Ricomincia

Ricomincia

Se sei stanco e la strada ti sembra lunga, se ti accorgi che hai sbagliato strada, non lasciarti portare dai giorni e dai tempi, Ricomincia.

Se la vita ti sembra troppo assurda, se sei deluso da troppe cose e da troppe persone, non cercare di capire il perché, Ricomincia.

Se hai provato ad amare ed essere utile,

se hai conosciuto la povertà dei tuoi limiti, non lasciar là un impegno assolto a metà, Ricomincia.

Se gli altri ti guardano con rimprovero, se sono delusi di te, irritati, non ribellarti, non domandar loro nulla, Ricomincia.

Perché l’albero germoglia di nuovo dimenticando l’inverno,

il ramo fiorisce senza domandare perché, e l’uccello fa il suo nido senza pensare all’autunno, perché la vita è speranza e sempre Ricomincia…

Brano senza Autore

Il seme più piccolo (Il seme di senape)

Il seme più piccolo
(Il seme di senape)

Non si sa come fosse capitato proprio là, ma nella manciata di grossi e lucidi grani di frumento c’era un granellino nero nero, così piccolo che era quasi invisibile.
Il contadino buttò la manciata di semi nella terra aperta dall’aratro.
Con grande dignità e profonda consapevolezza della loro missione, i semi di grano presero posto nelle loro culle di buona e profumata terra.
Ma quando arrivò il semino nero, scoppiò tra le zolle una gran risata.
“Pussa via, sgorbietto inutile!” brontolò stizzito un grosso seme di frumento che si era ricevuto il semino nero proprio sulla pancia.

“Chiedo scusa, signore.” mormorò il granellino, “Sono spiacente!”

“È il seme più ridicolo che mi sia capitato di vedere!” sbraitò il bulbo di una cipolla selvatica.
Le erbe del fossato, vecchie e pettegole, cominciarono a dire malignità di ogni sorta sui semi moderni che ciondolano qua e là e non riescono a combinare niente.
Anche i semi di papavero ridevano e l’avena, già alta, propagò al vento il suo parere:
“Divento gialla se ne uscirà una fogliolina sola!”
Il piccolo seme si sentì avvilito da quelle voci di disprezzo, che il vento, gran chiacchierone, sparpagliava dappertutto.
Si fece ancora più piccolo, in un cantuccio di terreno, ma non si scoraggiò.
Non aveva nessuna intenzione di mancare alla sua missione.
Qualcosa era pur capace di fare!
Sognò di crescere alto fino a sovrastare anche le canne dello stagno…
“Chissà se l’avena diventerà gialla per davvero.” pensò.

Voleva riuscirci a tutti i costi!

Lasciò che i grossi semi di frumento si crogiolassero pigramente deridendolo e facendosi beffe della sua piccolezza.
Egli affondò subito le radici nel terreno umido e pieno di squisito nutrimento.
Fu un inverno faticosissimo per lui.
Gli altri semi si godevano il tepore profumato della terra, facevano le cose con calma.
Giocavano a carte o agli indovinelli per passare il tempo.
Il piccolo seme invece ce la metteva tutta.
Sbuffava, sudava, ma impegnava nella sfida tutte le sue forze.

C’era freddo fuori!

Non importava.
Il piccolo stelo si aprì la strada verso il cielo senza paura.
Venne l’estate.
I viandanti che percorrevano la stradina accanto al campo di grano si fermavano e additavano meravigliati una pianta alta e rigogliosa che dominava la distesa del grano.
Un mattino dorato passò anche il Signore.
Chiacchierava con i suoi apostoli, parlando loro dei gigli del campo e degli uccelli dell’aria.
Giunto davanti alla pianta sì fermò e la guardò con intensità.
I passerotti smisero di far chiasso e anche il vento, che si divertiva a far frusciare gli steli del grano e ad arruffare l’erba del fosso, tacque sospeso.
Gesù sapeva l’enorme fatica del piccolo seme nell’inverno e volle coronare la fiducia che aveva avuto in se stesso.

Disse:

“Guardate il granello di senape.
È il più piccolo di tutti i semi, ma quando è cresciuto, è più grande di tutte le piante dell’orto; diventa un albero, tanto grande che gli uccelli vengono a fare il nido in mezzo ai suoi rami.”
Il frumento, che si aspettava qualche elogio sulla sua importanza, quasi seccò per l’invidia.
Il piccolo seme nero, là sotto, esplodeva di gioia.

Brano tratto dal libro “Tutte storie. Per la catechesi, le omelie e la scuola di religione.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Si darà da fare

Si darà da fare

Due pappagalli vivevano nello stesso nido.
Un giorno il nido fu rovinato dal vento impetuoso.

Invece di ripararlo subito, ognuno pensò:

“Lo riparerà il mio compagno!”
E così nessuno aggiustò il nido.
Intanto il buco diventava, di giorno in giorno, sempre più grosso.

Allora il pappagallo più giovane pensò:

“Il mio compagno non sopporterà più a lungo l’idea di vivere in un nido così rovinato, e presto si darà da fare!”
A sua volta il pappagallo vecchio pensò:
“Provvederà il giovane a ripararlo; in fondo ha meno anni di me: è il più forte!”
Il mesi passarono e soggiunse il freddo.

I due, infreddoliti, pensarono:

“Il mio compagno non potrà resistere ancora a lungo: questa volta si darà, sicuramente, da fare per riparare il nido e proteggersi dal freddo”.
Ma nessuno si decideva.
Una sera, quello che rimaneva del nido, fu spazzato dal vento e cadde a terra.
I due pappagalli morirono congelati.

Brano senza Autore.

La cisterna screpolata

La cisterna screpolata

Erano due cisterne a distanza di qualche decina di metri.
Si guardavano e, qualche volta, facevano un po’ di conversazione.

Erano molto diverse.

La prima cisterna era perfetta.
Le pietre che la formavano erano salde e ben compaginate.
A tenuta stagna.
Non una goccia della preziosa acqua era mai stata persa per causa sua.

La seconda presentava invece fenditure,

come delle ferite, dalle quali sfuggivano rivoletti d’acqua.
La prima, fiera e superba della sua perfezione, risaltava nettamente.
Solo qualche insetto osava avvicinarsi o qualche uccello.

L’altra era coperta di arbusti fioriti,

convolvoli e more, che si dissetavano all’acqua che usciva dalle sue screpolature.
Gli insetti ronzavano continuamente intorno a lei e gli uccelli facevano il nido sui bordi.
Non era perfetta, ma si sentiva tanto tanto felice.

Brano tratto dal libro “Quaranta storie nel deserto.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il passerotto beige e marrone

Il passerotto beige e marrone

C’era una volta un passerotto beige e marrone che viveva la sua esistenza come una successione di ansie e di punti interrogativi.
Era ancora nell’uovo e si tormentava:
“Riuscirò mai a rompere questo guscio così duro?
Non cascherò dal nido?

I miei genitori provvederanno a nutrirmi?”

Fugò questi timori, ma altri lo assalirono, mentre tremante sul ramo doveva spiccare il primo volo: “Le mie ali mi reggeranno?
Se mi dovessi spiaccicare al suolo… Chi mi riporterà quassù?”
Naturalmente imparò a volare, ma cominciò a pigolare:
“Troverò una compagna?
Potrò costruire un nido?”

Anche questo accadde, ma il passerotto si angosciava:

“Le uova saranno protette?
Potrebbe cadere un fulmine sull’albero e incenerire tutta la mia famiglia.
E se dovesse arrivare un falco a divorare i miei piccoli?
Riuscirò a nutrirli?”
Quando i piccoli si dimostrarono belli, sani e vispi e cominciarono a svolazzare qua e là, il passerotto si lagnava:
“Troveranno cibo a sufficienza?
Sfuggiranno al gatto e agli altri predatori?”

Poi, un giorno, sotto l’albero si fermò un maestro.

Additò il passerotto ai discepoli e disse:
“Guardate gli uccelli del cielo:
essi non seminano, non mietono e non mettono il raccolto nei granai…
eppure il Padre vostro che è in cielo li nutre!”
Il passerotto beige e marrone improvvisamente si accorse che aveva avuto tutto…
E non se n’era mai accorto.

Brano senza Autore

L’eremita e l’esempio dello sparviero

L’eremita e l’esempio dello sparviero

Un eremita vide una volta, in un bosco, uno sparviero.
Lo sparviero portava al suo nido un pezzo di carne:
lacerò quella carne in tanti piccoli pezzi, e si mise a imbeccare anche una piccola cornacchia ferita.
L’eremita si meravigliò che uno sparviero imbeccasse così una piccola cornacchia, e penso:

“Dio mi ha mandato un segno.

Neppure una piccola cornacchia ferita viene abbandonata da Lui.
Dio ha insegnato addirittura ad un feroce sparviero a nutrire una creaturina d’altra razza, rimasta orfana al mondo.
Si vede proprio che Dio dà il necessario a tutte le creature:
e noi, invece, stiamo sempre in pensiero per noi stessi.
Voglio smetterla di preoccuparmi di me stesso!
Dio mi ha fatto vedere che cosa devo fare.

Non mi procurerò più di mangiare!

Dio non abbandona nessuna delle sue creature:
non abbandonerà neanche me!”
E così fece:
si mise a sedere in quel bosco e non si mosse più di là:
pregava, pregava, e nient’altro.
Per tre giorni e per tre notti rimase così, senza bere un sorso d’acqua e senza mangiare un boccone.
Dopo tre giorni, l’eremita s’era tanto indebolito, che non era più capace d’alzare la mano.

Dalla gran debolezza, s’addormentò.

Ed ecco apparirgli in sogno un angelo.
L’angelo lo guardò accigliato e gli disse:
“Il segno era per te, certo.
Ma perché tu imparassi ad imitare lo sparviero!”

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il miglior ritratto della Pace

Il miglior ritratto della Pace

Una volta un re propose di dare un premio a quell’artista che avesse dipinto il miglior ritratto della Pace.
Molti artisti tentarono.
Il re guardò tutti i ritratti, ma ce ne erano, secondo lui, solamente due che realmente fossero degni di essere premiati e che bisognava scegliere tra questi.

Un ritratto rappresentava un lago calmo.

Il lago era un specchio perfetto dove si rispecchiavano montagne torreggianti tutte d’intorno.
C’era un meraviglioso cielo azzurro con nuvole bianche come la lana.
Tutti, vedendo questo ritratto, pensavano che fosse perfetto per rappresentare la Pace.
Nell’altro ritratto vi erano montagne, ma erano accidentate e spoglie.
Sopra c’era un cielo adirato e perturbato come se stesse per scatenarsi la più tremenda perturbazione atmosferica,

piena di lampi e fulmini.

In basso, da un lato della montagna, c’era una cascata che spumeggiava.
Sembrava un quadro che non offrisse alcun appiglio al tema della Pace.
Ma quando il re guardò da vicino, vide, dietro la cascata, un piccolo cespuglio che cresceva in una fessura nella pietra.
Nel cespuglio un uccello mamma aveva costruito il suo nido.
Là, nel mezzo del cespuglio di quell’acqua effervescente, stava accoccolata quella femmina di uccello dentro il suo nido e in pace perfetta.

Quale ritratto vinse il premio?

Il re scelse il secondo.
“Perché,” spiegò il re, “la Pace non vuole dire essere in un luogo dove non c’è nessun rumore, nessuna preoccupazione, nessun cuore spezzato, nessun lavoro duro.
La pace vuole dire essere nel mezzo a tutte quelle cose e rimanere ancora calmi nel proprio cuore.
Questo è il vero significato della pace.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Un padre premuroso (L’abbraccio dell’orso)

Un padre premuroso
(L’abbraccio dell’orso)

Un uomo molto giovane aveva appena avuto un figlio e viveva per la prima volta l’esperienza della paternità.
Nel suo cuore regnavano la gioia e l’amore, che scorrevano a fiumi dentro di lui.
Un giorno gli venne voglia di entrare in contatto con la natura perché, da quando era nato il suo bimbo, vedeva tutto bello e perfino il rumore di una foglia che cadeva gli sembrava musica.
Decise quindi di andare nel bosco per goderne tutta la bellezza e sentire il canto degli uccelli.
Camminava placidamente respirando l’umidità che c’è in quei posti quando, improvvisamente, vide un’aquila su un ramo, e fu sorpreso dalla sua bellezza.
Anche l’aquila aveva avuto la gioia di avere dei piccoli, ed aveva intenzione di arrivare fino al fiume più vicino, catturare un pesce,

e portarlo nel suo nido come cibo per i suoi aquilotti.

Era una responsabilità molto grande allevare e formare i suoi piccoli, affrontando le sfide che la vita offre.
Nel notare la presenza dell’uomo, l’aquila lo guardò e gli chiese:
“Dove vai buon uomo?
Vedo nei tuoi occhi la gioia.”
L’uomo le rispose:
“Sai mi è nato un figlio e sono venuto nel bosco perché sono felice.
D’ora in poi lo proteggerò sempre, gli darò da mangiare, e non permetterò mai che soffra il freddo.
Giorno dopo giorno lo difenderò dai nemici che avrà e non lascerò mai affrontare situazioni difficili.
Non permetterò che mio figlio abbia le stesse difficoltà che ho avuto io, non dovrà mai sforzarsi per nessuna cosa.
Come padre, sarò forte come un orso, e con la potenza delle mie braccia lo circonderò, l’abbraccerò e non permetterò mai che niente e nessuno possa turbarlo.”
L’aquila lo ascoltava attonita, senza riuscire a credere a ciò che udiva.

Poi lo guardò e gli disse:

“Ascoltami bene.
Quando la natura mi ha dato l’ordine di covare le mie uova, di costruirmi un nido, confortevole, sicuro, protetto dai predatori, mi ha detto anche di mettere dei rami con molte spine, e sai perché?
Perché quando i miei piccoli saranno forti per volare, farò sparire tutta la comodità delle piume.
Non resistendo sulle spine, si vedranno costretti a costruirsi il proprio nido.
Tutta la valle sarà per loro, a patto che realizzino con i loro sforzi l’aspirazione di conquistarla.
Se li abbracciassi, la loro aspirazione verrebbe frenata, e questo distruggerebbe in maniera irreversibile la loro individualità, ne farebbe degli individui indolenti senza coraggio di lottare, né gioia di vivere.

Prima o poi piangerei per il mio errore,

perché vedrei i miei aquilotti trasformati in ridicoli rappresentanti della loro specie, e mi riempirei di rimorso e gran vergogna nel vedere l’impossibilità di gioire per i loro trionfi.
Io, amico mio,” disse l’aquila, “amo i miei figli più d’ogni altra cosa, però non sarò mai complice della loro superficialità e immaturità!”
L’aquila tacque, poi, con maestosità si alzò in volo per perdersi all’orizzonte.
L’uomo tornandosene a casa, meditò sul terribile errore che avrebbe commesso dando a suo figlio l’abbraccio dell’orso.
Giunto a casa abbracciò il suo bimbo per alcuni secondi, poi si rese conto che il piccolo cominciava a muovere le gambe e braccia come per dimostrare il suo bisogno di libertà, senza che nessun orso protettivo lo ostacolasse.
Da quel giorno l’uomo cominciò a prepararsi per diventare il migliore dei padri.

Brano tratto dal libro “Guida per genitori; PNL con i bambini.” di Eric de la Parra Paz

L’aquila che visse come un pollo

L’aquila che visse come un pollo

Un giorno un allevatore di polli, appassionato scalatore, mentre si arrampicava su una montagna particolarmente difficile, s’imbatté in una sporgenza.
Su quella sporgenza c’era un nido e nel nido c’erano tre grandi uova.
Uova di aquila.
L’uomo sapeva di comportarsi in modo anti ecologico e forse anche illegale, ma cedette alla tentazione di prendere una delle uova e metterla nel suo zaino, accertandosi, prima, che l’aquila madre non fosse nei paraggi.
L’allevatore continuò la sua scalata, alla fine tornò alla fattoria e mise l’uovo nel pollaio.

Quella sera la gallina si sedette su quell’enorme uovo per covarlo:

era l’immagine della madre più orgogliosa che si potesse immaginare.
E anche il gallo sembrava fiero di sé.
A tempo debito, l’uovo si schiuse e l’aquilotto uscì, si guardò attorno, vide la gallina e disse: “Mamma!”
E fu così che l’aquila crebbe con i suoi fratelli pollastri.

Imparò a fare tutto ciò che fanno i polli:

chiocciare e schiamazzare, grattare per terra alla ricerca di vermi, agitare le ali furiosamente e volare a poche spanne d’altezza prima di ricadere, a terra, in una nuvola di polvere e piume.
L’aquilotto era assolutamente sicuro di essere un pollo.
Un giorno, quando era ormai anziana, l’aquila che credeva di essere un pollo guardò il cielo.
Lassù, in alto tra le correnti, volava maestosa, senza sforzo e senza quasi muovere le ali, un’aquila.
“Cos’è quella?” chiese stupita la vecchia aquila, “È magnifica.
Quanta potenza e quanta grazia!

È poesia in movimento.”

“Quella è un’aquila!” disse un pollo, “È il re degli uccelli.
È un uccello dei cieli, noi siamo solo polli, uccelli di terra!”
E fu così che l’aquila visse e morì da pollo; perché questo era ciò che credeva di essere.

Brano tratto dal libro “Messaggio per un’aquila che si crede un pollo.” di Anthony de Mello

L’albero e la siepe

L’albero e la siepe

Non era tanto bello.
Aveva un tronco rugoso, dei rami un po’ rachitici che producevano delle mele aspre che nessuno voleva.
Ma la cosa peggiore era il carattere.
Albero non faceva che lamentarsi.
La cosa dava fastidio soprattutto a Siepe, che era cresciuta proprio accanto ad Albero.
Era primavera e Albero continuava a mugugnare:
“Vedrai che stasera pioverà e magari anche domani.
E poi soffierà il vento e mi spezzerà qualche ramo!”
“Ma è così soave il vento di primavera!” diceva Siepe.
Albero non ascoltava neanche:
“Quegli orribili uccelli, poi!
Mi faranno il nido addosso e mi mangeranno i germogli!”

Albero continuava a lamentarsi per ore:

il campo si sarebbe riempito di fango, le mucche e i conigli gli avrebbero rovinato la corteccia, l’erba alta gli avrebbe fatto il solletico e così via.
Per Siepe era un vero supplizio.
Decise perciò che doveva far qualcosa per impedire il continuo mugugno di quel brontolone d’Albero.
Dovete sapere che il miglior amico di Siepe era il vecchio Corvo, che si appollaiava spesso tra i suoi rami dopo pranzo e dopo cena per far quattro chiacchiere.
Siepe spiegò a Corvo il problema:
“Come faccio a far smettere Albero di lamentarsi?”
Corvo si mise a pensare, poi disse:
“Albero non ha una vera ragione di vita, ecco perché si lamenta sempre!”
“Ma dove si trova questa ragione?” chiese Siepe.
“Di solito, proprio sotto il naso!” replicò Corvo.
La primavera lasciò il posto all’estate e Siepe si riempì di verde.
Come sempre, Caprifoglio le si attorcigliò alle foglie, adornandola con i suoi fiori profumati.

Le api ronzavano nella calda aria estiva.

“Albero,” chiese Siepe un bel giorno, “qual è la cosa più brutta della tua vita?”
Albero ci pensò un po’ e poi sussurrò con voce triste:
“La cosa peggiore è che non piaccio a nessuno.
Perché sono brutto.
La mia fioritura dura solo pochi giorni, le mie foglie non sono belle e le mie mele selvatiche hanno un sapore orribile!”
“Ma a questo si può rimediare facilmente!” esclamò Siepe.
“Potrei chiedere a Caprifoglio di crescere lungo il tuo tronco e sui tuoi rami, e così saresti ricoperto di fiori profumati e di foglie verdi per la maggior par te dell’anno.
L’unica difficoltà è che…
Caprifoglio non vuole: dice che ti lamenti troppo!”
Albero rimase in silenzio.
Poi disse:
“Se io prometto di lamentarmi di meno, potresti convincerlo a crescere sopra di me?”

“Se non ti lamentassi per un anno intero forse accetterebbe!” rispose Siepe.

Così, per un anno intero, Albero non si lamentò neppure una volta.
Nemmeno quando arrivò la siccità, né quando arrivò una nevicata mai vista e neppure quando le lepri rosicchiavano le radici.
E un bel giorno della primavera seguente, Caprifoglio mise fuori un timido germoglio.
Si attorcigliò al tronco di Albero e si intrecciò ai suoi rami.
Quando il vento di giugno fece volar via i boccioli di Albero, Caprifoglio dischiuse i suoi fiori profumati gialli e rosa, e Albero divenne il più bello tra tutti gli alberi del campo.
Da quel giorno non si lamentò più.
Nemmeno una volta.
Mai più.
Un pomeriggio d’inverno, Corvo andò da Siepe.
“Non ho più sentito Albero lamentarsi.
Deve aver trovato una ragione di vita.
Qual è?”
“Chiedilo a lui!” rispose Siepe.
Corvo volò da Albero e gli chiese che ragione di vita avesse trovato.
“Non posso parlare ora, Corvo, devo proteggere Caprifoglio dal vento!”
“Ma è tutto marrone e avvizzito ora che è inverno!”

“Ora è così!” rispose Albero.

“Ma si appoggia a me perché io lo protegga fino a primavera.
E allora sboccerà di nuovo più folto e più bello dell’anno passato!”
Il vecchio Corvo e Siepe furono molto contenti nel sentirlo parlare così.
Albero aveva trovato la sua ragione di vita.
E non si sarebbe lamentato mai più.
Albero rappresenta quel tipo di persona che si incontra spesso:
colui che non trova mai nulla di buono, che trova difetti in tutto e in tutti, che non ha mai detto nulla nella sua vita!
“Questo è bello! Magnifico! Bravo!”
Sono molte le persone che, “brontolando” sempre, rendono la vita infelice agli altri e soprattutto a se stessi.
“Trovare una vera ragione di vita,” dice il racconto “è trovare la felicità!”
Uno scopo, un ideale, una missione, una mèta: non bisogna mai dimenticare che questo è un elemento insostituibile della felicità.
Solo l’uomo che ha un senso e una direzione si sente realizzato.

Brano senza Autore, tratto dal Web