Signora, scriverebbe una poesia per me?
Molte persone che hanno una storia da raccontare sono capaci di metterla sulla carta, quasi tutti coloro che vorrebbero scrivere una poesia non riescono a trovare le rime o a scrivere versi che scorrano.
Ecco perché una volta redassi per una rivista una rubrica che intitolai:
“Una poesia vostra e mia.”
A tutti coloro che avevano in mente una poesia, chiedevo di comunicarmi l’idea e promettevo che avrei pubblicato la loro lettera e scritto la poesia secondo le loro richieste.
Ricevetti migliaia di lettere da persone che avevano un poema nel cuore.
Ce ne fu una che ricorderò sempre.
Era di una ragazza, una certa Mary.
Non ne ho mai saputo il cognome.
Un giorno, in un cestino colmo di posta, trovai una lettera espresso contenente un foglio di carta rigata da poco prezzo e, in mezzo al foglio, un consunto biglietto da un dollaro.
Leggendo la lettera, mi sembrava quasi di sentire la voce di Mary:
“Voi dite, signora, che scriverete una poesia per chi desidera averne una scritta e pubblicata nella rivista.
Io vorrei che me ne scriveste una e me la mandaste invece di pubblicarla.
Ecco perché accludo un dollaro.
Non voglio che vi disturbiate senza compenso.
Credo che vorrete sapere qualcosa di me.
Fui lasciata sui gradini di un orfanotrofio quand’ero in fasce, e nessuno mi adottò perché non ero bella nè molto intelligente.
Perciò rimasi all’orfanotrofio finché non ebbi l’età d’andarmene e allora mi trovarono un lavoro in una fabbrica.
Lavoravo sei giorni la settimana perché eravamo in tempo di guerra e in fabbrica c’era molto da fare, ma la domenica ero libera e andavo a passeggiare nel parco.
Una domenica un soldato mi rivolse la parola; mi chiese se ero sola, io risposi di si, ed egli disse che anche lui era solo.
Aggiunse che non era di quella città e che sperava di poter passeggiare un po’ con me.
Era un giovane in uniforme e mi parve che non ci fosse niente di male.
Cosi, passeggiando e discorrendo, mi disse che era d’una regione rurale e che era in una caserma dall’altra parte del fiume.
Mi disse che al suo paese abitava con la madre e che era figlio unico; non era sposato, e non aveva nemmeno l’innamorata, perché se la madre avesse saputo che s’interessava a qualche ragazza avrebbe fatto il diavolo a quattro.
Quindi mi chiese se quella sera volevo cenare con lui e poi andare al cinema.
Fu cosi che Mary conobbe Ross, il soldato, e fu al cinema che sentì la mano di lui cercare la sua…
E capì, senza ombra di dubbio, d’essere innamorata.
Passò un mese, e un’altra domenica, mentre erano al parco, si misero a sedere su una panchina e parlarono dell’avvenire.
Non avevo mai avuto un avvenire fino a quella domenica, perché fu allora che Ross mi disse che mi amava e che voleva sposarmi.
Naturalmente gli risposi di si, e poi Ross si rannuvolò in viso e spiegò che non osava dirlo alla madre, perciò non avrebbe potuto far assegnare a me la quota della paga destinata alla persona a carico, ne farmi beneficiaria della sua assicurazione.
Ma a me non importava.
Volevo soltanto lui e il suo amore.
Volevo soltanto qualcuno che m’appartenesse.
Quando glielo dissi, il viso gli si rischiarò.
Cosi Mary e Ross si sposarono, e appena Ross aveva un permesso andava nella camera ammobiliata di Mary.
Le comprò il primo vestito di seta della sua vita, le scarpe con il tacco alto e una vestaglia.
Ma il regalo più importante fu l’anello nuziale.
E quando Ross fu mandato oltremare, Mary gli scrisse tutte le sere ed egli rispondeva ogni volta che poteva.
Passò il tempo, e poi un giorno Mary svenne mentre era in fabbrica.
Il medico della Società le disse che avrebbe avuto un bambino.
Fu proprio mentre scriveva a Ross la più bella notizia del mondo che la sorte volle colpirla in modo crudele.
Ricevette un telegramma dalle autorità militari.
“Ne fui sconvolta, signora.” mi scrisse Mary “Mio marito era morto.
Non avrei più sentito le sue labbra sulle mie, ma avevo una consolazione.
Non ero più sola come prima.
Sebbene Ross non fosse più mio, m’aveva lasciato qualcosa che sarebbe stata mia per sempre.
Mary lavorò fin quando potè e risparmiò ogni centesimo (non aveva l’assicurazione di Ross, ricordate?)
Sulla polizza c’era il nome della madre.
Non scrisse alla madre di Ross perché, come mi disse nella sua lettera, non le avrebbe creduto.
La bambina di Mary nacque nel reparto maternità d’un ospedale e quando Mary ne usci, si trovò a dover affrontare un problema.
Adesso doveva guadagnare da vivere non soltanto per sé, ma anche per la sua creatura.
E cosi decise di mettere la bimba in un nido per l’infanzia, non in uno gratuito, ma in uno di cui i suoi mezzi le permettessero di pagare la retta.
“Tutte le mattine portavo la piccola al nido, e tutte le sere, dopo il lavoro, andavo a prenderla e la portavo a casa.
La vedevo sveglia di rado, tranne la domenica.
Siccome tutto quello che guadagnavo serviva per il vitto, per la pigione e per il nido, la piccola non aveva belle vestine o giocattoli.
Gli abitini che portava durante il giorno appartenevano al nido, e cosi i giocattoli.
Io avevo soltanto il cesto di vimini nel quale dormiva, le coperte e un sonaglio di celluloide.
Ma ero felice perché, mentre lavoravo, sapevo che l’avrei portata a casa la sera e l’avrei tenuta tra le braccia finché si fosse addormentata.
Un pomeriggio mi telefonarono dal nido e mi dissero di accorrere subito…
ma non arrivai in tempo.”
E cosi Mary si ritrovò sola come prima:
una giovane donna non molto bella, non molto intelligente, una donna che aveva soltanto la gran dote di amare e di dare.
La sua lettera finiva cosi:
“Siccome la mia piccola non aveva bei vestiti o giocattoli, o nessuna delle cose che i bimbi di solito hanno, io non avrò nulla di lei da conservare.
E temo che, con il passare degli anni, il suo ricordo svanirà, e chiudendo gli occhi non riuscirò più a vederne il viso.
Ecco perché voglio che scriviate una poesia su di lei, una poesia bella come era lei, una poesia che me la riporti vicina ogni volta che la leggerò, che mi faccia sentire ch’è ancora accanto a me, non tra le mie braccia, ma nel mio cuore.
Vi prego spedite la poesia a Mary,
Fermo Posta, e io passerò all’ufficio postale tutti i giorni finché arriverà.”
Scrivere quella poesia fu uno dei compiti più difficili che abbia mai avuto e, per quanto sembri un paradosso, uno dei più facili.
Non ne ho tenuto una copia perché temevo che, prima o poi, potessi essere tentata di pubblicarla, e allora la poesia non sarebbe più appartenuta soltanto a Mary.
Quando misi la poesia nella busta, fui sul punto di mettervi anche il biglietto da un dollaro, ma poi mi resi conto che sarebbe stata una crudeltà.
Mi resi conto che Mary comprava un ultimo regalo per la sua creatura.
Sì, cercai di rintracciare Mary, ma non fu possibile; aveva ritirato la lettera, e poi era scomparsa.
Sebbene questo sia accaduto parecchio tempo fa, conservo ancora il dollaro, nella speranza che un giorno, non so dove, mi capiti d’incontrare Mary.
Se m’avverrà d’incontrarla, le darò il dollaro e le spiegherò che un ricordo non si può comprare.
Deve essere sempre un dono.