La rete da pesca

La rete da pesca

Il fiordo era immerso nella profonda tranquillità della notte artica.
L’acqua sciabordava leggera sulla spiaggia.
Avvolto dal profumato tepore della sua casa di legno, Hans il pescatore tesseva la rete della sua prossima stagione di pesca.
Era solo nell’angolo del camino.
La sua dolce sposa Ingrid riposava nel piccolo cimitero di fianco alla chiesa.

Improvvisamente però risuonarono fresche risate gioiose.

La porta si aprì per lasciar passare la bionda Guendalina, la sua carissima figlia, che teneva per mano il fratellino Eric.
“Guendalina, ora sei in vacanza.
Vuoi prendere il mio posto a intrecciare la rete da pesca nuova mentre io vado a riparare la barca?” chiese il padre.
“Oh sì, papà!” rispose allegramente la bambina.
Le ore passavano.
Guendalina lavorava di buona lena, maglia dopo maglia, nodo dopo nodo.
Ma i giorni si aggiungevano ai giorni.
La corda era scabra.
L’appretto per impermeabilizzarla era ruvido e le mani facevano male.

Le sue piccole amiche si sporgevano dalla porta:

“Guendalina, vieni a giocare con noi!”
E le maglie si allentavano sempre di più, i nodi erano sempre meno stretti, la corda sempre meno impermeabilizzata.
Arrivò la primavera.
Il fiordo s’illuminò ai primi raggi del sole.
La pesca riprese.
Tutto fiero del lavoro della sua figlia carissima, Hans il pescatore imbarcò la sua rete da pesca nuova sul suo fidato vecchio battello.
“Vieni con me, piccolo Eric, per la nostra prima uscita!”
Pieno di gioia il ragazzino saltò a bordo.
La barca scivolò nell’acqua.
La rete affondò nelle onde verdazzurre.
Eric batteva le mani vedendo i pesci argentati saltare e guizzare nella rete ben piena.
“Una pesca fantastica!
Aiutami a tirare su la rete, figliolo!”

Ed Eric tirava, tirava con tutte le sue forze.

Ma vinto dal peso, pluf! piombò in acqua, proprio in mezzo alla rete.
“Non è niente!” pensò papà Hans, issando velocemente la rete a bordo.
“La mia rete è solida!
E la mia Guendalina che l’ha tessuta con le sue mani:
Eric verrà su con i pesci!”
La rete uscì dall’acqua leggera.
Ahimé, al fondo aveva solo un grande squarcio…
I nodi stretti male si erano allentati.
Le maglie mal fissate si erano aperte.
E il piccolo Eric riposava ormai in fondo al fiordo.
“Ah, se avessi intrecciato ogni maglia con amore!” piangeva Guendalina.

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

I furti in fabbrica

I furti in fabbrica

Una fabbrica aveva un problema di furti.
Ogni giorno veniva rubata della merce.
I dirigenti affidarono quindi ad una società specializzata il compito di perquisire ogni dipendente che usciva alla fine del lavoro.
La maggior parte degli operai apriva spontaneamente la borsa e faceva esaminare i contenitori della colazione.

I detective erano molto diligenti e controllavano tutti i dipendenti, fino all’ultimo:

un omino che tutti i giorni chiudeva la fila degli operai con un carrello pieno di rifiuti.
Una guardia doveva passare una buona mezz’ora, quando ormai tutti gli altri se ne stavano tornando a casa, a rovistare tra gli involucri di alimenti, mozziconi di sigarette e bicchieri di plastica per controllare se veniva portato fuori qualcosa di valore.

Non trovava mai niente.

Una sera, il guardiano, esasperato, disse all’uomo:
“Senti, lo so che stai combinando qualcosa, ogni giorno controllo ogni tuo piccolo pezzetto di rifiuto nel carrello e non trovo mai niente che valga la pena di essere rubato.
Sto diventando matto.
Dimmi quello che stai facendo e ti prometto che non farò nessun rapporto.”

L’uomo alzò le spalle e disse:

“È semplice, rubo carrelli!”

Brano di Bruno Ferrero

I Paternoster

I Paternoster

Il Padreterno sta passeggiando per il Paradiso.
Sotto un lampione di stelle vede un gruppetto di Santi che stanno discutendo fra di loro e si avvicina.
Sono San Giuseppe, Sant’Antonio e San Francesco.
Il Padreterno nota l’aria mortificata di San Giuseppe e sente che dice:
“Mi dispiace che le sperequazioni arrivino persino in Paradiso.

Ne sono desolato, Francesco mio:

a te un Paternoster una volta tanto, quando don Nicolino lo dà per penitenza ai suoi fedeli, a me, invece, arrivano puntualmente duecento Paternoster al giorno, anche da uno solo dei miei devoti!”
“Non te la prendere, mio caro Giuseppe,” interviene Sant’Antonio, “A me ne dicono tredici ogni volta che smarriscono qualcosa e, siccome di cose se ne perdono tante, io finisco per totalizzarne sempre più di te.”

Proprio in quel momento passa di lì Santa Rita.

“Scusate se mi intrometto,” dice con dolcezza, “ma io sono più desolata di San Giuseppe.
Se non fossi già in Paradiso, temerei per la mia umiltà.
A me di Paternoster ne arrivano così tanti che non riesco assolutamente a contarli…”
Il Padreterno ha orecchiato e passa oltre ma, tornato al suo tavolo, scrive un biglietto e chiama uno dei suoi angioletti segretari.

“Senti piccolo,” gli dice,

“scendi sulla terra e fai sapere ai miei figli che almeno un Paternoster al giorno lo indirizzino anche a me…
Mi sembrava di aver capito che questa fosse l’intenzione di mio Figlio.”

Brano senza Autore

Il Padreterno al telefono

Il Padreterno al telefono

Il Padreterno è al telefono da un pezzo, molto attento a quanto dice il suo interlocutore dall’altro lato del filo.
Annuisce, sorride, gesticola come se disegnasse nell’aria qualcosa.
L’angelo segretario socchiude la porta e gli fa cenno che sull’altra linea c’è…
Ma il Padreterno fa un gesto con la mano per fargli capire di non interrompere, mentre continua ad annuire, a sorridere e a ridere di cuore.
Il segretario torna nell’altra stanza.
“Il Padreterno è molto occupato.” dice l’angelo, “Non lo si può interrompere!”
“Ma glielo hai detto che al telefono c’è il Papa?” chiese l’interlocutore.

“Non me ne ha dato il tempo!” rispose l’angelo.

“Prova a farglielo dire dalla Beata Vergine, piccolino!” dice il Papa.
Il piccolo angelo avvisa la Beata Vergine che, con molta dolcezza e discrezione, va a bussare alla porta dello studio del Padreterno.
La socchiude appena.
Lui le fa una strizzatina d’occhio e il gesto di pazientare.
La Beata Vergine capisce al volo e richiude dolcemente la porta.
“È impossibile!” dice, “Si tratta di una persona veramente importante.”
L’angelo va a riferire al Papa che aspetta all’altro telefono con una certa impazienza.
“Oh, Signore!” supplica il Santo Padre, “Vai a cercare San Giuseppe, fai entrare in azione Sant’Antonio, vedi se c’è da qualche parte Papa Giovanni… Sbrigati!

Sono affari importanti, affari della Chiesa!”

Dietro la porta dello studio del Padreterno si è formata una piccola folla di Santi.
Ma non c’è nulla da fare:
appena qualcuno socchiude l’uscio, Lui fa cenno di non interrompere e di chiudere.
Finalmente posa il ricevitore e si butta indietro sulla sua poltrona.
“O quella Valentina!
Quella Valentina!” ride divertito.
“Ogni sera mi deve raccontare per filo e per segno che cosa ha fatto in tutta la giornata!”
Suona il campanello.
Entra l’angelo segretario.
“Chi era all’altro telefono?” chiede curioso il Padreterno.
“Il Papa.” risponde l’angelo

“E ora dov’è?” chiede il Padreterno.

“Si è ritirato.
Ha detto che andava a rileggersi “La notte oscura!” di San Giovanni della Croce!” spiegò il piccolo angelo.
“Presto, portagli da parte mia questo biglietto.” esclamò il Padreterno.
Parla a voce alta mentre scrive:
“Affido alla carità del Papa Valentina:
quattro anni, madre prostituta, padre carcerato, abitazione: baracche dell’acquedotto felice.”
E rassicuralo.
Stia contento:
il Padreterno gli vuole sempre un gran bene, anche se a volte sembra un pochino distratto.

Brano senza Autore

Festa per le nozze

Festa per le nozze

La storia racconta del matrimonio di una coppia italiana.
Gli sposi si erano messi d’accordo con il parroco per tenere un piccolo ricevimento nel cortile della parrocchia, fuori della chiesa, non avendo grandi possibilità economiche.
Ma si mise a piovere, e non potendo tenere il ricevimento fuori, i due chiesero al prete se fosse stato possibile festeggiare in chiesa.
Il parroco non era affatto contento che si festeggiasse all’interno della chiesa, ma i due dissero:
“Mangeremo un po’ di torta, canteremo una canzoncina, berremo un po’ di vino, e poi andremo a casa!”

Il parroco si convinse.

Ma gli invitati bevvero un po’ di vino, cantarono una canzoncina, poi bevvero un altro po’ di vino, cantarono qualche altra canzone, e poi ancora vino e ancora canzoni, e così dopo una mezz’ora in chiesa si stava festeggiando alla grande.
Tutti si divertivano da morire, godendosi la festa.
Ma il parroco, tesissimo, passeggiava avanti e indietro nella sacrestia, turbato dal rumore che gli invitati stavano facendo.
Entrò il suo viceparroco, che gli disse:

“Vedo che è molto teso.”

“Certo che sono teso!
Senti che rumore stanno facendo, proprio nella Casa del Signore!
Per tutti i Santi!” rispose il parroco.
“Ma Padre, non avevano davvero alcun posto dove andare!” spiegò il viceparroco.
“Lo so bene!
Ma è assolutamente necessario fare tutto questo baccano?” domandò allora il parroco.
“Beh, in fondo, Padre, non dobbiamo dimenticare che Gesù stesso ha partecipato una volta a un banchetto di nozze!” replicò il viceparroco.

Il parroco rispose:

“So benissimo che Gesù Cristo ha partecipato a un banchetto di nozze, non devi mica venire a dirmelo tu!
Ma a Cana non avevano il Santissimo Sacramento!”

Brano tratto dal libro “Messaggio per un’ aquila che si crede un pollo.” di Anthony De Mello

Gli alberi di ciliegio del portalettere

Gli alberi di ciliegio del portalettere

Luca lavorava alle poste come portalettere, e nei momenti liberi, aveva svariati passatempi.
Uno tra i suoi passatempi preferiti era quello di aver cura di un piccolo campicello, nel quale erano presenti dei bellissimi alberi di ciliegio.
Questi ciliegi maturavano in maniera scalare, e per questo riuscì a recuperare anche specie antiche e rare, tra cui le ciliegie bianche.

La sua passione era motivata dal ricordo del nonno, dal quale avuto in dono il fondo.

Il nonno si chiamava Gerardo, ed aveva lo stesso nome del santo protettore delle ciliegie, San Gerardo da Tintori.
Grazie alla passione di Luca, tramandata dal nonno, il 6 giugno in paese si faceva la festa della ciliegia, che attirava tutto il circondario.
Il nostro portalettere raramente vendeva le ciliegie perché generalmente le dava in dono.
Durante la stagione lo si vedeva spesso in giro dopo il lavoro con una borsa piena dei preziosi frutti che portava ad anziani, ad amici ed a gente bisognosa,

che Luca ben conosceva per via del suo lavoro.

Ultimamente, però, con l’espandersi del paese, era stato ricavato da una area abbandonata vicino al suo orticello un campetto di calcio ed i ragazzi, dopo le partite e durante le pause, facevano razzie di ciliegie, spezzando inoltre i rami, facendo così ammalare le piante.
Fu inutile mettere cartelli con divieti e recinzioni.
Decise, perciò, di nascondersi lì vicino e di provare ad acchiapparli.
Un giorno riuscì a sorprenderne uno, ma questo fu svelto a scendere dall’albero ed a scappare.
Si mise ad inseguirlo ed intimò al ragazzo:
“Fermati, fermati che ti ho riconosciuto!”

La risposta del ragazzo fu:

“Fermati tu, che nessuno ti corre dietro.”
Questo episodio capitò diverse volte, facendo ritornare in mente al portalettere la scena del film di “Guardie e ladri.” con Totò ed Aldo Fabrizi.
Alla fine con la mediazione del parroco e del sindaco, i ciliegi furono lavorati in compartecipazione con i ragazzi, che invece di devastare i ciliegi, ne aumentarono le cure e le rese.
Nessuno fece più inutili corse e fu tolta anche la rete di recinzione come segno di ritrovata fiducia.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il Re scricciolo

Il Re scricciolo

Un giorno, tanto tempo fa, un orso grande e grosso sentì dire che lo scricciolo era il Re degli uccelli.
Lo scricciolo però è un uccellino così piccolo, ma così piccolo che l’orso non voleva credere che fosse Re.
Decise perciò di ficcare il suo nasone nella reggia del sovrano.
“Puah!” brontolò ad alta voce, “Questa sarebbe una reggia?
Lo scricciolo è solo il Re degli straccioni!”
Ma nel nido c’erano i piccolini dello scricciolo, così minuscoli da essere quasi invisibili.
Sentendo le parole dell’orso saltarono su offesi e senza paura si misero a gridare:
“Chiedi subito scusa, maleducato!”

L’orso se ne andò sghignazzando.

Poco dopo tornarono Re e Regina scriccioli.
I piccoli raccontarono subito che cosa era accaduto.
“Non sia mai detto che i miei piccoli vengano offesi!” disse il Re, “Dichiarerò subito guerra all’orso!”
E così fece.
Quando l’ambasciatore piccolo piccolo di Re scricciolo andò a dichiarare la guerra, l’orso gigantesco rise ancora più forte e la sua risata soffiò via l’ambasciatore, che era un moscerino.
Intanto l’esercito di Re scricciolo si radunava.
C’erano tutti gli animaletti con le ali: uccellini, farfalle, mosche, api…

Anche l’orso radunò il suo esercito.

C’erano tutti gli animali più grossi a quattro zampe: lupi, cavalli, elefanti…
Il comando supremo era affidato alla volpe, perché era la più astuta.
Prima di partire per la battaglia, la volpe spiegò il suo piano ai soldati:
“Seguitemi e vi porterò alla vittoria!
La mia coda sarà il segnale.
Finché starà ritta avanzate e picchiate sodo.
Soltanto se mi vedrete abbassare la coda, vorrà dire che le cose vanno male e dobbiamo scappare, ma questa è un’eventualità da non prendere neppure in considerazione…”
Nascosta nel cespuglio vicino, c’era una libellula del controspionaggio.
Subito volò dal Re a raccontare quello che aveva udito.
“Bene.” disse il Re, “Quando la volpe verrà avanti, la zanzara vada a pungerla sotto la coda!”

I due eserciti si fronteggiarono.

La volpe aveva la coda ben dritta e, dietro di lei, orsi e lupi ironizzavano sui nemici.
Ma la zanzara piccola piccola volò sotto la coda della volpe e cominciò a pungerla e a pungerla finché essa fu costretta ad abbassare la coda per il dolore.
Vedendo la volpe con la coda abbassata, i soldati dell’orso pensarono:
“Abbiamo perso!” e fuggirono a gambe levate.
E questa volta risero Re scricciolo e i suoi coraggiosi piccolini.

Brano tratto dal libro “C’è ancora qualcuno che danza.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il pane buono (La ragazza rom)

Il pane buono
(La ragazza rom)

Tempo fa, sul cader della sera di un sabato qualunque, in una bella e profumata giornata primaverile, stavo innaffiando l’erba ed i fiori del piccolo giardino che adorna la nostra casa, assorto nei lieti pensieri del dolce far niente.
Davanti al cancello, all’improvviso, apparve la figura di una ragazzina.

Chiaramente una Rom, una zingara:

il suo volto ed il suo cencioso abbigliamento non lasciavano certo spazio a dubbi in tal senso.
Con un italiano piuttosto stentato mi chiamò e mi disse:
“Dio ti benedica te e tua famiglia, mi dai pane vecchio per mangiare?”

Le risposi:

“Dove abiti?” (curioso, vero? Quando Dio ci parla, capita spesso che di primo acchito cambiamo discorso)
“Là, vicino fiume Mella!” replicò.
“E di cosa vivi?” le domandai.
“Di quello che mi danno!” esclamò.
“Non vai a scuola?” proseguì.
“No, mai andata!” mi rispose.

“E i tuoi genitori cosa dicono?” chiesi ancora.

“Padre non so, non vedo da tanto, lui carcere; madre dice:
andare prendere qualcosa da mangiare.
Mi dai pane vecchio?” mi chiese nuovamente.
“Sì, certo, scusa, volevi del pane vecchio.
Ho quello fresco, buono, di oggi, vado dentro a prenderti quello!” le dissi mentre mi stavo girando per entrare in casa.
“Buono, hai già dato!” rispose.

Brano senza Autore.

Guizzino, il piccolo pesce che sfidò gli squali

Guizzino, il piccolo pesce che sfidò gli squali

Guizzino era un piccolissimo pesce nero in un grande mare; squa_me luminose lo ricoprivano.
Era molto agile e furbo, riusciva sempre a non cadere nella bocca di certi enormi pesci che passavano a volte nel suo spazio.
Vivevano insieme a Guizzino tantissimi altri pesciolini, che avevano il terrore dei grandi squali che passavano di lì.

Guizzino temeva per loro e siccome gli voleva bene,

pensò a lungo come poter aiutare i suoi amici.
Finalmente ebbe un’idea geniale:
“Amici!” disse tutto felice, “Ho trovato come vincere gli squali!”
“Come?
Lo sai come sono grandi?” risposero i pesciolini tremando solo al pensiero con quei bestioni!
“Ascoltatemi bene,” rispose Guizzino, “quando gli squali si presenteranno nel nostro mare noi ci riuniremo tutti vicinissimi, e così sembreremo un solo enorme pesce.

Io starò davanti a voi come l’occhio del corpo,

e così luminoso come sono, sembrerò un occhio minaccioso.
Venne il giorno degli squali, che si avvicinavano numerosi e affamati.
I nostri amici erano pieni di paura, ma si rinserrarono davanti a Guizzino, stretti l’uno all’altro, così tanto che diventavano una massa molto più grande di uno squalo.
I grandi pesci sembrarono un po’ disorientati, ma se ne guardarono bene dal disturbare quell’essere sconosciuto con quell’occhio minaccioso e lucente…

E decisero di andare altrove a procurarsi il cibo.

Felici, i piccolini si fecero attorno al loro amico Guizzino:
avevano capito che in tanti si può vincere facilmente.

Brano tratto dal libro “Guizzino.” di Leo Lionni. Edizione Babalibri.
Foto tratta dalle illustrazioni del libro stesso.

I fiori della riconciliazione

I fiori della riconciliazione

Molto tempo fa c’era un paese conosciuto in tutto il mondo per le sue terre fertili ed i suoi raccolti incredibilmente abbondanti.
Un giorno vi arrivò da lontano un uomo assai povero con la sua famiglia.
Si stabilì in una casetta abbandonata, che cadeva a pezzi, con un piccolo orto; il comune pretese comunque un affitto mensile.
Lo straniero aveva portato dal suo paese semi di piante sconosciute e iniziò a coltivare il piccolo orto seminando proprio quelle piante.

La gente del posto fu presa subito da mille paure:

e se quei semi avessero appestato la loro bella terra?
E se quelle piante sconosciute avessero inaridito i loro fertili campi?
Fu così che un mattino la famigliola si svegliò e trovò la propria casa circondata dal filo spinato.
Qualcuno, quella stessa notte, si era dato da fare per evitare che i sospetti e le paure si tramutassero in realtà.
Successe poi qualcosa di molto strano:
la terra fertile di quel paese smise di dare i soliti abbondanti frutti, iniziò a produrre erbacce e piante infestanti.
La gente del paese viveva giorni terribili di disperazione, presto sarebbe caduta nella miseria.
Stranamente, l’unica terra che continuava a dare buoni frutti era quella del piccolo orto della famiglia straniera.

Un mattino accadde però qualcosa di strano:

appeso alla porta di ogni casa, vi era un sacchetto di semi, erano semi nuovi, particolari, sconosciuti.
Un contadino tra i più anziani, senza porsi troppe domande, li seminò nel suo campo, ormai non c’era più nulla da perdere, quindi per curiosità volle vedere di che cosa si trattava.
In poco tempo quei semi germogliarono e spuntarono meravigliosi fiori blu.
Tutti ridevano, certo erano belli ma il problema serio era la miseria che sopraggiungeva e quei fiori non davano certo da mangiare!
Ma la cosa straordinaria doveva ancora avvenire:
man mano che spuntavano i fiori, sparivano le erbe infestanti e la terra tornava fertile e ricominciava a produrre frutti abbondanti.
Soltanto allora la gente cominciò a domandarsi da dove provenissero quei semi.
A dare la risposta furono i bambini, perché soltanto loro si erano accorti che quei fiori da tempo abbellivano l’orto della nuova famiglia straniera.
Compresero tutti il gesto buono e generoso di quell’uomo che aveva trovato tanta inospitalità e si era visto separato dal resto del paese da un filo spinato,

eppure aveva teso la sua mano e cercato la pace donando l’unica cosa che possedeva:

semi di fiori blu.
Quella stessa notte il filo spinato scomparve, il giorno successivo la nuova famiglia ricevette molte visite e altrettanti doni da parte della gente del paese.
E furono i bambini a voler dare il nome a quei meravigliosi fiori blu, furono chiamati:
i fiori della riconciliazione!
I fiori in questione erano delle meravigliose ortensie blu.

Brano senza Autore.