Il tempo e le circostanze possono cambiare in qualsiasi momento.

Da un albero si possono produrre un milione di fiammiferi, ma basta un solo fiammifero per bruciare milioni di alberi.
Quando un uccello è vivo, mangia le formiche ma, quando l’uccello è morto, sono le formiche a mangiare l’uccello.
Non sottovalutare e non fare del male a nessuno nella tua vita.

Potresti essere potente oggi, ma ricordati:

il tempo è più potente di te!
Quindi sii buono.
Fai del bene.

Citazione Anonima.

Ogni volta che decidi di non decidere,

Ogni volta che decidi di non decidere, di non prendere posizione,
ogni volta che smetti di andar incontro ai tuoi sogni ed ai tuoi progetti,
ecco, un po’ di quella bellezza,
un po’ di quella bellezza che ti ha sempre fatto spiccare tra tutti,
un po’ la perdi.

Io personalmente ti preferisco quando scegli,

quando tiri fuori i denti e quando,
nonostante tutto giri nel verso sbagliato,
tu trovi il coraggio di cambiare verso.

Citazione tratta dalla canzone “Rinunci.” di Gio Evan.

Non aver fretta e non aver paura.

Scegli quello che ti sembra giusto ma, ogni tanto, quando puoi, anche quello che ti fa felice.
Se non ti vengono le parole, lascia che siano i tuoi occhi a parlare.
E impara a leggere gli occhi degli altri, impara a capire quel che non ti dicono.
Non lasciarti fermare dalla paura per fare le cose che devono essere fatte.

Scappa quando devi, fermati quando puoi:

c’è un momento per seminare e un momento per raccogliere:
impara a distinguerli, impara ad assaporare entrambi.
Ascolta il tuo corpo e rispettalo: riposati quando te lo chiede, mangia quando hai fame e ogni tanto ubriacati:
di vino, di amore o di qualche sogno.
Ma soprattutto cerca di sorridere sempre di più.

Citazione di Catherine Black.

L’importante è volersi bene e… dirselo

L’importante è volersi bene e… dirselo

“Stai dritto con la schiena.
Quante volte te lo devo dire?” disse il papà.
“Muoviti o facciamo notte!” gli disse la mamma.
“E piantala di far domande su tutto: sei stressante!” gli disse la sorella.
“Guarda come hai ridotto lo zainetto!
Se lo dovessi pagare tu…” continuò la mamma.
“Sei un mentecatto!” continuò la sorella.
Matteo credeva di essersi abituato alle parole che scandivano le sue giornate.
Si svegliava di solito al suono di:
“Sbrigati, sei in ritardo, lavati bene, hai messo tutto nello zaino?
Ma quanto sei imbranato!”

Finiva le giornate al suono di:

“Hai gli occhi che ti cadono nel piatto: ora te ne vai a dormire e non far storie come tutte le sere!
Quanto hai preso in italiano?
E spegni subito la luce!”
Ma quel giorno tutto prese una cattiva piega.
Alessandro, il suo migliore amico, gli aveva buttato in faccia:
“Ma sei diventato scemo?”
Che poi significa:
“Ti stai comportando come uno scemo!”
Titti, la maestra, l’aveva definito un “poltronaccio” e, durante la partita, Walter l’aveva chiamato “schiappa”.
Così quella sera due grossi lacrimoni gli scesero lungo le guance e finirono nel purè.
“Uh, ué, la lagna…” fece la sorella.
Matteo corse nella sua cameretta e si buttò sul letto.
Almeno lì poteva singhiozzare in pace.
Un discreto picchiettare alla finestra attirò la sua attenzione.
Corse a vedere e si trovò di fronte una creatura stranissima, ma piacevolissima.
Non si capiva bene come era fatta, ma tutto in lei era soffice, morbido, luminoso, sorridente e carezzevole.

“Chi sei?” domandò Matteo.

La risposta sbocciò come un trillo di campanelli, dolce come biscotti e Nutella:
“Sono un coccolone…
E ho visto che hai bisogno di noi.
Dammi la mano e vieni con me.”
Matteo si mosse come in un sogno.
La morbida creatura lo prese per mano e lo fece volare oltre la finestra nel cielo.
“Dove mi porti?” chiese Matteo.
“Nel paese dei coccoloni!” rispose la strana creatura.
“Dov’è?” ribadì il piccolo.
Dopo un volo leggero attraversarono tutti i colori dell’arcobaleno, che hanno un gusto squisito (il verde è alla menta, l’arancione sa di aranciata, l’indaco è tamarindo e così via), atterrarono in un paese fiorito e pieno di allegria.
Matteo vide che c’erano i bambini coccoloni, i nonni coccoloni e perfino i maestri coccoloni, naturalmente nelle scuole coccolone.

I bambini coccoloni furono i primi ad invitarlo a giocare.

Matteo ci si mise d’impegno, anche perché l’atmosfera era piacevole e amichevole.
E decisamente diversa da quella a cui era abituato.
Quando qualcuno sbagliava, c’era sempre qualcun altro che diceva:
“Coraggio. La prossima volta andrà meglio.”
E quando Matteo riuscì a fare gol, perfino il portiere avversario gli disse:
“Bravo!”
Matteo, invece di esultare, constatò amaramente che probabilmente quello era il primo “bravo” della sua vita.
Dopo la partita, i suoi nuovi amici coccoloni fecero a gara per invitarlo nelle loro case.
Matteo accettò l’invito del portiere avversario, quello che gli aveva detto “bravo”.
Era una famiglia come la sua:
mamma, papà, sorella e fratellino.
Solo che questi erano tutti coccoloni.

A tavola, Matteo ebbe il posto d’onore.

La mamma coccolona lo baciò e Matteo si sentì venire le lacrime agli occhi, perché era tanto tempo che la sua mamma non lo baciava più e lui non sapeva come fare a dirglielo.
“Ho anch’io una sorella più grande.” disse Matteo.
“Allora sai anche tu che cos’è una rottura,” disse il piccolo coccolone, “ma è così comoda per i compiti e per giocare-”
Tutti risero.
Poi tutti fecero il gioco “Racconta la tua giornata”.
Il papà, la mamma, la sorella e il fratellino raccontarono quello che avevano fatto, gli avvenimenti belli della loro giornata.
Matteo fu colpito soprattutto da una cosa: nella famiglia coccolona tutti si ascoltavano.
Si ascoltavano davvero, non si interrompevano a vicenda, non dicevano:
“Smettila un po’, mi fai venire il mal di testa!”
Si ascoltavano semplicemente.
Poi tutti gli occhi si puntarono su Matteo.
“E la tua giornata com’è stata?” chiese il papà coccolone.
Matteo raccontò tutto quello che aveva dentro e che fino a quel momento aveva confidato solo al cuscino.
Lo ascoltarono comprensivi.

Alla fine il papà coccolone gli disse:

“Vedi, l’importante è volersi bene e… dirselo”.
Gli diede un sacchetto di polvere rosa.
“Quando sarai a casa prova questa polverina.
Soffiane un po’ qua e là.
È la polvere coccolona!” gli spiegò.
In quel momento Matteo si svegliò.
“Che razza di sogno ho fatto!” pensò.
Ma…
Spalancò gli occhi e si rizzò a sedere sul letto.
Perché il suo pugno stringeva una manciata di polvere rosa.
“Ma allora è vero!” esclamò.
Mise la polverina dentro una scatoletta e poi si alzò:
“Voglio provare se funziona.”
Vide sul tavolo di cucina il caffè del papà.
Furtivamente fece cadere nella tazzina un pizzico di polverina.
Il papà, come al solito, era di corsa.

Bevve il caffè e poi disse soddisfatto:

“Buono!”
Questo non l’aveva mai fatto.
Anche la mamma se ne accorse.
Poi, incredibilmente, prima di uscire il papà fece una carezza affettuosa sulla testa di Matteo:
“Passa una bella giornata, ometto!
E dacci dentro a scuola perché stasera ti sfido a Scarabeo.”
“Urrà, funziona!” pensò Matteo, felice.
“Ne metterò una razione nel caffè della maestra”.

Di quanta polvere coccolona avremmo bisogno anche noi?

Brano tratto dal libro “Novena di Natale per i bambini.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Tre brani brevi

Tre brani brevi
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Il medico calvo

Il colonnello ed il soldato

L’usignolo ed i passeri

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“Il medico calvo”

In un ospedale c’era un medico, la cui testa calva era spesso oggetto di battute scherzose.
Un giorno, dopo il solito commento da parte di un’infermiera,

il medico controbatté dicendo:

“Signorina, Dio ha fatto teste perfette:
le altre le ha dovute ricoprire di capelli!”

Brano senza Autore
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“Il colonnello ed il soldato”

Durante un’ispezione, un colonnello si fermò, squadrò un soldato da capo a piedi, e gli disse con durezza:
“Abbottona la tasca, soldato!”

Il soldato, assai confuso, balbettò:

“La devo abbottonare subito, signor colonnello?”
“Sì, immediatamente!” esclamò il colonnello.
Allora il soldato si avvicinò cautamente ed abbottonò il risvolto del taschino della camicia del colonnello!

Brano senza Autore
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“L’usignolo ed i passeri”

Un giorno l’usignolo si ammalò e non cantava più.
“Non è ammalato,” dissero i passeri, “è troppo pigro per cantare!”
Questi commenti offesero profondamente l’usignolo, che iniziò di nuovo a cantare.

“Non avevamo ragione?” dissero i passeri.

Così l’usignolo fece appello alle sue ultime forze e morì.
Allora i passeri dissero:
“Ma allora perché cantava, se era ammalato?”
Dare troppo peso a quello che dicono gli altri può essere molto pericoloso.

Brano senza Autore

I “rambo”

I “rambo”

Qualche anno fa, insieme con mia moglie, ci recavamo spesso all’agriturismo di mio fratello.
L’agriturismo era situato sul monte Grappa, vicino alla località Campocroce, così denominata per essere stata un ospedale da campo durante il primo conflitto mondiale.
Si partiva di sabato sera e si dormiva là, per essere pronti a dare una mano la domenica, per ricevere i numerosi clienti che avrebbero voluto pranzare.
Durante uno di questi fine settimana, una mattina fummo svegliati presto da un fitto parlottare e, dopo esserci alzati, restammo senza parole, vedendo una scena imprevista.

Davanti all’agriturismo erano presenti una trentina di soldati in assetto da combattimento.

Mia moglie divenne improvvisamente pallida, mentre io pensai al peggio:
“Durante la notte era, per caso, scoppiata una guerra?”
Mia cognata ci venne in soccorso e capì al volo il nostro sconcerto.
Ridendo ci informò immediatamente che si trattava di innocui impiegati di banca che giocavano alla guerra con delle armi di plastica.
Poco dopo si sparpagliarono per il bosco e passata mezz’ora, i rambo domenicali tornarono, uno alla volta ed in sordina, a scaldarsi vicino ai caminetti dell’agriturismo.

Dopo pochi minuti, infatti, erano iniziati a cadere alcuni fiocchi di nevischio.

A mezzogiorno si sedettero chiassosi a tavola e mia cognata chiese a mia moglie come mai non la aiutasse come il solito.
Lei le spiegò che si rifiutava di servire chi faceva il più brutto dei giochi immaginabili.
Inoltre, quella scena le aveva procurato tanto spavento e, di conseguenza, era ancora molto scossa.
Aveva paura che, per lo spavento precedente, le sarebbero potuti cadere i piatti dalle mani.
Continuò dicendole che se fossero stati gli scout o i forestali li avrebbe serviti con entusiasmo, essendo portatori di valori opposti a quelli dei “rambo”.
Era risaputo che sia gli scout che i forestali rispettassero la natura non inquinandola in nessun modo,

contrariamente a ciò che avevano invece fatto gli impiegati di banca.

I “rambo”, infatti, avevano disperso miriadi di pallini di plastica per il bosco, oltre ad aver evocato la cosa più brutta al mondo: la guerra.
Mia moglie in versione obbiettore di coscienza non la avrei mai immaginata.
In quella circostanza ebbi un motivo in più per stimarla.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno