La vita è un racconto, ascoltalo

La vita è un racconto, ascoltalo

Prima di lasciare il suo corpo, mio nonno mi chiamò accanto a sé e mi volle svelare il “segreto della vita.”
Mi disse proprio così:
“Ora ti confiderò un segreto, il segreto della vita!”
A quel tempo ero un ragazzino e non capivo perché un uomo come mio nonno dovesse morire.
Proprio non lo capivo.
Era un uomo eccezionale mio nonno.
Un uomo di grande cultura; severo; onesto con sé e con il mondo in cui credeva; ironico.
Ed insomma in quel giorno che a me sembrava una tragedia, mi chiamò vicino a sé, mi prese la mano e mi disse:

“Io me ne sto per andare.

Ma non devi essere triste.
Me ne vado per un po’, perché questo mio corpo è un po’ stanco.
Poi ci rivedremo.
Ma ora voglio confidarti un segreto.
Il segreto della vita.
Oggi viviamo in un mondo dove sembra che non esista altro che il denaro e la violenza.
Ma non è così.
C’è solo una grande confusione.
Per vivere bene devi fare una semplice cosa.
Che ora ti dirò.
Intanto portami un bicchiere d’acqua che ho la bocca secca.”
Beh, come ho già detto, a me sembrava già una tragedia che dovesse morire lui.
Figuriamoci cosa mi importava delle violenze o del denaro!
Però quel discorso lo ricorderò per sempre perché mio nonno stava per svelarmi un segreto.
Ero col bicchiere d’acqua in mano e glielo poggiai sulle labbra.

Bevve un sorso.

Aveva le labbra quasi blu.
“Ecco cosa devi fare!” mi disse, “Oggi c’è gente che è andata sulla Luna e ci sono pure un sacco di medicine nuove.
Però come vedi alla televisione, la gente continua a morire.
Una volta tutte queste cose non si sapevano perché non c’era la televisione.
E con tua nonna la sera si andava a letto presto.
O magari si stava davanti alla finestra a guardare la neve e la gente che passava.
Poi quando le tue zie erano piccole stavamo a raccontare storie di fantasmi o di principesse.
Ed allora magari le tue zie si impaurivano o si innamoravano e poi si andava tutti a letto.
Ora le storie te le raccontano in televisione o magari le leggi sulle riviste dal barbiere.
E così le storie di fantasmi e di principesse non le raccontiamo più perché le raccontano meglio in televisione.
Non ti devi immaginare più nulla:
vedi le immagini e ti impaurisci o sogni come facevano le tue zie ascoltando le nostre favole.
Non è sbagliato tutto questo.

Mi dai un altro po’ d’acqua?”

“Certamente!” dissi.
Era in ospedale mio nonno.
Aveva approfittato dell’assenza di altri parenti per parlarmi.
Per svelarmi questo segreto.
Non l’aveva detto a nessuno.
Lo disse solo a me.
“Come ti dicevo:
la televisione, le medicine, i viaggi sulla Luna… non sono cose sbagliate.
Perché ti possono fare impaurire o sognare.
E provare certi sentimenti non è sbagliato perché noi siamo uomini!
E dobbiamo provarle certe sensazioni perché questa è la vita.””
Mentre mi parlava era come se non avesse paura di morire.
Mi era sempre più chiaro che non stava morendo ma stava solo intraprendendo un nuovo viaggio per portare questo messaggio (che mi stava comunicando) anche ad altre persone e ad altri mondi.

“Queste cose,” continuò, “non sono sbagliate.

Ma la cosa che le può rendere “cattive” è che le tue zie che si impaurivano o che si innamoravano sapevano bene che ciò di cui parlavamo io e tua nonna erano solo racconti.
Invece oggi se accendi la televisione credi che sia tutto vero; se prendi una pillola credi che non lascerai mai questo corpo; se vai sulla Luna credi che sei a un passo da Dio.
C’è una cosa bella in tutto.
Se ora ti affacci alla finestra per esempio c’è il sole.
Ed è una cosa bella perché fa vivere le piante con i suoi raccolti ma se non piove potrebbe farle anche morire.
Sono racconti diversi.
Uno ti fa sognare e gioire, l’altro ti fa impaurire.
Ma sono solo racconti.
Vedi ora io so che tu sei triste perché non capisci perché io me ne debba andare.
E te la prenderai con qualcuno:
magari con Dio, con te stesso, con il mondo che è ingiusto o crudele, con i medici che non mi hanno salvato.
Ma questo è solo un racconto.

Che magari ti impaurisce e ti intristisce.

Ed è giusto che sia così perché sei un uomo e devi provare queste cose.
Ma devi anche sapere che è solo un racconto.
Io vado solo da un’altra parte senza questo vestito che chiamiamo corpo.
Vado a vedere altre cose.
Forse vado anche sulla Luna, ma senza un missile.
Vado ad ascoltare altri racconti.
Non con queste mie orecchie, ma con altre orecchie.
Vado a vedere altri luoghi, ma non con questi occhi.
Vado a raccontare le mie storie ad altra gente, ma non con questa bocca.
La vita è un bel racconto:
che ti fa sognare, ti fa piangere, che ti fa gridare, che ti fa arrabbiare.
Perché sei un essere vivente.
Anche le piante si arrabbiano e pure il Sole.
Anche loro sognano e si impauriscono.

Ma il segreto è che è solo un racconto.

E così la paura passa perché era solo un racconto e rimane la gioia di poter vivere ed ascoltare nuovi racconti.
Anche con corpi diversi.
Quindi vivi, ascolta i racconti, anche quelli della televisione, che sono molto belli.
Ma sappi sempre che sono racconti altrimenti crederai di vedere la Verità dove Verità non c’è.
E sarai sempre triste o forse ti capiterà di essere un po’ triste e un po’ felice.
Ed invece devi essere felice per il semplice fatto che riesci ad ascoltare racconti che magari possono sembrare tristi.
Come io che sono sul letto e la gente poi ti dirà che sono morto.
Ma tu non credergli.
È un racconto.
Un racconto per farti paura.
Ma tu sai che non è la Verità.
Perché io non sono questo corpo ma sono molto di più.
Io sarò sulla Luna o magari in India ad ascoltare e raccontare nuove storie.
Non sarò di certo in qualche tomba!
Mi fa pure schifo!

Ecco il segreto:

“Per vivere la vita,” e mi fece un sorriso come quando stava per raccontare una delle sue barzellette, “per vivere bene la tua vita devi chiedere consigli agli altri.
Se non sai cosa fare, se non riesci a fare qualcosa … chiedi consiglio agli altri.
Ascoltali attentamente e poi informati se hai capito bene cosa ti hanno consigliato ripetendogli cosa ti hanno detto.
Per esempio: tu non sai se andare a lavorare a Roma o Milano e loro ti suggeriscono Milano.
Allora tu dopo aver ascoltato approfonditamente tutte le loro motivazioni, gliele ripeti e vedi se hai capito bene.
E poi alla fine gli dici:
bene, allora Milano sembra il posto giusto.
Ecco la cosa importante è soprattutto ascoltare le motivazioni, perché ovviamente se uno ti dà un consiglio a caso non serve a niente.
Mi passi un po’ d’acqua?”
Il nonno mi stava dicendo di ascoltare i consigli degli altri.
Ma soprattutto di vedere se erano ben motivati.

Era quello l’importante.

“Allora… stavo dicendo.
Quando finalmente saprai che gli altri ti hanno consigliato di andare a Milano, quando avrai capito bene le loro motivazioni, allora sarai pronto.
Fai le valigie e vattene di corsa a Roma!”
Forse non avevo capito bene o forse il nonno cominciava a dare i numeri!
E il nonno se ne accorse benissimo, sorrise e mi guardò negli occhi.
I suoi occhi erano stanchi.
E continuò così:
“Hai capito bene!
Ecco il segreto.
Vivi la tua vita ma mai quella di un altro.
Ognuno di noi è speciale ed unico.
È questa la vita: un racconto speciale.
Ed ognuno di noi non ha Verità ma solo racconti da raccontare.
Ma se ci mettiamo a raccontare racconti uguali finiamo per credere all’unico racconto che oggi compare in televisione.

Ed il mondo diventerà tutto uguale.

E tutti correranno dietro lo stesso racconto credendo che sia la vera vita.
Ma ognuno ha la sua vita ed ognuno ha i suoi racconti.
Quindi ridi e divertiti perché non moriamo mai.
Sono solo i racconti che cambiano, ed è giusto che sia così.
Il mio racconto sta per finire ma un altro ne sta per cominciare.
Un altro tutto nuovo, magari appena sono sulla Luna ne ascolterò mille nuovi e poi te li verrò a raccontare attraverso i tuoi figli o magari attraverso il sole.
Dai, ora vai, che ho sonno.
Ma prima dammi un bacio!”
Uscii dalla stanza.
Non rividi più mio nonno nel suo corpo.
Piansi tanto.
Ora quando mi guardo intorno o guardo la TV o ascolto qualcuno, sorrido.
E mi vengono in mente le parole di mio nonno, in quel giorno d’estate, quando il Sole era alto e con i suoi raggi raccontava al mondo un’altra delle sue meravigliose storie.

Brano senza Autore.

I Re Magi dimenticati

I Re Magi dimenticati

I ragazzi dell’oratorio di Santa Maria avevano preparato una recita sul mistero del Natale.
Avevano scritto le battute degli angeli, dei pastori, di Maria e di Giuseppe.
C’era una particina perfino per il bue e l’asino.
Avevano distribuito le parti.
Tutti volevano fare Giuseppe e Maria.
Nessuno voleva fare la parte dell’asino.
Avevano così deciso di travestire da asino il cane di Lucia.

Era abbastanza grosso e pacifico:

con le orecchie posticce faceva un asinello passabile.
Purché non sì fosse messo ad abbaiare in piena scena…
Ma quando suor Renata vide le prove dello spettacolo sbottò:
“Avete dimenticato i Re Magi!”
Enzo, il regista, si mise le mani nei capelli.
Mancava solo un giorno alla rappresentazione.
Dove trovare tre Re Magi così su due piedi?
Fu don Pasquale, il vice parroco, a trovare una soluzione.
“Cerchiamo tre persone della parrocchia.” disse, “Spieghiamo loro che devono fare i Re Magi moderni, vengano con i loro abiti di tutti i giorni e portino un dono a Gesù Bambino.
Un dono a loro scelta.
Tutto quello che devono fare è spiegare con franchezza il motivo che li ha spinti a scegliere proprio quel particolare dono.”

La squadra dei ragazzi si mise in moto.

Nel giro di due ore, erano stati trovati i tre Re Magi.
La sera di Natale, il teatrino parrocchiale era affollato.
I ragazzi ce la misero tutta e lo spettacolo filò via liscio e applaudito.
Il cane-asino si addormentò e la barba di san Giuseppe non si staccò.
Senza che nessuno lo potesse prevedere, però, l’entrata in scena dei tre Re Magi divenne il momento più commovente della serata.
Il primo Re era un uomo di cinquant’anni, padre di cinque figli, impiegato del municipio.
Portava in mano una stampella.
La posò accanto alla culla del Bambino Gesù e disse:
“Tre anni fa ho avuto un brutto incidente d’auto.
Uno scontro frontale.
Fui ricoverato all’ospedale con parecchie fratture.

I medici erano pessimisti sul mio recupero.

Nessuno azzardava un pronostico.
Da quel momento incominciai ad essere felice e riconoscente per ogni più piccolo progresso:
poter muovere la testa o un dito, alzarmi seduto da solo e così via.
Quei mesi in ospedale mi cambiarono.
Sono diventato un umile scopritore di quanto sia bello ciò che possiedo.
Sono riconoscente e felice per le cose piccole e quotidiane di cui prima non mi accorgevo.
Porto questa stampella a Gesù Bambino in segno di riconoscenza.”
Il secondo Re era una “Regina,” madre di due figli.
Portava un catechismo.
Lo posò accanto alla culla del Bambino e disse:
“Finché i miei bambini erano piccoli e avevano bisogno di me, mi sentivo realizzata.
Poi i ragazzi sono cresciuti e ho incominciato a sentirmi inutile.
Ma ho capito che era inutile commiserarmi.
Chiesi al parroco di fare catechismo ai bambini.
Così ridiedi un senso a tutta la mia vita.

Mi sento come un apostolo, un profeta:

aprire ai nostri bambini le frontiere dello spirito è un’attività che mi appassiona.
Sento di nuovo di essere importante.”
Il terzo Re era un giovane.
Portava un foglio bianco.
Lo pose accanto alla culla del Bambino e disse:
“Mi chiedevo se fosse il caso di accettare questa parte.
Non sapevo proprio che cosa dire, né che cosa portare.
Le mie mani sono vuote.
Il mio cuore è colmo di desideri, di felicità e di significato per la mia vita.
Dentro di me si ammucchiano inquietudini, domande, attese, errori, dubbi.
Non ho niente da presentare.
Il mio futuro mi sembra così vago.
Ti offro questo foglio bianco, Bambino Gesù.
Io so che sei venuto per portarci speranze nuove.
Vedi, io sono interiormente vuoto, ma il mio cuore è aperto e pronto ad accogliere le parole che vuoi scrivere sul foglio bianco della mia vita.
Ora che ci sei tu, tutto cambierà!”

Brano tratto dal libro “Storie di Natale, d’Avvento e d’Epifania.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Lettera di una studentessa universitaria

Lettera di una studentessa universitaria

Qualche anno fa, quando ancora non erano diffusi i telefoni cellulari ed i social network, uno dei mezzi di comunicazione più comuni erano le lettere.
Questa storia descrive una comunicazione di una studentessa alla propria famiglia attraverso una lettera.

Cari mamma e papà,
sono ormai tre mesi che sono ritornata all’università e non ho ancora trovato il tempo per scrivervi.
Mi scuso per avervi trascurato ma ora vi voglio raccontare tutto.
Prima di leggere però, sedetevi.
Mi raccomando non continuate a leggere prima di esservi messi seduti, d’accordo?

Ora sto abbastanza bene.

La frattura ed il trauma cranico che mi sono provocata saltando dalla finestra del dormitorio in fiamme, poco dopo il mio arrivo, sono ormai quasi guariti.
Sono rimasta all’ospedale solo due settimane e la vista mi è ritornata quasi normale.
Anche le forti emicranie che mi colpivano in continuazione non le ho più che una volta alla settimana.
Fortunatamente il garzone del benzinaio che è in fondo alla strada aveva visto tutto.
È lui che ha avvisato i pompieri e chiamato l’ambulanza.
È anche venuto spesso a trovarmi all’ospedale e poiché dopo l’incendio non sapevo dove alloggiare, è stato così gentile da propormi di andare ad abitare da lui.
In realtà non è che una cameretta in un sottoscala ma è piuttosto carina.
Lui è un ragazzo formidabile e ci siamo subito innamorati.

Abbiamo deciso di sposarci:

non abbiamo ancora fissato la data del Matrimonio ma lo faremo di sicuro prima che il mio pancione cominci a vedersi.
E sì, cari mamma e papà, sono incinta.
Io so bene a qual punto voi eravate ansiosi di diventare nonni e sono sicura che accoglierete questo bambino con tutto l’amore e la tenerezza che mi avete riservato quando ero piccola.
La sola cosa che ritarda la nostra unione è la piccola infezione che ha il mio fidanzato e che ci impedisce di effettuare le analisi prematrimoniali.
Anche io, scioccamente, mi sono fatta contagiare ma tutto si risolverà presto con le iniezioni di penicillina che faccio ogni giorno.
So bene che accoglierete questo ragazzo a braccia aperte nella nostra famiglia.
È una persona molto gentile e, sebbene non abbia fatto molti studi, è molto ambizioso.
Anche se non è della nostra stessa razza e religione, conoscendo la vostra larghezza di idee sono certa che non darete alcuna importanza al fatto che la sua pelle sia un po’ più scura della nostra. Sono sicura che lo amerete come io lo amo.

Anche i suoi genitori sono gente per bene:

sembra che suo padre sia un famoso mercenario nel villaggio africano dove è nato.

Bene, ora che avete letto tutto, dovete sapere che non c’è stato alcun incendio al dormitorio, non ho avuto né frattura cranica né commozione cerebrale, non sono andata all’ospedale, non sono incinta, non sono fidanzata, non ho la sifilide e non ci sono uomini dalla pelle scura nella mia vita.
È solo che sono stata bocciata in Storia e Filosofia e in questa occasione mi è sembrato opportuno aiutavi a riflettere sulla relatività delle cose.
Vi saluto e vi abbraccio forte forte.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il contadino e la trappola per topi

Il contadino e la trappola per topi

Un topo stava guardando attraverso un buco nella parete, spiando quello che il contadino e sua moglie stavano facendo.
Avevano appena ricevuto un pacco e lo stavano scartando tutti contenti.
“Sicuramente conterrà del cibo!” pensò il topo.
Ma quando il pacco fu aperto il piccolo roditore rimase senza fiato.
Quella che il contadino teneva in mano non era roba da mangiare, era una trappola per topi!

Spaventato, il topo cominciò a correre per la fattoria gridando:

“State attenti! C’è una trappola per topi in casa! C’è una trappola per topi in casa!”
La gallina, che stava scavando per terra alla ricerca di semi e vermetti, alzò la testa e disse:
“Mi scusi, signor Topo, capisco che questo può costituire per lei un grande problema, ma una trappola per topi non mi riguarda assolutamente.
Sinceramente non mi sento coinvolta nella sua paura.”
E, detto questo, si rimise al lavoro per procurarsi il pranzo.

Il topo continuò a correre gridando:

“State tutti attenti! C’è una trappola per topi in casa! C’è una trappola per topi in casa!”
Casualmente incontrò il maiale che gli disse con aria accattivante:
“Sono veramente dispiaciuto per lei, signor Topo, veramente dispiaciuto, mi creda, ma non c’è assolutamente nulla che io possa fare.”
Ma il topo aveva già ripreso a correre verso la stalla dove una placida mucca ruminava, sonnecchiando, il suo fieno.
“Una trappola per topi?” gli disse “E lei crede che costituisca per me un grave pericolo?”

Fece una risata e riprese a mangiare tranquillamente.

Il topo, triste e sconsolato, ritornò alla sua tana preparandosi a dover affrontare la trappola tutto da solo.
Proprio quella notte, in tutta la casa si sentì un fortissimo rumore, proprio il suono della trappola che aveva catturato la sua preda.
La moglie del contadino schizzò fuori dal letto per vedere cosa c’era nella trappola ma, a causa dell’oscurità, non si accorse che nella trappola era stato preso un grosso serpente velenoso.
Il serpente la morse.
Subito il contadino, svegliato dalle urla di lei, la caricò sulla macchina e la portò all’ospedale dove venne sottoposta alle prime cure.
Quando ritornò a casa, qualche giorno dopo, stava meglio ma aveva la febbre alta.

Ora tutti sanno che quando uno ha la febbre non c’è niente di meglio che un buon brodo di gallina.

E così il contadino andò nel pollaio e uccise la gallina trasformandola nell’ingrediente principale del suo brodo.
La donna non si ristabiliva e la notizia del suo stato si diffuse presso i parenti che la vennero a trovare e a farle compagnia.
Allora il contadino pensò che, per dare da mangiare a tutti, avrebbe fatto meglio a macellare il suo maiale.
E così fece.
Finalmente la donna guarì e il marito, pieno di gioia, organizzò una grande festa a base di vino novello e bistecche cotte sul barbecue.
Inutile dire quale animale fornì la materia prima.
La prossima volta che sentirete qualcuno che si trova davanti ad un problema e penserete che in fin dei conti la cosa non vi riguarda, ricordatevi che quando c’è una trappola per topi in casa tutta la fattoria è in pericolo.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il dottore e l’avvocato

Il dottore e l’avvocato

Finalmente laureato, un giovane dottore desidera lavorare in ospedale, ma non riesce a trovare lavoro, quindi con un po’ di fatica decide di aprire un suo studio medico privato.
Alla porta di ingresso mette un grande cartello arrecante la seguente scritta:
“La cura costa 25 euro, se non dovesse funzionare, vi saranno restituiti 100 euro.”
Un avvocato vede il cartello, e pensa subito che sia una buona occasione per intascare 100 euro facilmente, e dice:
“Dottore, ho perso il senso del gusto…”

Il dottore si rivolge alla sua infermiera:

“Prendi la medicina della scatola 12 e somministrane 3 gocce sulla lingua.”
L’infermiera esegue e l’avvocato comincia a tossire per espellere quanto ha ingerito:
“Sput, sput, sput, ma è benzina!”
Dottore:
“Esatto, complimenti!
Ha funzionato, ha riacquistato il gusto, sono 25 euro, grazie.”
Irritatissimo l’avvocato paga e se ne va meditando vendetta…

Infatti il giorno dopo si ripresenta allo studio medico.

Avvocato:
“Dottore, ho perso la memoria, non mi ricordo più nulla…”
Di nuovo, il dottore si rivolge alla sua infermiera:
“Prendi la medicina della scatola 12 e somministrane 3 gocce sulla lingua.”
L’avvocato, più irritato che mai:
“No! Lì c’è la benzina, me l’avete data ieri!”
Dottore:
“Complimenti! La sua memoria è tornata, sono 25 euro, grazie.”
L’avvocato è furioso, ma paga tramando sempre più una vendetta esemplare.

Il giorno dopo quindi si ripresenta.

Avvocato:
“Dottore, la mia vista è debole e annebbiata, non riesco a distinguere le cose…”
Dottore:
“Mi dispiace, sono desolato ma per questo non ho una cura da darle.
La prego, accetti i 100 euro.”
Gli occhi dell’avvocato iniziano a brillare, finalmente ce l’ha fatta, ma mentre allunga la mano per prendere la banconota che gli sta porgendo il dottore esclama:
“Ma questi non sono 100 euro, sono 20 euro!”
E il dottore:
“Complimenti, la sua vista non ha più problemi! Sono 25 euro, grazie!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Pagato interamente con un bicchiere di latte!

Pagato interamente con un bicchiere di latte!

Un giorno un ragazzo povero, che per pagare i suoi studi vendeva beni di porta in porta, si accorse che gli era rimasta solamente una monetina da dieci centesimi, e aveva fame.
Così decise di chiedere da mangiare alla prossima casa.
Ma si smontò subito quando vide che ad aprire la porta era una giovane donna.
Invece di un pasto, gli riuscì solo di chiedere un bicchier d’acqua.
Lei però lo vide così affamato che pensò di portargli un bicchierone di latte.
Lo bevve lentamente e poi chiese:

“Quanto le devo?”

“Non mi deve niente!” rispose lei, “Mamma ci ha insegnato a non accettare mai compensi per una gentilezza!”
Lui disse:
“Allora la ringrazio di cuore.”
Quando Howard Kelly lasciò quella casa, non si sentiva più forte solo fisicamente, ma anche la sua fede in Dio e nell’uomo si erano rafforzate.
Poco prima era stato quasi sul punto di lasciarsi andare…
Anni dopo, quella giovane donna si ammalò gravemente.
I dottori locali non sapevano come cavarsela e alla fine la mandarono nella grande città, perché degli specialisti studiassero la sua malattia rara.

Anche il Dottor Howard Kelly fu chiamato per un consulto,

e quando sentì il nome della città da cui proveniva, una luce strana riempì i suoi occhi.
Immediatamente si levò e corse giù verso la sua camera d’ospedale.
Avvolto nel suo camice da dottore andò a visitarla e subito la riconobbe.
Uscì da quella stanza determinato a fare tutto il possibile per salvarle la vita.
Da quel giorno riservò grandi attenzioni al caso e, solo dopo una lunga lotta, la battaglia fu vinta.

Il Dottor Kelly chiese all’amministrazione di comunicargli il conto, per la sua approvazione.

Dopo averlo visionato, scrisse qualcosa in un angolo e lo fece recapitare nella stanza della donna.
Lei temeva di aprirlo, perché sapeva che ci avrebbe messo una vita per pagarlo tutto.
Alla fine lo lesse, e alcune parole attirarono la sua attenzione a lato del conto:
“Pagato interamente con un bicchiere di latte!
Dottor Howard Kelly.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Non bisogna mai giudicare nessuno…


Non bisogna mai giudicare nessuno…

Un medico giunse in ospedale subito dopo essere stato chiamato per un’urgenza dal reparto di chirurgia.
Rispose alla chiamata non appena possibile, si mise il camice e andò direttamente al blocco chirurgico.
Davanti alla sala operatoria trovò il padre del bambino che gli gridò:
“Perché è venuto così tardi, perché tutto questo tempo, non sa che la vita di mio figlio è in pericolo, non hai il senso di responsabilità?”

Il dottore sorrise e disse:

“Mi dispiace, non ero in ospedale e sono arrivato velocemente per come ho potuto, dopo aver ricevuto la chiamata…
Ed ora, vorrei che si calmasse in modo che io possa fare il mio lavoro!”
“Devo stare calmo?
Cosa succederebbe se suo figlio si trovasse in questo momento nei panni del mio bambino, starebbe tranquillo?” disse il padre arrabbiato.
Il dottore sorrise e rispose:
“Le voglio dire quello che ha detto Giobbe nella Bibbia:

“Dalla polvere siamo nati e in polvere ritorneremo, sia benedetto il nome di Dio!”

Noi medici non possiamo fare sempre miracoli!
Stia tranquillo, comunque faremo tutto il possibile per suo figlio!”
“Dare consigli quando non siamo in questione è così facile!” mormorò il padre.
L’intervento durò qualche ora, alla fine uscì dalla sala operatoria felice e disse al padre:
“Grazie a Dio suo figlio è salvo!” e senza attendere la risposta del padre guardò l’orologio e andò via di fretta mentre diceva:

“Se vuole sapere altro chieda all’infermiera!”

“Perché è così arrogante?
Non poteva aspettare qualche minuto e dirmi di più sullo stato di mio figlio?” disse il padre all’infermiera.
L’infermiera con le lacrime al viso gli rispose:
“Il figlio del dottore è morto ieri in un incidente stradale, e il medico era al funerale quando l’abbiamo chiamato per l’urgenza e ora che il suo bambino è fuori pericolo e sta bene, lui è corso a vedere la sepoltura di suo figlio!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’importanza di Papà


L’importanza di Papà

Quando ero piccola un padre era per me come la luce nel frigorifero.
Ogni casa ne aveva uno, ma nessuno sapeva realmente cosa facevano sia l’uno che l’altro, dopo che la porta era stata chiusa.
Mio padre usciva di casa ogni mattina e ogni sera, quando tornava, sembrava felice di rivederci.
Lui solo era capace di aprire il vasetto dei sottaceti, quando gli altri non riuscivano.

Era l’unico che non aveva paura di andare in cantina da solo.

Si tagliava facendosi la barba, ma nessuno gli dava il bacino o si impressionava per questo.
Quando pioveva, ovviamente, era lui che andava a prendere la macchina e la portava davanti all’ingresso.
Se qualcuno era ammalato, lui usciva a comperare le medicine.
Metteva le trappole per i topi, potava le rose in modo che ci si potesse affacciare alla porta d’ingresso senza rischiare di pungersi.
Quando mi regalarono la mia prima bicicletta, pedalò per chilometri accanto a me, finché non fui in grado di cavarmela da sola.

Avevo paura di tutti gli altri padri, ma non del mio.

Una volta gli preparai il tè.
Era solo acqua zuccherata, ma lui era seduto su una seggiolina e lo sorbiva dicendo che era squisito.
Ogni volta che giocavo con le bambole, la bambola mamma aveva un sacco di cose da fare.
Non sapevo invece che cosa far fare alla bambola papà, così gli facevo dire:
“Bene, adesso esco e vado a lavorare!” poi la buttavo sotto il letto.
Quando avevo nove anni, un mattino mio padre non si alzò per andare a lavorare.

Andò all’ospedale e morì il giorno dopo.

Allora andai in camera mia e cercai la bambola papà sotto il letto.
La trovai, la spolverai e la posai sul mio letto.
Mio padre non fece mai nulla.
Non immaginavo che la sua scomparsa mi avrebbe fatto tanto male.
Ancora oggi non so perché.

Brano di Erma Bombek

Una signora confidò:
“E’ qualche anno che è morto mio padre e ancora sento fortemente il rimorso di non avergli mai detto: Papà, ti voglio bene!”

I giorni perduti



I giorni perduti

Qualche giorno dopo aver preso possesso della sontuosa villa, Ernest Kazirra, rincasando, avvistò da lontano un uomo che con una cassa sulle spalle usciva da una porticina secondaria del muro di cinta, e caricava la cassa su di un camion.
Non fece in tempo a raggiungerlo prima che fosse partito.
Allora lo inseguì in auto.
Lo sconosciuto scaricò la cassa dal camion e, fatti pochi passi, la scaraventò nel baratro, che era ingombro di migliaia e migliaia di altre casse uguali.
Kazirra si avvicinò all’uomo e gli chiese:
“Ti ho visto portare fuori quella cassa dal mio parco.

Cosa c’era dentro?

E cosa sono tutte queste casse?”
Quello lo guardò e sorrise:
“Ne ho ancora tante sul camion, da buttare.
Non sai?
Sono i tuoi giorni perduti.
Li aspettavi vero?
Sono venuti.
Che ne hai fatto?
Guardali, infatti, ancora gonfi.

E adesso…”

Kazirra guardò.
Formavano un gruppo immenso.
Scese giù per la scarpata e ne aprì uno.
C’era dentro una strada d’autunno, e in fondo Graziella, la sua fidanzata che se ne andava per sempre.
E lui neppure la chiamava.
Ne aprì un secondo.
C’era una camera d’ospedale, e sul letto suo fratello Giosuè che stava male e lo aspettava.
Ma lui era in giro per affari.
Si sentì prendere da una certa cosa qui, alla bocca dello stomaco.

Boccheggiò.

Lo scaricatore stava diritto sul ciglio del vallone, immobile come un giustiziere.
“Signore,” gridò Kazirra, “mi ascolti.
Lasci che mi porti via almeno questi due giorni.
La supplico.
Io sono ricco.
Le darò tutto quello che vuole!”
Lo scaricatore fece un gesto con la destra, come per dire che era troppo tardi.
Poi svanì nell’aria.
E l’ombra della notte scendeva.

Brano tratto dal libro “Centottanta racconti.” di Dino Buzzati