vescovo ad avere l’onore di dare il primo rintocco della nuova campana.
La campana d’argento però emise soltanto un gemito pietoso, un suono pessimo, sordo che durò inoltre pochissimo.
Dopo il clamoroso insuccesso tecnici ed esperti intervennero per analizzare l’opera:
nessuno riusciva a spiegare il perché.
Il vescovo pregò Dio di mostrargli la causa di tale fallimento.
Una notte, in sogno, un angelo gli rivelò quello che il suo incaricato aveva fatto con l’offerta della povera vedova.
Allora il vescovo cercò immediatamente Don Enrico, incaricato alla raccolta delle offerte, e gli chiese spiegazioni.
Entrambi andarono allora in giardino e insieme, inginocchiati nell’erba e fra i cespugli, cercarono e cercarono…

fino a quando finalmente riuscirono a trovare la moneta della vedova.

Il vescovo fece rifondere la campana d’argento, aggiungendo anche il centesimo donato dalla povera vedova.
Quando, qualche settimana dopo riprovarono a collaudare la campana, il suo suono riempì l’aria con la melodia più bella che si fosse mai sentita provenire da una cattedrale.

Brano senza Autore

La rosa in regalo


La rosa in regalo

Il poeta tedesco Rilke abitò per un certo periodo a Parigi.
Per andare all’università percorreva ogni giorno, in compagnia di una sua amica francese, una strada molto frequentata.
Un angolo di questa via era perennemente occupato da una mendicante che chiedeva l’elemosina ai passanti.
La donna sedeva sempre allo stesso posto, immobile come una statua, con la mano tesa e gli occhi fissi al suolo.
Rilke non le dava mai nulla, mentre la sua compagna le donava spesso qualche moneta.
Un giorno la giovane francese, meravigliata domandò al poeta:
“Ma perché non dai mai nulla a quella poveretta?”
“Dovremmo regalare qualcosa al suo cuore, non alle sue mani.” rispose il poeta.
Il giorno dopo, Rilke arrivò con una splendida rosa appena sbocciata, la depose nella mano della mendicante e fece l’atto di andarsene.
Allora accadde qualcosa d’inatteso:

la mendicante alzò gli occhi, guardò il poeta, si sollevò a stento da terra, prese la mano dell’uomo e la baciò.
Poi se ne andò stringendo la rosa al seno.
Per un’intera settimana nessuno la vide più.
Ma otto giorni dopo, la mendicante era di nuovo seduta nel solito angolo della via.
Silenziosa e immobile come sempre.
“Di che cosa avrà vissuto in tutti questi giorni in cui non ha ricevuto nulla?” chiese la giovane francese.
“Della rosa.” rispose il poeta.

Brano tratto dal libro “L’importante è la rosa.” di Bruno Ferrero