Il pane della fratellanza


Il pane della fratellanza

Si racconta di una anziana contadina, di nome Giulia, che viveva in una fattoria con i suoi tre figli, Roberto, Michele e Francesco.
Il marito le era morto durante la guerra.
I tre figli, di cuore buono, erano però sempre pronti a litigare.
Si volevano bene ma, bastava una parola in più ed erano litigi senza fine.
A quel punto interveniva Mamma Giulia e ben presto i figli ritrovavano pace.

La mamma divento vecchia, allora i figli si preoccuparono:

“Mamma, cerca di star sempre bene e di non morire, perché quando litighiamo chi rimetterà la pace fra noi?”
“Ma io dovrò pur morire prima o poi.” rispose la mamma
“Allora,” chiesero i figli “inventa qualcosa perché quando tu non ci sarai più noi potremo rifare pace e volerci bene.”
Mamma Giulia pensò a lungo alla cosa e un giorno prese un foglio, vi scrisse come dovevano essere divisi i campi fra i tre figli e aggiunse alcune raccomandazioni perché andassero sempre d’accordo.
La mamma un giorno si ammalò gravemente e dal suo letto chiamò i figli, consegnò loro il suo testamento, poi prese un pane, ne fece tre parti, ne diede una a ciascuno e raccomandò:

“Mangiate e cercate di volervi bene.”

I figli, commossi, mangiarono il pane della mamma, bagnandolo con le loro lacrime.
Di lì a pochi giorni Giulia morì.
Roberto, Michele e Francesco si divisero serenamente i campi e ognuno si mise a lavorare il suo.
Ma un giorno Roberto e Michele scoprirono che il confine fra i loro campi non era chiaro.
Ben presto si misero a litigare.
Stavano per fare a botte, quando arrivò Francesco.
Egli si mise in mezzo a loro:

“Non ricordate la mamma?

Perché non facciamo come quel giorno che ci ha chiamati al suo capezzale?”
Presero un pane, ne fecero tre parti, ne presero una per ciascuno e si misero a mangiare.
Mentre mangiavano nella mente di Roberto e Michele si riaccese l’immagine della mamma; il suo volto e le sue parole scendevano nel loro cuore come una medicina.
Scoppiarono in un pianto dirotto e fecero pace.
La pace non durava molto, perché occasioni di litigio ne incontravano spesso.
Però avevano imparato la soluzione: ogni volta che si creava un’occasione per litigare, i tre fratelli si sedevano attorno ad un tavolo, prendevano un pane, lo mangiavano insieme; ben presto scompariva la rabbia e tornava la pace.

Brano senza Autore.

Pioggia di stelle


Pioggia di stelle

C’era una volta un’orfanella povera e sola.
Nessuno l’aveva voluta con sé.
Possedeva solo gli abiti che indossava e un pezzetto di pane.
Un giorno s’incamminò per la campagna pensando:
“Qualcuno mi aiuterà!”
Incontrò un uomo.
“Ho tanta fame!” le disse.
“Dammi qualcosa, per carità!”
La bimba gli diede il suo pezzo di pane.
Poco dopo incontrò un bambino.
“Ho la testa ghiacciata.
Dammi qualcosa per coprirmela!” la supplicò.

L’orfanella si sfilò la cuffia e gliela diede.

Più in là incontrò un altro bambino.
Era senza giubbetto e tremava per il freddo.
Si sfilò la mantella e gliela diede.
Ancora avanti incontrò una bambina mezza assiderata.
Si sfilò la gonnellina e gliela porse.
Ormai non le era rimasto addosso nient’altro che la camicia.
Cammina, cammina arrivò in un bosco. Intanto si era fatto buio.
“Dammi la tua camicia.
Non ho niente da mettermi!” la supplicò un’altra bambina.

L’orfanella pensò:

“Ormai è notte, qui nel bosco nessuno mi vedrà.
Posso dargliela!”
Se la sfilò e gliela porse.
Subito dopo, cominciò a cadere una pioggia di stelle, che cadendo si trasformavano in monete d’oro lucenti.
Nello stesso tempo la bimba si ritrovò vestita di tutto punto e con abiti di stoffa finissimi.
Alzò i bordi del gonnellino e raccolse le monete finché ce ne poterono stare.
Così la buona orfanella non ebbe più a temere la miseria per il resto della sua vita.

Favola dei Fratelli J. e W. Grimm

La P di Pasqua


La P di Pasqua

C’era una volta un bambino che aveva perso la ‘P’ di Pasqua:
gli era caduta dal quaderno e soffiata via dal vento!
Era molto triste per l’accaduto, perché, come si può vivere senza la Pasqua?
Si mise a cercare la ‘P’ in tutte le parti: sotto il tavolo, sotto il letto, tra i libri, in cucina… e non trovandola in casa decise di andarla a cercare fuori per le strade del mondo.
Non lontano incontrò una persona, un anziano alto e robusto, arrogante che fumava una pipa che aveva la forma di ‘P’.
Il ragazzo subito dopo l’esitazione iniziale gli parlò:
“Signore, lei che è tanto potente e ricco, mi potrebbe dare la ‘P’ della sua pipa?”

L’uomo gli rispose seccamente:

“Vattene via, cosa farei senza questa ‘P’ che è il ‘potere’ di acquistare, di comandare?
La mia ‘P’ la voglio per me!”
Il bambino continuò a cercare, e lungo il suo cammino giunse presso un grande albero al cui tronco era appoggiata una scure a forma di ‘P’.
Con tanta fiducia il bambino si rivolse all’albero, che sembrava buono, e chiese:
“Albero maestoso, ho perso la mia ‘P’ di Pasqua, mi potresti dare la tua?”
“Non posso!
La mia ‘P’ è per ‘potare’: potare i rami secchi perché possa continuare a crescere, rinnovarmi, irrobustirmi!”
Più avanti il bambino incontrò due donne che stavano tornando dal mercato, che trascinavano la ‘P’ del peso delle loro borse.

“Gentili signore, mi potreste dare la ‘P’ del vostro peso?” disse il bimbo.

Le donne trafelate risposero:
“No, la nostra ‘P’ è troppo pesante per te:
è la ‘P’ del pulire, del passare lo straccio, dell’impastare il pane… non possiamo cedertela.”
Stanco di camminare il bambino quando giunse ad un grande prato, si sedette e subito si accorse della grande ‘P’ di prato appunto.
E anche il prato, di fronte alla richiesta del piccolo rispose con un rifiuto:
“Mi rincresce, ma non posso darti la ‘P’, sto aspettando che germoglino le piante.”
Deluso e triste il bambino alla fine decise di tornarsene a casa senza aver trovato chi gli offrisse la ‘P’ che cercava per la sua Pasqua.
Ma improvvisamente si vide venire incontro un vecchio ricurvo sotto il peso di un grande pacco.
“Nonno, mi daresti la ‘P’ del tuo pacco?
Ti aiuterò a portarlo!”

Il vecchio si fermò stupito e disse:

“Sei un bravo ragazzo!
Ma voglio dirti una cosa:
vedi questo pacco?
Pesa moltissimo perché è tutto pieno di ‘P’ e io sto andando in un posto dove c’è di bisogno di una sola ‘P’: la ‘P’ di pace.
Tutte le altre ‘P’ te le regalo!”
Allora il bimbo infilò le mani nel pacco e le tirò subito fuori piene di ‘P’ di tutte le forme e di tutti i colori e le lanciò felice in aria.
C’era la ‘P’ del pensare agli altri, quella di pazienza, quella di perdono, quella di preghiera, quella di pace…
Le ‘P’ ricadevano come pioggia attesa dal prato, dal bosco, dalla gente incontrata… e tutto cambiava:
l’egoista distribuiva i beni in carità, le donne lavoravano cantando, l’albero appariva trasformato.
Nel fondo del sacco il bambino trovò la ‘P’ più luminosa di tutte, corse a casa e la mise nel suo quaderno: ora era finalmente Pasqua nel mondo!

Brano senza Autore, tratto dal Web

Cara non preoccuparti, a volte mi piace il pane tostato un po’ bruciato!


Cara non preoccuparti, a volte mi piace il pane tostato un po’ bruciato!

Dopo un lungo e duro giorno di lavoro, mia mamma mise un piatto con salsicce e pane tostato, molto bruciato, davanti al mio papà.
Ricordo che stavo aspettando che lo notasse!
Nonostante mio padre lo avesse notato, prese una fetta di pane tostato, sorrise a mia madre e mi chiese come era andata a scuola.
Non ricordo cosa gli risposi, però mi ricordo il vederlo spalmare burro e marmellata sul pane tostato e mangiarlo tutto.
Quando mi alzai da tavola, quella sera, ricordo aver sentito mia madre chiedere scusa a mio padre per il pane tostato molto bruciato.
Mai dimenticherò quello che gli disse:
“Cara non preoccuparti, a volte mi piace il pane tostato un po’ bruciato!”

Più tardi, quella sera, andai a dare il bacio della buona notte a mio padre e gli chiesi se veramente gli piaceva il pane tostato bruciato.
Egli mi abbracciò e mi fece questa riflessione:
“La tua mamma ha avuto un giorno molto duro nel lavoro, è molto stanca, ed inoltre un pane tostato un po’ bruciato non fa male a nessuno.”
La vita è piena di cose imperfette.
Imparare ad accettare i difetti e decidere di apprezzare ognuna delle differenze degli altri, è una delle cose più importanti per creare una relazione sana e duratura.
La comprensione e la tolleranza sono la base di ogni buona relazione.
Sii più gentile di quanto ritieni necessario esserlo perché tutte le persone, in questo momento, stanno lottando qualche tipo di battaglia.

Tutti abbiamo problemi e tutti stiamo imparando a vivere, ed è molto probabile che non ci basti una vita per imparare il necessario.
Il viaggio verso la felicità non è diritto.
Esistono curve chiamate equivoci, esistono semafori chiamati amici, luci di posizione chiamate famiglia, e tutto si raggiunge se hai:
una ruota di scorta chiamata decisione, un potente motore chiamato comprensione, una buona assicurazione chiamata fede, abbondante combustibile chiamato pazienza, e soprattutto un autista esperto chiamato amore!


Brano tratto di Lin Yutang

Il Pane (Come avrei voluto il Mondo)

Il Pane (Come avrei voluto il Mondo)

Ho capito esattamente come avrei voluto il mondo quella volta in cui da piccolino mia madre mi scrisse sulla mano pane e mi disse:
“Esci e torna solo quando avrai trovato quello che ti ho scritto sulla mano.”
Facile, pensai.
Vado fino al forno che è all’angolo della via e torno
Mentre camminavo vidi una coppia di vecchietti litigare tra loro ma non mi fermai perché avevo troppa fretta di prendere il pane e tornare a casa.
Arrivai nel negozio e chiesi del pane, la commessa abbastanza turbata mi chiese che tipo e quanto:
“Ragazzino mica puoi venire fin qui se non mi sai dire nemmeno quello che vuoi!”
Tornai a casa quel primo giorno senza pane e molto triste.

Mia madre sorrideva ed io non capii.
Il secondo giorno mi disse:
“Adesso ci riproviamo!” e mi scrisse di nuovo pane.
Inquieto nel voler risolvere la pratica, le stavo per chiedere cosa, quanto.
Ma lei con voce amorevole aggiunse:
“Decidi tu!”
Corsi al panificio e nonostante lungo la strada mi accorsi di una bella ragazzina con i capelli biondi che piangeva triste all’angolo della via, non mi fermai!

Quel giorno presi del pane a caso.
Era decisamente troppo e non del tipo che mangiavamo noi di solito.
Così decisi di prendermi un giorno e fare il furbetto.
La sera avrei osservato che tipo di pane mamma aveva preso e in che quantità, così finalmente sarei riuscito a portare a tavola il pane giusto.
Quel pomeriggio uscii e camminando per la solita strada vidi la coppia di anziani del primo giorno, mi fermarono e mi dissero che avevano fatto pace dopo avermi visto passare qualche giorno prima, perché gli avevo ricordato il loro figlio da piccolino:
“Sai, ora è in missione di pace.
Ma noi la chiamiamo guerra.”
Poi rividi quella splendida ragazzina.
Le sorrisi.
Lei sorrise a me.
E ci fermammo a parlare.

“Piangevo perché i miei nonni si stavano facendo la guerra.” mi disse.
“Non facevano la guerra, litigavano.” le dissi
“Si comincia non capendo le piccole cose dell’altro, di chi ti è tanto vicino, e si continua facendo la guerra a chi non conosci solo perché non lo conosci ed è diverso da te.” aggiunse.
Mi sembrò così grande in quel momento.
Le chiesi se le andava di venire a cena da noi.
Lei mi disse… sì.
La sera intorno alla mia tavola, apparecchiata in giardino come tutte le nostre sere d’estate, con la mia bellissima nuova amica e con il pane caldo che mamma aveva comprato mi sentivo finalmente felice.

Mamma mi sorrise e mi disse:
“Finalmente sei tornato con quello che ti avevo chiesto!”
Mi guardai la mano.
C’era scritto:
“Pace” e non pane come avevo pensato fino a quel momento!
Sì.
Ho capito esattamente come avrei voluto il mondo, quella sera d’estate…

Brano di Sara Cicolani

Riferimento sito web https://saracicolanipoesia.blogspot.it/2016/08/il-pane.html