Salomone e l’uovo sodo

Salomone e l’uovo sodo

Tanti anni fa, in un giorno di festa, alcuni ministri della corte di re David erano seduti ad un banchetto e si preparavano a mangiare.
Uno di loro aveva così fame che ingoiò un uovo, ma poi, vedendosi il piatto vuoto, si vergognò e si lamentò:
“Magari potessi avere un uovo!”

Il suo vicino lo sentì e gli offrì il suo:

“A patto,” disse, “che, quando te lo chiederò indietro, tu mi darai tutto quello che un uomo può ricavare da un uovo!”
L’uomo giurò davanti a testimoni e poi si dimenticò della faccenda.
In fondo, doveva solo rendere un uovo.
Passarono alcuni anni e un giorno il ministro che aveva prestato l’uovo lo volle indietro.
“Non c’è problema!” assicurò l’altro, “Ecco l’uovo.”
“Eh no, mio caro.
Un uovo da un pulcino, il quale a sua volta, nel giro di un anno, può generarne altri diciotto.
L’anno dopo ciascuno dei diciotto pulcini può generarne altri diciotto e così via.” replicò il ministro.
Insomma, il conto era lunghissimo e i due ministri andarono a chiedere udienza a re David.

“Cosa vi porta qui da me?” domandò lui.

I due ministri raccontarono tutto e re David decise che il ministro che aveva dato l’uovo aveva ragione; l’altro gli doveva pagare una cifra esorbitante:
era giusto così.
Il giovane Salomone ascoltava ogni udienza da dietro la porta.
Quando il ministro che era stato giudicato debitore passò davanti a lui, lo fermò.
“Non essere afflitto!” lo consolò, “Ti voglio aiutare.”
“E come?” chiese l’uomo sospirando.
“Domani, quando il re passerà davanti al cortile del palazzo, fatti trovare a seminare fave lesse!” spiego Salomone.
“Che cosa?” si meravigliò l’uomo.
“Sì, e quando il re ti chiederà cosa stai facendo, digli che è possibile che dalle fave lesse spunti qualcosa, visto che dalle uova sode nascono i pulcini!” spiegò Salomone.

Così fece l’uomo!

Re David capì la giustezza di quel ragionamento e annullò il precedente giudizio.
“Va’ ora, ed estingui il tuo debito con un uovo!” disse re David al ministro.
Ma il re aveva riconosciuto subito l’intervento di suo figlio che, nonostante fosse molto giovane, era incredibilmente saggio.
E fu fiero di lui e della sua capacità di far giustizia.

Brano senza Autore

Un pomeriggio con il nonno

Un pomeriggio con il nonno

Da ragazzino andai ad aiutare il nonno materno per la fienagione (tecnica di raccolta delle piante foraggere finalizzata alla conservazione del foraggio sotto forma di fieno).
Ma, più che lavorare, dovevo solo fargli compagnia, a causa di un leggero problema al cuore.
Verso metà pomeriggio facemmo una lunga pausa per permettere al sole di essiccare l’erba ed il nonno, stanco, ne approfittò per fare merenda e schiacciare un riposino all’ombra di un grande gelso.
Gli chiesi il permesso di andare in esplorazione alla ricerca di nidi di uccelli, siccome ne ero affascinato, promettendogli di rimanere nei paraggi.

Il patto non fu rispettato e mi allontanai molto.

Trascorse un paio di ore, mi parve di sentire una voce insistente che mi chiamava da lontano.
Ne percepivo solo l’eco dato che ci trovavamo in una valle, ma non ci feci troppo caso e continuai a camminare, coinvolto dalla mia avventura.
Al ritorno trovai il nonno intento a riposare, così, dopo averlo chiamato, lo scossi con insistenza per svegliarlo, ma questo non mi diede segni di vita tenendo, inoltre, gli occhi chiusi.

Allora provai ad alzargli un braccio che però ricadde di colpo.

Continuai a chiamarlo insistentemente, senza avere risposte e, preso dalla paura e dal panico, iniziai a pensare che fosse morto, singhiozzando senza tregua.
Il nonno allora si alzò di scatto e cercò di tranquillizzarmi.
Mi disse che lo avevo fatto spaventare moltissimo poiché non sapeva dove fossi finito, non rispondendo neanche ai suoi insistenti richiami.
Con voce autorevole mi disse anche che, volendomi un gran bene e vedendomi pentito, era resuscitato.
Nei mesi seguenti andai al catechismo ed il sacerdote parlò del pianto di Gesù per la morte dell’amico Lazzaro e della sua resurrezione.

Vedendomi particolarmente attento e rosso in volto,

il parroco mi chiese se credessi al miracolo di Gesù.
Risposi di sì, raccontando anche l’avventura avuta qualche tempo prima, dove, anche il mio pianto sincero aveva fatto resuscitare l’amato nonno.
Alle ultime parole del racconto seguì una grande risata collettiva.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La saggezza della quercia

La saggezza della quercia

Una leggenda sarda testimonia come il simbolo “paterno” e protettivo della quercia, sia radicato nell’immaginario collettivo.
Un giorno il diavolo si recò dal Signore dicendogli:
“Tu sei il signore e padrone di tutto il creato, mentre io, misero, non possiedo nulla.

Concedimi una signoria, pur minima, su una parte della creazione:

mi accontento di poco!”
“Che cosa vorresti avere?” chiese Dio.
“Dammi, per esempio, il potere su tutto il bosco!” propose il diavolo.
“E sia!” decretò il Signore, “Ma soltanto quando i boschi saranno completamente senza fogliame, ovvero durante l’inverno:

in primavera il potere tornerà a me!”

Quando gli alberi e le foglie decidue dei boschi seppero del patto, cominciarono a preoccuparsi, e con il passare del tempo la preoccupazione si mutò in agitazione.
“Che cosa possiamo fare?” si domandavano disperati, “A noi le foglie cadono in autunno.”
Il problema pareva insolubile quando al faggio venne un’idea:
“Andiamo a consultare la quercia, più robusta e saggia e di noi tutti la più anziana.
Forse lei troverà un espediente per salvarci!”

La quercia, dopo aver riflettuto gravemente, rispose:

“Tenterò di mantenere le mie foglie secche sui rami finché sui vostri non spunteranno la foglioline nuove.
Così il bosco non sarà mai completamente spoglio e il demonio non potrà avere alcun dominio su di noi!”
Da allora le foglie secche della quercia, coriacee e seghettate, rimangono sui rami per cadere completamente soltanto quando almeno un cespuglio si è rivestito di foglie nuove.

Brano tratto dal libro “Florario.” di Alfredo Cattabiani

La formica ed il chicco di grano

La formica ed il chicco di grano

Un chicco di grano, rimasto nel campo dopo la mietitura, aspettava la pioggia per tornare a nascondersi sotto le zolle.
Lo vide una formica, e, caricatoselo addosso, si avviò faticosamente verso la sua tana.
“Perché ti affatichi a portarmi?” disse il chicco di grano,

“Lasciami nel mio campo!”

“Se ciascuna di noi,” rispose la formica, “non porta un po’ di cibo nella dispensa, non avremo provviste bastanti per quest’inverno!”
“Ma io non sono fatto soltanto per essere mangiato!” replicò il chicco, “Io sono un seme pieno di vita, e il mio destino è quello di far nascere una pianta.
Facciamo un patto…”
Contenta di riposarsi un po’, la formica depose il chicco e gli chiese:

“Quale patto?”

“Se mi lasci qui nel mio campo, rinunciando a portarmi a casa tua, io fra un anno mi impegno a restituirti cento chicchi uguali a me!” propose il chicco di grano.
“Cento chicchi in cambio di uno solo!” pensò la formica, “Ma che buon affare!
E come farai?” chiese al chicco di grano.
“Questo è un mistero!” rispose il chicco,

“È il mistero della vita.

Scava una piccola fossa, seppelliscimi lì dentro, e poi torna qui tra un anno!”
La formica gli diede ascolto.
Prese il seme, lo depose fra le zolle, e l’anno dopo tornò a vedere se ci stava.
Si, il chicco di grano aveva mantenuto la promessa.

Brano tratto dal libro “Favole.” di Leonardo Da Vinci

Quello che va in giro torna

Quello che va in giro torna
(Alexander Fleming e Winston Churchill)

Si chiamava Fleming ed era un povero contadino scozzese.
Un giorno, mentre stava lavorando, sentì un grido d’aiuto venire da una palude vicina.
Immediatamente lasciò i propri attrezzi e corse alla palude.
Lì, bloccato fino alla cintola nella melma nerastra, c’era un ragazzino terrorizzato che urlava e cercava di liberarsi.
Il fattore Fleming salvò il ragazzo da quella che avrebbe potuto essere una morte lenta e orribile.

Il giorno dopo una bella carrozza attraversò i miseri campi dello scozzese;

ne scese un gentiluomo elegantemente vestito che si presentò come il padre del ragazzo che Fleming aveva salvato.
“Vorrei ripagarvi.” gli disse il gentiluomo, “avete salvato la vita di mio figlio!”
“Non posso accettare un pagamento per quello che ho fatto!” replicò il contadino scozzese rifiutando l’offerta.
In quel momento il figlio del contadino si affacciò alla porta della loro casupola.
“È vostro figlio?” chiese il gentiluomo.
“Si!” rispose il padre orgoglioso.

“Vi propongo un patto:

lasciate che provveda a dargli lo stesso livello di educazione che avrà mio figlio.
Se il ragazzo somiglia al padre, non c’è dubbio che diventerà un uomo di cui entrambi saremo orgogliosi!”
E così accadde.
Il figlio del fattore Fleming frequentò le migliori scuole dell’epoca, si laureò presso la scuola medica dell’ospedale St.Mary di Londra e diventò celebre nel mondo come sir Alexander Fleming, lo scopritore della penicillina.
Anni dopo, lo stesso figlio del gentiluomo che era stato salvato dalla palude si ammalò di polmonite.

Questa volta fu la penicillina a salvare la sua vita.

Il nome del gentiluomo era lord Randolph Churchill e quello di suo figlio sir Winston Churchill.
Qualcuno una volta ha detto:
quello che va in giro torna.
Lavorate come se non aveste bisogno di danaro, amate come se non foste mai stati feriti, danzate come se nessuno stesse a guardare, cantate come se nessuno stesse a sentire, vivete come se in terra ci fosse il paradiso.

Leggenda Inglese.
Brano senza Autore.

L’Angelo del Signore e le tre prove

L’Angelo del Signore e le tre prove

Un saggio, che aveva passato la vita in meditazione e ricerca, scorse una mattina tra la folla uno strano essere, magro, con una folta barba lunga, e gli disse:
“So chi sei, e ti riconosco perché sono un mistico:
tu sei l’Angelo del Signore, e vai per la terra a compiere i suoi disegni.
Lascia allora ch’io ti segua, lascia che ti serva perché questo è ciò che per tutta la vita ho desiderato: essere utile ai disegni di Dio.”
L’altro lo guardò perplesso, e dopo un lungo silenzio rispose:
“Sia; ma ad una condizione:
rimarrai con me sino al tramonto senza criticare mai le mie azioni né chiedere mai spiegazione del mio operato.”
“Va bene.” esclamò il saggio, “So tacere quando occorre…”
E si misero in cammino.
Dopo un po’ giunsero in vista d’un villaggio i cui abitanti s’eran raccolti attorno a un muro che recintava un orto e cominciavano a demolirlo pietra dopo pietra.
L’individuo magro dalla barba folta chiese loro ragione di quel lavoro, e uno rispose:

“Vedi quei due ragazzi?

Sono orfani, e il loro unico sostentamento è dato da questo piccolo orto.
Stamane, passando da qui, il giudice del distretto è stato colpito da una pietra caduta dal muretto; ha ritenuto che il muretto fosse pericolante e ha ingiunto ai ragazzi di demolirlo completamente entro il tramonto, pena la confisca dell’orto.
Poiché non ce la faranno da soli né hanno denaro per pagar manovali, noi tutti li aiutiamo!”
Udito ciò, l’Angelo del Signore gli rispose:
“Ma perché proprio tu sei qui?
Non hai forse una mucca in atto di figliare, bisognosa dunque del tuo aiuto?”
Poi, mentre quello correva alla sua stalla, preso in disparte uno dopo l’altro quelli che lavoravano, parlò loro della necessità che s’occupassero dei fatti propri, e li convinse tutti ad abbandonare i due orfani che, rimasti soli, gli lanciarono una lunga, sconsolata occhiata di rimprovero; poi, con le lacrime agli occhi, presero a demolire il muro dicendo:
“Facciamo quanto possibile, e forse il giudice ci permetterà di terminare domani!”
Il saggio e l’uomo magro ripresero il cammino, non senza una certa perplessità del primo che a un certo momento sbottò:
“Ma non ti pare di aver agito male nei riguardi di quei poveri orfani?”

L’altro gli rispose:

“Ricordati la tua promessa; taci e seguimi!”
Nel primo pomeriggio i due giunsero sulle rive di un grande fiume.
I traghettatori vociavano e berciavano per richiamare l’attenzione dei pellegrini, ma non vollero abbassare il loro prezzo quando l’Angelo del Signore protestò:
“Quattro monete a testa?
Così tanto?
Non potremmo darvene due?”
“Niente da fare, oppure andate laggiù, da Husein il povero.
Ha una barca sgangherata e traghetta per una sola moneta!” risposero diversi traghettatori
Fecero così, e infatti Husein, un giovane che non poteva acquistare una barca più bella, doveva proprio accontentarsi delle briciole.
Li traghettò per una moneta a testa, ma quando arrivarono sulla riva opposta l’Angelo del Signore sguainò la spada e menando un fendente sul fondo della barca vi fece un buco che la colò a picco.
Husein cominciò a inveire, ma i due si allontanarono in fretta.

Poco dopo il saggio sbottò:

“Ma perché hai rovinato quella barca?
Quel giovane è povero, ha bisogno di soldi.
Non potrà più lavorare per tutta la giornata!”
“Ti ho detto di tacere, dunque taci!” ribatté l’altro.
Era quasi il tramonto quando si trovarono a passare accanto alla casetta di un boscaiolo.
Come questi li vide, andò loro incontro dicendo:
“Viandanti, è felice dovere d’ogni buon musulmano ospitare alla propria tavola lo straniero.
Accomodatevi da noi e desinate di buon grado!”
Così i due passarono più di un’ora in compagnia del boscaiolo, parlando con i suoi quattro figli e in particolare con l’ultimo, che era il prediletto dei genitori, oramai attempati.
Quando venne il momento di partire, l’Angelo del Signore chiese indicazioni sulla strada per la città.

Il boscaiolo spiegò:

“Segui il sentiero fin dopo la collina, poi prendi quello a destra dei due alberi…”
Ma l’Angelo pareva non capir bene, talché alla fine disse:
“Facci accompagnare dal tuo ultimogenito fino a quei due alberi, così saremo sicuri di non sbagliare!”
Così fu fatto, e i tre si incamminarono.
Superata la collina, giunti infine alla biforcazione, il ragazzo indicò la strada giusta, li salutò e si volse per tornare indietro.
Allora l’Angelo del Signore sguainò di nuovo la spada e con un gran fendente gli tagliò netta la testa.
L’uomo saggio inorridì…
Rimase un momento col fiato mozzo, e poi, violentemente, urlò:
“Angelo del Signore?
Macché Angelo del Signore:
un delinquente, un assassino, ecco chi sei!
L’Angelo del demonio, forse.
Mio Dio, ma come ho fatto a non capirlo prima?
Vattene, vattene via!
La maledizione su di te, assassino!”
Al che l’altro rispose:
“Certo, me ne vado, e capisco perché non mi vuoi più seguire.

D’altronde non lo potresti fare:

avevamo pattuito che non avresti dovuto protestare per ciò che facevo, né criticare, e per tre volte hai contravvenuto al patto.
Tuttavia, prima di lasciarti, ti darò la spiegazione dei fatti.
Quella gente che aiutava i due orfani, hai visto in effetti com’ era egoista?
Non appena gli ho parlato dei loro interessi se ne sono andati.
Orbene:
ai piedi di quel muretto era sepolta una marmitta piena di monete d’oro.
Se quella gente l’avesse trovata, non ne avrebbe parlato coi ragazzi e si sarebbe spartito il tesoro di nascosto.
Ora i due giovani hanno trovato le monete, e il loro avvenire è assicurato!”
“Sì, ma quella barca?” domandò il saggio.
L’angelo del Signore rispose:
“Dietro di noi stava sopraggiungendo una banda di predoni che aveva compiuto un grande saccheggio.
I predoni, giunti al fiume, hanno razziato tutte le barche per discendere il fiume sino alla loro nave, dove tutte le barche sono state affondate.
La sola che non hanno potuto prendere è quella di Husein, che la potrà riparare durante la notte e domani, unico traghettatore, lavorerà per molti giorni al prezzo che vuole!”
“Sì, ma il ragazzo che hai ucciso?” chiese allora il saggio, “Il più piccolo, il più caro a quei boscaioli!”
“Questa notte sarebbe impazzito, e nella sua follia avrebbe ammazzato nel sonno i suoi fratelli.

Ora, che cosa è preferibile per quei genitori?

Piangere il loro figlio minore, confortati dagli altri tre, o avere i primi tre uccisi dal fratellino, e quest’ultimo ucciso dal boia?
Stolto l’uomo che giudica le azioni di Dio; anzi:
stolto è l’uomo che giudica, quando gli elementi di giudizio possesso sono inadeguati o scarsi!”
Conclusa la spiegazione, l’Angelo del Signore se ne andò.

Brano tratto dal libro “Saggezza islamica.” di Gabriel Marcel. Edizione Paoline.

Ci vediamo all’Inferno!


Ci vediamo all’Inferno!

Edoardo pensava a due sole cose mentre entrava nel locale, quel locale che aveva conosciuto cinque anni prima e che era diventato casa sua.
Pensava per prima cosa a lei, al suo sorriso, al color cielo dei suoi occhi, al suono della sua risata.
Pensava a come l’aveva conosciuta, in quella notte di neve sulla spiaggia.
Doveva già capirlo che c’era qualcosa di speciale, doveva capirlo perché lì non nevicava mai.
Invece, quella sera, fioccava come nelle notti di natale di un qualsiasi paese di montagna.
Edoardo pensava a come si era innamorato di lei, inevitabilmente e perdutamente, mentre saliva le scale che lo conducevano al piano superiore del locale.
Quando si ritrovò davanti alla porta nera dell’ufficio prese un lungo respiro prima di entrare.
La seconda, unica cosa, a cui pensava Edoardo era che doveva salvare lei.
«A cosa devo l’onore?» l’uomo alto e robusto non si girò, rimase concentrato a preparare un cocktail al piccolo piano bar.

«Lo sai perché sono qui!»

L’uomo sospirò prima di posare il bicchiere che aveva tra le mani e girarsi per vedere la faccia di Edoardo piena di rabbia e rancore.
«Ne abbiamo già parlato ragazzo.
Ti devo ricordare che hai firmato un contratto?»
No, non doveva!
Edoardo ricordava bene il giorno in cui fece uno stupido patto col diavolo.
Si era fatto ingannare, cadendo nella rete di chi prometteva denaro e donne.
Aveva firmato perché il “lavoro” che quell’uomo in giacca e cravatta gli proponeva non gli sembrava poi così malvagio.
Corrompere anime, portarle a perdersi nei vizi umani.
Edoardo aveva creduto a quell’uomo, lo stesso che adesso aveva di fronte.
Doveva saperlo che fare un patto col diavolo non portava a nulla di buono.
«Perché lei? Ci sono miliardi di persone nel mondo. Perché lei?»
«Perché è pura. Per te sarà facile vista la situazione.»
«No, mi rifiuto. Non lo farò!»
«Non puoi rifiutarti!»
Edoardo scuoteva con forza la testa.
Il diavolo, divertito, iniziò a ridere.
«Prendi me!»

«Ma tu sei già mio!»

Fu allora che qualcosa scattò nella mente di Edoardo.
Un’idea tanto insana quanto geniale.
«Hai ragione.» disse, sfilando la pistola dal fodero che aveva sempre imparato a portare con se.
Quando la puntò contro l’uomo quest’ultimo si mise a ridere ancora di più di prima. «Lo sai che non funziona?»
«Lo so!»
«Lo sai che non puoi uccidermi?»
«Lo so!»
Edoardo sapeva bene che nessun arma umana poteva anche solo scalfire il diavolo.
Lo sapeva, ma ricordava una sola cosa importante in quel momento.
Ricordava quel punto del contratto che cinque anni prima gli aveva fatto salire un brivido lungo la schiena, quello che diceva chiaramente “Per tutta la vita”.
Edoardo lo ricordava bene, lo aveva inciso nella sua mente, e quando spostò la canna della pistola sulla propria tempia sapeva esattamente cosa doveva fare.
«Ci vediamo all’inferno!»

Brano di Giulia Zappalà