Lascia che le cose si rompano,

smetti di sforzarti di tenerle incollate.
Lascia che le persone si arrabbino.
Lascia che ti critichino, la loro reazione non è un problema tuo.
Lascia che tutto crolli.
Ciò che è destinato ad andarsene se ne andrà comunque.
Ciò che dovrà rimanere, rimarrà comunque.

Quel che se ne va, lascia sempre spazio a qualcosa di nuovo:

sono le leggi universali.
E non pensare mai che non ci sia più nulla di bello per te, solo che devi smettere di trattenere quel che va lasciato andare.
Solo quando il tuo viaggio sarà terminato, allora finiranno le possibilità, ma fino a quel momento, lascia che tutto crolli, lascia andare.

Citazione di Claudia Crispolti.

Tonto Zuccone ed il periodo del lockdown

Tonto Zuccone ed il periodo del lockdown
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Il giapponese

Fuori dal comune

Il vaccino anti-covid

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“Il giapponese”

Tonto Zuccone, fino a quando non siamo stati costretti a rimanere a casa per paura del covid-19 (coronavirus), saltuariamente si recava a mangiare in una tipica osteria, dove proponevano, con successo, una frittata con le cipolle di Tropea.
Il prezzo elevato non scoraggiava i tanti turisti che facevano la fila per un posto a sedere.
Tonto vi entro con le mani in tasca, essendo di casa e, per averlo visto fare nei film, aprì con lo sterno del torace la porta, la quale si apriva a libro con una lieve spinta e si richiudeva veloce in automatico, con il sistema delle molle.

Dietro di lui, ad una distanza ravvicinata, c’era un giapponese, che prese in piena faccia la porta che Tonto aveva fatto basculare.

Il giapponese nascose le lacrime portandosi le mani al viso, anche se il suo piagnucolare attirò l’attenzione dell’oste che chiese a Tonto:
“Come sei riuscito a far piangere il giapponese, se avevi le mani in tasca, la bocca chiusa e gli voltavi le spalle?
Hai forse mangiato il solito pentolone di fagioli?”
Tonto non aveva capito di aver colpito, involontariamente, il signore giapponese, quindi replicò:
“Io non centro; lo avrai spaventato tu con il prezzo spropositato della frittata appeso nella porta, dove trasformi le normali uova di corte che ti fornisco io in quelle d’oro e, certamente non piange per le cipolle di Tropea, che sono di una delicatezza infinita!”

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“Fuori dal comune”

Tonto Zuccone, come tutti in tempo di covid, per via delle restrizioni imposte in seguito al periodo di lockdown, è stato costretto a cambiare le sue abitudini di vita, rinunciando, per esempio, a frequentare il bar del paese, dove incontrava gli amici, per evitare assembramenti.
Nonostante la zona rossa imposta dal governo, nel quale erano vietati gli spostamenti da un comune all’altro, se non motivati da questioni urgenti o di lavoro, Tonto, per smaltire il mal da frigo, causato dalle troppe aperture e dalle esagerazioni, non aveva rinunciato alla sua passeggiata quotidiana, sconfinando, però, in un comune limitrofo.

Fermato per un controllo dalle forze dell’ordine si sentì dire:

“Dobbiamo sanzionarti perché sei fuori comune!”
Tonto, rimasto quasi senza parole, replicò:
“È una vita che mi sento dire che sono un tipo fuori dal comune, ma non mi hanno mai sanzionato prima per questo, se mai aiutato!”

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“Il vaccino anti-covid”

Tonto Zuccone aspettava con ansia il momento in cui si sarebbe potuto vaccinare contro il covid19 (coronavirus).
Bramava il momento in cui sarebbe potuto tornare ad una vita normale, soprattutto per riprendere le relazioni interpersonali, di cui aveva tanto bisogno.
Arrivò il giorno in cui si dovette recare al centro vaccinale e, una volta espletate le formalità dell’accettazione e del giudizio medico, fu indirizzato dai volontari in divisa a fare una breve fila per l’inoculazione del siero.
Arrivato il suo turno, tentennò per la paura improvvisa dell’ago.
L’infermiera, intanto, lo squadrò da cima a fondo, trovandolo alquanto folcloristico e singolare.
Fissandolo, gli disse:
“Avanti un altro!”

Tonto intrepretò male questa frase.

Capì, infatti, che si sarebbe dovuto mettere da parte, come gli era capitato tante altre volte nella sua vita, suo malgrado.
Non riusciva a capire il motivo di questa richiesta nel contesto in cui si trovava e, invece di fare i due passi avanti per il vaccino, si girò e riprese la fila dall’ultimo posto.
La cosa fu notata da un addetto allo smistamento che gli chiese:
“Perché hai rifatto la fila se era il tuo turno?”
Tonto rispose:
“Perché l’infermiera ha detto avanti un altro, e quell’altro non ero certo io, ma quello che veniva dopo di me!”
“Ma allora sei proprio tonto a non capire come funzionano le cose semplici?” domandò l’addetto. “Certo che sono proprio io!
Tonto Zuccone in persona.
È scritto anche nei miei documenti di identità!” e sorridendo, lasciò l’addetto senza parole.

Brani di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione dei racconti a cura di Michele Bruno Salerno

L’uomo che voleva essere accolto in paradiso

L’uomo che voleva essere accolto in paradiso

Una volta un uomo bussò alla porta del cielo e chiese di essere accolto in paradiso!
“Puoi rimanere qui solo se torni sulla terra e porti la cosa più preziosa che trovi!” gli disse gentilmente un angelo.
Molto triste, l’uomo tornò sulla terra e si diede da fare finché riuscì ad entrare in possesso dei gioielli della corona del re Ciro.
E portò i magnifici gioielli della corona alla porta del cielo…

Ma gli angeli guardiani scossero la testa:

“Questo non significa niente qui!
Le nostre strade sono lastricate di pietre preziose.
Tutti i nostri muri sono fatti d’oro!
Non hanno alcun valore.
Questi non sono altro che cose comune qui!”
L’uomo se ne tornò triste sulla terra e ricominciò a cercare!
Visitando un museo scoprì, abbandonata in un angolo, la spada di Alessandro Magno.
La portò in paradiso.

Ma gli angeli inesorabili gli dissero:

“Tutto il potere della terra qui non significa niente!
Scendi di nuovo sulla terra e portaci qualcosa di veramente prezioso!”
L’uomo tornò sulla terra.
Cercò e cercò finché, nella vecchia biblioteca di un monastero, ormai ridotto ad un rudere, trovò i “detti” inediti della “sapienza” di Salomone.
Portò il suo tesoro in cielo.
“La saggezza del mondo non ha più senso, qui!” gli spiegarono gli angeli.
Così, tristemente, tornò di nuovo sulla Terra.
Studiò e studiò: camminò e camminò.
Provò di tutto!
Un giorno si sedette stremato sulla panchina di un piccolo giardino pubblico.
Era molto stanco!

Nella buca della sabbia i bambini giocavano.

La voce di un bambino lo scosse!
Aveva le lacrime agli occhi e le mani impiastricciate di sabbia:
“Signore non riesco a fare un tunnel, mi aiuti?”
L’uomo asciugò le lacrime del bambino e si inginocchiò nella sabbia.
Scavò finché non riuscì a costruire una galleria abbastanza resistente!
Il bambino riprese a far correre le sue palline colorate.
Proprio in quel momento l’uomo fu richiamato in cielo.
Mostrò le sue mani agli angeli guardiani!
Erano vuote tranne qualche traccia delle lacrime del bambino ed alcuni granelli di sabbia…
Era rassegnato ad un nuovo rifiuto, invece gli angeli sorrisero e spalancarono la porta mentre il coro dei “beati” intonava un grande “Alleluia!” di benvenuto!

Brano senza Autore

L’ostrica ed il cavalluccio marino

L’ostrica ed il cavalluccio marino

Passeggiando sul fondo del mare, un giorno, un cavalluccio marino vide una giovane ostrica.
Doveva essere arrivata da poco poiché il cavalluccio, appassionato di passeggiate e molto estroverso, non l’aveva mai vista prima.
“Buongiorno!” disse gentilmente il cavalluccio bussando piano sul guscio dell’ostrica.
Stava per proseguire, pronto a godere delle meraviglie del mare e delle sue creature, quando una voce dolcissima gli rispose:

“Per me sarà certamente un buon giorno:

ti sei accorto di me!”
“Tu non sei di qua vero?” domandò il cavalluccio, che cominciava a essere curioso di quella strana creatura, grigia e rugosa.
“No, però qualche volta le correnti mi avevano già portata dove ci troviamo ora…” disse gentilmente l’ostrica.
“Allora conoscerai i miei amici!
Il granchio forte e loquace, la medusa affascinante e un po’ pungente…” esclamò il cavalluccio.
“Veramente no…
Io non ho amici.” replicò la timida ostrica.
“Davvero?” domandò il cavalluccio, “Mi sembra impossibile!”
“Vedi, io sono molto timida, non sono bella, non so fare tante cose…” si giustificò l’ostrica.

“Che cosa dici?

Tutti sanno fare compagnia a qualcuno!” spiegò il cavalluccio marino.
Fu felice di rimanere ancora in compagnia dell’ostrica, e l’ostrica cominciò a rilassarsi, tanto da schiudersi un po’:
non aveva mai compreso che poteva essere così facile donare e ricevere gioia!
Scese la notte e il riflesso della luna brillò sul fondo del mare.
Solo allora il cavalluccio e l’ostrica si sentirono un po’ stanchi.
Rimasero qualche istante in silenzio, poi l’ostrica mormorò:
“Sono stata tanto felice oggi.
Voglio offrirti un regalo che spero ti faccia piacere!”
E davanti agli occhi ammirati del cavalluccio, l’ostrica si aprì e porse una bellissima perla dalle venature rosate, che brillava al chiarore della luna.

“Questo è il mio regalo per te.

Prendila!” trillò l’ostrica.
Il cavalluccio prese la perla con delicatezza.
Era luminosa e calda … e il cavalluccio sentì tutto l’amore dell’ostrica fluire dentro di lui.

Potete rendere felici tutti quelli che vivono con voi.
Scoprireste tesori inimmaginabili che finirebbero altrimenti sprecati.
Lo potete fare con molto poco.
Allora, perché non lo fate?

Brano tratto dal libro “I fiori semplicemente fioriscono.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il rasoio pigro

Il rasoio pigro

Nella bottega di un barbiere, c’era una volta un bel rasoio.
Trovatosi da solo, un giorno, pensò di dare un’occhiata in giro, e tirò fuori la sua lama, che riposava nel manico come in una guaina.

Come vide il sole specchiarsi nel suo corpo, rimase meravigliato:

la lama d’acciaio mandava tali bagliori da farlo montare in boria.
“E io dovrei tornare in quella squallida bottega,” pensò il rasoio, “a tagliare le barbe insaponate di quei rustici villani, ripetendo all’infinito le stesse monotone operazioni!
Avvilire in questo modo il mio corpo così bello, sarebbe una pazzia.
Meglio andarmi a nascondere in qualche posto ben segreto, e godermi in tranquillità il resto dei miei giorni!”

Così dicendo si cercò un nascondiglio, e per molti mesi non si lasciò più trovare.

Senonché, venne pur il giorno in cui, volendo prendere un po’ d’aria, il rasoio lasciò il suo rifugio e, uscito cautamente fuori dal manico, tornò a guardare il proprio corpo.
Ahimè!
Cos’era mai successo?
La lama, divenuta scura come una sega arrugginita, non rispecchiava più lo splendore del sole.
Amareggiato e pentito, pianse invano il suo stupido errore:
“Oh, quanto sarebbe stato meglio tenere in esercizio la mia bella lama affilata!

La mia superficie sarebbe rimasta luccicante, il mio taglio netto e sottile!

Invece, eccomi qua, corroso e incrostato per sempre dalla ruggine!”

La stessa fine è riservata alle persone d’ingegno che invece di esercitare le loro qualità, preferiscono rimanere oziose.
Proprio come il rasoio, anch’esse perdono la sottigliezza e la luce dello spirito, e rimangono corrose dalla ruggine dell’ignoranza.

Brano di Leonardo da Vinci

Un pomeriggio con il nonno

Un pomeriggio con il nonno

Da ragazzino andai ad aiutare il nonno materno per la fienagione (tecnica di raccolta delle piante foraggere finalizzata alla conservazione del foraggio sotto forma di fieno).
Ma, più che lavorare, dovevo solo fargli compagnia, a causa di un leggero problema al cuore.
Verso metà pomeriggio facemmo una lunga pausa per permettere al sole di essiccare l’erba ed il nonno, stanco, ne approfittò per fare merenda e schiacciare un riposino all’ombra di un grande gelso.
Gli chiesi il permesso di andare in esplorazione alla ricerca di nidi di uccelli, siccome ne ero affascinato, promettendogli di rimanere nei paraggi.

Il patto non fu rispettato e mi allontanai molto.

Trascorse un paio di ore, mi parve di sentire una voce insistente che mi chiamava da lontano.
Ne percepivo solo l’eco dato che ci trovavamo in una valle, ma non ci feci troppo caso e continuai a camminare, coinvolto dalla mia avventura.
Al ritorno trovai il nonno intento a riposare, così, dopo averlo chiamato, lo scossi con insistenza per svegliarlo, ma questo non mi diede segni di vita tenendo, inoltre, gli occhi chiusi.

Allora provai ad alzargli un braccio che però ricadde di colpo.

Continuai a chiamarlo insistentemente, senza avere risposte e, preso dalla paura e dal panico, iniziai a pensare che fosse morto, singhiozzando senza tregua.
Il nonno allora si alzò di scatto e cercò di tranquillizzarmi.
Mi disse che lo avevo fatto spaventare moltissimo poiché non sapeva dove fossi finito, non rispondendo neanche ai suoi insistenti richiami.
Con voce autorevole mi disse anche che, volendomi un gran bene e vedendomi pentito, era resuscitato.
Nei mesi seguenti andai al catechismo ed il sacerdote parlò del pianto di Gesù per la morte dell’amico Lazzaro e della sua resurrezione.

Vedendomi particolarmente attento e rosso in volto,

il parroco mi chiese se credessi al miracolo di Gesù.
Risposi di sì, raccontando anche l’avventura avuta qualche tempo prima, dove, anche il mio pianto sincero aveva fatto resuscitare l’amato nonno.
Alle ultime parole del racconto seguì una grande risata collettiva.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il brodo della gallina

Il brodo della gallina

La famiglia è sempre stata il pilastro della società, anche se in questo momento storico è sottoposta a tante, troppe, disgregazioni.
E, sfortunatamente, oggi assistiamo a tanti odiosi e criminali femminicidi.
Le problematiche di un tempo erano diverse, ma la società non era immune da difficoltà.
I problemi erano celati e soppressi dalla società patriarcale,

che si basava su rigide regole in gran parte sfavorevoli alle donne.

Fiorella viveva all’interno di una di queste ed era, come le donne bibliche, criticata e compatita, dato che non riusciva ad avere figli.
Riuscì comunque a rimanere incinta, prima di iniziare ad invecchiare, ed a partorire una bellissima bambina.
Secondo la tradizione veneta, i parenti più stretti dovevano regalare alla neo mamma una gallina, rigorosamente nera, affinché la mangiasse, in modo da riprendersi il più in fretta possibile dalle fatiche del parto per tornare celermente a lavorare nei campi.
Una sua cognata, invece,

ne portò una volutamente bianca e disse alla puerpera:

“Cognata cara, noi ci conosciamo bene e da tanto tempo.
So che tu sei fin troppo moderna e trasgressiva.
Quindi immagino che non ti offenderai di certo per il colore della mia gallina!”
Fiorella intuì il significato ambiguo e capì di essere stata scoperta.
La bambina, che aveva partorito, non era di suo marito.
Questa non si turbò e replicò:
“Io accetto la tua gallina bianca in deroga alla tradizione solamente se tu, fra qualche giorno, verrai a condividere con me una scodella del suo brodo!”
Quando Fiorella, al tempo stabilito, porse la scodella di brodo fumante alla cognata, questa si lamentò siccome, all’interno della stessa, non erano presenti i classici grandi occhi di grasso, tipici della gallina.

La spiegazione che ne seguì fu sarcastica:

“Hai perfettamente ragione, cognata mia cara, perché ho aggiunto volutamente acqua calda alla tua scodella!
So che tu sei fin troppo tradizionalista nel vedere le cose a modo tuo.
In questo caso, però, meno “occhi” indagatori ci sono, meglio è per il cheto vivere di tutti!”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La candela che non voleva bruciare

La candela che non voleva bruciare

Questo non si era mai visto:
una candela che rifiuta di accendersi.
Tutte le candele dell’armadio inorridirono.
Una candela che non voleva accendersi era una cosa inaudita!
Mancavano pochi giorni a Natale e tutte le candele erano eccitate all’idea di essere protagoniste della festa, con la luce, il profumo, la bellezza che irradiavano e comunicavano a tutti.
Eccetto quella giovane candela rossa e dorata che ripeteva ostinatamente:

“No e poi no!

Io non voglio bruciare.
Quando veniamo accese, in un attimo ci consumiamo.
Io voglio rimanere così come sono:
elegante, bella e soprattutto intera!”
“Se non bruci è come se fossi già morta senza essere vissuta!” replicò un grosso cero, che aveva già visto due Natali, “Tu sei fatta di cera e stoppino ma questo è niente.
Quando bruci sei veramente tu e sei completamente felice.”

“No, grazie tante,”

rispose la candela rossa, “ammetto che il buio, il freddo e la solitudine sono orribili, ma è sempre meglio che soffrire per una fiamma che brucia.”
“La vita non è fatta di parole e non si può capire con le parole, bisogna passarci dentro,” continuò il cero, “solo chi impegna il proprio essere cambia il mondo e allo stesso tempo cambia se stesso.
Se lasci che la solitudine, il buio e il freddo avanzino, avvolgeranno il mondo!”
“Vuoi dire che noi serviamo a combattere il freddo, le tenebre e la solitudine?” chiese la candela.
“Certo,” ribadì il cero, “ci consumiamo e perdiamo eleganza e colori, ma diventiamo utili e stimati.
Siamo i cavalieri della luce.”
“Ma ci consumiamo e perdiamo forma e colore?”

domandò ancora la candela.

“Sì, ma siamo più forti della notte e del gelo del mondo!” concluse il cero.
Così anche la candela rossa e dorata si lasciò accendere.
Brillò nella notte con tutto il suo cuore e trasformò in luce la sua bellezza, come se dovesse sconfiggere da sola tutto il freddo e il buio del mondo.
La cera e lo stoppino si consumarono piano piano, ma la luce della candela continuò a splendere a lungo negli occhi e nel cuore degli uomini per i quali era bruciata.

Brano di Bruno Ferrero

La stella verde (La speranza)


La stella verde (La speranza)

In cielo c’erano migliaia di stelle di tutti i colori:
bianche, argentate, dorate, rosse, blu e verdi.
Un giorno andarono da Dio e dissero:
“Desideriamo andare sulla terra e poter vivere tra la gente!”
“Così sia!” rispose Dio, “Io vi lascio così piccole come siete, così che discretamente possiate scendere sulla terra.”
E così, in quella notte, ci fu una meravigliosa pioggia di stelle.
Qualcuna si fermò su un campanile, qualcun’altra volò con le lucciole sopra i campi, qualcun’altra ancora si mescolò tra i giocattoli dei bimbi, così che la terra era meravigliosamente scintillante.

Con il passare del tempo però le stelle decisero di lasciare la gente sulla terra e di fare ritorno in cielo.

“Perché siete tornate indietro?” chiese loro Dio.
“Signore, non potevamo stare sulla terra, dove c’è così tanta miseria, ingiustizia e violenza!”
“Sì,” disse Dio, “il vostro posto è qui in cielo.
La terra è il luogo delle illusioni, il cielo è invece il luogo dell’eternità e della vita senza fine!”
Quando tutte le stelle furono tornate indietro, Dio le contò e si accorse che ne mancava una:
“Manca una di voi.
Ha forse preso la strada sbagliata?”

Un angelo, che era nelle vicinanze, disse:

“No, Signore, una stella ha deciso di rimanere tra la gente.
Ha scoperto che il suo posto era là, dove c’è l’imperfezione, il limite, la miseria e il dolore.”
“E qual è quindi questa stella?” volle sapere Dio.
È la stella verde, l’unica con questo colore, la stella della speranza!” rispose l’angelo.
Così quando ogni sera le stelle guardavano di sotto vedevano la terra meravigliosamente illuminata, perché in ogni dolore umano c’era una stella verde.

Brano di Don Angelo Saporiti, tratto dal libro “Commento sul Natale.”