Quello che va in giro torna

Quello che va in giro torna
(Alexander Fleming e Winston Churchill)

Si chiamava Fleming ed era un povero contadino scozzese.
Un giorno, mentre stava lavorando, sentì un grido d’aiuto venire da una palude vicina.
Immediatamente lasciò i propri attrezzi e corse alla palude.
Lì, bloccato fino alla cintola nella melma nerastra, c’era un ragazzino terrorizzato che urlava e cercava di liberarsi.
Il fattore Fleming salvò il ragazzo da quella che avrebbe potuto essere una morte lenta e orribile.

Il giorno dopo una bella carrozza attraversò i miseri campi dello scozzese;

ne scese un gentiluomo elegantemente vestito che si presentò come il padre del ragazzo che Fleming aveva salvato.
“Vorrei ripagarvi.” gli disse il gentiluomo, “avete salvato la vita di mio figlio!”
“Non posso accettare un pagamento per quello che ho fatto!” replicò il contadino scozzese rifiutando l’offerta.
In quel momento il figlio del contadino si affacciò alla porta della loro casupola.
“È vostro figlio?” chiese il gentiluomo.
“Si!” rispose il padre orgoglioso.

“Vi propongo un patto:

lasciate che provveda a dargli lo stesso livello di educazione che avrà mio figlio.
Se il ragazzo somiglia al padre, non c’è dubbio che diventerà un uomo di cui entrambi saremo orgogliosi!”
E così accadde.
Il figlio del fattore Fleming frequentò le migliori scuole dell’epoca, si laureò presso la scuola medica dell’ospedale St.Mary di Londra e diventò celebre nel mondo come sir Alexander Fleming, lo scopritore della penicillina.
Anni dopo, lo stesso figlio del gentiluomo che era stato salvato dalla palude si ammalò di polmonite.

Questa volta fu la penicillina a salvare la sua vita.

Il nome del gentiluomo era lord Randolph Churchill e quello di suo figlio sir Winston Churchill.
Qualcuno una volta ha detto:
quello che va in giro torna.
Lavorate come se non aveste bisogno di danaro, amate come se non foste mai stati feriti, danzate come se nessuno stesse a guardare, cantate come se nessuno stesse a sentire, vivete come se in terra ci fosse il paradiso.

Leggenda Inglese.
Brano senza Autore.

Il saggio sulla nave

Il saggio sulla nave

Un saggio sufi si imbarcò su una nave per recarsi dall’altra parte del mare.
A metà della traversata si scatenò una tempesta di tale violenza che le onde altissime scagliavano la nave in su e in giù come se fosse un fuscello.
Tutti avevano una paura tremenda, e c’era chi pregava, chi si rotolava gridando, chi gettava tutti i suoi beni in mare.

Solo il saggio rimaneva imperturbabile.

Quando la tempesta si calmò, e a poco a poco il colore tornò sulle gote dei naviganti, alcuni di loro si rivolsero al saggio e gli chiesero:
“Ma come mai tu non hai avuto paura?
Non ti sei accorto che tra noi e la morte c’era soltanto una tavola di legno?”
“Certo, ma nel corso della vita mi sono accorto che spesso c’è ancor meno!” replicò il saggio.

Quanto ci separa dalla morte?

E davvero così sottile il confine tra la vita e la morte.
Negli ultimi mesi di vita, Don Bosco camminava a fatica.
Chi lo vedeva attraversare i cortili spesso gli chiedeva:
“Dove va, Don Bosco?”

La risposta era sempre la stessa:

“In Paradiso!”
Lo potremmo dire tutti, ad ogni passo della nostra vita:
“Sto arrivando, Signore!”

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Ciao amore!

Ciao amore!

Nelle mie zone, qualche anno fa, viveva una eccentrica signora, molto singolare e leggera nel suo stile di vita, che assaporava senza remore bacco, tabacco e “venere”, avendo esercitato, in passato, il più antico mestiere del mondo in un bordello di periferia.
Tornata in paese per la chiusura delle case chiuse per effetto della legge Merlin e con la pensione,

la signora attraversava continuamente il paese con i suoi vestitini sgargianti.

Aveva spesso dei fiori tra i capelli a mo’ di corona, il rossetto sempre di un rosso acceso sulle labbra ed anche sulle guance, e girovagava quasi sempre con un mazzo di fiori in mano.
Fiori che sottraeva in chiesa o al cimitero per poi riportarli in un’altra chiesa o al cimitero stesso.
Salutava tutti con un “Ciao Amore!” ed era conosciuta con questo nome.
Era un personaggio “Felliniano” dal bel volto con capelli corvini, e fu sempre testimone di libertà,

non soggetta a regole e convenzioni.

A “Ciao Amore!” un giorno diedero fuoco alla baracca di legno dove abitava e fu messa in una struttura per anziani facendosi ben volere da operatori e ospiti.
Il regalo che più gradiva era un vasetto di cipolline sotto aceto che divorava come fossero cioccolatini, prendendole con le mani.
Il suo funerale fu a cura del comune, non avendo parenti e figli, ed una sconosciuta signora anch’essa eccentrica, cantò a cappella una Ave Maria che commosse tutti.

Quando qualcuno ricordava a “Ciao Amore!” la sua vita libertina,

ella con una risata rispondeva:
“Vi precederò in paradiso!”
Luogo dove io la immagino.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La leggenda del radicchio di Treviso

La Leggenda del radicchio di Treviso

È biblicamente noto che, durante la permanenza di Adamo ed Eva nel paradiso terrestre, tutte le cose buone erano a portata di mano e non costavano alcun sforzo.
In seguito al peccato originale e ad essere stati allontanati dal paradiso terrestre, i due si trovarono in grosse difficoltà poiché dovevano procurarsi il cibo con fatica e sudore.
Inizialmente Adamo ed Eva erano molto pigri e cercavano di nutrirsi mangiando solamente le cose più vicine e più facili da raccogliere.

Uno dei loro cibi preferiti era il radicchio.

Si narra che originariamente i radicchi erano dolci.
Al buon Dio non piacque questo e mise nei radicchi un po’ di amaro, lasciandogli però tutte le altre proprietà, perché voleva che Adamo ed Eva mettessero un po’ di impegno a cercar dell’altro cibo e variassero la loro dieta per esser sani e idonei a popolar la terra.
Al radicchio a foglia allungata, che era tra i più facili da strappare e raccogliere, toccò la stessa sorte degli altri ma riservò ad esso, se lavorato, di essere al contempo dolce e tenero.
L’uomo ci mise un po’ di tempo a scoprirlo e questo privilegio fu riservato ai Trevigiani che per invettiva e lavoro non sono secondi a nessuno.

Una volta lavorato è il più pregiato e ricercato:

reminiscenza del paradiso terrestre.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il monaco e l’abate

Il monaco e l’abate

C’era una volta un monaco che conduceva una vita serena e tranquilla.
Una sola inquietudine lo tormentava.
Aveva paura dell’eternità.
Gli eletti in Paradiso cantano le lodi di Dio come fanno i monaci.
Un conto è farlo per un po’ di tempo.

Ma per l’eternità!

Per felici che si possa essere alla presenza di Dio, dopo qualche milione d’anni chissà che noia!
Un giorno di autunno, se ne andò secondo la sua abitudine a passeggiare nel bosco che circondava il monastero.
L’aria era viva e leggera, profumata di erba e di fiori.
Il monaco sospirò pensando al suo problema.
Sopra la sua testa un usignolo cominciò a cantare.
Un canto così puro, modulato, melodioso che il monaco dimenticò i suoi pensieri per ascoltarlo.
Non aveva mai sentito niente di più bello.

Per un istante ascoltò estasiato.

Poi pensò che era ora di raggiungere il coro per la preghiera e si affrettò.
Stranamente avevano sostituito il frate portinaio con uno che non conosceva.
Passò un altro monaco e poi un altro che non aveva mai visto.
“Che cosa desidera?” gli chiese il portinaio.
Vagamente irritato, il nostro monaco rispose che voleva soltanto entrare per non essere in ritardo.
L’altro non capiva.
Il monaco protestò e chiese con veemenza di vedere l’abate.
Ma anche l’abate era uno sconosciuto e il povero monaco fu preso dalla paura.
Balbettando un po’, spiegò che era uscito dal monastero per una breve passeggiata e che si era attardato un attimo ad ascoltare il canto di un usignolo, ma che si era affrettato a rientrare per l’ufficio pomeridiano.

L’abate lo ascoltava in silenzio.

“Cento anni fa,” disse alla fine, “un monaco di questa abbazia, proprio in questa stagione e in quest’ora, è uscito dal monastero.
Non è più ritornato e nessuno l’ha più rivisto.”
Allora il monaco capì che Dio l’aveva esaudito.
Se cento anni gli erano parsi un istante nello stato d’estasi in cui l’aveva rapito il canto dell’usignolo, l’eternità non era che un istante nell’estasi in Dio.

Brano tratto dal libro “Il segreto dei pesci rossi.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

L’umorista davanti a Dio

L’umorista davanti a Dio

Una volta un uomo, un tipo sempre allegro e sorridente, fece un sogno:
gli sembrò d’esser morto e di trovarsi davanti al tribunale di Dio.

Era quasi disperato perché aveva grosse marachelle sulla coscienza.

Sentiva che il Giudice quando sceglieva uno tra i beati gli diceva:
“Avevo fame e mi hai dato da mangiare; avevo freddo e mi hai coperto… vieni a godere nel mio regno!”
L’uomo tremava tutto, perché non si ricordava d’aver fatto nessuna opera buona.
Ma quando venne il suo turno vide che il Signore lo guardava sorridendo.
“Che cosa mai avrò fatto di bene?” si domandava tra sé.

Il Giudice esclamò:

“Ero triste e tu con il tuo umorismo mi hai consolato; ero malinconico e tu con il tuo sorriso mi hai rasserenato:
entra nella gioia del mio paradiso!”

Brano tratto dal libro “Racconti per il volo dell’anima.” di Pino Pellegrino

La cipolla e la signora avara

La cipolla e la signora avara

Lo scrittore russo Dostoevskj racconta la storia di una signora ricca ma molto avara che, appena morta, si trovò davanti un diavolaccio che la gettò nel mare di fuoco dell’inferno.
Il suo angelo custode cominciò disperatamente a pensare se per caso non esistesse qualche motivo che potesse salvarla.
Finalmente si ricordò di un lontano avvenimento e disse a Dio:
“Una volta la signora regalò una cipolla del suo orto a un povero.”

Dio sorrise all’angelo:

“Bene.
Grazie a quella cipolla si potrà salvare.
Prendi la cipolla e sporgiti sul mare di fuoco in modo che la signora possa afferrarla, poi tirala su.
Se la tua signora rimarrà saldamente attaccata alla sua unica opera buona potrà essere tirata fino in paradiso.”
L’angelo si sporse più che poté sul mare di fuoco e gridò alla donna:
“Presto, attaccati alla cipolla.”
Così fece la signora e subito cominciò a salire verso il cielo.
Ma uno dei condannati si afferrò all’orlo del suo abito e fu sollevato in alto con lei;

un altro peccatore si attaccò al piede del primo e salì anche lui.

Presto si formò una lunga coda di persone che salivano verso il paradiso attaccate alla signora aggrappata alla cipolla tenuta dall’angelo.
I diavoli era preoccupatissimi, perché l’inferno si stava praticamente svuotando, incollato alla cipolla.
La lunghissima fila arrivò fino ai cancelli del paradiso.
La signora però era proprio un’avaraccia incorreggibile e, in quel momento, si accorse della fila di peccatori attaccati al suo abito e strillò irritata:

“La cipolla è mia!

Solo mia!
Lasciatemi…”
In quel preciso istante la cipolla si sbriciolò e la donna, con tutto il suo seguito, precipitò nel mare di fuoco.
Sconsolato, davanti ai cancelli del paradiso, rimase solo l’angelo custode.

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

La strada giusta

La strada giusta

L’Angelo della Morte bussò un giorno alla casa di un uomo.
“Accomodati pure.” disse l’uomo, “Ti aspettavo”!”
“Non sono venuto per fare due chiacchiere,” disse l’Angelo, “ma per prenderti la vita!”
“E che altro potresti prendermi?” chiese l’uomo.

“Non so.

Ma tutti, quando giungo io, vorrebbero che io prendessi qualsiasi cosa, ma non la vita.
Sapessi quali offerte mi fanno!” replicò l’angelo.
“Non io.
Non ho nulla da darti.
Le gioie che mi sono state donate le ho godute.
Mi sono divertito, ma senza fare del divertimento lo scopo della mia vita.

Gli affanni, li ho affidati al vento.

I problemi, i dubbi, le inquietudini li ho affidati alla provvidenza.
Ho utilizzato i beni terreni solo per quanto mi erano necessari, rinunciando al superfluo.
Il sorriso, l’ho regalato a quanti me lo chiedevano.
Il mio cuore a quanti ho amato e mi hanno amato.

La mia anima l’ho affidata a Dio.

Prenditi dunque la mia vita, perché non ho altro da offrirti!” concluse l’uomo.
L’Angelo della Morte sollevò l’uomo fra le sue braccia e lo trovò leggero come una piuma.
All’uomo la stretta dell’Angelo parve tenerissima.
E il Signore spalancò le porte del Paradiso perché stava per entrarvi un santo…

Brano senza Autore, tratto dal Web

Una preghiera per l’anima (Suor Caterina di Sant’Agostino)

Una preghiera per l’anima
(Suor Caterina di Sant’Agostino)

Si narra nella vita di suor Caterina di sant’Agostino che, nel luogo dove viveva questa serva del Signore, si trovava una donna chiamata Maria, la quale in gioventù era stata peccatrice e anche nella vecchiaia seguitava ostinatamente a essere perversa tanto che, scacciata dai cittadini e confinata a vivere in una grotta fuori del suo paese, vi morì quasi putrescente, abbandonata da tutti e senza sacramenti e perciò fu sepolta in campagna come una bestia.
Suor Caterina, che era solita raccomandare a Dio con grande affetto tutte le anime di coloro che trapassavano all’altra vita, avendo appreso la morte disgraziata di questa povera vecchia, non pensò affatto a pregare per lei, ritenendola, come tutti la ritenevano, dannata.

Passati quattro anni, un giorno le si presentò dinanzi un’anima purgante, che le disse:

“Suor Caterina, che mala sorte è la mia?
Tu raccomandi a Dio le anime di tutti coloro che muoiono e solamente dell’anima mia non hai avuto pietà?
“Chi sei tu?” chiese la serva di Dio.
“Io sono,” rispose, “quella povera Maria che morì nella grotta.

“Ma come? Tu sei salva?” riprese suor Caterina.

“Si, sono salva per misericordia di Maria Vergine.” disse l’anima.
“E come?” domandò la suora.
“Quando mi vidi vicina alla morte, sentendomi così piena di peccati e abbandonata da tutti, mi rivolsi alla Madre di Dio e le dissi:
Signora, tu sei il rifugio degli abbandonati; io sono adesso abbandonata da tutti; tu sei l’unica speranza mia, tu sola mi puoi aiutare, abbi pietà di me.
La santa Vergine ottenne per me un atto di contrizione, morii e mi salvai.

E la mia regina mi ha ottenuto anche un’altra grazia:

che l’intensità delle mie sofferenze abbreviasse la durata della mia espiazione che avrebbe dovuto prolungarsi per molti più anni; ma ho bisogno di alcune messe per liberarmi dal purgatorio.
Ti prego di farmele dire e ti prometto di pregare poi sempre Dio e Maria per te.” spiegò l’anima.
Suor Caterina fece subito celebrare le messe e dopo pochi giorni le apparve di nuovo quell’anima, più luminosa del sole, e le disse:
“Ti ringrazio, Caterina.
Ecco, io me ne vado già in paradiso a cantare le misericordie del mio Dio e a pregare per te.”

Brano tratto dal libro “Le Glorie di Maria.” di Sant’Alfonso Maria de Liguori

Un uomo ricco in Paradiso

Un uomo ricco in Paradiso

Un uomo molto ricco sulla Terra arrivò in Paradiso dopo una lunga vita passata nel lusso a causa degli affari per i quali aveva uno speciale fiuto.
Per prima cosa fece un giro per il mercato e con sorpresa vide che le merci erano vendute a prezzi molto bassi.

Non gli pareva vero:

anche qui avrebbe potuto mettere a frutto il suo spiccato senso per gli investimenti.
Immediatamente mise mano al portafoglio e cominciò a ordinare le cose più belle che vedeva.
Al momento di pagare porse all’angelo, che faceva da commesso, una manciata di banconote di grosso taglio.

L’angelo sorrise:

“Mi dispiace, ma questo denaro non ha alcun valore!”
“Come?” disse stupito l’uomo ricco.
“Qui vale soltanto il denaro che sulla terra è stato donato.” rispose l’angelo.

Brano senza Autore, tratto dal Web