L’uomo che voleva essere accolto in paradiso

L’uomo che voleva essere accolto in paradiso

Una volta un uomo bussò alla porta del cielo e chiese di essere accolto in paradiso!
“Puoi rimanere qui solo se torni sulla terra e porti la cosa più preziosa che trovi!” gli disse gentilmente un angelo.
Molto triste, l’uomo tornò sulla terra e si diede da fare finché riuscì ad entrare in possesso dei gioielli della corona del re Ciro.
E portò i magnifici gioielli della corona alla porta del cielo…

Ma gli angeli guardiani scossero la testa:

“Questo non significa niente qui!
Le nostre strade sono lastricate di pietre preziose.
Tutti i nostri muri sono fatti d’oro!
Non hanno alcun valore.
Questi non sono altro che cose comune qui!”
L’uomo se ne tornò triste sulla terra e ricominciò a cercare!
Visitando un museo scoprì, abbandonata in un angolo, la spada di Alessandro Magno.
La portò in paradiso.

Ma gli angeli inesorabili gli dissero:

“Tutto il potere della terra qui non significa niente!
Scendi di nuovo sulla terra e portaci qualcosa di veramente prezioso!”
L’uomo tornò sulla terra.
Cercò e cercò finché, nella vecchia biblioteca di un monastero, ormai ridotto ad un rudere, trovò i “detti” inediti della “sapienza” di Salomone.
Portò il suo tesoro in cielo.
“La saggezza del mondo non ha più senso, qui!” gli spiegarono gli angeli.
Così, tristemente, tornò di nuovo sulla Terra.
Studiò e studiò: camminò e camminò.
Provò di tutto!
Un giorno si sedette stremato sulla panchina di un piccolo giardino pubblico.
Era molto stanco!

Nella buca della sabbia i bambini giocavano.

La voce di un bambino lo scosse!
Aveva le lacrime agli occhi e le mani impiastricciate di sabbia:
“Signore non riesco a fare un tunnel, mi aiuti?”
L’uomo asciugò le lacrime del bambino e si inginocchiò nella sabbia.
Scavò finché non riuscì a costruire una galleria abbastanza resistente!
Il bambino riprese a far correre le sue palline colorate.
Proprio in quel momento l’uomo fu richiamato in cielo.
Mostrò le sue mani agli angeli guardiani!
Erano vuote tranne qualche traccia delle lacrime del bambino ed alcuni granelli di sabbia…
Era rassegnato ad un nuovo rifiuto, invece gli angeli sorrisero e spalancarono la porta mentre il coro dei “beati” intonava un grande “Alleluia!” di benvenuto!

Brano senza Autore

La giusta stima (L’orologio da taschino)

La giusta stima
(L’orologio da taschino)

Un simpatico nonnetto possedeva un orologio da taschino e lo mostrò al nipote dicendogli:
“Questo un giorno sarà definitivamente tuo, ma questo accadrà solo quando scoprirai il suo vero valore, nel frattempo puoi farlo stimare!”

Il nipote andò da diversi antiquari e rigattieri per avere una stima,

ma tutti gli dissero che era semplicemente un vecchio orologio scolorito e che valeva pochissimo perfino per il banco dei pegni.
Quando riferì al nonno dei suoi vari insuccessi, questi gli consigliò di insistere.
Allora si recò in un museo che gli offrì una cifra elevata, vicina al milione di euro, perché era un pezzo unico.
Tutto contento corse dal nonno che gli disse:

“L’orologio è tuo perché hai imparato la lezione.

Se per il tuo lavoro dovessi essere pagato poco perché non apprezzano il tuo valore, non arrenderti ma continua a cercare un lavoro migliore, fino al momento in cui non riuscirai a trovare chi ti stima e ti valorizza per quello che sei.”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Conosci il tuo valore! (L’orologio da polso)

Conosci il tuo valore!
(L’orologio da polso)

Un padre prima di morire disse a suo figlio:
“Questo è un orologio che tuo nonno mi ha regalato.

Ha più di 200 anni,

ma prima che te lo dia, vai al negozio di orologi e digli che voglio venderlo, vedi quanto ti offrono.”
Il figlio fece come disse il padre e ci andò.
Ritornò da suo padre, e disse:
“L’orologiaio vuole offrirmi 5 euro perché è vecchio!”

Il padre allora rispose:

“Vai al Museo e mostra quell’orologio.”
Non perse neanche un secondo, corse immediatamente al museo.
Tornato da suo padre gli disse:
“Mi hanno offerto un milione di euro per questo orologio!”

Il padre lo guardò sorridendo, dicendogli:

“Volevo farti sapere che il posto giusto valorizza il tuo valore nel modo giusto, non stare nel posto sbagliato e arrabbiati se non lo fai.
Chi sa il tuo valore è chi ti apprezza, non stare in un posto che non ti soddisfa!”
Conosci il tuo valore.

Brano senza Autore, tratto dal Web

I gessetti colorati

I gessetti colorati

Nessuno sapeva quando quell’uomo fosse arrivato in città.
Sembrava sempre stato là, sul marciapiede della via più affollata, quella dei negozi, dei ristoranti, dei cinema eleganti, del passeggio serale, degli incontri degli innamorati.
Ginocchioni per terra, con dei gessetti colorati, dipingeva angeli e paesaggi meravigliosi, pieni di sole, bambini felici, fiori che sbocciavano e sogni di libertà.
Da tanto tempo, la gente della città si era abituata all’uomo.

Qualcuno gettava una moneta sul disegno.

Qualche volta si fermavano e gli parlavano.
Gli parlavano delle loro preoccupazioni, delle loro speranze; gli parlavano dei loro bambini: del più piccolo che voleva ancora dormire nel lettone e del più grande che non sapeva che Facoltà scegliere, perché il futuro è difficile da decifrare…
L’uomo ascoltava.
Ascoltava molto e parlava poco.
Un giorno, l’uomo cominciò a raccogliere le sue cose per andarsene.

Si riunirono tutti intorno a lui e lo guardavano.

Lo guardavano ed aspettavano:
“Lasciaci qualcosa. Per ricordare…”
L’uomo mostrava le sue mani vuote:
che cosa poteva donare?
Ma la gente lo circondava e aspettava.
Allora l’uomo estrasse dallo zainetto i suoi gessetti di tutti i colori, quelli che gli erano serviti per dipingere angeli, fiori e sogni, e li distribuì alla gente.

Un pezzo di gessetto colorato ciascuno, poi senza dire una parola se ne andò.

Che cosa fece la gente dei gessetti colorati?
Qualcuno lo inquadrò, qualcuno lo portò al museo civico di arte moderna, qualcuno lo mise in un cassetto, la maggioranza se ne dimenticò.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

La parola piangere. Favola & Filastrocca.

La parola piangere.
Favola & Filastrocca.
—————————–
Favola
Filastrocca
—————————–
“Favola”

 

Questa storia non è ancora accaduta, ma accadrà sicuramente domani.
Ecco cosa dice.
Domani una brava, vecchia maestra condurrà i suoi scolari, in fila per due, a visitare il “Museo del Tempo Che Fu,” dove sono raccolte le cose di una volta che non servono più, come la corona del re, lo strascico della regina, il tram di Monza, eccetera.
In una vetrinetta un po’ polverosa c’era la parola:

“Piangere.”

Gli scolaretti di Domani lessero il cartellino, ma non capivano, quindi chiesero:
“Signora, che vuol dire?
“È un gioiello antico?
Apparteneva forse agli Etruschi?”
La maestra spiegò che una volta quella parola era molto usata, e faceva male.
Mostrò una fialetta in cui erano conservate delle lacrime:
chissà, forse le aveva versate uno schiavo battuto dal suo padrone, forse un bambino che non aveva casa.

“Sembra acqua!” disse uno degli scolari.

“Ma scottava e bruciava!” rispose la maestra.
“Forse la facevano bollire prima di adoperarla?” chiese ancora uno degli scolari.
Gli scolaretti proprio non capivano, anzi cominciavano già ad annoiarsi.
Allora la buona maestra li accompagnò a visitare altri reparti del Museo dove c’erano da vedere cose più facili come:
L’inferriata di una prigione, un cane da guardia, il tram di Monza, eccetera, tutta roba che nel felice paese di Domani non esisteva più.

—————————–
“Filastrocca”

 

Un giorno tutti saremo felici.
Le lacrime, chi le ricorderà?

I bimbi scoveranno
nei vecchi libri
la parola “piangere”
e alla maestra in coro chiederanno:
“Signora, che vuol dire?

Non si riesce a capire”.

Sarà la maestra,
una bianca vecchia
con gli occhiali d’oro,
e dirà loro:
“Così e così”.

I bimbi lì per lì
non capiranno.
A casa, ci scommetto,
con una cipolla a fette
proveranno e riproveranno
a piangere per dispetto
e ci faranno un sacco di risate…

E un giorno tutti in fila,

andranno a visitare
il Museo delle lacrime:
io li vedo, leggeri e felici,
i fiori che ritrovano le radici.

Il Museo non sarà tanto triste:
non bisogna spaventare i bambini.
E poi, le lacrime di ieri
non faranno più male:

è diventato dolce il loro sale.

E la vecchia maestra narrerà:
“Le lacrime di una mamma senza pane…
le lacrime di un vecchio senza fuoco…
le lacrime di un operaio senza lavoro…
le lacrime di un negro frustato
perchè aveva la pelle scura…”
“E lui non disse nulla?”
“Ebbe paura?”
“Pianse una sola volta ma giurò:
una seconda volta
non piangerò”.

I bimbi di domani

rivedranno le lacrime
dei bimbi di ieri:
del bimbo scalzo,
del bimbo affamato,
del bimbo indifeso,
del bimbo offeso, colpito, umiliato…

Infine la maestra narrerà:
“Un giorno queste lacrime
diventarono un fiume travolgente,
lavarono la terra
da continente a continente,
si abbatterono come una cascata:
così, così la gioia fu conquistata”.

Favola e Filastrocca di Gianni Rodari

La statua senza valore

La statua senza valore

Viveva un tempo tra i monti un uomo che possedeva una statua, opera di un antico maestro.
L’aveva buttata in un angolo, faccia a terra, e non se ne curava affatto.

Un giorno, si trovò a passare nei pressi un uomo che veniva dalla città.

Essendo un uomo di cultura, quando vide la statua chiese al proprietario se fosse disposto a venderla.
Il proprietario rise e disse:
“E chi vuole che compri, scusi, quella pietra sporca e scialba?”

L’uomo della città disse:

“Ti do in cambio questa moneta d’argento.”
E l’altro ne fu sorpreso e felice.
La statua fu allora trasportata in città, a dorso di un elefante.
Dopo molte lune, l’uomo dei monti si recò in città, e mentre camminava per la strada vide gente affollarsi davanti a un edificio, dove un uomo gridava a gran voce:

“Venite a vedere la statua più bella, più mirabile esistente al mondo!

Solo due monete d’argento per ammirare l’opera meravigliosa di un gran maestro!”
E l’uomo dei monti pagò due monete d’argento ed entrò nel museo per vedere la statua che lui stesso aveva venduto per una moneta.

Brano di Khalil Gibran

La città da colorare


La città da colorare

C’era una volta una piccola città dominata dalle ciminiere di una grande fabbrica.
Il cielo della città era grigio per il fumo, grigio era il colore delle case, grigia la faccia della gente.
I bambini erano pallidi e non avevano mai voglia di giocare.
Un giorno arrivò nella piccola città uno sconosciuto.
Era un uomo giovane, dal sorriso simpatico e gli occhi luminosi.
Portava un voluminoso zaino rosso e blu e, sotto il braccio, un grosso ombrellone giallo.

Lo sconosciuto aprì l’ombrellone nella piazza della città e sotto dispose, in bell’ordine, delle statuine di vetro.

I passanti si fermavano, guardavano le statuine, molti le compravano.
In realtà lo sconosciuto non faceva molto per vendere le sue statuine.
Egli si interessava soprattutto alla gente:
parlava con loro, li ascoltava sorridendo, li incoraggiava…
Finché, un mattino, lo sconosciuto estrasse dalle tasche del suo zaino dei gessetti colorati e si mise a disegnare sul marciapiede grigio una città meravigliosa dai colori splendidi, piena di verde, di gente sorridente, di bambini che giocavano.
Da tutta la città accorreva gente per vedere il magnifico disegno, che riusciva a riempire gli occhi e a riscaldare il cuore.

Quando il disegno fu terminato, lo sconosciuto distribuì fra tutti i presenti i suoi gessetti colorati.

Poi se ne andò.
Nessuno l’ha mai più visto.
La gente della piccola città decise di staccare il marciapiede dal suolo e di esporlo nel museo cittadino perché tutti potessero vedere la città meravigliosa dipinta dallo strano venditore.
Ma pochi avevano voglia di andare al museo e i colori cominciarono a sbiadire.
Presto si dimenticarono di lui.
Ma un giorno alcuni bambini trovarono i gessetti colorati che lo sconosciuto aveva distribuito e cominciarono a riempire di colori e di meravigliosi disegni i muri grigi della città grigia.
Oggi la chiamano: “La piccola città colorata dove la gente sorride!”

Brano tratto dal libro “Altre storie.” di Bruno Ferrero