Il trapianto (Ciao “Io”)


Il trapianto (Ciao “Io”)

Aveva un bel rapporto di amicizia con la figlia Sara, che ormai era adulta e viveva con la sua famiglia in una cittadina vicina.
Madre e figlia si scrivevano spesso o parlavano per telefono.
Quando la chiamava, Sara diceva sempre:

“Ciao mamma, sono io!”, e lei rispondeva:

“Ciao “Io”, come va oggi?”
Spesso lei firmava le sue lettere semplicemente: “Io”.
Talvolta, per scherzo, la chiamava “Io”.
Poi Sara morì di colpo, senza preavviso, per un’emorragia celebrale.

La madre ne fu annientata!

Non ci può essere dolore peggiore per un genitore che perdere un figlio adorato.
Ci volle tutta la sua notevole fede per riuscire ad andare avanti.
D’accordo con il marito, decise di donare gli organi della figlia, in modo che da una situazione così tragica potesse per lo meno derivare un po’ di bene.
A tempo debito fu contattata dall’agenzia dei trapianti, che le disse a chi erano andati gli organi di Sara, anche se naturalmente non vennero fatti i nomi.
Circa un anno dopo ricevette una bella lettera da un giovane che da Sara aveva ricevuto il pancreas e un polmone.

Raccontava come era cambiata la sua vita.

E dato che non poteva usare il suo nome, indovinate come firmò la lettera?
“Io.”

Brano tratto dal libro “È di notte che si vedono le stelle.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

La malattia del pigiama

La malattia del pigiama

Un anziano signore ultraottantenne viveva da solo in una piccola villetta.
Aveva trascorso la propria esistenza da misantropo, sempre chiuso in se stesso, vivendo in mezzo al disordine più totale in compagnia dell’inseparabile gatto.

Da quanto narrava,

aveva sempre goduto di un’ottima salute e l’unica visita medica che ricordava di aver sostenuto era quella per il militare.
Da diversi mesi i servizi sociali del comune lo tenevano d’occhio dato che nell’ultimo periodo usciva poco di casa e, a turno, mandavano dei volontari che con molta discrezione e tatto lo monitoravano, qualora avesse dovuto avere bisogno di qualche bene di prima necessità e anche per mettere un po’ d’ordine in casa.
Una volontaria, entrando in casa durante una di queste visite,

lo trovò sul divano febbricitante e dolorante.

Pensò di accompagnarlo al pronto soccorso perché non seppe dirle chi fosse il proprio medico di famiglia.
Il medico del pronto soccorso che lo visitò lo mise subito in codice rosso e furono effettuati alcuni esami diagnostici di prassi, riscontrandogli diverse patologie gravi in atto.
Il suo ricovero fu la soluzione obbligata e, accompagnandolo al reparto, la volontaria gli chiese:
“Nonno, hai il pigiama?”

L’anziano rispose:

“Mi hanno detto che ho varie malattie, con nomi difficili che hanno a che fare con la matematica, ma quella del pigiama non mi sembra di averla sentita, comunque mi devono fare altri esami specialistici!”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La leggenda del bucaneve


La leggenda del bucaneve

Un’antica leggenda racconta che quando tutto ciò che vive prese la sua forma e il suo nome definitivo, solo l’uomo non fu contento, poiché la terra gli sembrava triste e deserta.
Egli sentiva che mancava qualcosa che rendesse bella e felice la sua vita.
Allora apparve la fata dei fiori, la quale, ascoltando le sue lamentele gli disse:
“Coprirò la terra con un ornamento originale che sarà per sempre la tua consolazione e la gioia dei tuoi occhi.”
E a un cenno della sua bacchetta magica uscirono all’improvviso dalla terra moltissimi fiori che si disposero gli uni accanto agli altri.
La fata allora immerse la sua bacchetta magica nei colori dell’arcobaleno e diede a ciascuno dei colori diversi.

Ben presto la terra si coprì di fiori coloratissimi di ogni tipo.

I fieri crisantemi poterono inorgoglirsi di essere splendenti e multicolori, le rose dei loro petali che sembravano preziosi velluti, i garofani, i gelsomini, i fiordalisi, le viole profumate…
Allo stesso tempo la fata dava a ciascuno un nome, indicandogli anche il luogo di residenza.
Non appena tutti i fiori furono pronti a confortare il genere umano, si udì da sotto un mucchio di neve come il sospiro di un bambino abbandonato.
“Io sono il solo ad essere stato dimenticato, buona fata,” diceva una vocina lamentosa “e sono rimasto senza colore e senza nome.
Quando i miei fratelli, sparsi sulla terra per compiere la loro missione, rallegreranno gli sguardi con la loro bellezza, io resterò qui e nessuno lo saprà!”

Commossa la fata rispose:

“Non essere triste piccolo fiore.
Tu che sei rimasto l’ultimo, sarai il primo.
Poiché sei stato dimenticato, piccolo bucaneve, sarai tu con i tuoi petali bianchi ad annunciare l’arrivo della primavera.
Alla tua vista tutti si rallegreranno!”

Leggenda popolare
Brano senza Autore, tratto dal Web