Due racconti di Bruno Ferrero per la Festa del Papà

Due racconti di Bruno Ferrero per la Festa del Papà
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Un abbraccio per papà

L’aiuto di papà

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“Un abbraccio per papà”

Degli studenti universitari ebbero come compito per il fine settimana:
dare un lungo e caloroso abbraccio al loro papà.
“Non posso farlo,” protestò uno, “mio padre morirebbe!”

“E poi,” disse un altro, “mio padre sa che lo amo!”

“Allora è facile!” replicò il professore, “Perché non lo fai?”
Il lunedì seguente tutti parlavano, sorpresi, di come fosse stata soddisfacente l’esperienza.
“Mio padre si è messo a piangere!” diceva uno.

E un altro:

“Strano. Mio padre mi ha ringraziato!”

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” Edizioni ElleDiCi.
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“L’aiuto di papà”

Il padre guardava il suo bambino che cercava di spostare un vaso di fiori molto pesante.
Il piccolino si sforzava, sbuffava, brontolava, ma non riusciva a smuovere il vaso di un millimetro.

“Hai usato proprio tutte le tue forze?” gli chiese il padre.

“Sì!” rispose il bambino.
“No!” ribatté il padre, “Perché ancora non mi hai chiesto di aiutarti!”

Brano tratto dal libro “Quaranta (40) storie nel deserto.” Edizioni ElleDiCi.

La bambola di pezza

La bambola di pezza

Durante il periodo della seconda guerra mondiale la vita era diventata difficilissima, con stenti e privazioni.
A soffrirne di più erano gli anziani e i bambini, che con le loro aspettative, chiedevano alla vita di poter sognare e giocare, desideri propri di tutti i bambini.

Fiorella desiderava tanto avere una bambola tutta sua con cui giocare,

ma la sua mamma gli ripeteva che erano poveri contadini dal pane con sette croste e che non potevano permettersi l’acquisto.
A tanto insistere la genitrice ne fece una con i ritagli di stoffa colorata, copiandola da una rivista, mettendo a frutto la sua abilità di sarta, e la imbottì di morbida crusca per renderla più piacevole al tatto.

Grande fu la gioia della bambina che la portava sempre con sé per giocarci, sia in casa che in cortile.

In questo, però, scorrazzavano libere delle galline dall’occhio sempre curioso che, in un momento in cui la bambola fu abbandonata, notarono la fuoriuscita da una cucitura di un po’ di crusca e fecero a gara per divorarla, tanto che la svuotarono in un baleno.
Fiorella, nello scoprire la distruzione della sua bambola, si mise a piangere a dirotto.
La sua mamma cercò di consolarla promettendole di rifare l’imbottitura in tempi brevi dicendole, inoltre, che a cena avrebbe mangiato un uovo intero invece del solito mezzo,

poiché le galline si erano nutrite della crusca della sua bambola.

La promessa di un uovo intero riservato, solitamente, ai grandi, le fece tornare un inaspettato sorriso, perché la fame era una brutta bestia che andava domata.
Galeotta fu una bambola di pezza svuotata della crusca da galline altrettanto affamate da una inutile guerra.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il professore ed il ringraziamento a Dio

Il professore ed il ringraziamento a Dio

Il professor Matthew Henry stava rincasando dall’Università, quando a pochi metri da casa sua si trovò davanti una canna di pistola puntata contro gli occhi.
Dietro la pistola c’era un rapinatore con il volto coperto che gli intimò di consegnargli borsa e portafoglio.

Lo fece e il rapinatore si dileguò rapidamente nell’oscurità.

Ancora spaventato dalla spiacevole esperienza, quella sera si sedette alla scrivania e scrisse questa preghiera:
“Signore, oggi sono stato derubato.

So che devo ringraziarti per molte cose.

Per prima cosa ti ringrazio di non essere mai stato rapinato prima, e in un mondo come questo è quasi un miracolo.
In secondo luogo voglio dirti grazie perché mi hanno portato via solo il portafoglio che, come sempre, conteneva solo pochi soldi, e una vecchia borsa piena di carta.

Ti voglio ringraziare anche, Signore,

perché non c’erano con me mia moglie e mia figlia, che si sarebbero spaventate molto e anche per il fatto che ora non devono piangere per me.
Infine, Signore, voglio ringraziarti in modo particolare, perché io sono stato il derubato e non il ladro.”

Il modo più semplice ed efficace per lottare contro la sofferenza consiste nel non essere noi causa di sofferenza.

Brano tratto dal libro “Dieci motivi per essere cristiani (e cattolici).” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il fazzoletto rosa

Il fazzoletto rosa

Il giovane si era lasciato cadere sulla panchina nel parco e si era preso la testa fra le mani!
Tutta la disperazione degli ultimi tempi gli impediva, quasi, di respirare…
Era arrabbiato e aveva voglia di piangere!
Una ragazza graziosa si sedette sulla panchina accanto a lui…
“Perché sei così triste?” gli chiese all’improvviso.
“La mia vita è una schifezza!” mormorò il giovane, “Tutto è contro di me:

non ho un briciolo di fortuna… Mai!

Non ce la faccio più a continuare!”
“Uhm!” sospirò la ragazza.
“Dove tieni il tuo fazzoletto rosa?
Mostramelo!
Voglio dargli un’occhiata!”
“Che cos’è il fazzoletto rosa?” domandò il giovane, “Io ho solo un fazzoletto nero!”

In silenzio glielo consegnò…

La ragazza guardò il fazzoletto e fu scossa da un brivido:
“È pieno di incubi, di cupa infelicità e di orribili esperienze!”
“È quello che ti ho detto…
Che ci posso fare?
Non posso cambiare la vita!”
“Prendi questo!” disse la ragazza porgendogli un fazzoletto rosa, “Guardaci dentro!”
Con mani esitanti il giovane lo aprì e vide che era pieno di ricordi gioiosi e dolci momenti!

“E dov’è, il tuo fazzoletto nero?” chiese il giovane incuriosito.

“Lo butto ogni giorno nella spazzatura e non ci penso più!” rispose la ragazza, “Metto tutti i momenti più belli della vita nel mio fazzoletto rosa.
Così, quando sento arrivare un po’ di tristezza, o mi sento scoraggiata, apro il fazzoletto e mi dico: “Questa è la mia vera vita!”.”
Il giovane non fece in tempo a replicare!
La ragazza gli schioccò un bacio, sulla guancia, e scomparve…
Al suo posto, sulla panchina, c’era un fazzoletto rosa con la scritta:
“Per te!”
Lo aprì e vide che era vuoto, tranne il piccolo, tenero bacio che la ragazza gli aveva dato…
A quel pensiero sorrise, e si sentì il cuore più caldo e una gran voglia di ricominciare!

“Se cerchi bene, anche tu, hai un fazzoletto rosa…”

Brano senza Autore

Il saggio, i consigli e la barzelletta

Il saggio, i consigli e la barzelletta

Si narra che in un regno antico vivesse un uomo conosciuto ovunque per la sua saggezza.
All’inizio egli dava consigli solo ai suoi familiari e agli amici più cari.

La sua fama, tuttavia,

crebbe a tal punto che lo stesso sovrano iniziò a chiamarlo spesso al suo cospetto per chiedergli consiglio.
Ogni giorno giungevano molte persone per ricevere i suoi preziosi consigli.
Tuttavia, il saggio notò che varie persone si recavano ogni settimana e gli raccontavano sempre gli stessi problemi, quindi ricevevano sempre lo stesso consiglio, ma non lo mettevano in pratica.

Era un circolo vizioso.

Un giorno il saggio riunì tutte quelle persone che chiedevano spesso consiglio.
Allora raccontò loro una barzelletta molto divertente, tanto che quasi tutti scoppiarono a ridere.
Dopo aver aspettato un po’, raccontò di nuovo la stessa barzelletta.
Continuò a raccontarla per tre ore.
Alla fine erano tutti sfiniti.

Dunque il saggio disse loro:

“Perché non potete ridere tante volte della stessa barzelletta ma potete piangere migliaia di volte per lo stesso problema?”

Storia Zen
Brano senza Autore

Ai giardinetti

Ai giardinetti

Una volta una madre si trovava ai giardinetti con la bimba di quattro anni.
Ad un tratto, la bambina si mise a piangere disperatamente.
Un signore che assistette alla scena, dopo un po’ non ne poté più e disse alla madre:
“Signora, non faccia piangere così la bambina:

le dia quel che vuole!”

La madre non replicò ed il signore tacque.
Intanto la bambina riprese a piangere, sempre più angosciata.
Allora l’uomo, deciso, parlò nuovamente con la madre:
“Signora, non si può far piangere tanto un bimba:

mi dica quel che vuole, provvedo io!”

La madre, ancor più seccata:
“Provi lei!
Ha fatto un buco e adesso vuole portarselo a casa!”

Brano di Pino Pellegrino

Dio è come lo zucchero

Dio è come lo zucchero

Mancavano cinque minuti alle 16:00.
Trenta bambini, tutti della quinta elementare, quel pomeriggio, erano eccezionalmente irrequieti, agitati, emozionati, chiassosi, rumorosi.

Alle 16:00 in punto arrivò la maestra per iniziare l’esame scritto di religione.

Immediatamente un silenzio generale piombò nella sala dove erano seduti i bambini in attesa delle domande.

1° Domanda: “Chi mi sa dire con parole sue chi è Dio?” cominciò a dettare la maestra.
2° Domanda: “Come fate a sapere che Dio esiste, se nessuno l’ha mai visto?”

Dopo 20 minuti, tutti avevano consegnate le risposte.
La maestra lesse ad una ad una le prime 29; erano più o meno ripetizioni di parole dette e ascoltate molte volte:

“Dio è nostro Padre.

Ha fatto la terra, il mare e tutto ciò che esiste.”
Le risposte erano esatte, per cui si erano guadagnati la promozione.
Poi chiamò Ernestino, un piccolo e vispo bambino biondo, lo fece avvicinare al suo tavolo e gli consegnò il suo foglietto, dicendogli di leggerlo ad alta voce davanti a tutti i suoi compagni.
Ernestino, temendo una pesante umiliazione davanti a tutta la classe, con la conseguente bocciatura, cominciò a piangere.
La maestra lo rassicurò e lo incoraggiò.

Singhiozzando Ernestino lesse:

“Dio è come lo zucchero che la mamma ogni mattina scioglie nel latte per prepararmi la colazione.
Io non vedo lo zucchero nella tazza, ma se la mamma non lo mette, ne sento subito la mancanza.
Ecco, Dio è così, anche se non lo vediamo.
Se Lui non c’è la nostra vita è amara, è senza gusto.”
Un applauso forte riempì l’aula e la maestra ringraziò Ernestino per le risposte così originali, semplici e vere.
Poi completò:
“Vedete bambini, ciò che ci fa saggi non è il sapere molte cose, ma l’essere convinti che Dio fa parte della nostra vita.”

Brano tratto dal libro “La Zattera: Regole per vivere in armonia.” di Carlo Gaudio

I momenti di felicità

I momenti di felicità

Un turista si fermò, per caso, nei pressi di un grazioso villaggio immerso nella campagna.
La sua attenzione fu attirata dal piccolo cimitero:
era circondato da un recinto di legno lucido e c’erano tanti alberi, uccelli e fiori incantevoli.
Il turista s’incamminò lentamente in mezzo alle lapidi bianche distribuite a casaccio in mezzo agli alberi.

Cominciò a leggere le iscrizioni.

La prima:
Giovanni Tareg, visse 8 anni, 6 mesi, 2 settimane e 3 giorni.
Un bambino così piccolo seppellito in quel luogo…
Incuriosito, l’uomo lesse l’iscrizione sulla pietra di fianco, diceva:
Denis Kalib, visse 5 anni, 8 mesi e 3 settimane.
Un altro bambino…
Una per una prese a leggere le lapidi.
Recavano tutte iscrizioni simili:
il nome e il tempo di vita esatto del defunto, ma la persona che aveva vissuto più a lungo aveva superato a malapena gli undici anni…
Si sentì pervadere da un grande dolore, si sedette e scoppiò in lacrime.
Una persona anziana che stava passando rimase a guardarlo piangere in silenzio e poi gli chiese se stesse piangendo per qualche famigliare.
“No, no, nessun famigliare,” disse il turista, “ma che cosa succede in questo paese?
Che cosa c’è di così terribile da queste parti?
Quale orribile maledizione grava su questa gente, per cui tutti muoiono bambini?”

L’anziano sorrise e disse:

“Stia sereno.
Non esiste nessuna maledizione.
Semplicemente qui seguiamo un’antica usanza.
Quando un giovane compie quindici anni, i suoi genitori gli regalano un quadernetto, come questo qui che tengo appeso al collo.
Ed è tradizione che a partire da quel momento, ogni volta che uno di noi vive intensamente qualcosa apre il quadernetto e annota quanto tempo è durato il momento di intensa e profonda felicità.
Si è innamorato… Per quanto tempo è durata la grande passione?
Una settimana? Due? Tre settimane e mezzo?
E poi… l’emozione del primo bacio quanto è durata?
Il minuto e mezzo del bacio? Due giorni? Una settimana?

E la gravidanza o la nascita del primo figlio?

E il matrimonio degli amici?
E il viaggio più considerato?
E l’incontro con il fratello che ritorna da un paese lontano?
Per quanto tempo è durato il piacere di quelle situazioni?
Ore? Giorni?
E così continuiamo ad annotare sul quadernetto ciascun momento in cui assaporiamo il piacere… ciascun momento.
Quando qualcuno muore, è nostra abitudine aprire il suo quadernetto e sommare il tempo in cui ha assaporato una soddisfazione piena e perfetta per scriverlo sulla sua tomba, perché secondo noi quello è l’unico, vero tempo vissuto!”

Non limitarti ad esistere… vivi!
Non limitarti a toccare… senti!
Non limitarti a guardare… vedi!
Non limitarti a udire… ascolta!
Non limitarti a parlare… dì qualcosa!

Brano tratto dal libro “I fiori semplicemente fioriscono.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

I tre agnellini

I tre agnellini

Lassù sulle montagne del Tirolo, c’era un piccolo villaggio dove tutti sapevano scolpire santi e Madonne con grande abilità.
Ma giunse il tempo in cui non ci furono più ordinazioni per le loro belle statuine religiose.
Un pomeriggio Dritte, uno dei maestri intagliatori, entrando nella sua bottega trovò un fanciullo biondo, che giocava con le statuine del presepio.
Dritte gli disse con fare burbero che le statuine del presepio non erano giocattoli.

Il bambino rispose:

“A Gesù non importa, Lui sa che non ho giocattoli per giocare.”
Maestro Dritte commosso gli promise un agnellino di legno con la testa che si muoveva.
“Vienilo a prendere domani pomeriggio, però, strano che non ti abbia mai visto, dove abiti?”
“Là!” rispose il fanciullo indicando vagamente l’alto.
Il giorno dopo, prima di mezzogiorno, l’agnellino era pronto, bello da sembrare vivo.
Ad un tratto si affacciò alla porta della bottega di Dritte una giovane zingara con un bambino in braccio.
Il bambino appena vide l’agnellino protese le braccine e l’afferrò.
Quando glielo vollero togliere di mano si mise a piangere disperato.

Dritte che non aveva nulla da dare alla povera donna disse sospirando:

“Tienilo pure.
Intaglierò un altro agnellino.”
Nel pomeriggio tardi Dritte aveva appena terminato il secondo agnellino quando Pino, un povero orfanello, venne a salutarlo.
“Oh! Che meraviglioso agnellino!” disse, “Posso averlo per piacere?”
“Sì tienilo pure, Pino, io ne intaglierò un altro” rispose Dritte e ne realizzò un altro.
Ma il bambino dai capelli d’oro non ritornò, e l’agnellino rimase abbandonato sullo scaffale della bottega.
La situazione del villaggio continuava a peggiorare e Dritte cominciò ad intagliare giocattoli per i bambini del villaggio per far loro dimenticare la fame.
Prima di Pasqua, in un giorno uggioso, un mercante di passaggio si offrì di comperare tutti i giocattoli che Dritte riusciva ad intagliare.

Dritte rifiutò di intagliare giocattoli per denaro:

“Sono alla locanda,” disse il commerciante, “in caso cambiate idea.”
La piccola Marta era molto malata e Dritte, per farla sorridere, le regalò l’agnellino che aveva conservato sullo scaffale della sua bottega.
Mentre tornava dalla casa di Marta, incontrò il bambino dai capelli d’oro.
“Ho tenuto l’agnellino fino ad oggi, ma tu non sei venuto.
Ne farò subito un altro!”
“Non ho bisogno di un altro agnellino,” disse il fanciullo scuotendo il capo, “quelli che hai donato al piccolo zingaro, a Pino e a Marta li hai donati anche a me.
Fare un giocattolo può servire alla gloria di Dio quanto intagliare un santo.”
Un attimo dopo il fanciullo era scomparso.
Quella notte Dritte si recò alla locanda.
“Costruirò giocattoli per voi!” disse.
“Allora avete cambiato idea.” sussurrò il mercante.
“No!” rispose Dritte con gli occhi scintillanti, “Ma ho ricevuto un segno da Dio!”

Brano tratto dal libro “Tutte storie. Per la catechesi, le omelie e la scuola di religione.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

La leggenda dei Denti di Leone

La leggenda dei Denti di Leone

Nel prato di un giardino pubblico, con il tiepido sole della primavera, in mezzo all’erba tenera, erano spuntate le foglie dentellate e robuste dei Denti di Leone.
Uno di questi esibì un magnifico fiore giallo, innocente, dorato e sereno come un tramonto di maggio.
Dopo un po’ di tempo il fiore divenne un “soffione”:
una sfera leggera, ricamata dalle coroncine di piumette attaccate ai semini che se ne stavano stretti stretti al centro del soffione.
E quante congetture facevano i piccoli semi.
Quanti sogni cullava la brezza alla sera, quando i primi timidi grilli intonavano la loro serenata.

Si chiedevano:

“Dove andremo a germogliare?”
“Chissà?”
“Solo il vento lo sa.”
Un mattino il soffione fu afferrato dalle dita invisibili e forti del vento.
I semi partirono attaccati al loro piccolo paracadute e volarono via, ghermiti dalla corrente d’aria.
“Addio… Addio…” si salutavano i piccoli semi.
Mentre la maggioranza atterrava nella buona terra degli orti e dei prati, uno, il più piccolo di tutti, fece un volo molto breve e finì in una screpolatura del cemento di un marciapiede.
C’era un pizzico di polvere depositato dal vento e dalla pioggia, così meschino in confronto alla buona terra grassa del prato.

“Ma è tutta mia!” si disse il semino.

Senza pensarci due volte, si rannicchiò ben bene e cominciò subito a lavorare di radici.
Davanti alla screpolatura nel cemento c’era una panchina sbilenca e scarabocchiata.
Proprio su quella panchina si sedeva spesso un giovane.
Era un giovane dall’aria tormentata e lo sguardo inquieto.
Nubi nere gli pesavano sul cuore e le sue mani erano sempre strette a pugno.
Quando vide due foglioline dentate verde tenero che si aprivano la strada nel cemento, rise amaramente:
“Non ce la farai!
Sei come me!” e con un piede le calpestò.
Ma il giorno dopo vide che le foglie si erano rialzate ed erano diventate quattro.
Da quel momento non riuscì più a distogliere gli occhi dalla testarda coraggiosa pianticella.
Dopo qualche giorno spuntò il fiore, giallo brillante, come un grido di felicità.
Per la prima volta dopo tanto tempo il giovane avvilito sentì che il risentimento e l’amarezza che gli pesavano sul cuore cominciavano a sciogliersi.
Rialzò la testa e respirò a pieni polmoni.

Diede un gran pugno sullo schienale della panchina e gridò:

“Ma certo!
Ce la possiamo fare!”
Aveva voglia di piangere e di ridere.
Sfiorò con le dita la testolina gialla del fiore.
Le piante sentono l’amore e la bontà degli esseri umani.
Per il piccolo e coraggioso Dente di Leone la carezza del giovane fu la cosa più bella della vita.

Brano tratto dal libro “Solo il vento lo sa.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.