L’aquila che visse come un pollo

L’aquila che visse come un pollo

Un giorno un allevatore di polli, appassionato scalatore, mentre si arrampicava su una montagna particolarmente difficile, s’imbatté in una sporgenza.
Su quella sporgenza c’era un nido e nel nido c’erano tre grandi uova.
Uova di aquila.
L’uomo sapeva di comportarsi in modo anti ecologico e forse anche illegale, ma cedette alla tentazione di prendere una delle uova e metterla nel suo zaino, accertandosi, prima, che l’aquila madre non fosse nei paraggi.
L’allevatore continuò la sua scalata, alla fine tornò alla fattoria e mise l’uovo nel pollaio.

Quella sera la gallina si sedette su quell’enorme uovo per covarlo:

era l’immagine della madre più orgogliosa che si potesse immaginare.
E anche il gallo sembrava fiero di sé.
A tempo debito, l’uovo si schiuse e l’aquilotto uscì, si guardò attorno, vide la gallina e disse: “Mamma!”
E fu così che l’aquila crebbe con i suoi fratelli pollastri.

Imparò a fare tutto ciò che fanno i polli:

chiocciare e schiamazzare, grattare per terra alla ricerca di vermi, agitare le ali furiosamente e volare a poche spanne d’altezza prima di ricadere, a terra, in una nuvola di polvere e piume.
L’aquilotto era assolutamente sicuro di essere un pollo.
Un giorno, quando era ormai anziana, l’aquila che credeva di essere un pollo guardò il cielo.
Lassù, in alto tra le correnti, volava maestosa, senza sforzo e senza quasi muovere le ali, un’aquila.
“Cos’è quella?” chiese stupita la vecchia aquila, “È magnifica.
Quanta potenza e quanta grazia!

È poesia in movimento.”

“Quella è un’aquila!” disse un pollo, “È il re degli uccelli.
È un uccello dei cieli, noi siamo solo polli, uccelli di terra!”
E fu così che l’aquila visse e morì da pollo; perché questo era ciò che credeva di essere.

Brano tratto dal libro “Messaggio per un’aquila che si crede un pollo.” di Anthony de Mello

Perché, nonostante tutto, è possibile essere felici!

Perché, nonostante tutto, è possibile essere felici!

Da oggi in poi, tutti i giorni, quando mi sveglio, dirò:
Oggi io sono felice!
Mi ricorderò di ringraziare il sole, per il suo caldo e la sua luminosità.
Sentirò che sto vivendo, respirando.

Potrò sfruttare tutte le risorse della natura, gratuitamente.

Non avrò bisogno di comperare il canto degli uccelli, neanche il mormorio della riva del mare.
Ricorderò di sentire la bellezza degli alberi e dei fiori nelle sublimi ore della mattina.
Sorriderò sempre quando è possibile.
Cercherò di coltivare più amicizie e neutralizzare le inimicizie.
Non giudicherò gli altri, i compagni e gli amici.
Ricorderò di telefonare ad un amico per fargli capire che sento la sua nostalgia, riserverò minuti di silenzio per avere l’opportunità di ascoltare.

Non mi lamenterò!

Avrò sempre in mente che un minuto trascorso non ritorna più!
Approfitterò meglio di tutti i minuti della vita.
Non soffrirò in anticipo, pensando al futuro incerto, o ricordando le cose passate.
Non penserò a ciò che non ho e mi piacerebbe avere.
Come posso essere felice con quello che ho?

Il dono più grande è la propria vita.

Voglio ricordare di leggere una poesia e dedicarla a qualcuno/a.
Non mi aspetto niente in cambio, soltanto il piacere vedere il sorriso di un amico.
Voglio ricordare che esiste qualcuno che mi vuole bene.
E, quando la notte arriva, guarderò il cielo, le stelle e la luna, e ringrazierò gli angeli e Dio perché, nonostante tutto, è possibile essere felici!

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il contadino ed il poeta

Il contadino ed il poeta

Un contadino stanco della solita routine quotidiana, tra campi e duro lavoro, decise di vendere la sua tenuta.
Dovendo scrivere il cartello per la vendita decise di chiedere aiuto al suo vicino che possedeva delle doti poetiche innate.

Il romantico vicino accettò volentieri e scrisse per lui un cartello che diceva:

“Vendo un pezzettino di cielo, adornato da bellissimi fiori e verdi alberi, con un fiume, dall’acqua cosi pura e dal colore più cristallino, più bello di quelli che abbiate mai visto fino ad ora.”
Fatto ciò, il poeta dovette assentarsi per un po’ di tempo, al suo rientro però, decise di andare a conoscere il suo nuovo vicino.

La sua sorpresa fu immensa nel vedere il solito contadino,

impegnato nei suoi lavori agricoli.
Il poeta domandò quindi:
“Amico non sei andato via dalla tenuta?”

Il contadino rispose sorridendo:

“No, mio caro vicino, dopo aver letto il cartello che avevi scritto, ho capito che possedevo il pezzo più bello della terra e che non ne avrei trovato un altro migliore.”

Non aspettare che arrivi un poeta per farti un cartello che ti dica quanto è meravigliosa la tua vita, la tua casa, la tua famiglia e tutto ciò che possiedi…

Brano senza Autore, tratto dal Web

Credo in te, amico. Credo nel tuo sorriso…


Credo in te, amico.
Credo nel tuo sorriso…

Credo in te, amico.
Credo nel tuo sorriso,
finestra aperta nel tuo essere.

Credo nel tuo sguardo,

specchio della tua onestà.

Credo nella tua mano,
sempre tesa per dare.

Credo nel tuo abbraccio,

accoglienza sincera del tuo cuore.

Credo nella tua parola,
espressione di quel che ami e speri.

Credo in te, amico,

così, semplicemente,
nell’eloquenza del silenzio.

Poesia di Elena Oshiro

La felicità – Fabio Volo


La felicità 
Fabio Volo
(a fine pagina troverete il video di questo brano, interpretato da Giovanni Scognamiglio con base musicale “Nuvole Bianche.” di Ludovico Einaudi)

Crescendo impari che la felicità non è quella delle grandi cose.
Non è quella che si insegue a vent’anni, quando, come gladiatori si combatte il mondo per uscirne vittoriosi!
La felicità non è quella che affannosamente si insegue credendo che l’amore sia tutto o niente!
Non è quella delle emozioni forti che fanno il “botto” e che esplodono fuori con tuoni spettacolari!
La felicità non è quella di grattacieli da scalare, di sfide da vincere mettendosi continuamente alla prova.

Crescendo impari che la felicità è fatta di cose piccole ma preziose…

… ed impari che il profumo del caffè al mattino è un piccolo rituale di felicità, che bastano le note di una canzone, le sensazioni di un libro dai colori che scaldano il cuore, che bastano gli aromi di una cucina, la poesia dei pittori della felicità, che basta il muso del tuo gatto o del tuo cane per sentirti una felicità lieve.
Impari che la felicità è fatta di emozioni in punta di piedi, di piccole esplosioni che in sordina allargano il cuore, che le stelle ti possono commuovere e il sole far brillare gli occhi,
Impari che un campo di girasoli sa illuminarti il volto, che il profumo della primavera ti sveglia dall’inverno, e che sederti a leggere all’ombra di un albero rilassa e libera i pensieri.
Ed impari che l’amore è fatto di sensazioni delicate, di piccole scintille allo stomaco, di presenze vicine anche se lontane, e impari che il tempo si dilata e che quei cinque minuti sono preziosi e lunghi più di tante ore!

Ed impari che basta chiudere gli occhi,

accendere i sensi, sfornellare in cucina, leggere una poesia, scrivere su un libro o guardare una foto per annullare il tempo e le distanze ed essere con chi ami.
Impari che sentire una voce al telefono, ricevere un messaggio inaspettato, sono piccolo attimi felici.
Impari ad avere, nel cassetto e nel cuore, sogni piccoli ma preziosi.
Ed impari che tenere in braccio un bimbo è una deliziosa felicità.

Impari che i regali più grandi sono quelli che parlano delle persone che ami!

Impari che c’è felicità anche in quella urgenza di scrivere su un foglio i tuoi pensieri, che c’è qualcosa di amaramente felice anche nella malinconia.
Ed impari che nonostante le tue difese, nonostante il tuo volere o il tuo destino, in ogni gabbiano che vola c’è nel cuore un piccolo-grande Jonathan Livingston.
Ed impari quanto sia bella e grandiosa la semplicità.

Brano tratto dal libro “Il Volo del Mattino.”

Signora, scriverebbe una poesia per me?


Signora, scriverebbe una poesia per me?

Molte persone che hanno una storia da raccontare sono capaci di metterla sulla carta, quasi tutti coloro che vorrebbero scrivere una poesia non riescono a trovare le rime o a scrivere versi che scorrano.
Ecco perché una volta redassi per una rivista una rubrica che intitolai:
“Una poesia vostra e mia.”
A tutti coloro che avevano in mente una poesia, chiedevo di comunicarmi l’idea e promettevo che avrei pubblicato la loro lettera e scritto la poesia secondo le loro richieste.
Ricevetti migliaia di lettere da persone che avevano un poema nel cuore.
Ce ne fu una che ricorderò sempre.
Era di una ragazza, una certa Mary.
Non ne ho mai saputo il cognome.
Un giorno, in un cestino colmo di posta, trovai una lettera espresso contenente un foglio di carta rigata da poco prezzo e, in mezzo al foglio, un consunto biglietto da un dollaro.
Leggendo la lettera, mi sembrava quasi di sentire la voce di Mary:
“Voi dite, signora, che scriverete una poesia per chi desidera averne una scritta e pubblicata nella rivista.
Io vorrei che me ne scriveste una e me la mandaste invece di pubblicarla.

Ecco perché accludo un dollaro.

Non voglio che vi disturbiate senza compenso.
Credo che vorrete sapere qualcosa di me.
Fui lasciata sui gradini di un orfanotrofio quand’ero in fasce, e nessuno mi adottò perché non ero bella nè molto intelligente.
Perciò rimasi all’orfanotrofio finché non ebbi l’età d’andarmene e allora mi trovarono un lavoro in una fabbrica.
Lavoravo sei giorni la settimana perché eravamo in tempo di guerra e in fabbrica c’era molto da fare, ma la domenica ero libera e andavo a passeggiare nel parco.
Una domenica un soldato mi rivolse la parola; mi chiese se ero sola, io risposi di si, ed egli disse che anche lui era solo.
Aggiunse che non era di quella città e che sperava di poter passeggiare un po’ con me.
Era un giovane in uniforme e mi parve che non ci fosse niente di male.
Cosi, passeggiando e discorrendo, mi disse che era d’una regione rurale e che era in una caserma dall’altra parte del fiume.
Mi disse che al suo paese abitava con la madre e che era figlio unico; non era sposato, e non aveva nemmeno l’innamorata, perché se la madre avesse saputo che s’interessava a qualche ragazza avrebbe fatto il diavolo a quattro.
Quindi mi chiese se quella sera volevo cenare con lui e poi andare al cinema.
Fu cosi che Mary conobbe Ross, il soldato, e fu al cinema che sentì la mano di lui cercare la sua…

E capì, senza ombra di dubbio, d’essere innamorata.

Passò un mese, e un’altra domenica, mentre erano al parco, si misero a sedere su una panchina e parlarono dell’avvenire.
Non avevo mai avuto un avvenire fino a quella domenica, perché fu allora che Ross mi disse che mi amava e che voleva sposarmi.
Naturalmente gli risposi di si, e poi Ross si rannuvolò in viso e spiegò che non osava dirlo alla madre, perciò non avrebbe potuto far assegnare a me la quota della paga destinata alla persona a carico, ne farmi beneficiaria della sua assicurazione.
Ma a me non importava.
Volevo soltanto lui e il suo amore.
Volevo soltanto qualcuno che m’appartenesse.
Quando glielo dissi, il viso gli si rischiarò.
Cosi Mary e Ross si sposarono, e appena Ross aveva un permesso andava nella camera ammobiliata di Mary.
Le comprò il primo vestito di seta della sua vita, le scarpe con il tacco alto e una vestaglia.
Ma il regalo più importante fu l’anello nuziale.
E quando Ross fu mandato oltremare, Mary gli scrisse tutte le sere ed egli rispondeva ogni volta che poteva.
Passò il tempo, e poi un giorno Mary svenne mentre era in fabbrica.
Il medico della Società le disse che avrebbe avuto un bambino.
Fu proprio mentre scriveva a Ross la più bella notizia del mondo che la sorte volle colpirla in modo crudele.

Ricevette un telegramma dalle autorità militari.

“Ne fui sconvolta, signora.” mi scrisse Mary “Mio marito era morto.
Non avrei più sentito le sue labbra sulle mie, ma avevo una consolazione.
Non ero più sola come prima.
Sebbene Ross non fosse più mio, m’aveva lasciato qualcosa che sarebbe stata mia per sempre.
Mary lavorò fin quando potè e risparmiò ogni centesimo (non aveva l’assicurazione di Ross, ricordate?)
Sulla polizza c’era il nome della madre.
Non scrisse alla madre di Ross perché, come mi disse nella sua lettera, non le avrebbe creduto.
La bambina di Mary nacque nel reparto maternità d’un ospedale e quando Mary ne usci, si trovò a dover affrontare un problema.
Adesso doveva guadagnare da vivere non soltanto per sé, ma anche per la sua creatura.
E cosi decise di mettere la bimba in un nido per l’infanzia, non in uno gratuito, ma in uno di cui i suoi mezzi le permettessero di pagare la retta.
“Tutte le mattine portavo la piccola al nido, e tutte le sere, dopo il lavoro, andavo a prenderla e la portavo a casa.

La vedevo sveglia di rado, tranne la domenica.

Siccome tutto quello che guadagnavo serviva per il vitto, per la pigione e per il nido, la piccola non aveva belle vestine o giocattoli.
Gli abitini che portava durante il giorno appartenevano al nido, e cosi i giocattoli.
Io avevo soltanto il cesto di vimini nel quale dormiva, le coperte e un sonaglio di celluloide.
Ma ero felice perché, mentre lavoravo, sapevo che l’avrei portata a casa la sera e l’avrei tenuta tra le braccia finché si fosse addormentata.
Un pomeriggio mi telefonarono dal nido e mi dissero di accorrere subito…
ma non arrivai in tempo.”
E cosi Mary si ritrovò sola come prima:
una giovane donna non molto bella, non molto intelligente, una donna che aveva soltanto la gran dote di amare e di dare.
La sua lettera finiva cosi:
“Siccome la mia piccola non aveva bei vestiti o giocattoli, o nessuna delle cose che i bimbi di solito hanno, io non avrò nulla di lei da conservare.
E temo che, con il passare degli anni, il suo ricordo svanirà, e chiudendo gli occhi non riuscirò più a vederne il viso.
Ecco perché voglio che scriviate una poesia su di lei, una poesia bella come era lei, una poesia che me la riporti vicina ogni volta che la leggerò, che mi faccia sentire ch’è ancora accanto a me, non tra le mie braccia, ma nel mio cuore.

Vi prego spedite la poesia a Mary,

Fermo Posta, e io passerò all’ufficio postale tutti i giorni finché arriverà.”
Scrivere quella poesia fu uno dei compiti più difficili che abbia mai avuto e, per quanto sembri un paradosso, uno dei più facili.
Non ne ho tenuto una copia perché temevo che, prima o poi, potessi essere tentata di pubblicarla, e allora la poesia non sarebbe più appartenuta soltanto a Mary.
Quando misi la poesia nella busta, fui sul punto di mettervi anche il biglietto da un dollaro, ma poi mi resi conto che sarebbe stata una crudeltà.
Mi resi conto che Mary comprava un ultimo regalo per la sua creatura.
Sì, cercai di rintracciare Mary, ma non fu possibile; aveva ritirato la lettera, e poi era scomparsa.
Sebbene questo sia accaduto parecchio tempo fa, conservo ancora il dollaro, nella speranza che un giorno, non so dove, mi capiti d’incontrare Mary.
Se m’avverrà d’incontrarla, le darò il dollaro e le spiegherò che un ricordo non si può comprare.
Deve essere sempre un dono.

Brano di Margaret Elizabeth Sangster

Poesia per Mio Figlio – I figli sono come gli aquiloni


Poesia per Mio Figlio – I figli sono come gli aquiloni
Festa della Mamma

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Poesia per Mio Figlio

A volte non capirò le tue scelte.
A volte non riuscirò a farti cambiare idea.
A volte dovrò lasciarti sbagliare.
A volte dovrò lasciarti cadere.
A volte non potrò seguire i tuoi sogni.

A volte non saremo d’accordo.

Ma non ci sarà mai e poi mai, una sola volta in cui non sarò dalla tua parte.
Sarò sempre con te, dalla tua parte…
Nella vittoria e nella sconfitta, perché ogni cosa che fai tu è un po’ come se la facessi anche io…
Perché tu sei una parte di me…
La Migliore.

Poesia di Francesca Barbari

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I figli sono come gli aquiloni

Insegnerai a volare ma non voleranno il tuo volo.
Insegnerai a sognare ma non sogneranno il tuo sogno.

Insegnerai a vivere ma non vivranno la tua vita.

Ma in ogni volo, in ogni sogno e in ogni vita rimarrà per sempre l’impronta dell’insegnamento ricevuto.

Citazione di Madre Teresa di Calcutta