La preghiera dell’alfabeto

La preghiera dell’alfabeto

Un povero contadino si recò al mercato col carro.
Purtroppo durante il viaggio si staccò una ruota del carro, ed il tempo perso per ripararla gli impedì di tornare a casa per la notte.
Quando si preparò per andare a dormire si accorse che aveva dimenticato di portare con sé il libro delle preghiere.

Allora pregò in questo modo:

“Ho commesso una grave sciocchezza Signore:
sono partito da casa senza il mio libro di preghiere, e ho così poca memoria che senza di esso non riesco a dire neanche un’orazione.

Ma ecco cosa farò:

reciterò molto lentamente tutto l’alfabeto e Tu, che conosci ogni preghiera, potrai mettere insieme le lettere in modo da formare le preghiere che non riesco a ricordare.”
Disse allora il Signore ai suoi angeli:
“Di tutte le preghiere che oggi ho sentito, questa è la più bella perché è nata da un cuore semplice e sincero!”

Racconto ebraico
Brano senza Autore.

La carovana di mercanti

La carovana di mercanti

Una carovana di mercanti abituati da molto tempo a percorrere insieme le lunghe piste d’oriente si preparava ad attraversare un grande e pericoloso deserto.
Il percorso richiedeva una buona conoscenza dei luoghi e delle piste e delle oasi, ma anche delle abitudini degli indigeni.

Così si assicurarono i servizi di una guida locale famosa per la sua esperienza.

Dopo dieci giorni di rapido cammino, la colonna si arrestò contro una barriera di uomini armati, fermi attorno alla statua di una delle loro orribili divinità dall’aspetto crudele, che incombeva sulla pista.
“Non potete proseguire” gridò il capo degli uomini armati, “se non sacrificate un uomo al nostro dio!
È la regola di ogni nuova luna.
Se non lo farete morrete tutti qui immediatamente!”

I mercanti si radunarono e cominciarono a parlottare tra loro.

La scelta era drammatica e l’accordo molto difficile.
“Noi ci conosciamo tutti da molto tempo.
Siamo parenti tra di noi.
Non possiamo sacrificare uno di noi per placare questo dio!”

I loro sguardi si concentrarono tutti sulla guida…

Dopo avere immolato il pover’uomo, secondo il rito, ai piedi della statua, la carovana riprese il cammino.
Ma nessuno conosceva la via e ben presto si persero nel deserto.
Morirono uno dopo l’altro di sete e di sfinimento.

Brano senza Autore

Il perdono

Il perdono

Un fedele buono, ma piuttosto debole, si confessava di solito dal parroco.
Le sue confessioni sembravano però un disco rotto:
sempre le stesse mancanze, e soprattutto sempre lo stesso grosso peccato.
“Basta!” gli disse, un giorno, in tono severo il parroco,

“Non devi prendere in giro il Signore.

È l’ultima volta che ti assolvo per questo peccato.
Ricordatelo!”
Ma quindici giorni dopo, il fedele era di nuovo là a confessare il suo solito peccato.
Il confessore perse davvero la pazienza:

“Ti avevo avvertito:

non ti do l’assoluzione.
Così impari!”
Avvilito e colmo di vergogna, il pover’uomo si alzò.
Proprio sopra il confessionale, appeso al muro, troneggiava un grande crocifisso di gesso.

L’uomo lo guardò.

In quell’istante, il Gesù di gesso del crocifisso si animò, sollevò un braccio dalla sua secolare posizione e tracciò il segno dell’assoluzione:
“Io ti assolvo dai tuoi peccati.”

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il cucchiaio

Il cucchiaio

Un noto scrittore, autore di best seller di fama internazionale, andò a mangiare in un caratteristico ristorante nel ridente asolano, dove venivano servite le specialità povere tipiche del Veneto, improvvisamente tornate di moda.
Alle pareti del ristorante erano appese le fotografie dei personaggi famosi che avevano visitato il locale, tra cui un premio Nobel e, conseguentemente, anche la sua foto sarebbe dovuta finire insieme alle altre.
Lo scrittore era molto proficuo nello scrivere, ma avaro di parole e, quando fu il momento della comanda, quando gli chiesero cosa desiderasse, rispose semplicemente:

“La specialità della casa.”

Il titolare, desiderando fare bella figura con l’illustre intellettuale, riservò per lui un cameriere, quello con la maggiore esperienza, nonché sommelier.
Gli venne servita un’invitante “Soppa Coada”, detta anche “zuppa Covata”, che altro non è che un piatto povero, fatto di avanzi di pane raffermo, verdure, brodo caldo e piccione.
Lo scrittore guardò benevolo il caratteristico piatto, ma dopo un attimo di riflessione scuotendo la testa disse:

“Questo non la posso mangiare.”

Il cameriere sottrasse subito il piatto pensando fosse vegetariano e di gran corsa lo sostituì con un fumante minestrone di fagioli.
Accolse il piatto con un largo sorriso accennando un applauso, ma ripeté:
“Anche questo non lo posso mangiare.”

Il cameriere, affranto e tutto rosso in viso, chiese:

“Perché?”
La risposta dell’intellettuale fu:
“Perché non mi avete portato il cucchiaio.”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il mendicante ed il prete

Il mendicante ed il prete

Un uomo mendicava da 25 anni davanti ad una chiesa.
Si era fatto amico anche del prete che celebrava lì.
Il sacerdote sapeva che cosa significa “sofferenza”:
era rimasto senza famiglia a 10 anni; i suoi genitori e familiari erano stati tutti trucidati durante la guerra.

Ma da qualche giorno il mendicante era sparito.

Il sacerdote lo andò a cercare; lo trovò morente in una catapecchia abbandonata.
Fu allora che il povero mendicante supplicò:
“Padre, ho un peso da confessare prima di morire:
tanti anni fa ero a servizio da un’ottima famiglia.
Marito, moglie, la figlia e, soprattutto il figlio ancor fanciullo, mi volevano molto bene.
Io ero povero; attratto dal desiderio di venire in possesso di tutti i beni di quella famiglia, dissi che erano partigiani:

furono uccisi.

Solo il figlio piccolo riuscì a fuggire.
Con l’ingiusta eredità divenni ricco, mi diedi a tutti i piaceri, sperperai tutto, ma non riuscii a dimenticare l’enorme delitto…
Ora sono pentito.
Ma è tardi per ricevere il perdono di Dio!”
Mentre il povero penitente si confessava, a poco a poco, ritornava alla mente del sacerdote confessore la storia della sua famiglia.

Alla fine fu colpito al cuore da una lucida conclusione:

quell’uomo era l’assassino dei suoi e il dilapidatore dei beni della sua famiglia!
Scoppiò allora una furiosa battaglia nel suo cuore tra il perdono e il desiderio di giustizia.
Dopo alcuni istanti d’una tremenda lotta, che gli rigò il viso di sudore e di lacrime, alzò la mano sacerdotale e disse:
“In nome di Dio e mio ti perdono tutto!”

Brano senza Autore.

I fagioli corona

I fagioli corona

Nei primi anni del 1900, un levadese andò a Venezia con tre precisi scopi:
vedere per la prima volta il mare, visitare la basilica di San Marco e mangiare ed essere servito finalmente da gran signore, non badando a spese.
Giunta l’ora del pranzo, chiese informazioni e gli venne consigliato il ristorante migliore nonché il più costoso.
Quando il cameriere andò per la comanda, il levadese, in livrea, esclamò:

“Portatemi il piatto della casa!”

“Le porterò senza dubbio i corona che vanno a ruba!” rispose il cameriere facendo un inchino.
Si immaginò una portata degna di un re per aver evocato il nome “corona” ma grande fu la delusione quando gli furono serviti dei grossi fagioli bianchi lessi con una salsa verde al prezzemolo.
Li mangiò, con grande delusione e per fame, trovandoli meno pregiati dei suoi quotidiani borlotti di Levada.
Grande fu l’invidia per un vicino di tavola che stavo gustando una grande bistecca mostrando segni evidenti di soddisfazione.

Questi rivolgendosi al cameriere disse “bis”,

e poco dopo gli venne servita un’altra bistecca.
Vedendo questa scena, il buon paesano disse anche lui la magica parola “bis” per avere la agognata bistecca ma gli furono riportati gli odiati fagioli.
La parte che meno gradiva del piatto che gli avevano appena servito era la salsa al prezzemolo, siccome questa salsa gli faceva tornare in mente quando lui stesso dava abbondante prezzemolo ai suoi conigli, soprattutto quando questi erano ammalati.

Iniziò a porsi alcune domande:

“Che sembrasse anche lui ammalato?
Cosa non andava in lui?
Cosa racconterò al mio ritorno?”
Ma il povero contadino non riuscì a rispondere a nessuna delle tre.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

L’uomo con la falce

L’uomo con la falce

Diversi anni fa, in una calda giornata di primavera, due comari stavano camminando lungo un alberato viottolo di campagna, raccontandosi, tra sonore risate, gli avventurosi tradimenti fatti ai rispettivi mariti, vantandosi a vicenda.
Arrivate vicino ad una radura, scorsero da lontano un uomo mai visto prima,

molto magro, tanto alto quanto pallido.

Portava un grande cappello di una foggia strana e falciava a grandi bracciate l’erba, nella zona in cui predominavano i papaveri.
La lama della falce, colpita dai raggi del sole, diventava sempre più luccicante.
Lo sconosciuto falciava con così tanta lena che la falce, quando sfiorava la terra, nel tagliare l’erba impregnata di rugiada emetteva un incerto sibilio, che sembrava dicesse:

“Duecento! Trecento!”

Vedendo questa scena ed udendo questo sibilio, le due signore scapparono via spaventate, tornando di corsa al villaggio.
Non appena ebbero ripreso fiato dissero ai propri compaesani:
“Abbiamo appena visto l’uomo della morte con la falce.

Ci ha avvisato che se non cambiamo vita farà duecento, trecento morti!”

Il villaggio, memore di una antica pestilenza che aveva decimato il borgo, credette alle due donne e tutti si misero in riga, dato che erano in tanti, ed in vario modo, a violare le leggi del Signore e della comunità.
Il falciatore altro non era che un povero bracciante venuto da fuori regione, testimone della vita che mai si arrende.
Il suo lavoro era un inno alla vita.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

I fiori della riconciliazione

I fiori della riconciliazione

Molto tempo fa c’era un paese conosciuto in tutto il mondo per le sue terre fertili ed i suoi raccolti incredibilmente abbondanti.
Un giorno vi arrivò da lontano un uomo assai povero con la sua famiglia.
Si stabilì in una casetta abbandonata, che cadeva a pezzi, con un piccolo orto; il comune pretese comunque un affitto mensile.
Lo straniero aveva portato dal suo paese semi di piante sconosciute e iniziò a coltivare il piccolo orto seminando proprio quelle piante.

La gente del posto fu presa subito da mille paure:

e se quei semi avessero appestato la loro bella terra?
E se quelle piante sconosciute avessero inaridito i loro fertili campi?
Fu così che un mattino la famigliola si svegliò e trovò la propria casa circondata dal filo spinato.
Qualcuno, quella stessa notte, si era dato da fare per evitare che i sospetti e le paure si tramutassero in realtà.
Successe poi qualcosa di molto strano:
la terra fertile di quel paese smise di dare i soliti abbondanti frutti, iniziò a produrre erbacce e piante infestanti.
La gente del paese viveva giorni terribili di disperazione, presto sarebbe caduta nella miseria.
Stranamente, l’unica terra che continuava a dare buoni frutti era quella del piccolo orto della famiglia straniera.

Un mattino accadde però qualcosa di strano:

appeso alla porta di ogni casa, vi era un sacchetto di semi, erano semi nuovi, particolari, sconosciuti.
Un contadino tra i più anziani, senza porsi troppe domande, li seminò nel suo campo, ormai non c’era più nulla da perdere, quindi per curiosità volle vedere di che cosa si trattava.
In poco tempo quei semi germogliarono e spuntarono meravigliosi fiori blu.
Tutti ridevano, certo erano belli ma il problema serio era la miseria che sopraggiungeva e quei fiori non davano certo da mangiare!
Ma la cosa straordinaria doveva ancora avvenire:
man mano che spuntavano i fiori, sparivano le erbe infestanti e la terra tornava fertile e ricominciava a produrre frutti abbondanti.
Soltanto allora la gente cominciò a domandarsi da dove provenissero quei semi.
A dare la risposta furono i bambini, perché soltanto loro si erano accorti che quei fiori da tempo abbellivano l’orto della nuova famiglia straniera.
Compresero tutti il gesto buono e generoso di quell’uomo che aveva trovato tanta inospitalità e si era visto separato dal resto del paese da un filo spinato,

eppure aveva teso la sua mano e cercato la pace donando l’unica cosa che possedeva:

semi di fiori blu.
Quella stessa notte il filo spinato scomparve, il giorno successivo la nuova famiglia ricevette molte visite e altrettanti doni da parte della gente del paese.
E furono i bambini a voler dare il nome a quei meravigliosi fiori blu, furono chiamati:
i fiori della riconciliazione!
I fiori in questione erano delle meravigliose ortensie blu.

Brano senza Autore.

I tre agnellini

I tre agnellini

Lassù sulle montagne del Tirolo, c’era un piccolo villaggio dove tutti sapevano scolpire santi e Madonne con grande abilità.
Ma giunse il tempo in cui non ci furono più ordinazioni per le loro belle statuine religiose.
Un pomeriggio Dritte, uno dei maestri intagliatori, entrando nella sua bottega trovò un fanciullo biondo, che giocava con le statuine del presepio.
Dritte gli disse con fare burbero che le statuine del presepio non erano giocattoli.

Il bambino rispose:

“A Gesù non importa, Lui sa che non ho giocattoli per giocare.”
Maestro Dritte commosso gli promise un agnellino di legno con la testa che si muoveva.
“Vienilo a prendere domani pomeriggio, però, strano che non ti abbia mai visto, dove abiti?”
“Là!” rispose il fanciullo indicando vagamente l’alto.
Il giorno dopo, prima di mezzogiorno, l’agnellino era pronto, bello da sembrare vivo.
Ad un tratto si affacciò alla porta della bottega di Dritte una giovane zingara con un bambino in braccio.
Il bambino appena vide l’agnellino protese le braccine e l’afferrò.
Quando glielo vollero togliere di mano si mise a piangere disperato.

Dritte che non aveva nulla da dare alla povera donna disse sospirando:

“Tienilo pure.
Intaglierò un altro agnellino.”
Nel pomeriggio tardi Dritte aveva appena terminato il secondo agnellino quando Pino, un povero orfanello, venne a salutarlo.
“Oh! Che meraviglioso agnellino!” disse, “Posso averlo per piacere?”
“Sì tienilo pure, Pino, io ne intaglierò un altro” rispose Dritte e ne realizzò un altro.
Ma il bambino dai capelli d’oro non ritornò, e l’agnellino rimase abbandonato sullo scaffale della bottega.
La situazione del villaggio continuava a peggiorare e Dritte cominciò ad intagliare giocattoli per i bambini del villaggio per far loro dimenticare la fame.
Prima di Pasqua, in un giorno uggioso, un mercante di passaggio si offrì di comperare tutti i giocattoli che Dritte riusciva ad intagliare.

Dritte rifiutò di intagliare giocattoli per denaro:

“Sono alla locanda,” disse il commerciante, “in caso cambiate idea.”
La piccola Marta era molto malata e Dritte, per farla sorridere, le regalò l’agnellino che aveva conservato sullo scaffale della sua bottega.
Mentre tornava dalla casa di Marta, incontrò il bambino dai capelli d’oro.
“Ho tenuto l’agnellino fino ad oggi, ma tu non sei venuto.
Ne farò subito un altro!”
“Non ho bisogno di un altro agnellino,” disse il fanciullo scuotendo il capo, “quelli che hai donato al piccolo zingaro, a Pino e a Marta li hai donati anche a me.
Fare un giocattolo può servire alla gloria di Dio quanto intagliare un santo.”
Un attimo dopo il fanciullo era scomparso.
Quella notte Dritte si recò alla locanda.
“Costruirò giocattoli per voi!” disse.
“Allora avete cambiato idea.” sussurrò il mercante.
“No!” rispose Dritte con gli occhi scintillanti, “Ma ho ricevuto un segno da Dio!”

Brano tratto dal libro “Tutte storie. Per la catechesi, le omelie e la scuola di religione.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Amare Dio ed amare gli altri

Amare Dio ed amare gli altri
(Una leggenda irlandese)

Ci fu un tempo, dice una leggenda, in cui l’Irlanda era governata da un re che non aveva figli maschi.
Così, il sovrano inviò i suoi messi ad affiggere dei bandi sugli alberi di tutte le città del regno, per invitare ogni giovanotto che ne avesse i requisiti a presentarsi a palazzo e avere un colloquio con il re come possibile successore al trono.
Le caratteristiche richieste erano le seguenti:

“Amare Dio ed amare gli altri esseri umani.”

Il giovanotto di cui parla la leggenda vide i bandi e riflette fra sé e sé che amava Dio e gli altri esseri umani.
Tuttavia, data la sua estrema indigenza, non possedeva degli abiti che lo rendessero presentabile alla vista del re; ne disponeva dei mezzi per acquistare le vettovaglie necessario per il viaggio sino al castello.
Perciò mendicò ed ottenne dei prestiti finché non ebbe denaro a sufficienza per dei vestiti adeguati e per le provviste necessarie, e finalmente poté mettersi in viaggio alla volta del castello.
Lungo la strada, giunto quasi nei pressi della meta, incontrò un mendicante, il quale stava seduto tutto tremante, e non indossava altro che stracci; il poveretto allungò le braccia per implorare aiuto e con voce debole disse piano:

“Ho fame e ho freddo.
Mi aiuti?”

Il giovane fu così commosso dallo stato di bisogno del povero mendicante che si privò immediatamente degli abiti, facendo il cambio con gli stracci del mendicante.
Senza pensarci un attimo, inoltre, gli diede tutte le sue provviste.
Poi, benché titubante, riprese il cammino verso il castello, con indosso gli stracci e senza provviste per il viaggio di ritorno.
All’arrivo al castello, una persona al seguito del sovrano lo fece entrare e, dopo una lunga attesa, finalmente poté accedere nella sala del trono.
Quando il giovane, chinatesi profondamente davanti al sovrano, sollevò gli occhi, fu colmo di stupore:
“Voi… voi siete il mendicante che ho incontrato lungo la strada!”
“Sì!” rispose il re, “Quel mendicante ero proprio io.”
“Ma non siete un vero mendicante.
Siete il re.” esclamò il giovane.

“Sì, sono il re!” spiegò.

“Perché avete fatto questo?” chiese, allora, il giovane.
“Perché volevo scoprire se tu ami veramente, se ami Dio e gli altri esseri umani.
Sapevo che se mi fossi presentato a te come il re, saresti stato molto colpito dalla mia corona d’oro e dai miei abiti regali.
Avresti fatto qualunque cosa io chiedessi per via del mio aspetto regale; ma in questo modo non avrei mai saputo com’è realmente il tuo cuore.
Perciò mi sono presentato a te come un mendicante, senza pretese nei tuoi confronti se non quella dell’amore del tuo cuore.
Ed ho scoperto che tu ami realmente Dio e gli altri esseri umani.
Tu sarai il mio successore.
Tu avrai il mio regno!”

Brano tratto dal libro “Perché ho paura di essere pienamente me stesso. Alla scoperta della propria autoaffermazione.” di John Powell