Che cos’è la vita?

Che cos’è la vita?

Un caldo giorno di primavera, verso la metà della giornata, il bosco fu avvolto da un profondo silenzio.
Gli uccelli piegarono la testa sotto l’ala.
Tutto riposava.
Solo il fringuello alzò il capo e domandò:
“Che cos’è la vita?”
Tutti furono colpiti da questa difficile domanda.
Una rosa che aveva appena messo fuori un bocciolo e dispiegato un petalo dopo l’altro, disse:

“La vita è sbocciare!”

Una farfalla che dal mattino non si era fermata e volava felice da un fiore all’altro, assaggiando qua e là, disse:
“La vita è tutta gioia e sole!”
Una formica che si affannava a trascinare una pagliuzza lunga dieci volte lei, disse:
“La vita è lavoro e stanchezza!”
Un’ape, impegnata ad estrarre nettare da un fiore, ronzò:
“La vita è un miscuglio di lavoro e di piacere!”
Il discorso diventava sapiente e la talpa, messa fuori la testa dalla terra, disse:
“La vita è un combattimento nell’oscurità!”

La gazza che vive per giocare brutti tiri al prossimo osservò:

“Ma che razza di discorsi!
Dovremmo chiedere il parere di persone intelligenti!”
Si accese allora una vivace disputa, finché fu interrogata una pioggerellina sottile che sentenziò:
“La vita è fatta di lacrime, nient’altro che lacrime!”
Poco lontano rombava il mare.
Le onde si alzavano imponenti e si abbattevano con veemenza inaudita contro le rocce e gli scogli, poi indietreggiavano quasi per riprendere forza e tornare ad assalire il granito delle rive.
Anche le onde espressero il loro parere:
“La vita è una sempre inutile lotta verso la libertà!”
Nel vasto cielo azzurro un’aquila reale tracciava i suoi cerchi e fieramente esultò:
“La vita è conquistare le altezze!”
Un salice flessuoso intervenne:

“La vita è sapersi piegare sotto le bufere!”

Cadde la notte.
Un gufo espresse il suo parere:
“La vita è approfittare dell’occasione mentre tutti gli altri dormono!”
Per un po’ ci fu un grande silenzio.
Un giovane che tornava a casa a notte fonda sbottò:
“La vita è una continua ricerca della felicità e una catena di delusioni!”
Finalmente sorse una fiammeggiante aurora.
Si dispiegò in tutta la sua gloria e disse:
“Come io, l’aurora, sono l’inizio del giorno che viene, così la vita è l’inizio dell’eternità!”

Brano senza Autore

Il maestro ed il biscotto

Il maestro ed il biscotto

C’era una volta un discepolo che rivolse al suo maestro questa domanda:
“Quante discussioni si sono fatte e si fanno ancora su Dio.

Grande maestro, tu cosa ne pensi?”

“Vedi quell’ape?” rispose il maestro, “Senti il suo ronzio?
Esso cessa quando l’ape ha trovato il fiore e ne succhia il nettare.”

Poi continuò:

“Vedi quest’anfora?
Ora vi verso dell’acqua.
Senti il gorgoglio?

Cesserà quando l’anfora sarà colma.

Ed ora osserva questo biscotto che pongo crudo nell’olio bollente.
Senti come frigge e che rumore fa?
Quando sarà ben cotto tacerà.”

Storia Zen
Brano senza Autore

L’imbuto multiuso

L’imbuto multiuso

Da una piccola vigna posta al sole, coltivata da generazioni, si otteneva un ottimo vino.
Abatino era molto orgoglioso della sua vigna e del vino, ma, nell’ultimo periodo aveva iniziato ad abusarne, con la scusante che fosse un’annata eccezionale.
In famiglia effettuavano la potatura verde (una tecnica che prevede di togliere i grappoli piccoli lasciando quelli più idonei ad una maturazione omogenea),

che dava come risultato un vino dolce, liquoroso e di alta gradazione.

Il medico di famiglia, chiamato dalla moglie di Abatino per sopraggiunti problemi di salute del marito, diagnosticò ad Abatino un principio di cirrosi epatica.
L’unica cura che gli consigliò fu la drastica riduzione del nettare di Bacco.
La soluzione proposta dal medico, però, risultò di difficile applicazione dato il carattere dell’uomo, che non voleva, in nessun modo, rinunciare al frutto tentacolare delle sue fatiche.

Il dottore, nel congedarsi, disse alla moglie:

“Prova a farlo eterno, cioè aggiungi gradatamente dell’acqua alla caraffa del vino durante i pasti e, inoltre, fai in modo che non si possa spillare dalla botte.
Siccome non potete chiudere la cantina, visto che la usate sia come magazzino che come dispensa, porta via sia i bicchieri che le scodelle.”
La donna seguì i consigli del medico,

ma ogni sera Abatino risultava lo stesso allegro e alticcio.

Tutto ciò risulto per lei un mistero, così decise di appostarsi dietro una tenda divisoria, per capire cosa stesse succedendo.
Ad un certo punto, durante la serata, vide entrare il marito, prendere l’imbuto e bere direttamente dalla botte.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il vino del parroco

Il vino del parroco

Dei giovani coscritti classe 1942 sono stati protagonisti in terra Trevigiana di un singolare episodio.
Questo accadde durante la giornata in cui veniva fatta la visita medica, prima di partire per il militare.
La stessa sera andarono a far baldoria in diverse taverne e cantine,

facendo a gara a chi offrisse il miglior nettare di Bacco.

Brilli per il troppo bere fecero la loro ultima tappa in una cantina rinomata perché forniva vino alle parrocchie per celebrar messa.
In questa nacque un diverbio poiché pretendevano di bere da una damigiana su cui era poggiato un bigliettino con scritte queste parole:
“Riservata per il parroco di Treviso.”
Ed ovviamente il proprietario si opponeva perché prenotata.
Il più gagliardo prese una canna di gomma, che aveva visto fuori dalla porta, e travasò il vino nei calici per il brindisi, nonostante il disappunto del proprietario, ma portato alla bocca,

tutti lo sputarono con smorfie di disgusto e conati di vomito.

Il padrone della cantina intuì immediatamente il perché del disastro e con sarcasmo disse:
“Senza il mio consenso avete prelevato il vino, riservato per il parroco, con la canna con cui ieri mio zio Luigi ha fatto il clistere all’asino, ben vi sta!”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La leggenda del Prosecco

La Leggenda del Prosecco

Tanti secoli orsono, in un ridente paesello dal nome non ben precisato, posto in una ridente zona collinare con panorami mozzafiato, ora zona Unesco, veniva coltivato un prestigioso vitigno, dal quale veniva prodotto un ottimo vino Prosecco.
Era consumato prevalentemente dagli stessi abitanti,

fatta eccezione per qualche conoscente dei paesi limitrofi.

In tanti ne abusavano nel consumo, dallo speziale al curato.
Allora come adesso, sappiamo che il prosecco è di una bontà unica.
Solo il sacrestano era astemio ed in previsione di un aumento di lavoro durante la festa patronale, contrariato per quello che stava succedendo e per quello che sarebbe potuto succedere,

ideò un singolare espediente.

Sperando nelle trame della provvidenza, si servì di una civetta entrata accidentalmente in chiesa.
Catturata, la rinchiuse nel tabernacolo.
Il buon curato, il giorno stesso, riponendo l’ostia dopo il rito della comunione, nell’aprire il tabernacolo vide due grandi occhi spalancati che lo fissavano,

spaventato corse al pulpito e balbettando disse:

“Cari fedeli, oggi abbiamo ricevuto un forte segnale dal Padre Eterno in persona, che mi ha fissato, guardandomi con due occhi spalancati…
Forse è giunto il momento in cui dobbiamo bere tutti un po’ di meno, dedicandoci al commercio del nostro prezioso nettare!”
In seguito a questo commento del curato, incominciò la fortuna commerciale di un vino ora di nomea internazionale.
Ogni anno vengono stappate milioni di bottiglie per brindare in ogni circostanza.

Brano di Dino De Lucchi
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Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno