La grotta azzurra

La grotta azzurra

Era un uomo povero e semplice.
La sera, dopo una giornata di duro lavoro, rientrava a casa spossato e pieno di malumore.
Guardava con astio la gente che passava in automobile o quelli seduti ai tavolini del bar.
“Quelli sì che stanno bene!” brontolava l’uomo, pigiato nel tram, come un grappolo d’uva nel torchio.
“Non sanno cosa vuol dire tribolare…
Tutte rose e fiori, per loro.
Avessero la mia croce da portare!”
Il Signore aveva sempre ascoltato con molta pazienza i lamenti dell’uomo.

E, una sera, lo aspettò sulla porta di casa.

“Ah, sei tu, Signore?” disse l’uomo, quando lo vide. “Non provare a rabbonirmi.
Lo sai bene quant’è pesante la croce che mi hai imposto.”
L’uomo era più imbronciato che mai.
Il Signore gli sorrise bonariamente:
“Vieni con me.
Ti darò la possibilità di fare un’altra scelta.” disse.
L’uomo si trovò all’improvviso dentro una enorme grotta azzurra.
L’architettura era divina.

Ed era tempestata di croci:

piccole, grandi, tempestate di gemme, lisce, contorte.
“Sono le croci degli uomini,” disse il Signore, “scegline una!”
L’uomo buttò con malagrazia la sua croce in un angolo e, fregandosi le mani, cominciò la cernita.
Provò una croce leggerina ma era lunga e ingombrante.
Si mise al collo una croce da vescovo, ma era incredibilmente pesante di responsabilità e sacrificio.
Un’altra, liscia e graziosa in apparenza, appena fu sulle spalle dell’uomo cominciò a pungere come se fosse piena di chiodi.
Afferrò una croce d’argento, che mandava bagliori, ma si sentì invadere da una straziante sensazione di solitudine e abbandono.
La posò subito.
Provò e riprovò, ma ogni croce aveva qualche difetto.
Finalmente, in un angolo semibuio, scovò una piccola croce, un po’ logorata dall’uso.

Non era troppo pesante, né troppo ingombrante.

Sembrava fatta apposta per lui.
L’uomo se la mise sulle spalle con aria trionfante.
“Prendo questa!” esclamò.
Ed uscì dalla grotta.
Il Signore gli rivolse il suo sguardo dolce dolce.
E in quell’istante l’uomo si accorse che aveva ripreso proprio la sua vecchia croce:
quella che aveva buttato via entrando nella grotta.
E che portava da tutta la vita.

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero

La vecchietta che aspettava Dio

La vecchietta che aspettava Dio

La vita di ognuno di noi è intessuta di attese.
Si tratta di una esperienza importante e di grande valore educativo.
Consapevole di ciò, la Chiesa ha fissato un tempo per ravvivare questo ‘stato’ fondamentale nella vita del cristiano:
il tempo dell’Avvento.
La storia sottolinea che Dio è sempre sorprendente… è possibile incontrarlo in tanti modi, ma in modo particolare nelle persone che ci avvicinano tutti i giorni.
C’era una volta un’anziana signora che passava in pia preghiera molte ore della giornata.
Un giorno sentì la voce di Dio che le diceva:
“Oggi verrò a farti visita!”
Figuratevi la gioia e l’orgoglio della vecchietta.

Cominciò a pulire e lucidare, impastare e infornare dolci.

Poi indossò il vestito più bello e si mise ad aspettare l’arrivo di Dio.
Dopo un po’, qualcuno bussò alla porta.
La vecchietta corse ad aprire.
Ma era solo la sua vicina di casa che le chiedeva in prestito un pizzico di sale.
La vecchietta la spinse via:
“Per amore di Dio, vattene subito, non ho proprio tempo per queste stupidaggini!
Sto aspettando Dio, nella mia casa!
Vai via!” e sbatté la porta in faccia alla mortificata vicina.
Qualche tempo dopo, bussarono di nuovo.

La vecchietta si guardò allo specchio, si rassettò e corse ad aprire.

Ma chi c’era?
Un ragazzo infagottato in una giacca troppo larga che vendeva bottoni e saponette da quattro soldi.
La vecchietta sbottò:
“Io sto aspettando il buon Dio.
Non ho proprio tempo.
Torna un’altra volta!”
E chiuse la porta sul naso del povero ragazzo.
Poco dopo bussarono nuovamente alla porta.
La vecchietta aprì e si trovò davanti un vecchio cencioso e male in arnese.
“Un pezzo di pane, gentile signora, anche raffermo…
E se potesse lasciarmi riposare un momento qui sugli scalini della sua casa…” implorò il povero.

“Ah, no!

Lasciatemi in pace!
Io sto aspettando Dio!
E stia lontano dai miei scalini!” disse la vecchietta stizzita.
Il povero se ne partì zoppicando e la vecchietta si dispose di nuovo ad aspettare Dio.
La giornata passò, ora dopo ora.
Venne la sera e Dio non si era fatto vedere.
La vecchietta era profondamente delusa.
Alla fine si decise ad andare a letto.
Stranamente si addormentò subito e cominciò a sognare.
Le apparve in sogno il buon Dio che le disse:
“Oggi, per tre volte sono venuto a visitarti, e per tre volte non mi hai ricevuto!”

Brano di Bruno Ferrero

Il fratello ricco e il fratello povero

Il fratello ricco e il fratello povero

C’era una volta due fratelli; uno molto ricco, l’altro molto povero.
Un giorno il povero faceva la guardia ai covoni di grano ammucchiati nel campo del fratello ricco e mentre se ne stava lì seduto sul covone scorse una donna in bianco che raccoglieva le spighe rimaste nei campi mietuti e le aggiungeva ai covoni.
Quando la donna giunse fino a lui, la prese per mano, se la tirò vicino e le chiese che cosa facesse lì. “Sono la Felicità di tuo fratello e raccolgo le spighe rimaste, perché il suo grano sia ancora più abbondante.”
“Dimmi, allora, e la mia felicità, dov’è?” replicò il poveretto, “Verso Oriente!” rispose la donna, e scomparve.

Fu così che il povero si mise in testa di andare per il mondo in cerca della propria Felicità.

E quando un giorno di buonora stava per mettersi in viaggio, dal suo camino saltò fuori la Miseria e piangeva e pregava che la prendesse con sé.
“Mia cara,” disse il povero, “sei troppo debole per affrontare un viaggio così lungo, non ce la faresti mai; ma qui c’è una boccetta vuota, fatti piccina, infilatici dentro e ti porterò con me.”
La Miseria s’infilò nella boccetta e lui senza perdere tempo la tappò con un turacciolo e l’avvolse bene in modo che non si rompesse.
Quando si trovò per via, appena arrivò a un pantano tirò fuori la boccetta e la gettò via, liberandosi così dalla Miseria.
Dopo qualche tempo giunse a una grande città e un certo signore lo prese al suo servizio con l’incarico di scavargli uno scantinato.

“Non riceverai del denaro,” gli disse, “ma tutto ciò che trovi scavando è tuo!”

Dopo un po’ che scavava trovò un lingotto d’oro, secondo gli accordi gli sarebbe spettato, ma lui ne diede una metà al signore e riprese il lavoro.
Arrivò finalmente a una porta di ferro, l’aperse e vi trovò un sotterraneo pieno di ogni ricchezza.
Ed ecco che da una cassa lì sotto s’udì una voce:
“Mio signore, aprimi! Aprimi!”
Egli spostò il coperchio e da dentro saltò fuori una bella fanciulla tutta in bianco che s’inchinò davanti a lui e gli disse:
“Sono la tua Felicità, quella che hai cercato così a lungo; d’ora innanzi sarò vicina a te e alla tua famiglia!”
Dopo di che scomparve.
Egli rimase poi a guardarsi intorno e a rimirare quella ricchezza con il suo signore di una volta e da quel momento fu immensamente ricco e la sua fama cresceva di giorno in giorno.
Eppure non dimenticò mai l’indigenza di un tempo e si prodigò in tutti i modi per aiutare i poveri del luogo.
Dopo aver incontrato una bellissima fanciulla, la conobbe e la sposò.
Poco tempo dopo ebbero un figlio.

Un giorno, mentre passeggiava per la città, incontrò il fratello che si trovava da quelle parti per affari.

L’invitò a casa e gli raccontò con tutti i particolari le sue avventure e che aveva visto la Felicità spigolare nel campo di grano e come s’era liberato della propria Miseria e altro ancora.
L’ospitò per qualche giorno e quando il fratello stava per partire gli diede molto denaro per il viaggio, fece molti doni alla moglie e ai figli e si separò da lui fraternamente.
Ma suo fratello era un uomo sleale e invidiava la Felicità dell’altro.
Da quando aveva lasciato la sua casa non faceva che pensare come far tornare il fratello nella Miseria.
Non appena giunse alla palude dove il fratello aveva ficcato la boccetta, si mise a cercarla e non si dette pace finché non la trovò.
L’aperse subito.
La Miseria saltò fuori immediatamente, cominciò a crescere davanti ai suoi occhi, saltargli intorno, l’abbracciò, lo baciò e lo ringraziò di averla liberata da quella prigionia:

“Sarò sempre grata a te e alla tua famiglia e non vi abbandonerò fino alla morte.”

Inutilmente il fratello invidioso cercò di dissuaderla, invano la mandava dal suo padrone di una volta; non riuscì in nessun modo a togliersi la Miseria di dosso, né a venderla né a regalarla né a sotterrarla né ad annegarla, gli stette sempre alle calcagna.
I briganti lo derubarono della merce che stava portando a casa; riuscì a ritornare chiedendo l’elemosina; al posto del suo palazzo trovò un mucchio di cenere e tutto il suo raccolto era stato portato via da una inondazione.
Fu così che al fratello invidioso non rimase null’altro che… la Miseria.

Brano tratto dal libro “Fiabe di Praga magica.” di Scilla Abbiati. Edizioni Arcana.

Il contadino ed il diavolo sciocco

Il contadino ed il diavolo sciocco

C’era una volta un contadino così povero che non aveva neanche un pezzo di terra tutto suo.
Un bel giorno trovò un campo abbandonato, lo arò ben bene e cominciò a seminare il grano.
Quel campo apparteneva al diavolo, che era uno sciocco ma si credeva furbo.
Il diavolo andò dal contadino e gli disse:
“Semina pure il campo, ma a una condizione:
faremo due parti con il raccolto.
Tu prenderai quello che esce fuori dalla terra e io prenderò ciò che rimane sottoterra.”

“Non ho nulla in contrario!” rispose il contadino.

Passò del tempo e il diavolo vedendo che il contadino sudava e lavorava la terra, lo prendeva in giro.
“Lavora sciocco, che io raccoglierò il frutto delle tue fatiche!” gli diceva.
Giunse il tempo della mietitura.
Il contadino tagliò il grano, raccolse le spighe in fasci e da esse ottenne cento sacchi di grano colmi colmi.
Il diavolo invece raccoglieva quello che era rimasto interrato: solo radici!
Al mercato il grano del contadino fu pagato molto bene, mentre il diavolo fu preso a calci:
quando mai si erano vendute quelle radici?

“Mi hai imbrogliato!” urlò il diavolo infuriato.

“Io ti ho imbrogliato?” ribatté il contadino “Io ho rispettato il contratto che mi hai imposto:
io il sopra e tu il sotto!”
“Bene bene,” disse il diavolo “non ne parliamo più.
Però dal prossimo raccolto io prenderò ciò che sbuca fuori e tu ti terrai quello che c’è sotto!” anche questa volta il contadino arò e lavorò ben bene la terra, ma invece di grano piantò patate.
Il diavolo lo guardava faticare e, come la prima volta rideva di lui.
Quando le patate furono cresciute e pronte per la raccolta, il diavolo prese le pianticelle che sbucavano fuori dalla terra, mentre il contadino gli andava dietro estraendo dalla terra tante patate grosse grosse.

Tutti e due poi andarono al mercato a vendere i loro prodotti.

“Patate! Patate! Belle patate!” gridava il contadino al mercato e la gente si affollava intorno a lui perché tutti volevano comprarne.
“Foglie! Foglie! Belle foglie verdi!” gridava il diavolo, ma la gente, invece di avvicinarsi, si faceva beffe di lui.
Il diavolo si arrabbiò tanto che finì per essere preso a bastonate dalla gente e dovette fuggire per sempre.
Il contadino rimase padrone del campo e visse allora felice e contento.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Pagato interamente con un bicchiere di latte!

Pagato interamente con un bicchiere di latte!

Un giorno un ragazzo povero, che per pagare i suoi studi vendeva beni di porta in porta, si accorse che gli era rimasta solamente una monetina da dieci centesimi, e aveva fame.
Così decise di chiedere da mangiare alla prossima casa.
Ma si smontò subito quando vide che ad aprire la porta era una giovane donna.
Invece di un pasto, gli riuscì solo di chiedere un bicchier d’acqua.
Lei però lo vide così affamato che pensò di portargli un bicchierone di latte.
Lo bevve lentamente e poi chiese:

“Quanto le devo?”

“Non mi deve niente!” rispose lei, “Mamma ci ha insegnato a non accettare mai compensi per una gentilezza!”
Lui disse:
“Allora la ringrazio di cuore.”
Quando Howard Kelly lasciò quella casa, non si sentiva più forte solo fisicamente, ma anche la sua fede in Dio e nell’uomo si erano rafforzate.
Poco prima era stato quasi sul punto di lasciarsi andare…
Anni dopo, quella giovane donna si ammalò gravemente.
I dottori locali non sapevano come cavarsela e alla fine la mandarono nella grande città, perché degli specialisti studiassero la sua malattia rara.

Anche il Dottor Howard Kelly fu chiamato per un consulto,

e quando sentì il nome della città da cui proveniva, una luce strana riempì i suoi occhi.
Immediatamente si levò e corse giù verso la sua camera d’ospedale.
Avvolto nel suo camice da dottore andò a visitarla e subito la riconobbe.
Uscì da quella stanza determinato a fare tutto il possibile per salvarle la vita.
Da quel giorno riservò grandi attenzioni al caso e, solo dopo una lunga lotta, la battaglia fu vinta.

Il Dottor Kelly chiese all’amministrazione di comunicargli il conto, per la sua approvazione.

Dopo averlo visionato, scrisse qualcosa in un angolo e lo fece recapitare nella stanza della donna.
Lei temeva di aprirlo, perché sapeva che ci avrebbe messo una vita per pagarlo tutto.
Alla fine lo lesse, e alcune parole attirarono la sua attenzione a lato del conto:
“Pagato interamente con un bicchiere di latte!
Dottor Howard Kelly.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’importanza del Tenore di Vita


L’importanza del Tenore di Vita

Un ragazzo di umili origini era follemente innamorato della figlia di un uomo molto ricco e altolocato.
Un giorno il ragazzo fece una proposta di matrimonio alla ragazza che seccamente rispose: “Stai scherzando?
Il tuo stipendio mensile equivale a quello che spendo in un giorno!
Come posso minimamente pensare di essere tua moglie?
Non potrò mai innamorarmi di una persona come te.

Dimenticami e trova una persona del tuo stesso livello.”

Per il povero ragazzo fu un colpo tremendo.
Passarono gli anni, ma quella ferita rimase sempre aperta e lui non dimenticò mai quelle parole.
Circa dieci anni dopo i due si rincontrano casualmente in un centro commerciale.
Quando lei lo vide, subito disse:
“Hey, quanto tempo!
Come stai?
Ora sono felicemente sposata.
Mio marito è un uomo molto intelligente e un esperto uomo d’affari.
Sai quanto prende?

15.000 euro al mese.”

Nel sentire quelle parole, gli occhi dell’uomo diventarono lucidi e qualche lacrima scese sul suo viso.
Nonostante i dieci anni, ancora non aveva del tutto superato quel rifiuto.
Pochi secondi dopo il marito di lei fece ritorno dalla toilette e, prima che la moglie potesse dire una parola, nel vedere l’uomo esclamò:
“Capo, anche tu qui!
Che piacere incontrarti!
Vedo che hai conosciuto mia moglie.”
Poi si girò verso la moglie e disse:

“Lui è il mio capo.

Il progetto da 100 milioni di euro al quale sto lavorando da tanto è suo.
Nonostante le sue doti e il suo talento ha deciso di rimanere single.
Lui tempo fa ha amato follemente una ragazza, ma non è mai riuscito a conquistare il suo cuore perché non rientrava nei suoi “standard economici!”
Pensa che beffa!
Ora lui è uno degli uomini più ricchi della città!”
La donna, in totale stato di shock, non pronunciò neanche una parola.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il pappagallo riconoscente


Il pappagallo riconoscente

Il povero pappagallo non ne poteva proprio più.
Era nato per la quiete: e intorno a lui, dalla mattina alla sera, venti, cinquanta, cento pappagalline irrequiete, sventate, pettegole, andavano, venivano, svolazzavano, cicalavano, strillavano senza concedere un istante di pace.
Il pappagallo dovette finalmente risolversi e prese il volo per andar a cercare un cantuccio tranquillo in terra straniera.
Fu proprio fortunato.
Dove capitò, tutti gli animali erano pacifici e tutti gli fecero grande accoglienza, specialmente gli uccelli.
Il pappagallo era beato: quanta quiete!

Quanto silenzio!

Ci si sarebbe fermato tutta la vita; ma non voleva abusare dell’ospitalità, e un giorno a malincuore si congedò:
“Devo ritornare tra i miei.”
Fece i suoi addii e se ne partì.
Era già abbastanza alto e lontano, quando scorse levarsi un denso fumo proprio sui cari luoghi che aveva da poco lasciato.
Tornò subito indietro.

Un grande incendio era scoppiato.

Le fiamme correvano la pianura, risalivano i fianchi dei monti, divoravano foreste, villaggi, campagne.
Il pappagallo, angosciato, vide un laghetto non lontano.
Vi si tuffò, si inzuppò più che poté di acqua, poi volò sul luogo dell’incendio e, scuotendo ali e piume, fece piovere sulle fiamme le gocce d’acqua che lo imperlavano; quindi volò via ancora al laghetto, tornò a tuffarsi, rivolò sulle fiamme e lasciò ricadere le sue scarse gocciole.
E cosi fece non so quante volte.

Lo scorse una scimmia e lo ammonì:

“O pappagallo, come sei sciocco!
Pensi forse di spegnere un incendio che si stende mille miglia, solo con le goccioline d’acqua che puoi raccogliere nel cavo delle tue alucce?”
“Oh,” rispose il pappagallo, “so benissimo che non spegnerò l’immenso incendio!
Ma il buon popolo di questi luoghi mi ha accolto e trattato come un fratello e cerco di dimostrargli per quanto posso tutta la mia gratitudine e la mia pietà.
Non saprei vederlo soffrire tanto, senza portargli il mio soccorso, anche sapendolo inutile.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il valore del figlio


Il valore del figlio

Un uomo benestante americano e suo figlio, amavano collezionare rare opere d’arte, possedevano di tutto nella loro collezione, da Picasso a Raffaello.
Spesso si sedevano insieme ad ammirare le grandi opere che possedevano, finché arrivò la guerra del Vietnam ed il figlio dovette partire.
Fu un soldato molto coraggioso e morì in battaglia mentre salvava uno dei suoi compagni.
Il padre fu informato della sua morte e una profonda tristezza lo colse, poiché era l’unico figlio che aveva.
Circa un mese più tardi, qualcuno bussò alla porta….
Un giovane, in piedi all’entrata con un gran pacco tra le mani, disse:
“Signore, voi non mi conosce ma io son il soldato per cui vostro figlio ha dato la vita.
Spesso mi parlava di voi e del vostro comune amore per l’arte.”
Il giovane uomo mostrò il pacco:
“So che non è molto, non sono un grande artista, ma penso che vostro figlio avrebbe voluto averlo.”
Il padre aprì il pacco, era un ritratto di suo figlio, che il ragazzo aveva fatto.
Il padre ringraziò il giovane e si offrì di pagare il quadro.

“Oh no, Signore!

Non potrò mai ripagare quello che vostro figlio ha fatto per me.
Questo è un dono.”
L’anziano signore abbracciò il ritratto.
Ogni volta che i visitatori venivano a casa sua, prima di mostrare loro qualsiasi altra opera d’arte della sua collezione, li portava a vedere il ritratto di suo figlio.
L’uomo morì pochi mesi dopo.
Ci fu una grande asta per i suoi dipinti.
Vennero molte persone influenti, entusiaste di vedere i grandi quadri ed avere l’opportunità di possederne qualcuno per le loro collezioni.
Sulla piattaforma fu messo il ritratto del figlio.
Il banditore batté il martelletto:
“Cominceremo le offerte con questo dipinto del figlio.
Qualcuno offre per questo quadro?”

Ci fu silenzio.

Poi una voce dal fondo della sala gridò:
“Vogliamo vedere i famosi dipinti… quello saltalo!”
Ma il banditore insistette:
“Qualcuno vorrebbe offrire per questo dipinto?”
Chi comincerà le offerte?
Cento dollari?
Duecento dollari”
Il banditore continuò:
“Il figlio! Il figlio!

Chi prende il figlio?”

Finalmente, giunse una voce dalla parte più lontana della sala; era il vecchio giardiniere che da sempre aveva lavorato per l’uomo e per il figlio.
“Io offro dieci dollari per il quadro!”
Essendo povero, era tutto ciò che poteva offrire.
“Abbiamo dieci dollari, chi offre di più?”
La folla si arrabbiò veramente, non voleva il dipinto del figlio.
Il banditore batté il suo martelletto:
“Dieci dollari e uno, dieci dollari e due, dieci dollari e tre…

Aggiudicato per dieci dollari!”

Un uomo seduto nella seconda fila gridò:
“Ah, adesso proseguiamo con la collezione!”
Il banditore poggiò il martelletto:
“Mi dispiace, l’asta è conclusa!”
“Cosa ne è del resto dei quadri?” chiese un altro.
“Mi dispiace, ma quando fui chiamato per condurre l’asta, mi fu parlato di una stipulazione segreta riguardante il testamento e non mi è stato permesso di rivelarla fino a questo momento.
Solo il dipinto del figlio sarebbe stato messo all’asta; chiunque l’avesse comprato, avrebbe ereditato l’intero patrimonio, incluso i dipinti.
L’uomo che ha preso il figlio, ha preso tutto!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

È importane osservare la natura


È importane osservare la natura

Un padre ricco, volendo che suo figlio sapesse quale fosse il significato di essere povero, gli fece passare alcune giornate con una famiglia di contadini.
Il bambino trascorse tre giorni e tre notti nei campi.
Di ritorno in città, ancora in macchina, il padre gli chiese:
“Cosa mi dici della tua esperienza?”

“Bella!” rispose il bambino.

“Hai appreso qualcosa?” insistette il padre.
Il bimbo in quel momento iniziò a parlare:
Noi abbiamo un cane, loro ne hanno quattro.
Noi abbiamo una piscina con acqua trattata, che arriva in fondo al giardino. Loro hanno un fiume, con acqua cristallina, pesci e altre belle cose.
Noi abbiamo la luce elettrica nel nostro giardino ma loro hanno le stelle e la luna per illuminarli.

Il nostro giardino arriva fino al muro. Il loro, fino all’orizzonte.

Noi compriamo il nostro cibo; loro lo coltivano, lo raccolgono e lo cucinano.
Noi ascoltiamo CD… Loro ascoltano una sinfonia continua di pappagalli, grilli e altri animali… tutto ciò, qualche volta accompagnato dal canto di un vicino che lavora la terra.
Noi utilizziamo il microonde. Ciò che cucinano loro, ha il sapore del fuoco lento
Noi per proteggerci viviamo circondati da recinti con allarme… Loro vivono con le porte aperte, protetti dall’amicizia dei loro vicini.
Noi viviamo collegati al cellulare, al computer, alla televisione. Loro sono collegati alla vita, al cielo, al sole, all’acqua, ai campi, agli animali, alle loro ombre e alle loro famiglie.
Il padre rimase molto impressionato dai sentimenti del figlio.

Alla fine il figlio concluse:

“Grazie per avermi insegnato quanto siamo poveri!”

Ogni giorno, diventiamo sempre più poveri perché non osserviamo più la natura!

Brano senza Autore

Lo spaccapietre


Lo spaccapietre

C’era una volta un povero spaccapietre che col sole o con la pioggia passava la giornata a spezzare sassi sul ciglio della strada.
“Ah, se potessi essere un gran signore,” pensò un giorno, “mi riposerei finalmente!”
C’era per aria un genio, che lo udì:
“Sia esaudito il tuo desiderio!” gli disse.
Detto fatto.
Il povero spaccapietre si trovò di colpo in un bel palazzo, servito da uno stuolo di domestici.

Poteva riposare a suo agio.

Ma un giorno lo spaccapietre ebbe l’idea di levar gli occhi al cielo, e vide ciò che forse non aveva guardato mai; il sole!
“Ah, se potessi diventare il sole!” sospirò.
“Non avrei neppure il fastidio di vedermi intorno tutti quei domestici!”
Anche questa volta il genio buono lo volle far contento.
“Sia come vuoi!” gli disse.
Ma quando l’uomo fu diventato il sole, ecco che una nube venne a passargli innanzi, offuscando il suo splendore.

“Potessi essere una nuvola!” pensò.

“Una nuvola è persino più potente del sole!”
Ma esaudito che fu, soffiò il vento, che ridusse a brandelli le nuvole nel cielo.
“Vorrei essere il vento che travolge ogni cosa!”
E il genio compiacente, di nuovo lo esaudì.
Ma, divenuto vento impetuoso e violento, incontrò la montagna che resiste anche al vento.
Trasformato in montagna, si accorse che qualcuno gli spezzava la base a colpi di piccone.

“Ah, poter esser quello che spezza le montagne!”

E per l’ultima volta, il genio lo esaudì.
Così lo spaccapietre si ritrovò di nuovo sul ciglio della strada nella sua prima forma di umile operaio.
Ne mai d’allora in poi si lagnò più.

Brano senza Autore, tratto dal Web