Ora so perché dovevi farlo

Ora so perché dovevi farlo

C’era una volta un uomo che considerava il Natale una favola incomprensibile.
Era una persona gentile e discreta, amorevole con la sua famiglia, onesta in tutti i suoi rapporti con gli altri uomini.
Ma non riusciva a credere all’Incarnazione.
Ed era troppo onesto per fingere di crederci.
La vigilia di Natale la moglie e i figli andarono in chiesa per la Messa di mezzanotte.
“Mi dispiace, ma non vengo.” disse lui, “Non riesco a capire l’affermazione che Dio si fa uomo.

Preferisco stare a casa.

Vi aspetterò per prendere qualcosa di caldo insieme.”
La sua famiglia si allontanò in auto, la neve cominciò a cadere.
L’uomo andò alla finestra e guardò le folate sempre più fitte e pesanti.
“Un vero Natale con i fiocchi!” pensò.
Tornò alla sua poltrona vicino al fuoco e cominciò a leggere il suo libro.
Pochi minuti dopo fu sorpreso da un tonfo sordo, subito seguito da un altro, poi da un altro ancora.
Pensò che qualcuno si divertisse a tirare palle di neve alla finestra del suo soggiorno.
Quando andò alla porta d’ingresso per indagare vide uno stormo di uccelli che svolazzavano nella tempesta alla disperata ricerca di un riparo e attirati dalla luce della sua finestra andavano a sbattere contro i vetri.

Molti finivano a terra tramortiti.

“Non posso permettere che queste povere creature giacciano lì a congelare!” pensò, “Ma come posso aiutarli?”
Si ricordò della rimessa che non usava più:
avrebbe potuto fornire un riparo caldo.
Indossò il cappotto e gli scarponi e con passo pesante attraverso la neve si diresse alla rimessa.
Spalancò l’ampia porta e accese la luce.
Ma gli uccelli non entravano.
“Un po’ di cibo li attirerà!” pensò.
Così si affrettò a tornare a casa per le briciole di pane, che sparse sulla neve per fare un percorso verso la rimessa.
Ma gli uccelli ignoravano le briciole di pane e continuavano a svolazzare sempre più intorpiditi nella tormenta.
L’uomo si mise ad agitare le braccia, ma quelli, spaventati, si disperdevano in ogni direzione, invece di rifugiarsi nel deposito caldo e illuminato.
“Mi vedono come una creatura strana e terrificante.” si disse, “Li ho solo terrorizzati di più.
Come faccio a comunicare loro che possono fidarsi di me?”

Uno strano pensiero lo colpì:

“Se solo potessi essere un uccello io stesso per qualche minuto, forse potrei guidarli verso la salvezza!”
Proprio in quel momento le campane della chiesa cominciarono a suonare.
Rimase in silenzio per un po’, ascoltando le campane.
Poi cadde in ginocchio nella neve.
“Adesso capisco.” sussurrò, “Ora so perché dovevi farlo!”

Brano di Bruno Ferrero

Non c’è posto per voi…

Non c’è posto per voi…

Guido Purlini aveva 12 anni e frequentava la prima media.
Era già stato bocciato due volte.
Era un ragazzo grande e goffo, lento di riflessi e di comprendonio, ma benvoluto dai compagni.
Sempre servizievole, volenteroso e sorridente, era diventato il protettore naturale dei bambini più piccoli.
L’avvenimento più importante della scuola, ogni anno, era la recita natalizia.
A Guido sarebbe piaciuto fare il pastore con il flauto, ma la signorina Lombardi gli diede una parte più impegnativa, quella del locandiere, perché comportava poche battute ed avere il fisico di Guido.
Avrebbe dato più forza al suo rifiuto di accogliere Giuseppe e Maria, dicendogli:

“Andate via!”

La sera della rappresentazione c’era un folto pubblico di genitori e parenti.
Nessuno viveva la magia della santa notte più intensamente di Guido Purlini.
E venne il momento dell’entrata in scena di Giuseppe, che avanzò piano verso la porta della locanda sorreggendo teneramente Maria.
Giuseppe bussò forte alla porta di legno inserita nello scenario dipinto.
Guido il locandiere era là, in attesa.
“Che cosa volete?” chiese Guido, aprendo bruscamente la porta.
“Cerchiamo un alloggio.” rispose Giuseppe.

“Cercatelo altrove.

La locanda è al completo.” rispose il locandiere.
La recitazione di Guido era forse un po’ statica, ma il suo tono era molto deciso.
“Signore, abbiamo chiesto ovunque invano.
Viaggiamo da molto tempo e siamo stanchi morti!” proseguì Giuseppe.
“Non c’è posto per voi in questa locanda!” replicò Guido con faccia burbera.
“La prego, buon locandiere, mia moglie Maria, qui, aspetta un bambino e ha bisogno di un luogo per riposare.
Sono certo che riuscirete a trovarle un angolino.

Non ne può più!”

A questo punto, per la prima volta, il locandiere parve addolcirsi e guardò verso Maria.
Seguì una lunga pausa, lunga abbastanza da far serpeggiare un filo d’imbarazzo tra il pubblico.
“No! Andate via!” sussurrò il suggeritore da dietro le quinte.
“No!” ripeté Guido automaticamente, “Andate via!”
Rattristato, Giuseppe strinse a sé Maria, che gli appoggiò sconsolatamente la testa sulla spalla, e cominciò ad allontanarsi con lei.
Invece di richiudere la porta, però, Guido il locandiere rimase sulla soglia con lo sguardo fisso sulla miseranda coppia.
Aveva la bocca aperta, la fronte solcata da rughe di preoccupazione, e i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime.

Il finale di Guido

Tutt’a un tratto, quella recita divenne differente da tutte le altre.
“Non andar via, Giuseppe!” gridò Guido qualche istante dopo, “Riporta qui Maria!”

E, con il volto illuminato da un grande sorriso, aggiunse:

“Potete prendere la mia stanza.”
Secondo alcuni, quel rimbambito di Guido Purlini aveva fatto “saltare” la rappresentazione.
Ma per gli altri, per la maggior parte, fu la più “natalizia” di tutte le rappresentazioni natalizie che avessero mai visto.

Brano senza Autore.

La piccola Arianna e la mamma

La piccola Arianna e la mamma

La piccola Arianna, era passata dal seggiolone ai primi passi, con la sua bella dose di cadute e ginocchia sbucciate, come succede a tutti i bimbi.
In quelle occasioni di solito la mamma apriva le braccia e le diceva:
“Vieni da me!”
Allora Arianna andava a gattoni verso di lei, le saliva sulle ginocchia e mamma e bambina si abbracciavano.
La mamma le chiedeva:
“Sei la mia bambina?”
Piangendo Arianna faceva “si” con il capo.

Poi aggiungeva:

“La mia dolce nespolina Arianna?”
La bambina annuiva ancora, ma con un sorriso.
La mamma, infine, le diceva:
“Ed io ti voglio bene, sempre, in eterno e ad ogni costo!”
Dopo una risata ed un abbraccio, la bambina era pronta per un’altra sfida.
Anche a cinque anni Arianna continuava a ripetere la scenetta del “Vieni da me” per le ginocchia sbucciate e i sentimenti feriti, per scambiarsi il “Buongiorno” e la “Buonanotte.”

Un giorno capitò alla mamma di avere una giornataccia.

Era stanca, irritabile e stressata dall’impegno che richiede prendersi cura di un marito, di una bambina di cinque anni, di due ragazzi adolescenti e del lavoro che svolgeva da casa.
Ogni volta che squillava il telefono o che suonavano alla porta arrivava del lavoro che l’avrebbe impegnata per un giorno intero e che doveva essere fatto immediatamente.
Raggiunse il punto di rottura nel pomeriggio e si rifugiò in camera a piangere in santa pace.
Arianna corse subito a cercarla e le disse:
“Vieni da me!”
Si accoccolò vicino alla mamma, mise le manine sulle sue guance bagnate dalle lacrime e disse: “Sei la mia mammina?”
Piangendo la mamma fece “sì” col capo.

Poi continuò:

“La mia dolce nespolina mamma?”
Sorridendo la donna fece “sì” con il capo.
Alla fine Arianna concluse:
“E io ti voglio bene, sempre, in eterno e ad ogni costo!”
Una risata, un abbraccio e anche la mamma era pronta per la prossima sfida.
Anche i genitori a volte hanno bisogno di essere consolati, e Arianna questo lo ha capito benissimo!

Brano di Bruno Ferrero

Signora, lei è ricca?

Signora, lei è ricca?

Si rannicchiarono dietro la porta doppia:
due bambini con i cappotti a brandelli troppo piccoli per loro che mi chiesero:
“Ha giornali vecchi, signora?”
Ero indaffarata, volevo rispondere di no… finché guardai i loro piedi:
sandaletti leggeri, inzuppati dal nevischio.
“Entrate e vi farò una tazza di cioccolata calda.” dissi ai due bambini.

Non vi fu conversazione.

I sandali fradici lasciarono impronte sulla piastra del caminetto.
Servii loro cioccolata e pane tostato con marmellata per fortificarli contro il freddo esterno.
Quindi tornai in cucina e ripresi il mio bilancio familiare!
Il silenzio nel soggiorno mi sorprese.
Guardai dentro, la bambina teneva in mano la tazza vuota e la osservava.
Il maschietto mi disse con voce incerta:

“Signora, lei è ricca?”

“Se sono ricca? Misericordia, no!” guardai le consunte foderine del divano.
La bambina rimise la tazza sul suo piattino con cura.
“Le sue tazze sono intonate ai piattini.” aveva osservato la bambina, con una voce vecchia, con una fame che non veniva dallo stomaco.
Quindi se ne andarono, tenendo i pacchi dei giornali contro il vento, non avevano detto grazie, non ne avevano bisogno.
Avevano fatto molto di più.
Tazze e piattini di ceramica azzurra di poco valore.

Ma erano intonati.

Diedi un’occhiata alle patate e mescolai il sugo.
Patate e sugo di carne, un tetto sopra alla testa, mio marito con un lavoro sicuro… umile ma sicuro.
Anche queste cose erano intonate.
Allontanai le sedie dal fuoco e misi in ordine il soggiorno.
Le impronte fangose dei sandaletti erano ancora umide sul caminetto.
Le lasciai lì:
voglio che restino lì caso mai mi dimenticassi di nuovo quanto sono ricca.

Brano tratto dal libro “Brodo caldo per l’anima – Pensa Positivo.” di Marion Doolan

Il rabbino e l’ “amico” critico

Il rabbino e l’ “amico” critico

C’era un tempo un rabbino che la gente venerava come l’inviato di Dio.
Non passava giorno senza che una folla di persone si assiepasse davanti alla sua porta in cerca di un consiglio o della sua guarigione e della benedizione del sant’uomo.
E ogni volta che il rabbino parlava, la gente pendeva dalle sue labbra,

facendo propria ogni parola che diceva.

Fra i presenti c’era però un personaggio piuttosto antipatico, che non perdeva mai l’occasione per contraddire il maestro.
Osservava le debolezze del rabbino e ne sbeffeggiava i difetti, con sgomento dei suoi discepoli, che cominciarono a vedere in lui l’incarnazione del diavolo.
Un giorno però il “diavolo” si ammalò e morì.

Tutti tirarono un sospiro di sollievo.

Di fuori apparivano compresi come si conveniva, ma nel loro cuore erano contenti perché quell’eretico irriverente non avrebbe mai più interrotto i discorsi ispirati del maestro e criticato il suo comportamento.
La gente fu quindi sorpresa di vedere al funerale il maestro genuinamente affranto dal dolore.
Quando più tardi un discepolo gli chiese se era addolorato per la sorte del morto, egli rispose:
“No, no.
Perché dovrei compiangere il nostro amico che è ora in cielo?

E per me che sono triste.

Quell’uomo era l’unico amico che avevo.
Eccomi qui circondato da gente che mi venera.
Lui era il solo che mi metteva alla prova; temo che senza di lui smetterò di crescere!”
E mentre diceva queste parole, il maestro scoppiò in lacrime.

Brano tratto dal libro “La preghiera della rana.” di Anthony de Mello. Edizioni Paoline.

Ogni cosa è un dono

Ogni cosa è un dono

Sei single e ti manca un partner.
Sei in coppia e ti manca la libertà.

Lavori e ti manca il tempo.

Hai troppo tempo libero e vorresti lavorare.
Sei giovane e vuoi crescere per fare le cose degli adulti.
Sei adulto e vorresti fare le cose dei giovani.

Sei nella tua città ma vorresti vivere altrove.

Sei altrove ma vorresti tornare nella tua città.
Forse è tempo di smettere col guardare sempre a ciò che ci manca e iniziare a vivere nel presente,

apprezzando davvero quello che abbiamo.

Goditi il profumo della tua casa prima di aprire la porta ed uscire a cercare i profumi del mondo.
Perché niente è scontato, e ogni cosa è un dono.
Dagli valore.

Brano tratto dal libro “Sette secondi.” di Oscar Travino

Sean e la mucca

Sean e la mucca

In un piccolo pesino dell’Irlanda vivevano una volta un figlio e una madre molto poveri.
Sean che era ancora un ragazzetto, non solo doveva lavorare tutto il giorno ma per arrotondare faceva anche delle scope che poi vendeva al mercato.
Ogni giorno portava a pascolare l’unica mucca che possedevano, e questa dava ogni giorno latte fresco.
Una bella mattina, Sean decise di raccogliere erica per intrecciare e fabbricare nuove scope, e così seguito dalla mucca si spinse oltre il bosco.
Ad un certo punto sentendosi stanco decise di riposarsi in una piccola valletta.
Si sdraiò e d’improvviso vide che tutto il prato era pieno di folletti che cantavano e che giocavano allegramente:

“Beati voi come siete contenti.

Io invece devo lavorare tutto il giorno e non ho mai tempo per giocare.”
“Vieni, vieni a giocare e ci divertiremo.” risposero i folletti.
“Oh grazie,” rispose Sean, “e a che cosa giochiamo?”
“A calcio,” rispose uno dei folletti, “tu stai in porta.”
E così cominciarono a giocare.
Tutto andò per il meglio finché arrivò una pallonata giusto in faccia al ragazzo e per cinque minuti non poté vedere niente.
Tutti gli elfi ridevano a crepapelle, e se ne andarono correndo per il prato.
Quando Sean recuperò la vista, non trovò più la sua mucca e subito pensò che si era persa nel bosco.

Tornò a casa e raccontò quanto era successo alla madre.

Il giorno dopo madre e figlio andarono subito alla ricerca della mucca e solo dopo lunghe ore di ricerca la trovarono morta in un dirupo.
La madre si disperò molto, e si sentiva perduta senza quella mucca che almeno le dava il latte.
Passò del tempo…
Una bella mattina Sean stava intrecciando dell’erica per le scope quand’ecco che scorse due elfi che pascolavano una mucca.
La guardò e la riguardò e ben presto si accorse che quella era la sua mucca.
Si avvicinò le saltò in groppa e la mucca indispettita cominciò a dimenarsi e a correre giù per il prato con i due elfi attaccati alla coda.
E la mucca correva e correva e arrivò nei pressi del lago, e sempre più vicino alla riva, e sempre più vicino all’acqua… finché non si immersero nell’acqua!
Il ragazzo stava dicendo le sue ultime preghiere quando scorse nel fondo del mare un palazzo di cristallo.
Entrarono e scorsero moltissime dame e cavalieri che erano nella sala principale.
Subito gli venne incontro il re.
“Lei si è impossessato della mia mucca!” disse il ragazzo.
“No caro ragazzo questa è la mia mucca, l’ho comprata da due elfi.” rispose il re.
Il ragazzo allora raccontò tutta la storia, ed il re che era un uomo buono propose al ragazzo un borsa piene di monete d’oro in cambio della sua mucca che faceva un ottimo latte.
“Niente affatto,” continuò il ragazzo, “io sono per le cose giuste, quindi rendetemi la mucca di mia madre e io toglierò il disturbo.”

Il re sbalordito per questo rifiuto disse:

“Come puoi rifiutare un’offerta del genere, la mucca è indispensabile qui a corte.
Con il suo latte macchiamo sempre il te delle sei.”
“E a me sicuramente servirà di più, perché noi lassù siamo molto poveri.” esclamò il ragazzo.
Il re commosso da tanta onestà gli concedette la mucca e gli regalò un sacchetto pieno di monete d’oro.
Ma il ragazzo rifiutò: “Penseranno tutti che li ho rubati.
Teneteli pure!”
“Mi sento in torto nei tue confronti ragazzo per cui ti faccio una proposta:
ogni giorno verso le cinque porterai in riva al lago un secchio pieno di latte di mucca e noi lo pagheremo per quanto per noi vale.” concluse il re.
Contento e soddisfatto Sean ritornò a casa e raccontò quello che era successo alla madre che credeva che suo figlio fosse diventato pazzo.
Così il ragazzo la dovette portare in riva al lago e quando vide due folletti uscire dal lago con due pacchettini pieni di monete d’oro restò molto meravigliata.
Così finisce questa storia, Sean si guadagnò sempre onestamente da vivere e visse ancora per molti anni con la sua mamma.

Favola Irlandese.
Brano senza Autore, tratto dal Web

Un cerchio di gioia (Il grappolo d’uva)

Un cerchio di gioia
(Il grappolo d’uva)

Un giorno, non molto tempo fa, un contadino si presentò alla porta di un convento e bussò energicamente.
Quando il frate portinaio aprì la pesante porta di quercia, il contadino gli mostrò, sorridendo, un magnifico grappolo d’uva.
“Frate portinaio,” disse il contadino, “sai a chi voglio regalare questo grappolo d’uva che è il più bello della mia vigna?”
“Forse all’Abate o a qualche frate del convento!” rispose il frate.

“No, a te!” esclamò il contadino.

“A me?” il frate portinaio arrossì tutto per la gioia, “Lo vuoi dare proprio a me?”
“Certo, perché mi hai sempre trattato con amicizia e mi hai aiutato quando te lo chiedevo.
Voglio che questo grappolo d’uva ti dia un po’ di gioia!”
La gioia semplice e schietta che vedeva sul volto del frate portinaio illuminava anche lui.
Il frate portinaio mise il grappolo d’uva bene in vista e lo rimirò per tutta la mattina.
Era veramente un grappolo stupendo.

Ad un certo punto gli venne un’idea:

“Perché non porto questo grappolo all’Abate per dare un po’ di gioia anche a lui?”
Prese il grappolo e lo portò all’Abate.
L’Abate ne fu sinceramente felice.
Ma si ricordò che c’era nel convento un vecchio frate ammalato e pensò:
“Porterò a lui il grappolo, così si solleverà un poco!”
Così il grappolo d’uva emigrò di nuovo.

Ma non rimase a lungo nella cella del frate ammalato.

Costui pensò infatti che il grappolo avrebbe fatto la gioia del frate cuoco, che passava le giornate ai fornelli, e glielo mandò.
Ma il frate cuoco lo diede al frate sacrestano (per dare un po’ di gioia anche a lui), questi lo portò al frate più giovane del convento, che lo portò ad un altro, che pensò bene di darlo ad un altro.
Finché, di frate in frate il grappolo d’uva tornò dal frate portinaio (per portargli un po’ di gioia).
Così fu chiuso il cerchio.
Un cerchio di gioia.

Brano tratto dal libro “40 storie nel deserto.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Aiutare gli amici

Aiutare gli amici

Un uomo bussò alla porta di un amico per chiedergli un favore:
“Puoi prestarmi quarantamila denari?

Devo saldare un debito!”

L’altro chiese alla moglie di prendere tutti i loro risparmi e gli oggetti di valore:
il piccolo tesoro, però, si rivelò insufficiente.
Chiesero aiuto ai vicini e, alla fine, fu raccolta la somma necessaria.

Quando l’uomo se ne fu andato, la donna notò che il marito stava piangendo.

“Perché sei triste?” gli domandò, “Per il fatto che ci siamo indebitati con i vicini e non sai se saremo in grado di onorare il nostro debito?”
“No, affatto.
Piango perché nutro un grande affetto per quell’amico, eppure non mi sono mai preoccupato per lui.

Mi è ritornato alla mente soltanto quando si è presentato alla nostra porta per chiedere un prestito!”

Andate, dunque, e raccontate la storia di ciò che è accaduto questo pomeriggio.
E ricordate che dobbiamo aiutare i nostri fratelli ancor prima che ce lo chiedano.

Brano tratto dal libro “Il manoscritto ritrovato ad Accra.” di Paulo Coelho. Edizione Bompiani.

Quattro brani brevi di Bruno Ferrero

Quattro brani brevi
di Bruno Ferrero
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L’anima al sole

Credi in Dio?

Che cosa devo fare per la pace del mondo?

Devi imparare ad ascoltare

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“L’anima al sole”

 

Un missionario in Papua Nuova Guinea si accorse che uno dei suoi nuovi cristiani, un fiero capo della tribù kanaka, alla fine di ogni Messa andava davanti al tabernacolo e vi rimaneva a lungo, dritto come una palma, a torso nudo.
Era un uomo molto semplice, che non aveva ancora neppure imparato a leggere la Bibbia.
Un giorno il missionario non resistette alla curiosità e gli chiese che cosa facesse, così fermo e silenzioso davanti al tabernacolo.
Ridendo, il kanako rispose:
“Tengo la mia anima al sole!”

Tratto dal libro “Quaranta (40) storie nel deserto.” Edizioni ElleDiCi.

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“Credi in Dio?”

 

Due pesci rossi vivevano in un vaso di vetro.
Nuotando pigramente in tondo avevano anche tempo per filosofare.
Un giorno un pesce chiese all’altro:
“Tu credi in Dio?”
“Certo!” rispose il secondo pesce.
“E come fai a saperlo?” chiese il primo pesce.
“Chi credi che ci cambi l’acqua, tutti i giorni?” domandò filosoficamente il secondo pesce.

Tratto dal libro “Il segreto dei pesci rossi.” Edizioni ElleDiCi.

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“Che cosa devo fare per la pace del mondo?”

 

Un giovane studente che aveva una gran voglia di impegnarsi per il bene dell’umanità, si presentò un giorno da San Francesco di Sales e gli chiese:
“Che cosa devo fare per la pace del mondo?”
San Francesco di Sales gli rispose sorridendo:
“Non sbattere la porta così forte…”

Tratto dal libro “L’importane è la rosa.” Edizioni ElleDiCi.

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“Devi imparare ad ascoltare”

 

Un uomo, preoccupato perché il suo matrimonio era in crisi, si recò a chiedere consiglio da un famoso maestro.
Questi lo ascoltò e poi gli disse:
“Devi imparare ad ascoltare tua moglie.”
L’uomo prese a cuore questo consiglio e tornò dopo un mese per dire che aveva ascoltato ogni parola che la moglie dicesse.
Il maestro gli disse sorridendo:
“Ora torna a casa e ascolta ogni parola che non dice.”

Tratto dal libro “Il canto del grillo.” Edizioni ElleDiCi.