La lista della spesa e la preghiera

La lista della spesa e la preghiera

Una donna infagottata in abiti fuori misura entrò nel negozio di alimentari.
Si avvicinò al gestore del negozio e, umilmente a voce bassa, gli chiese se potesse avere una certa quantità di alimenti a credito.
Gli spiegò che suo marito si era ammalato in modo serio e non poteva più lavorare e i loro quattro figli avevano bisogno di cibo.
L’uomo sbuffò e le intimò di togliersi dai piedi.

Dolorosamente la donna supplicò:

“Per favore signore!
Le porterò il denaro più in fretta che posso!”
Il padrone del negozio ribadì duramente che lui non faceva credito e che lei poteva andare in un altro negozio nel quartiere.
Un cliente che aveva assistito alla scena si avvicinò al padrone e gli chiese di tentare almeno di accontentare la povera donna.
Il droghiere con voce riluttante, chiese alla donna:
“Hai una lista della spesa?”

Con un filo di speranza nella voce, la donna rispose:

“Sì, signore!”
“Bene,” disse l’uomo, “Metta la sua lista sulla bilancia.
Le darò tanta merce quanto pesa la sua lista.”
La donna esitò un attimo con la testa china, estrasse dalla borsa un pezzo di carta e scarabocchiò qualcosa in fretta, poi posò il foglietto con cautela su un piatto della bilancia, sempre a testa bassa.
Gli occhi del droghiere e del cliente si dilatarono per la meraviglia quando videro il piatto della bilancia abbassarsi di colpo e rimanere abbassato.
Il droghiere fissando la bilancia, brontolò:
“È incredibile!”
Il cliente sorrise e il droghiere cominciò a mettere sacchetti di alimenti sull’altro piatto della bilancia.
Sbatteva sul piatto scatole e lattine, ma la bilancia non si muoveva.
Così continuò e continuò, con una smorfia di disgusto sempre più marcata.
Alla fine afferrò il foglietto di carta e lo fissò, livido e confuso.

Non era una lista della spesa.

Era una preghiera:
“Mio Dio, tu conosci la mia situazione e sai ciò di cui ho bisogno:
metto tutto nelle tue mani.”
Il droghiere consegnò alla donna tutto ciò che le serviva, in un silenzio imbarazzato.
La donna ringraziò e lasciò il negozio.

Brano tratto dal libro “Ma noi abbiamo le ali.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

La civetta colorata

La civetta colorata

Un nonno regalò a suo nipote un viaggio-vacanza in Brasile.
L’unica condizione per avere questo era regalo era quella di comprare un pappagallo in Brasile e portarglielo, in modo che lui avesse potuto insegnargli a parlare,

per lenire la sua solitudine di vedovo.

Il nipote tra feste e distrazioni si dimenticò del pappagallo e se ne rese conto solamente una volta rientrato a Milano.
Girò tutti i venditori di uccelli per rimediare, ma ebbe la medesima risposta da tutti i commercianti:
le specie protette non possono essere commercializzate.
Fece un ultimo tentativo ed in questo negozio gli venne suggerito di colorare con colori sgargianti una civetta, contando sulla non buona vista del nonno.

Grande fu l’entusiasmo del nonno per la nuova compagnia

Quando il nipote ritornò dal nonno, un mese dopo, per chiedergli se fosse contento del pappagallo, questo gli rispose di sì.
Aggiunse, inoltre, che il pappagallo stava cambiando la lucentezza delle penne per la cattività, ma dai grandi occhi spalancati si intuiva chiaramente che stava molto attento a quello che gli veniva detto e sperava di avere, a breve, una risposta da parte del pappagallo.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Conosci il tuo valore! (L’orologio da polso)

Conosci il tuo valore!
(L’orologio da polso)

Un padre prima di morire disse a suo figlio:
“Questo è un orologio che tuo nonno mi ha regalato.

Ha più di 200 anni,

ma prima che te lo dia, vai al negozio di orologi e digli che voglio venderlo, vedi quanto ti offrono.”
Il figlio fece come disse il padre e ci andò.
Ritornò da suo padre, e disse:
“L’orologiaio vuole offrirmi 5 euro perché è vecchio!”

Il padre allora rispose:

“Vai al Museo e mostra quell’orologio.”
Non perse neanche un secondo, corse immediatamente al museo.
Tornato da suo padre gli disse:
“Mi hanno offerto un milione di euro per questo orologio!”

Il padre lo guardò sorridendo, dicendogli:

“Volevo farti sapere che il posto giusto valorizza il tuo valore nel modo giusto, non stare nel posto sbagliato e arrabbiati se non lo fai.
Chi sa il tuo valore è chi ti apprezza, non stare in un posto che non ti soddisfa!”
Conosci il tuo valore.

Brano senza Autore, tratto dal Web

I due sassi

I due sassi

C’erano una volta due sassi di montagna, due fratelli che si erano staccati dalla parete rocciosa e si erano trovati a terra insieme, vicino ad un ruscello.
Un giorno decisero di seguire il corso del ruscello per scendere a valle e vedere la grande città.
Così si misero di buon sasso… cioè, di buon passo, e rotola oggi, rotola domani, pian piano si dirigevano verso la città.
Uno dei due sassi (il più furbo dei due) di tanto in tanto si tuffava nelle acque del ruscello, si fermava un po’ a farsi carezzare dall’acqua, e poi riprendeva il cammino.
“Sbrigati!” gli gridava l’altro, il più sciocco dei due, “Non vedi che resti indietro?
E poi, cosa ti fermi a fare nell’acqua?”
“Mi levo un po’ di polvere di dosso!” rispondeva quello.

“Che stupido che sei!

Quando esci di qui, e hai fatto due rotolate sulla terra, sei di nuovo sporco come prima!
A che ti serve lavarti, se poi ti sporchi ancora?” brontolava il sasso sciocco.
Ma il sasso furbo non gli dava retta.
Rotolava un po’, poi si fermava, entrava nel ruscello e si faceva lavare.
Poi tornava sul prato e ricominciava a rotolare.
E la cosa bella è che non rimaneva mai indietro!
Sì, perché mentre il sasso sciocco, tutto spigoloso e appuntito, faceva una gran fatica a rotolare, e faceva pochi metri per volta, il sasso furbo diventava più rotondo ogni volta che entrava in acqua!

Sapete perché?

Perché l’acqua, scorrendoli tutta intorno, lo levigava, cioè gli levava ogni volta un po’ di pietra di dosso, e lo consumava, così da renderlo liscio e tondo.
Così, quando usciva dall’acqua, con poca fatica raggiungeva l’amico sciocco.
Andarono avanti così per un bel pezzo.
E ogni volta che il sasso furbo usciva dall’acqua, si accorgeva di essere diventato un po’ più piccolo. Entra oggi, entra domani, il sasso furbo stava rimpicciolendo.
Il sasso sciocco, che non capiva, lo scherzava ancora di più:
“Ecco che cosa ci guadagni a fare il bagno ogni giorno!
Se vai avanti di questo passo, fra un po’ non ci sarai più!
Quell’acqua ti sta uccidendo, ti toglie le forze, e non sei più tu!
Ma guardati!
Siamo fratelli, figli della stessa montagna!
Eravamo uguali, e ora?
Tu non sei che un piccolo ciottolo di fiume!
Io sì che assomiglio alla grande montagna!

Guarda come sono forte!”

Ma un bel giorno, uscendo dall’acqua, il sasso furbo si accorse che ora risplendeva su di lui una strana luce.
Era un puntino piccolo piccolo, ma luminoso come il sole.
E ogni volta che riemergeva dall’acqua, il puntino luminoso era sempre più grande.
Finché, adagio adagio, tutto il suo corpo aveva perduto il colore grigio ed era diventato completamente luminoso e dorato.
Erano ormai giunti in città; il sasso sciocco era identico a quando era partito.
Anzi, era ancora più incrostato di polvere e di terra.
Il sasso furbo era molto più piccolo, ma tondo e luminoso.
Il sasso sciocco si lamentava:
“Non capisco proprio che cosa ti abbia ridotto così!

Sei mio fratello e quasi non ti riconosco!

Ma cosa sei diventato?” (Però era invidioso di quel luccichio…).
In quell’istante passò accanto a loro un signore con una valigetta in mano.
Quando vide i due sassi, si fermò di colpo, si inginocchiò a terra, prese il sasso luminoso, aprì la valigetta e ne estrasse una lente.
Osservò attraverso la lente quel piccolo ciottolo, e poi esclamò pieno di gioia:
“Ma è una pepita d’oro!”
Subito lo avvolse con cura in un panno morbido, lo mise nella valigetta e si incamminò verso il suo negozio in città.
Era infatti un gioielliere.
E l’altro sasso?
Rimase solo, vicino al fiume, e finalmente capì:
“Che sciocco, sono stato!
Ma sono ancora in tempo:
mi tufferò nel fiume e mi lascerò levigare fino a che tutto il sasso e le incrostazioni si saranno consumate, e sarò anch’io una pepita d’oro!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’amore di un bambino per la mamma e la sorellina

L’amore di un bambino per la mamma e la sorellina

Stavo camminando in un negozio di Big Bazar, quando vidi un cassiere parlare con un bambino che poteva avere non più di 5 o 6 anni.
Il cassiere disse:
“Mi dispiace, ma non hai abbastanza soldi per comprare questa bambola.”
Poi il bambino si rivolse al cassiere e chiese:
“Sei sicuro che io non abbia abbastanza soldi?”
Il cassiere contò ancora una volta il suo denaro e rispose:
“Lo sai che non hai abbastanza soldi per comprare la bambola, mio caro.”
Il ragazzino aveva ancora in mano la bambola.
Alla fine, mi incamminai verso di lui e gli chiesi a chi voleva dare questa bambola.

“È la bambola che mia sorella amava di più e voleva tanto.

Volevo regalargliela per il suo compleanno.
Devo dare la bambola alla mia mamma in modo che possa darla a mia sorella quando andrà là.”
I suoi occhi erano così tristi mentre diceva questo.
“Mia sorella è andata a stare con Dio…
Papà dice che anche la mamma vedrà Dio molto presto, così ho pensato che potesse portare con sé la bambola per darla a mia sorella…”
Il mio cuore si era quasi fermato.
Il ragazzino mi guardò e disse:
“Ho detto a papà di dire alla mamma di non andare ancora.
Ho bisogno che lei aspetti finché non torno dal centro commerciale.”
Poi mi ha mostrato una foto molto bella di lui dove stava ridendo.

Poi mi disse:

“Voglio che la mamma le porti la mia foto, così la mia sorella non mi dimenticherà!
Amo la mia mamma e vorrei che non dovesse lasciarmi, ma papà dice che deve andare a stare con la mia sorellina.
Poi guardò di nuovo la bambola con gli occhi tristi, molto tranquillamente.”
Ho rapidamente raggiunto il mio portafoglio e ho detto al bambino:
“Controlliamo di nuovo se hai abbastanza soldi per la bambola?”
“Ok!” disse, “Spero di averne abbastanza!”
Ho aggiunto alcuni dei miei soldi a lui senza che lui lo vedesse e abbiamo iniziato a contarli.
C’era abbastanza per la bambola e anche qualche soldo in più.
Il bambino disse:
“Grazie a Dio per avermi dato abbastanza soldi!”

Poi mi guardò e aggiunse:

“La scorsa notte, prima di andare a dormire, chiesi a Dio di avere abbastanza soldi per comprare questa bambola, così che la mamma potesse darla a mia sorella.
Mi ha ascoltato!
Volevo anche avere abbastanza soldi per comprare una rosa bianca per la mia mamma, ma non osavo chiedere troppo a Dio.
Ma mi ha dato abbastanza per comprare la bambola e una rosa bianca.
La mia mamma ama le rose bianche!”
Ho finito i miei acquisti in uno stato completamente diverso da quando ho iniziato.
Non riuscivo a togliermi dalla testa il ragazzino.
Poi, due giorni fa, mi sono ricordato di un articolo di un giornale locale che parlava di un ubriaco in un camion, che ha investito un’auto occupata da una giovane donna e una bambina.

La bambina morì subito e la madre fu lasciata in uno stato critico.

La famiglia dovette decidere se staccare la spina dalla macchina che la tenesse in vita, perché la giovane donna non sarebbe stata in grado di riprendersi dal coma.
Era questa la famiglia del bambino?
Due giorni dopo questo incontro con il bambino, ho letto sul giornale che la giovane donna era morta.
Non riuscivo a fermarmi quando comprai un mazzo di rose bianche e andai alle pompe funebri dove il corpo di la giovane donna è stata esposta perché le persone potessero vedere e fare gli ultimi saluti prima della sua sepoltura.
Era lì, nella sua bara, con in mano una bella rosa bianca con la foto del bambino e la bambola appoggiata sul suo petto.
Ho lasciato il posto, con le lacrime agli occhi, sentendo che la mia vita era cambiata per sempre..
L’amore che il bambino ha avuto per sua madre e sua sorella è ancora oggi difficile da immaginare.
E in una frazione di secondo, un guidatore ubriaco gli aveva tolto tutto questo.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La persona ideale

La persona ideale

Mulla Nasrudin era seduto nel negozio del tè quando arrivò un vicino per parlare con lui.
“Sto per sposarmi, Mulla,” gli disse l’amico, “e sono molto eccitato.
Tu non hai mai pensato di sposarti?”

Nasrudin rispose:

“Sì, ci ho pensato.
Quand’ero giovane lo desideravo molto.
Volevo trovare la moglie perfetta.
Mi sono messo in viaggio per cercarla e sono andato a Damasco.
Là ho incontrato una bella donna piena di grazia, gentile e molto spirituale, ma che non conosceva il mondo.

Allora mi sono rimesso in viaggio e sono andato a Isphahan.

Là ho incontrato una donna che era sia spirituale che mondana, bella sotto molti punti di vista, ma non riuscivamo a comunicare.
Alla fine sono andato al Cairo e dopo molte ricerche l’ho trovata.
Era profonda di spirito, piena di grazia, bella sotto tutti i punti di vista, a suo agio sia nel mondo che nei regni che lo trascendono.
Sentivo di aver trovato la moglie ideale!”

L’amico gli fece un’altra domanda:

“Allora perché non l’hai sposata, Mulla?
“Ahimè,” disse Nasrudin scuotendo la testa, “anche lei stava cercando il marito ideale!”

Brano tratto dal libro “Il segreto dei pesci rossi.” di Bruno Ferrero

La bambina e la copertina dimenticata

La bambina e la copertina dimenticata

C’era una volta una bella copertina che viveva nel magazzino di un grande negozio.
In realtà era stata dimenticata in un angolo buio del magazzino ed era rimasta invenduta; il negoziante non si ricordava nemmeno più di averla.
La povera copertina si annoiava da morire e sognava continuamente che un giorno sarebbe arrivata nel negozio una bella bimba che volesse comprare proprio lei.
Ma passavano i giorni e non succedeva mai niente.

Che noia!

Un bel giorno però entrò nel negozio una bellissima bambina, accompagnata dal papà e dalla mamma, per acquistare una copertina per il lettino nuovo.
Il negoziante cominciò pertanto a farle vedere le copertine che aveva:
gialle, verdi, rosse, rosa e poi marroni, viola e blu e ancora a strisce, a cerchi, a pallini ma… niente da fare; la bambina non era soddisfatta:
“No, non è così la coperta che voglio io!”
Il padrone del negozio, senza perdersi d’animo, gliene fece vedere altre:
con i gattini, con le foche, gli scoiattoli, i topolini, casette, castelli, mulini, arcobaleni, nuvolette, lune e stelle…
“No! Uffa non è così che la voglio!”
A questo punto il signore del negozio, sull’orlo ormai della disperazione, si mise in ginocchio davanti alla bambina e le chiese:

“Ma come la vuoi questa benedetta copertina?”

“Semplice: a quadretti blu con gli orsi disegnati sopra.
Perché non glielo avevo detto?” rispose candidamente la bimba.
Il negoziante allora si recò in magazzino per cercare una coperta come quella richiesta dalla bambina, ma non si ricordava proprio della povera copertina abbandonata nell’angolo.
Cercò in ogni angolo e in ogni scaffare: niente da fare.
Stava già per tornare sconsolato quando, un vecchio scaffale amico della copertina, che aveva saputo della bimba da una mosca, allungò un piede e fece lo sgambetto al negoziante il quale, cadendo, finì con la faccia proprio davanti alla copertina.

Oh che sorpresa nel vederla!

La prese immediatamente, la spolverò un po’ e corse giù trionfante dalla bambina.
Quando la bimba vide la copertina fece un salto di gioia e la strinse forte a sé.
Quella sera tutte e due, la bambina e la copertina, dormirono beate strette l’una all’altra e fecero dei bellissimi sogni.
Oggi la bambina è cresciuta ed è diventata una mamma, conserva ancora quella copertina e per la notte di Natale la sistema sul lettino della sua bambina.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il bambino e il cucciolo zoppo


Il bambino e il cucciolo zoppo

Il padrone di un negozio stava esponendo sulla porta un cartello con la scritta:
“Si vendono cuccioli.”
Questo genere di annuncio attira sempre i bambini e difatti di lì a poco un ragazzino si presentò nel negozio chiedendo:
“Quanto costano i cagnolini?”
Il padrone rispose:
“Tra i 30 e i 50 Euro.”
Il bambino mise la mano in tasca ed estrasse alcune monete:
“Ho solo 2,37 Euro.

Posso vederli?”

L’uomo sorrise e fece un fischio.
Dal retrobottega entrò correndo il suo cane seguito da cinque cuccioli.
Uno di questi però era rimasto molto indietro rispetto agli altri.
Il ragazzino subito indicò il cagnolino rimasto indietro che stava zoppicando:
“Cosa gli è successo?” domandò.
L’uomo gli spiegò che quando era nato il veterinario gli aveva detto che quel cucciolo aveva un’anca difettosa e che sarebbe rimasto zoppo per sempre.
Il bambino si commosse a quelle parole ed esclamò:
“Questo è il cagnolino che voglio comprare!”

Ma l’uomo gli rispose:

“No, non comprarlo!
Se lo vuoi veramente, te lo regalo!”
Il bambino rimase molto male e guardando l’uomo diritto negli occhi gli disse:
“Non voglio che lei me lo regali: vale tanto come gli altri cagnolini e io le pagherò il prezzo intero.
Se è d’accordo, le darò subito i miei 2,37 Euro e un po’ ogni mese fino a quando lo avrò pagato completamente.”

L’uomo rispose:

“Non vorrai davvero comprare questo cagnolino, ragazzo.
Non sarà mai in grado di correre, di saltare e di giocare come gli altri cagnolini!”
Allora il bambino si piegò ed estrasse dai pantaloncini la sua gamba sinistra, malformata e imprigionata in un pesante apparecchio metallico.
Guardò di nuovo l’uomo e gli disse:
“Questo non importa: anch’io non posso correre e il cagnolino avrà bisogno di qualcuno che lo capisca.”
L’uomo si stava mordendo le labbra e i suoi occhi si riempivano di lacrime, sorrise e disse:
“Ragazzo, io mi auguro e lo spero davvero che ciascuno di questi cuccioli trovi un padrone come te.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Non illuderti! (Non tutto è come sembra)


Non illuderti!
(Non tutto è come sembra)

Un macellaio stava lavorando nel suo negozio e si sorprese quando vide entrare un cane.
Lo cacciò ma il cane tornò subito.
Cercò quindi di mandarlo via, ancora ma si rese conto che il cane aveva un foglio in bocca.

Prese dunque il foglio e lo lesse:

“Mi potrebbe mandare 12 salsicce e tre bistecche di manzo per favore?”
Il macellaio notò pure che il cane aveva in bocca un biglietto da 50 euro.
Così prese le salsicce e le bistecche e le mise insieme in una borsa che mise nella bocca del cane.
Il macellaio rimase molto colpito e, siccome, era già ora di chiudere il negozio, decise di seguire il cane che stava scendendo la strada con la borsa tra i denti.
Quando il cane arrivò ad un incrocio, lasciò la borsa sul marciapiede, si alzò sulle zampe posteriori e con una delle anteriori schiacciò il bottone dei pedoni per cambiare il segnale del semaforo.
Prese di nuovo la borsa ed aspettò pazientemente che il semaforo desse il via ai pedoni.

Allora attraversò la strada e camminò fino ad una fermata del bus,

mentre il macellaio stupefatto lo seguiva da vicino.
Alla fermata il cane guardò verso la mappa delle rotte e degli orari e si sedette sul marciapiede ad aspettare il suo bus.
Arrivò uno che non era il suo, ed il cane non si mosse.
Arrivò dunque un altro bus ed il cane dopo aver visto che era quello giusto, salì dalla porta posteriore, affinché il conduttore non lo potesse vedere.
Il macellaio, a bocca aperta, lo seguì.
All’improvviso il cane si alzò sulle zampe posteriori e toccò il campanello della fermata, sempre con la borsa tra i denti.
Quando il bus si fermò, il cane scese, ed anche il macellaio, ed entrambi camminarono per la strada finché il cane si fermò a una casa.
Posò la borsa sul marciapiede, e prendendo la rincorsa, si lanciò contro la porta.
Ripeté l’azione diverse volte, ma nessuno gli aprì la porta.
Allora il cane fece il giro della casa, saltò un recinto, si avvicinò ad una finestra e, con la testa, colpì diverse volte il vetro.
Ritornò alla porta, che si aprì e comparse un uomo che cominciò a picchiare il cane.

Il macellaio corse verso l’uomo e gridò:

“Santo cielo, che cosa sta facendo?
Il suo cane è un genio!”
L’uomo irritato rispose:
“Un genio?
Questa è la seconda volta nella settimana che questo stupido dimentica le chiavi!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Un matrimonio in crisi. (L’importanza dei dettagli)


Un matrimonio in crisi.
(L’importanza dei dettagli)

Mentre mia moglie mi serviva la cena le presi la mano e le dissi: “Devo parlarti!”
Lei annuì e mangiò con calma.
La osservai e vidi il dolore nei suoi occhi, quel dolore che all’improvviso mi bloccava la bocca.
Mi feci coraggio e le dissi: “Voglio il divorzio!”
Lei non sembrò disgustata dalla mia domanda e mi chiese piano: “Perché?”
Quella sera non parlammo più e lei pianse tutta la notte.
Io sapevo che lei voleva capire cosa stesse accadendo al nostro matrimonio, ma io non potevo risponderle, aveva perso il mio cuore a causa di un’altra donna: Valentina.
Io ormai non amavo più mia moglie, mi faceva solo tanta pena, mi sentivo in colpa, e per questa ragione sottoscrissi nell’atto di separazione che a lei restasse la casa, l’auto e il 30% del nostro negozio.
Lei quando vide l’atto lo strappò in mille pezzi.

Avevamo passato dieci anni della nostra vita insieme e ora eravamo due perfetti estranei.

A me dispiaceva tanto per tutto questo tempo che aveva sprecato insieme a me, per tutte le sue energie, però non potevo farci nulla: io amavo Valentina.
All’improvviso mia moglie cominciò a urlare e a piangere ininterrottamente per sfogare la sua rabbia e la sua delusione, l’idea del divorzio cominciava ad essere realtà.
Il giorno dopo tornai a casa e la incontrai seduta alla scrivania in camera da letto che scriveva, non cenai e mi misi a letto, ero molto stanco dopo una giornata passata con Valentina.
Durante la notte mi svegliai e vidi mia moglie sempre lì seduta a scrivere, mi girai e continuai a dormire.
La mattina dopo mia moglie mi presentò le condizioni affinché accettasse la separazione:
non voleva la casa, non voleva l’auto tanto meno il negozio, soltanto un mese di preavviso, quel mese che stava per cominciare l’indomani.
Inoltre voleva che in quel mese vivessimo come se nulla di tutto questo fosse accaduto.
Il suo ragionamento era semplice:
“Nostro figlio in questo mese ha gli esami a scuola e non è giusto distrarlo con i nostri problemi.”
Io fui d’accordo però lei mi fece un’ulteriore richiesta.
“Devi ricordarti del giorno in cui ci sposammo, quando mi prendesti in braccio e mi accompagnasti nella nostra camera da letto per la prima volta:
in questo mese ogni mattina dovrai prendermi in braccio e portarmi in braccio fino a lasciarmi fuori dalla porta di casa.”
Pensai che avesse perso il cervello, ma acconsentii per non rovinare le vacanze estive a mio figlio e per superare quel momento di tensione in pace.
Raccontai la cosa a Valentina che scoppiò in una fragorosa risata dicendo:
“Non importa che trucchi si sta inventando tua moglie: dille che oramai tu sei mio!

Se ne faccia una ragione!”

Era tanto tempo che io e mia moglie non avevamo più intimità, così quando la presi in braccio il primo giorno, eravamo ambedue imbarazzati.
Nostro figlio invece camminava dietro di noi applaudendo e dicendo:
“Grande papà! Papà ha preso la mamma in braccio!”
Le sue parole furono come un coltello nel mio cuore.
Camminai una decina di metri con mia moglie in braccio.
Lei chiuse gli occhi e mi disse a bassa voce:
“Non dirgli nulla del divorzio e del nostro accordo, per favore.”
Acconsentii con un cenno, sempre imbarazzato e anche un po’ irritato, e la lasciai sull’uscio.
Come ogni mattina lei uscì e andò a prendere l’autobus per recarsi al lavoro.
Il secondo giorno eravamo tutti e due più rilassati, lei si appoggiò al mio petto e potetti sentire il suo profumo sul mio maglione.
Mi resi conto che era da tanto tempo che non la guardavo.
Mi resi conto che non era più così giovane: qualche ruga, qualche capello bianco.
Si notava che portava i segni di un dolore interno.
Mi chiesi cosa avessi fatto, come si fosse ridotta così.
Il quarto giorno, prendendola in braccio come ogni mattina, avvertii che l’intimità stava ritornando tra noi:
questa era la donna che mi aveva donato dieci anni della sua vita, la sua giovinezza, un figlio.
Nei giorni a seguire ci avvicinammo sempre più.

Non dissi nulla a Valentina.

Ogni giorno che passava era più facile prendere mia moglie in braccio, e il mese passava velocemente.
Ogni giorno che passava la sentivo più leggera.
Una mattina lei stava scegliendo dall’armadio i vestiti:
si era provata di tutto, ma nessun indumento le andava bene e lamentandosi disse:
“I miei vestiti mi vanno grandi.”
In quell’occasione mi resi conto quanto fosse dimagrita in quei giorni.
Di colpo realizzai che era entrata in depressione: a causarla erano stati il troppo dolore e la troppa sofferenza, pensai.
Senza accorgermene le toccai i capelli, nostro figlio entrò all’improvviso nella nostra stanza e disse:
“Papà, è arrivato il momento di portare la mamma in braccio!”
Per lui quel rito era diventato un momento basilare della sua giornata e della sua vita.
Mia moglie abbracciò forte mio figlio ed io girai la testa, ma dentro sentivo un brivido che cambiò il mio modo di vedere il divorzio.
Ormai prenderla in braccio e portarla fuori cominciava ad essere per me come la prima volta che la portai in casa quando ci sposammo.
La abbracciai senza muovermi e sentii quanto fosse leggera e delicata.
Mi venne da piangere!
Arrivò l’ultimo giorno e aprendomi a lei le dissi:
“Non mi ero reso conto di aver perduto l’intimità con te…”
Mio figlio doveva andare a scuola e io lo accompagnai con la macchina.

Mia moglie restò a casa.

Mi diressi verso il posto di lavoro, ma a un certo punto passando davanti alla casa di Valentina mi fermai, scesi e corsi sulle scale.
Lei mi aprì la porta e io le dissi:
“Perdonami, ma non voglio più divorziare da mia moglie!”
Lei mi guardò e disse:
“Ma sei impazzito?”
Io le risposi:
“Amo mia moglie.
Un periodo di stress, di noia e di routine ci aveva allontanato, ma ora ho capito i veri valori della vita!
Dal giorno in cui l’ho portata in braccio mi sono reso conto, osservandola e guardandola, che voglio farlo per il resto della mia vita!”
Valentina pianse, mi tirò uno schiaffo ed entrò in casa sbattendomi la porta in faccia.
Io scesi le scale velocemente, tornai in macchina e mi fermai in un negozio di fiori.
Comprai un mazzo di rose per mia moglie.
La ragazza del negozio mi chiese:
“Cosa scriviamo sul biglietto?”
Le dissi:
“Ti prenderò in braccio ogni giorno della mia vita finché morte non ci separi.”
Arrivai di corsa a casa, salii i gradini a due a due ed entrai di corsa, precipitandomi in camera felicissimo e col sorriso sulle labbra.
Trovai mia moglie a terra.

Era morta.

Negli ultimi mesi stava lottando contro il cancro e io invece ero occupato a sciupare il mio tempo con Valentina, senza nemmeno accorgermene.
Lei non me lo aveva detto:
sapeva che stava per morire e per questo motivo volle un mese di tempo.
Sì, un mese… affinché a nostro figlio non rimanesse un cattivo ricordo del nostro matrimonio.
Affinché nostro figlio non subisse traumi.
Affinché a nostro figlio rimanesse impresso il ricordo di un padre meraviglioso e innamorato della madre.
Lei aveva chiaro quali fossero i dettagli, i semplici dettagli, che contano in una relazione.
Non sono la casa, la macchina, i soldi…
Queste sono cose effimere che sembrano saldare un’unione e invece possono dividerla.
Cerchiamo sempre di mantenere accesa la fiamma, alimentare il matrimonio con giorni felici, ricordando sempre il primo giorno della nostra più bella storia d’amore.
A volte non diamo il giusto valore a ciò che abbiamo fino a quando non lo perdiamo.
A volte capiamo il valore delle cose solo quando le abbiamo perdute.

Brano senza Autore, tratto dal Web