La civetta colorata

La civetta colorata

Un nonno regalò a suo nipote un viaggio-vacanza in Brasile.
L’unica condizione per avere questo era regalo era quella di comprare un pappagallo in Brasile e portarglielo, in modo che lui avesse potuto insegnargli a parlare,

per lenire la sua solitudine di vedovo.

Il nipote tra feste e distrazioni si dimenticò del pappagallo e se ne rese conto solamente una volta rientrato a Milano.
Girò tutti i venditori di uccelli per rimediare, ma ebbe la medesima risposta da tutti i commercianti:
le specie protette non possono essere commercializzate.
Fece un ultimo tentativo ed in questo negozio gli venne suggerito di colorare con colori sgargianti una civetta, contando sulla non buona vista del nonno.

Grande fu l’entusiasmo del nonno per la nuova compagnia

Quando il nipote ritornò dal nonno, un mese dopo, per chiedergli se fosse contento del pappagallo, questo gli rispose di sì.
Aggiunse, inoltre, che il pappagallo stava cambiando la lucentezza delle penne per la cattività, ma dai grandi occhi spalancati si intuiva chiaramente che stava molto attento a quello che gli veniva detto e sperava di avere, a breve, una risposta da parte del pappagallo.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La giusta stima (L’orologio da taschino)

La giusta stima
(L’orologio da taschino)

Un simpatico nonnetto possedeva un orologio da taschino e lo mostrò al nipote dicendogli:
“Questo un giorno sarà definitivamente tuo, ma questo accadrà solo quando scoprirai il suo vero valore, nel frattempo puoi farlo stimare!”

Il nipote andò da diversi antiquari e rigattieri per avere una stima,

ma tutti gli dissero che era semplicemente un vecchio orologio scolorito e che valeva pochissimo perfino per il banco dei pegni.
Quando riferì al nonno dei suoi vari insuccessi, questi gli consigliò di insistere.
Allora si recò in un museo che gli offrì una cifra elevata, vicina al milione di euro, perché era un pezzo unico.
Tutto contento corse dal nonno che gli disse:

“L’orologio è tuo perché hai imparato la lezione.

Se per il tuo lavoro dovessi essere pagato poco perché non apprezzano il tuo valore, non arrenderti ma continua a cercare un lavoro migliore, fino al momento in cui non riuscirai a trovare chi ti stima e ti valorizza per quello che sei.”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Conosci il tuo valore! (L’orologio da polso)

Conosci il tuo valore!
(L’orologio da polso)

Un padre prima di morire disse a suo figlio:
“Questo è un orologio che tuo nonno mi ha regalato.

Ha più di 200 anni,

ma prima che te lo dia, vai al negozio di orologi e digli che voglio venderlo, vedi quanto ti offrono.”
Il figlio fece come disse il padre e ci andò.
Ritornò da suo padre, e disse:
“L’orologiaio vuole offrirmi 5 euro perché è vecchio!”

Il padre allora rispose:

“Vai al Museo e mostra quell’orologio.”
Non perse neanche un secondo, corse immediatamente al museo.
Tornato da suo padre gli disse:
“Mi hanno offerto un milione di euro per questo orologio!”

Il padre lo guardò sorridendo, dicendogli:

“Volevo farti sapere che il posto giusto valorizza il tuo valore nel modo giusto, non stare nel posto sbagliato e arrabbiati se non lo fai.
Chi sa il tuo valore è chi ti apprezza, non stare in un posto che non ti soddisfa!”
Conosci il tuo valore.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il pane che scotta

Il pane che scotta
(L’immagine nel riquadro è il “Mangiafagioli”, un dipinto di Annibale Carracci)

Era un tempo di ristrettezze e di miseria per via della guerra che imperversava.
In una numerosa famiglia, un giovane, poco più che ragazzino, lasciò la propria casa ed andò a lavorare come garzone.

Lo fece per essere una bocca in meno da sfamare.

Andò a lavorare da un contadino che viveva con sua moglie; come compenso riceveva poco più di vitto e alloggio siccome anche loro non erano proprio benestanti.
Una volta, per cena, gli venne servita una bella scodella di minestrone di fagioli, come quella dipinta nel famoso quadro “Mangiafagioli.” di Annibale Carracci.
Il nostro protagonista, affamato più che mai, anche per via della giovane età e dell’adolescenza, mise dentro al minestrone dei pezzi di preziosissimo e rarissimo pane, visto che, per le leggi della guerra,

ne venne imposto il razionamento pro capite.

Il gesto attirò l’attenzione della padrona di casa che, allarmata e per dissuaderlo, gli disse:
“Non metterci tanto pane perché con il pane i fagioli si surriscaldano!”

Il giovane affamato rispose di botto:

“Per me non è un problema, neanche se mi dovessi bruciare la bocca:
la fame è peggio!”
Il garzone protagonista era mio nonno.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il bambino e l’aquilone

Il bambino e l’aquilone

Una tersa e ventilata mattina di settembre, un bambino, aiutato dal nonno, fece innalzare nel cielo un magnifico aquilone.
Portato dal vento, l’aquilone saliva e saliva sempre più in alto finché divenne solo più un puntolino.

Il filo si srotolava e seguiva l’aquilone verso l’alto,

ma il nonno aveva legato saldamente una estremità del filo al polso del bambino.
Lassù, nell’azzurro, l’aquilone dondolava tranquillo e sicuro, seguendo le correnti.
Due grassi piccioni chiacchieroni, che volavano pigramente, si affiancarono all’aquilone e cominciarono a fare commenti sui suoi colori.
“Sei vestito proprio in ghingheri, amico.” disse uno.

“Dai, vieni con noi.

Facciamo una gara di resistenza.” disse l’altro.
“Non posso.” disse l’aquilone.
“Perché?” chiesero i due piccioni.
“Sono legato al mio padroncino, laggiù sulla terra!” rispose l’aquilone
I due piccioni guardarono in giù.

“Io non vedo nessuno.” disse uno.

“Neppure io lo vedo,” rispose l’aquilone, “ma sono sicuro che c’è perché ogni tanto sento uno strattone al filo!”

Sii felice se ogni tanto Dio dà uno strattone al tuo filo.
Non lo vedi, ma è legato a te.
E non ti lascerà perdere.

Brano tratto dal libro “Ma noi abbiamo le ali.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il ragazzo, la cesta e l’acqua

Il ragazzo, la cesta e l’acqua

C’era una volta un ragazzo che viveva con suo nonno in una fattoria.
Ogni mattina il nonno, che era cristiano, si alzava presto e dedicava del tempo a leggere le Scritture.
Il nipote cercava di imitarlo in qualche modo, ma un giorno chiese:
“Nonno, io cerco di leggere la Bibbia ma anche le poche volte che riesco a capirci qualcosa, la dimentico quasi subito.
Allora a cosa serve?

Tanto vale che non la legga più!”

Il nonno terminò tranquillamente di mettere nella stufa il carbone che stava in una cesta, poi disse al nipote:
“Vai al fiume, e portami una cesta d’acqua!”
Il ragazzo andò, ma ovviamente quando tornò non era rimasta acqua nella cesta.
Il nonno ridacchiò e disse:
“Beh, devi essere un po’ più rapido.
Dai riprova, muoviti, torna al fiume e prendi l’acqua!”

Anche questo secondo tentativo, naturalmente, fallì.

Il nipote, senza fiato, si lamentò dicendo che era una cosa impossibile, e si mise a cercare un secchio.
Ma il nonno insistette:
“Non ti ho chiesto un secchio d’acqua, ma una cesta d’acqua.
Torna al fiume!”
A quel punto il giovane sapeva che non ce l’avrebbe fatta, ma andò ugualmente per dimostrare all’anziano nonno che era inutile.
Per quanto fosse svelto l’acqua filtrava dai buchi della cesta.

Così tornò al fiume e portò la cesta vuota al nonno, dicendo:

“Vedi? Non serve a niente!”
“Sei sicuro?” disse il nonno, “Guarda un po’ la cesta!”
Il ragazzo guardò con attenzione:
la cesta, che prima era tutta nera di carbone, adesso era perfettamente pulita!

Brano senza Autore, tratto dal Web

La ricerca della Pace

La ricerca della Pace

C’era una volta un tale che si mise in viaggio per trovare cosa fosse la pace.
Ogni giorno faceva chilometri e chilometri, domandando a tutti cosa fosse la pace.
Ma nessuno sapeva dargli una risposta.
Qualcuno diceva:
“La pace?
È non avere pensieri per la testa, non pensare a qualcun’altro!”
“Eh, la pace! È avere la pancia piena!”
“La pace è non avere importuni tra i piedi come te…
e quindi lasciami in pace e prosegui il tuo cammino.”
Nessuno sapeva dirgli proprio cos’era la pace.
Quando camminava di notte gli sembrava che quel silenzio, quell’oscurità, quella luna, quelle stelle, gli parlassero di pace; ma poi si ricordava degli uomini e subito il suo cuore si riempiva di tristezza, e il senso di pace svaniva specialmente quando a qualche fattoria nemmeno poteva avvicinarsi per chiedere ospitalità, perché c’erano a guardia grossi cani che gli mettevano paura.

Che strano!

Gli uomini avevano bisogno di grossi cani per stare in pace alla notte.
Un giorno attraversando il giardino di una città, dove c’erano tanti bambini che giocavano, sentì una voce che gli fece venire il batticuore:
“Su, da bravi, fate la pace!”
Era una nonnina che invitava due fratellini, che avevano appena litigato, a perdonarsi.
Andò verso l’anziana per farle la solita domanda.
Ma ella non seppe dirgli altroche la pace, la si fa dopo che si è litigato.
Il viandante ringraziò, ma non rimase soddisfatto:
possibile, che per avere la pace sia necessario prima litigare? (diceva tra sé proseguendo il suo cammino di ricerca)
Un altro giorno passando davanti a una casetta sentì una povera donna gridare:
“Ma qui non c’è un attimo di pace!”
Quella persona, forse sapeva cos’era la pace: bussò ed entrò.
Trovò una mamma con tre bambini, uno più vispo dell’altro.

Le fece la domanda e la donna:

“La pace? Credo ci sarà in questa casa quando questi bambini saranno obbedienti, calmi, ordinati…”
Non aveva ancora terminato le parole che, per incanto i bambini diventarono come delle statuine, calmissimi; se domandavi loro qualcosa correvano ad eseguire la consegna e poi tornavano a sedersi immobili con le braccia conserte.
Il viandante, dai ringraziamenti della donna, credette finalmente trovato cosa fosse la pace.
Chiese di poter alloggiare da loro.
Passò qualche giorno e finì per stancarsi.
Non poteva essere quella la pace.
Tutto a bacchetta!
No, quella non poteva essere la pace.
Bambini come macchine!
Tutto in ordine!
Ma quale tristezza in quella casa.
Una sera se ne andò anche di là, sempre più deluso…
Passarono alcuni giorni.
Era seduto sul ciglio della strada, quando si sentì chiamare:
“Nonno, nonno!” si voltò e vide venire verso di lui un bambino.
“Nonno cosa fai?

Quanti anni hai?

Sei stanco?
Perché sei così sporco?
Vuoi giocare con me?
Perché non vieni a casa mia?”
Il povero viandante sulle prime non rispose, quasi infastidito dalle tante domande…
Poi, piano piano si lasciò coinvolgere, si sciolse di fronte all’insistenza del bambino e cominciò a parlare e persino a tentare anche a giocare con il pallone colorato che il bambino teneva in mano e gli offriva.
I suoi movimenti impacciati facevano ridere, ma il bambino era felice.
“Nonno, nonno!” continuava a ripetere.
Intrattenendosi con quel bambino dimenticò il problema della pace e anche tutti i suoi guai e per un po’ fu “in pace” felice e contento.
Ricordò a lungo quei momenti, le risate del bimbo gli rimasero stampate nell’anima.
“Non occorre essere ricchi o potenti per essere in pace, andava ripetendosi, basterebbe essere come i bambini; invece vogliamo a tutti i costi essere furbi e adulti e non troviamo più pace!”
Non cercò più la pace: da allora incominciò a donarla come un bambino e la vita cominciò a sorridergli come non gli era mai accaduto.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La corda della dignità

La corda della dignità

C’era un bambino che tutti i giorni chiedeva un pezzo di pane al nonno,

poi lo metteva in tasca e si inoltrava nella foresta per poi riapparire dopo una decina di minuti.

Dopo un paio di settimane il nonno incuriosito seguì il nipotino e lo vide fermarsi in un pozzo abbandonato, tirato fuori il pezzo di pane lo getta nel pozzo, rassicurando:

“Torno domani, non piangere!”

Il nonno si avvicina e vede in fondo al pozzo un bambino di un’altra tribù che piangendo continuava a dire nel suo dialetto:
“Aiuto, ti prego, salvami!”

Allora il nonno si rivolge al nipotino dicendo:

“Che bravo nipotino che ho, che si prende cura di un bambino affamato, ma se conoscessi il suo dialetto, sapresti che lui ogni giorno ti diceva:
Grazie fratellino per il pane, ma la prossima volta, ti prego, porta una corda per tirarmi su!”

Brano tratto dal sito Web Il Buongiorno, di Don Luca Murdaca

Il bambino e l’uccellino

Il bambino e l’uccellino

Un giorno d’estate, il nipotino di un famoso scienziato, si presentò al nonno.
Nella mano, che teneva nascosta dietro la schiena, il ragazzino stringeva un uccellino che aveva preso nella voliera del giardino.

Con gli occhi sprizzanti di maliziosa furbizia chiese al nonno:

“Il canarino che ho nella mia mano è morto o vivo?”
“Morto!” rispose il saggio nonno.
Il ragazzo aprì la mano e ridendo lasciò scappare l’uccellino che prese immediatamente il volo.

“Hai sbagliato!” rise.

Se il nonno avesse risposto:
“Vivo!” il ragazzo avrebbe stretto il pugno e soffocato l’uccellino.

Il saggio guardò il nipotino e disse:

“Vedi, la risposta era nella tua mano!”

Brano tratto dal libro “Quaranta storie nel deserto” di Bruno Ferrero

Qual è la parte più importante del nostro corpo?

Qual è la parte più importante del nostro corpo?

Quando ero ragazzina, mia madre mi chiese quale fosse la parte più importante del corpo.
Mi piaceva moltissimo ascoltare musica, come ai miei amici del resto.
Sul momento pensai che l’udito fosse molto importante per gli esseri umani, così risposi:

“Le orecchie.”

“Alcune persone sono sorde, eppure vivono felicemente!” rispose mia madre.
Dopo qualche tempo, mia madre mi rifece la stessa domanda:
“Qual è la parte più importante del corpo umano?”
Io intanto ci avevo pensato e credevo di avere la risposta giusta:
“Vedere è meraviglioso ed è molto importante per tutti, quindi… gli occhi.”
Lei mi guardò e disse:

“Molti sono ciechi e se la cavano benissimo!”

Pensavo che fosse solo una specie di gioco tra me e mia madre.
Poi però un giorno, tristissimo per me, morì mio nonno.
Era una persona molto importante per me.
L’amavo tantissimo.
Ero distrutta dal dolore.
Quel giorno mia madre mi disse:
“Oggi è il giorno giusto perché tu possa capire la risposta alla domanda.
La parte più importante del corpo sono le spalle!”
Sorpresa, dissi:

“Perché sostengono la testa?”

“No!” rispose mia madre, “Perché su di esse possono appoggiare la testa gli amici o le persone care quando piangono.
Tutti abbiamo bisogno di una spalla su cui piangere in alcuni momenti della nostra vita.”
Quella volta scoprii quale fosse la parte più importante del mio corpo, perché in quel momento, quella che aveva bisogno di una spalla su cui piangere ero io.

Brano senza Autore