L’importante è volersi bene e… dirselo
“Stai dritto con la schiena.
Quante volte te lo devo dire?” disse il papà.
“Muoviti o facciamo notte!” gli disse la mamma.
“E piantala di far domande su tutto: sei stressante!” gli disse la sorella.
“Guarda come hai ridotto lo zainetto!
Se lo dovessi pagare tu…” continuò la mamma.
“Sei un mentecatto!” continuò la sorella.
Matteo credeva di essersi abituato alle parole che scandivano le sue giornate.
Si svegliava di solito al suono di:
“Sbrigati, sei in ritardo, lavati bene, hai messo tutto nello zaino?
Ma quanto sei imbranato!”
Finiva le giornate al suono di:
“Hai gli occhi che ti cadono nel piatto: ora te ne vai a dormire e non far storie come tutte le sere!
Quanto hai preso in italiano?
E spegni subito la luce!”
Ma quel giorno tutto prese una cattiva piega.
Alessandro, il suo migliore amico, gli aveva buttato in faccia:
“Ma sei diventato scemo?”
Che poi significa:
“Ti stai comportando come uno scemo!”
Titti, la maestra, l’aveva definito un “poltronaccio” e, durante la partita, Walter l’aveva chiamato “schiappa”.
Così quella sera due grossi lacrimoni gli scesero lungo le guance e finirono nel purè.
“Uh, ué, la lagna…” fece la sorella.
Matteo corse nella sua cameretta e si buttò sul letto.
Almeno lì poteva singhiozzare in pace.
Un discreto picchiettare alla finestra attirò la sua attenzione.
Corse a vedere e si trovò di fronte una creatura stranissima, ma piacevolissima.
Non si capiva bene come era fatta, ma tutto in lei era soffice, morbido, luminoso, sorridente e carezzevole.
“Chi sei?” domandò Matteo.
La risposta sbocciò come un trillo di campanelli, dolce come biscotti e Nutella:
“Sono un coccolone…
E ho visto che hai bisogno di noi.
Dammi la mano e vieni con me.”
Matteo si mosse come in un sogno.
La morbida creatura lo prese per mano e lo fece volare oltre la finestra nel cielo.
“Dove mi porti?” chiese Matteo.
“Nel paese dei coccoloni!” rispose la strana creatura.
“Dov’è?” ribadì il piccolo.
Dopo un volo leggero attraversarono tutti i colori dell’arcobaleno, che hanno un gusto squisito (il verde è alla menta, l’arancione sa di aranciata, l’indaco è tamarindo e così via), atterrarono in un paese fiorito e pieno di allegria.
Matteo vide che c’erano i bambini coccoloni, i nonni coccoloni e perfino i maestri coccoloni, naturalmente nelle scuole coccolone.
I bambini coccoloni furono i primi ad invitarlo a giocare.
Matteo ci si mise d’impegno, anche perché l’atmosfera era piacevole e amichevole.
E decisamente diversa da quella a cui era abituato.
Quando qualcuno sbagliava, c’era sempre qualcun altro che diceva:
“Coraggio. La prossima volta andrà meglio.”
E quando Matteo riuscì a fare gol, perfino il portiere avversario gli disse:
“Bravo!”
Matteo, invece di esultare, constatò amaramente che probabilmente quello era il primo “bravo” della sua vita.
Dopo la partita, i suoi nuovi amici coccoloni fecero a gara per invitarlo nelle loro case.
Matteo accettò l’invito del portiere avversario, quello che gli aveva detto “bravo”.
Era una famiglia come la sua:
mamma, papà, sorella e fratellino.
Solo che questi erano tutti coccoloni.
A tavola, Matteo ebbe il posto d’onore.
La mamma coccolona lo baciò e Matteo si sentì venire le lacrime agli occhi, perché era tanto tempo che la sua mamma non lo baciava più e lui non sapeva come fare a dirglielo.
“Ho anch’io una sorella più grande.” disse Matteo.
“Allora sai anche tu che cos’è una rottura,” disse il piccolo coccolone, “ma è così comoda per i compiti e per giocare-”
Tutti risero.
Poi tutti fecero il gioco “Racconta la tua giornata”.
Il papà, la mamma, la sorella e il fratellino raccontarono quello che avevano fatto, gli avvenimenti belli della loro giornata.
Matteo fu colpito soprattutto da una cosa: nella famiglia coccolona tutti si ascoltavano.
Si ascoltavano davvero, non si interrompevano a vicenda, non dicevano:
“Smettila un po’, mi fai venire il mal di testa!”
Si ascoltavano semplicemente.
Poi tutti gli occhi si puntarono su Matteo.
“E la tua giornata com’è stata?” chiese il papà coccolone.
Matteo raccontò tutto quello che aveva dentro e che fino a quel momento aveva confidato solo al cuscino.
Lo ascoltarono comprensivi.
Alla fine il papà coccolone gli disse:
“Vedi, l’importante è volersi bene e… dirselo”.
Gli diede un sacchetto di polvere rosa.
“Quando sarai a casa prova questa polverina.
Soffiane un po’ qua e là.
È la polvere coccolona!” gli spiegò.
In quel momento Matteo si svegliò.
“Che razza di sogno ho fatto!” pensò.
Ma…
Spalancò gli occhi e si rizzò a sedere sul letto.
Perché il suo pugno stringeva una manciata di polvere rosa.
“Ma allora è vero!” esclamò.
Mise la polverina dentro una scatoletta e poi si alzò:
“Voglio provare se funziona.”
Vide sul tavolo di cucina il caffè del papà.
Furtivamente fece cadere nella tazzina un pizzico di polverina.
Il papà, come al solito, era di corsa.
Bevve il caffè e poi disse soddisfatto:
“Buono!”
Questo non l’aveva mai fatto.
Anche la mamma se ne accorse.
Poi, incredibilmente, prima di uscire il papà fece una carezza affettuosa sulla testa di Matteo:
“Passa una bella giornata, ometto!
E dacci dentro a scuola perché stasera ti sfido a Scarabeo.”
“Urrà, funziona!” pensò Matteo, felice.
“Ne metterò una razione nel caffè della maestra”.
Di quanta polvere coccolona avremmo bisogno anche noi?