L’albero della cuccagna

L’albero della cuccagna

A San Giovanni di Valdobbiadene, tanti anni fa, sono stato partecipe, e testimone, di una bellissima sagra paesana, dove il ricavato andava a sostenere l’asilo gestito dalle suore.
I primi giochi “paesani” furono la corsa coi sacchi e la spaghettata, cioè una gara in cui ogni partecipante, con le mani legate, avesse mangiato più rapidamente un piatto di spaghetti.

Il divertimento più bello e atteso fu, però, l’albero della cuccagna,

con sopra ricchi premi come salumi, formaggi e bottiglie di prosecco.
Diversi baldi giovani provarono a salire sul palo impregnato di grasso, ma tutti i tentativi andarono a vuoto.
Durante il gioco dell’albero della cuccagna, sopraggiunse sul più bello un mio amico, il cui soprannome era il “gatto”, per la sua abilità nel salire sui pali della luce a mani nude per puro divertimento, presentandosi con il miglior vestito della festa ma tutti, conoscendolo, lo acclamarono, insistendo affinché facesse un tentativo.

Una famiglia lì vicino gli fornì camicia e pantaloni adatti per il gioco.

I pantaloni, però, erano di una taglia inferiore alla sua e gli stavano strettissimi.
Dopo i primi tentativi di salita si ruppe la cucitura dei pantaloni, ed il mio amico mostrò a tutti le proprie parti intime.
Le suore, con le mani agli occhi, insieme a tante altre persone iniziarono a gridare scandalizzate “giù”, mentre l’altra metà dei partecipanti urlava divertita su.

Mai cuccagna fu così singolare e allegorica.

Il mio amico riusi a raggiungere l’obiettivo con l’abilità che gli era propria e, capito il motivo delle grida del “su” e del “giù”, non senza un po’ di rossore, regalò alle suore, per farsi perdonare, i ricchi premi, riservandosi il vino che condivise con gli amici.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

I chicchi di frumento

I chicchi di frumento

Erano nati a primavera con i primi raggi del sole in un campo di un luminoso verde tenero!
Tutti nella loro culla, che mamma spiga aveva preparato con cura…
Tanti lettini allineati, che il vento cullava, mentre grilli e cicale cantavano la “ninna nanna”!
Dal verde tenero diventarono di un bel giallo brillante, sempre più grassottelli e chiacchieroni…
Dondolare in cima al lungo stelo della spiga insieme a migliaia di altri chicchi di frumento,
sempre più allegri e rubicondi, era molto divertente!
“Piano, ragazzi!” li ammoniva mamma spiga, “È ora che dimostriate un po’ di maturità:
presto comincerà la mietitura!”
“Che cos’è la mietitura?” chiese allora un chicco.
“È quando cominciate a fare quello per cui siete nati!” rispose la mamma.
In un’assolata giornata di fine Giugno, una grossa macchina rossa passò veloce fra le spighe mature e raccolse i chicchi di grano con la sua grossa bocca spalancata…

“Addio!”

“Arrivederci!”
“Buona fortuna!” si sentiva dire da tutte le parti.
I chicchi di grano furono raccolti in grossi sacchi e poi in enormi depositi!
Addio al sole, al vento, al canto dei grilli…
Nel deposito, era tutto buio!
“Che succederà, adesso?” chiese uno di loro.
Un vecchio topo con gli occhiali che da tempo immemore viveva tra due travi del granaio lo spiegò pazientemente ai più vicini, i quali lo raccontarono a quelli che avevano accanto, e così via…
“La missione dei chicchi di grano è una grande missione!” esordì il vecchio topo, “Seconda, appena, a quella dei topi che, come ognuno sa, sono la razza eletta della Creazione…
Alcuni di voi saranno seminati:
cioè, messi dentro la terra!”
Un brivido passò tra i chicchi.

Poi il vecchio topo continuò:

“Altri saranno macinati!”
Un altro brivido percorse i granelli di frumento.
“Ma diventeranno farina e poi pane profumato o deliziosi biscotti!”
I baffi del topino vibravano di soddisfazione…
Tirò su con il naso e continuò:
“Gli uomini portano il pane a tavola, lo benedicono, lo dividono…
È molto importante per loro: porta gioia, porta la vita!
Sono grandi e grossi grazie al pane… Grazie, a voi!”
I chicchi di grano trattenevano il fiato, coinvolti dalle parole del vecchio topo.
Ora sapevano…
Ed erano orgogliosi della loro missione!
Solo un granello di frumento si lasciò scivolare in fondo al mucchio di chicchi e si nascose in una fessura presente nel pavimento del granaio…
Non voleva essere seminato!
Non voleva morire!
Non voleva essere sacrificato!

Voleva salvarsi…

Non gliene importava niente di diventare pane!
Né di essere portato a tavola!
Né tantomeno di essere benedetto e condiviso…
Non avrebbe mai donato vita!
Non avrebbe mai donato gioia!
Un giorno arrivò il contadino ed iniziò a fare pulizia e, con la polvere del granaio, spazzò via anche l’inutile granello di frumento…

Brano senza Autore

Vivi il momento presente

Vivi il momento presente

C’era una volta un re che aveva passato tutta la vita a far guerre e ad ingrandire il suo regno.
A sessant’anni si rese conto che non aveva imparato molto sulla vita e sul senso dell’esistenza.
Convocò tutti i suoi ministri e consiglieri ed ordinò loro:
“Prendete tutto il denaro dei miei forzieri e andate ai quattro angoli del mondo alla ricerca dei libri di sapienza; vorrei finalmente conoscere la vera saggezza della vita.”
I consiglieri presero diversi sacchi d’oro e si spostarono verso tutte le direzioni della terra.
Tornarono dopo sette anni spingendo quaranta cammelli carichi di ogni sorta di libri grandi e piccoli.
Una vera montagna di libri rari.

Vedendoli, il re esclamò:

“Ho sessantasette anni, non avrò mai il tempo di leggere tutti questi libri.
Fatemi un riassunto di tutto!”
Furono convocati i più abili letterati del mondo che si misero al lavoro e dopo sette anni consegnarono un ottimo riassunto di tutto quel tesoro di sapienza.
Ma il riassunto equivaleva ancora al carico di sette cammelli.
“Ho già settantaquattro anni!” disse il re, “Non ho il tempo di leggere tutto.

Riassumete ancora!”

Si fece il riassunto del riassunto.
Ci vollero altri sette anni, al termine dei quali i saggi si ritrovarono con il carico di un solo cammello.
“Ho passato gli ottanta anni!” disse il re, sempre più debole, “I miei occhi sono molto stanchi.
Non riuscirei mai a leggere questi libri.
Riassumete ancora!”
I saggi si rimisero a lavoro e per sette anni ancora lavorarono giorno e notte.
Il risultato fu un solo libro.
Un libro che conteneva tutta la saggezza della terra.

In quel momento, un valletto si precipitò dai saggi:

“Presto, portate il libro al re.
Sta morendo!”
Il re aveva ormai ottantotto anni e agonizzava nel suo letto.
Il più dotto dei saggi avvicinò il suo volto a quello del re che in un debole soffio gli mormorò:
“Per favore, riassumi in una sola frase tutto il sapere, tutta la saggezza del mondo…”
Eccola, sire:
“Vivi il momento presente.”

Brano tratto dal libro “La vita è tutto quello che abbiamo.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il contadino ed il diavolo sciocco

Il contadino ed il diavolo sciocco

C’era una volta un contadino così povero che non aveva neanche un pezzo di terra tutto suo.
Un bel giorno trovò un campo abbandonato, lo arò ben bene e cominciò a seminare il grano.
Quel campo apparteneva al diavolo, che era uno sciocco ma si credeva furbo.
Il diavolo andò dal contadino e gli disse:
“Semina pure il campo, ma a una condizione:
faremo due parti con il raccolto.
Tu prenderai quello che esce fuori dalla terra e io prenderò ciò che rimane sottoterra.”

“Non ho nulla in contrario!” rispose il contadino.

Passò del tempo e il diavolo vedendo che il contadino sudava e lavorava la terra, lo prendeva in giro.
“Lavora sciocco, che io raccoglierò il frutto delle tue fatiche!” gli diceva.
Giunse il tempo della mietitura.
Il contadino tagliò il grano, raccolse le spighe in fasci e da esse ottenne cento sacchi di grano colmi colmi.
Il diavolo invece raccoglieva quello che era rimasto interrato: solo radici!
Al mercato il grano del contadino fu pagato molto bene, mentre il diavolo fu preso a calci:
quando mai si erano vendute quelle radici?

“Mi hai imbrogliato!” urlò il diavolo infuriato.

“Io ti ho imbrogliato?” ribatté il contadino “Io ho rispettato il contratto che mi hai imposto:
io il sopra e tu il sotto!”
“Bene bene,” disse il diavolo “non ne parliamo più.
Però dal prossimo raccolto io prenderò ciò che sbuca fuori e tu ti terrai quello che c’è sotto!” anche questa volta il contadino arò e lavorò ben bene la terra, ma invece di grano piantò patate.
Il diavolo lo guardava faticare e, come la prima volta rideva di lui.
Quando le patate furono cresciute e pronte per la raccolta, il diavolo prese le pianticelle che sbucavano fuori dalla terra, mentre il contadino gli andava dietro estraendo dalla terra tante patate grosse grosse.

Tutti e due poi andarono al mercato a vendere i loro prodotti.

“Patate! Patate! Belle patate!” gridava il contadino al mercato e la gente si affollava intorno a lui perché tutti volevano comprarne.
“Foglie! Foglie! Belle foglie verdi!” gridava il diavolo, ma la gente, invece di avvicinarsi, si faceva beffe di lui.
Il diavolo si arrabbiò tanto che finì per essere preso a bastonate dalla gente e dovette fuggire per sempre.
Il contadino rimase padrone del campo e visse allora felice e contento.

Brano senza Autore, tratto dal Web