Il prelievo in banca

Il prelievo in banca

Una vecchia signora si presentò in banca e, rivolgendosi al cassiere, gli chiese di poter prelevare 20,00 €.
Il cassiere le rispose:
“Per prelievi inferiori a 100,00 €, si prega di voler utilizzare il bancomat!”
L’anziana signora gli domandò come mai non potesse prelevare la cifra di cui necessitava, ma il cassiere le restituì la carta di credito, esclamando:

“Queste sono le regole, per favore se ne vada se non c’è altro.

C’è una fila di clienti dietro di lei!”
La vecchia signora rimase in silenzio per alcuni istanti e, restituendo la propria carta al cassiere, gli disse:
“Per favore, mi aiuti a ritirare tutti i soldi che ho!”
Il cassiere rimase sbalordito dopo aver controllato il saldo del suo conto.

Annuì, si chinò e le disse rispettosamente:

“Signora, lei ha 310.000,00 € nel suo conto!
Ma la banca non dispone di così tanti contanti al momento.
Potrebbe fissare un appuntamento e tornare domani?”
La vecchia signora chiese al cassiere quanto potesse prelevare immediatamente.
Il cassiere le spiegò che poteva prelevare qualsiasi importo fino a 3.000,00 €.

“Perfetto, per cortesia mi dia 3.000,00 € ora!”

Il cassiere effettuò l’operazione e consegnò gentilmente 3.000,00 € alla signora, in modo molto amichevole e con un sorriso.
La vecchia signora, dopo aver preso i soldi, mise 20,00 € nella borsa, dopodiché chiese al cassiere di depositare 2.980,00 € sul suo conto.

Non essere difficile con le persone anziane, hanno passato una vita a imparare l’abilità!

Brano senza Autore

La banca del tempo

La banca del tempo

Immagina che esista una banca che ogni mattina accredita la somma di 86.400 euro sul tuo conto, non conservando, però, il tuo saldo giornaliero rimanente.
Questa banca, infatti, ogni notte cancella qualsiasi quantità di denaro che non sia stata usata durante il giorno.
Che faresti?
Ritireresti e spenderesti tutto fino all’ultimo centesimo ogni giorno, ovviamente.
Ebbene, ognuno di noi possiede un conto in questa banca…

Il suo nome?

Tempo.
Ogni mattina essa ti accredita 86.400 secondi; ogni notte questa banca cancella e da, come persa, qualsiasi quantità di questo credito che tu non abbia investito in un buon proposito.
Questa banca non conserva saldi né permette trasferimenti.
Ogni giorno ti apre un nuovo conto.
Ogni notte elimina il saldo del giorno.
Se non utilizzi il deposito giornaliero, la perdita è tua.
Non si può fare marcia indietro, non esistono accrediti sul deposito di domani.
Devi vivere nel presente con il deposito di oggi.
Investi in questo modo per ottenere il meglio nella salute, felicità e successo:

l’orologio continua il suo cammino!

Ottieni il massimo da ogni giorno.

Per capire il valore di un anno, chiedi ad uno studente che è stato bocciato.
Per capire il valore di un mese, chiedi ad una madre che ha partorito prematuramente.
Per capire il valore di una settimana, chiedi ad una ragazza che ha un ritardo.
Per capire il valore di un’ora, chiedi a due innamorati che aspettano di incontrarsi.
Per capire il valore di un minuto, chiedi a qualcuno che ha appena perso il treno.
Per capire il valore di un secondo, chiedi a qualcuno che ha appena evitato un incidente.
Per capire il valore di un milionesimo di secondo, chiedi ad un atleta che ha vinto la medaglia di argento alle Olimpiadi.

Dai valore ad ogni momento che vivi e dagli ancor più valore se lo potrai condividere con una persona speciale, tanto speciale, da dedicarle il tuo tempo…

E ricorda che il tempo non aspetta nessuno!

Ieri? Storia.
Domani? Mistero.
È per questo che esiste il presente.

Brano senza Autore
Non aver paura del domani, perché in fondo oggi è il giorno che ti faceva paura ieri.

Peppino e la torre maledetta

Peppino e la torre maledetta

C’era una volta un villaggio costruito in una valle lunga e stretta, in mezzo a montagne alte e rocciose, che si spalancavano qua e là in distese di prati e di pascoli.
Gli abitanti del villaggio erano moderatamente soddisfatti:
le loro mucche e le loro pecore erano ben pasciute, latte e formaggio si vendevano bene, anche se il mercato era lontano.
Ma sulla loro felicità aleggiava un’ombra nera.
L’ombra nera della Torre Maledetta.
La Torre Maledetta era una ruvida formazione rocciosa che chiudeva la valle e incombeva sul villaggio impedendogli di essere illuminato dal sole, se non pochi minuti all’alba e altrettanto pochi al tramonto.
Per il resto del giorno il sole illuminava solo i fianchi più alti della valle.
Così il villaggio passava la sua giornata all’ombra.

Per colpa della Torre Maledetta.

A Peppino, un giovane dall’aria sveglia e dal carattere aperto e deciso, la cosa non andava proprio giù.
Gli sarebbe tanto piaciuto avere un giardino davanti alla casa, con i fiori e un ciliegio e due albicocchi e un melo.
Ma non sbocciavano fiori nel villaggio, né ortaggi, perché c’era troppo poco sole.
Chi voleva un orto doveva andare a coltivarlo lontano dal villaggio.
Per questo molti andavano ad abitare altrove e, piano piano, il villaggio perdeva abitanti.
Il villaggio rischiava di morire per colpa della Torre Maledetta.
Era l’unica cosa che riusciva a guastare il buonumore di Peppino.
Ogni mattino, mentre si stirava sul balcone della sua camera e si lasciava accarezzare dai raggi del sole, prima che fossero inghiottiti dall’ombra, fissava la superba roccia nera con gli occhi che mandavano lampi di dispetto.
“Accidenti, accidentaccio.” Brontolava, “Un villaggio senza fiori, senza farfalle e senza canzoni è un villaggio senza bambini, un villaggio che muore…”
Girava gli occhi sui tetti d’ardesia che avevano riflessi d’argento e sui camini che con il loro fumo facevano propaganda alla fragrante polenta che borbottava nei paioli di rame, pensava agli abitanti che conosceva tutti per nome, cognome e soprannome e si diceva:
“Devo assolutamente fare qualcosa…
Sono il più giovane del villaggio e quindi tocca a me!”
Un mattino, appena il sole si nascose dietro la parete nera della Torre prese la decisione.
Si mise sulle spalle il piccone nuovo che aveva comprato alla fiera e si incamminò, con passo risoluto verso la montagna.

“Dove vai?” gli chiese la mamma.

“Vado a buttare giù la Torre Maledetta!” rispose semplicemente Peppino.
“Ma cosa dici?
Sei diventato matto?
Non ce la farai mai!”
“Qualcuno deve incominciare una buona volta!” ribadì caparbio.
Arrivato ai piedi della Torre, alzò lo sguardo verso l’immensa parete scura che incombeva su di lui con un vago senso di minaccia.
“A noi due!” disse Peppino.
Gli rispose un rombo cupo, come una grassa risata sussultante, che terminò nel sibilo maligno del vento.
“Comincerò dall’alto.” si disse e cominciò a salire.
La vetta della Torre aveva qualche chiazza di neve, ma Peppino non degnò di uno sguardo il panorama.
Alzò il piccone e lo abbatté con tutte le sue forze contro la roccia.
“Tò, beccati questo!”
Con un po’ di sorpresa, si accorse che il suo colpo di piccone aveva staccato un grosso blocco di pietra che lentamente rotolò giù dalla vetta, trascinandosi dietro un corteo di sassi più piccoli.
“Allora si può!” esultò.

Moltiplicò i colpi, con rabbia, con gioia.

“Aprirò la strada al sole!”
Dopo qualche ora si buttò a terra, sudato, spossato.
E guardò il risultato della sua opera.
Aveva buttato giù un bel po’ di sassi, ma non aveva abbassato la Torre neanche di un millimetro. “Dovessi impiegarci tutta la vita ce la farò!” si disse.
Ma gli sembrò di riudire il rombo sussultante che era la risata di scherno della Torre.
Si rialzò e riprese a picchiare con il piccone.
“Beccati questo!
E anche questo!” gridava sbrecciando, scheggiando, frantumando le rocce della vetta.
Passò quel giorno e quello dopo.
Così per un mese.
Ogni mattina, Peppino rinnovava la sua sfida alla Torre Maledetta.
Ma il risultato non era granché: l’immane picco sembrava più alto e saldo che mai.
“Lascia perdere!” gli dicevano i concittadini, che cominciavano a crederlo un po’ matto, “Tanto ci siamo abituati.”
Scuotendo la testa, Peppino insisteva:
“Farò arrivare il sole sul vostro balcone tutto il giorno…
E sbocceranno i fiori nella piazza.”

Tornava lassù e ricominciava a picconare.

Dopo qualche mese, il «pic… pic…» del suo piccone divenne un rumore familiare per le pecore e le mucche degli alti pascoli.
Ma era così grande e solida quella roccia…
Un mattino, però, successe una cosa straordinaria.
Peppino stava spingendo giù dalla Torre un grosso masso che aveva appena staccato, quando udì chiaramente una vocina che lo chiamava:
“Peppino, Peppino!”
Si guardò intorno sorpreso.
La voce riprese a chiamare.
La cosa più strana era che la voce proveniva da dentro la montagna.
“Dove sei?” chiese Peppino.
“Qui, sotto i tuoi piedi, dentro la roccia!” rispose la vocina.
Peppino si inginocchiò e scrutò con attenzione nel buco lasciato dal masso.
Sul fondo si apriva una fessura e, dentro la fessura, piccola piccola si agitava una manina bianca. “Liberami!” implorò la vocina.
Impugnò il piccone e in poco tempo scavò fino ad arrivare alla mano, poi continuò con attenzione e infine si trovò davanti una bambina dagli occhi color lago alpino e vestito color spuma di torrente.
“Grazie!” disse la bambina, mentre Peppino la guardava con l’aria stralunata.
“Sono la fata delle sorgenti, ma il maligno architetto della Torre mi ha imprigionata.
Ma ora che mi hai liberata, il tuo desiderio si avvererà!”

“E come farai?

Sei così piccola e fragile!” chiese Peppino.
“Con la pazienza, un po’ di tempo e la forza dell’acqua!” sorrise la fatina.
Alzò la mano, come fosse il cenno di attacco di un direttore d’orchestra.
Mille gorgoglii, saltelli, risate, sciacquii riempirono l’aria.
Mille sorgenti sbocciarono sulla Torre Maledetta.
Piccole all’inizio, si riunirono a formare ruscelli, torrenti, cascate.
E ognuno di essi incideva, smerigliava, scavava, trasportava a valle ghiaia, sassi, detriti.
“Stanno facendo a pezzi la Maledetta!” gridò Peppino e fece volare in aria il cappello.
Voleva ringraziare la fata delle sorgenti, ma quella non c’era più.
Corse a dare la notizia al villaggio, che adesso era fiancheggiato da un torrente giovane e forte che scendeva dalla Torre Maledetta.
Oggi quel villaggio è inondato dal sole dal mattino alla sera, ed è pieno di fiori, farfalle e bambini.
Al posto della Torre c’è una serie di piccole rocce smozzicate, coperte dal muschio e dai cespugli.
Ci vanno i vecchietti a cercare i funghi.

Brano tratto dal libro “Storie belle e buone.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi

L’amore, il discepolo ed il saggio

L’amore, il discepolo ed il saggio

Un giovane discepolo andò da un saggio e gli disse:
“Maestro ditemi una parola.
Quando un uomo ama è sa di essere amato è la persona più felice di questo mondo.

Ma come si fa ad imparare ad amare?”

“Beh,” rispose il saggio, “potresti iniziare a mettere in pratica queste regole:

  1. Non dare mai un’immagine falsa di se stessi.
  2. Dire sempre di sì, quando è sì, e no, quando è no.
  3. Mantenere la parola data, anche e soprattutto se costa.
  4. Guardare gli altri ad occhi aperti, cercando di conoscere i pregi e i difetti.
  5. Accogliere degli altri non solo i pregi ma anche i difetti e viceversa.
  6. Esercitarsi a perdonare.
  7. Dare agli altri il meglio di se stessi, senza nascondere loro i propri difetti.
  8. Riprendere il rapporto con gli altri anche dopo delusioni e tradimenti.
  9. Imparare a chiedere scusa, quando ci si accorge di aver sbagliato.
  10. Condividere gli amici, vincendo la gelosia.
  11. Evitare amicizie possessive e chiuse.
  12. Dare agli altri anche quando gli altri non possono darci niente.”
Il discepolo con uno sguardo perplesso disse:

“Sono regole belle ma difficili da vivere!”
“Perché, chi ti ha detto che amare è facile?” rispose il saggio, “Non esiste l’amore facile, non esiste l’amore a buon mercato.
Non esiste la felicità facile, non esiste la felicità comprata a prezzi di saldo.
Tutti cercano l’amore ma pochi sono disposti a pagare il prezzo per ottenerlo: il sacrificio!
Imparare ad amare richiede un lungo cammino e un lungo tirocinio.

È difficile, ma non impossibile!”

“Quando potrò dire a me stesso di aver imparato ad amare?” disse il discepolo.
“Mai. Perché la misura dell’amore è amare senza misura.” esclamò il saggio.

Brano senza Autore, tratto dal Web