Inoltre, fai attenzione a ciò che tolleri:
stai insegnando agli altri come trattarti.
Infatti, peggio della superbia di chi non ammette di aver sbagliato, c’è l’arroganza di chi non sa dire:
“Hai ragione, scusa!”
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Le scarpette d’oro della Madonna
Le scarpette d’oro della Madonna
Una vedova, che aveva due figlie, riusciva a mantenere la famiglia filando giorno e notte.
La mattina della festa della Madonna del Rosario, la vedova andò a riportare il filato dalle varie comari sperando che le pagassero il lavoro.
Invece non riuscì a riscuotere neanche un soldo, perché tutti avevano una scusa per non pagare.
La donna, prima di ritornare a casa,
si fermò in Chiesa e si mise a pregare davanti alla statua della Madonna del Rosario.
“Santa Madre di Dio, voi che siete mamma, mi sapete dire che cosa darò oggi da mangiare alle mie povere figlie?
Non ho di che accendere il fuoco, né farina né pane:
aiutatemi voi, perché sono alla disperazione!”
La Madonna ebbe compassione della povera vedova:
allungò il piede e le gettò la sua scarpetta d’oro.
La donna, tremante di gioia, andò sulla piazza dove c’era un’orefice e gli mostrò la scarpetta per vendergliela.
Questi, però, riconobbe subito la scarpetta della Madonna:
chiamò le guardie e la donna fu messa in prigione.
Prima della condanna essa chiese di poter pregare un’ultima volta davanti alla statua della Madonna del Rosario.
Il favore le fu accordato.
“Santa Madre di Dio!” supplicò la vedova quando fu davanti alla statua, “È vero o no che la scarpetta me l’avete data voi e non sono stata io a rubarvela?”
Tutti stavano muti a guardare, ed ecco che la statua cominciò a muoversi, il viso piano piano prese colore, la Madonna sollevò il piede e gettò l’altra scarpetta verso la vedova.
Allora la gente gridò al miracolo.
Chi piangeva, chi rideva.
La vedova se ne tornò libera dalle sue figlie con le scarpette d’oro della Madonna.
Brano tratto dal libro “Mese di maggio per i bambini.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.
Il seme più piccolo (Il seme di senape)
Il seme più piccolo
(Il seme di senape)
Non si sa come fosse capitato proprio là, ma nella manciata di grossi e lucidi grani di frumento c’era un granellino nero nero, così piccolo che era quasi invisibile.
Il contadino buttò la manciata di semi nella terra aperta dall’aratro.
Con grande dignità e profonda consapevolezza della loro missione, i semi di grano presero posto nelle loro culle di buona e profumata terra.
Ma quando arrivò il semino nero, scoppiò tra le zolle una gran risata.
“Pussa via, sgorbietto inutile!” brontolò stizzito un grosso seme di frumento che si era ricevuto il semino nero proprio sulla pancia.
“Chiedo scusa, signore.” mormorò il granellino, “Sono spiacente!”
“È il seme più ridicolo che mi sia capitato di vedere!” sbraitò il bulbo di una cipolla selvatica.
Le erbe del fossato, vecchie e pettegole, cominciarono a dire malignità di ogni sorta sui semi moderni che ciondolano qua e là e non riescono a combinare niente.
Anche i semi di papavero ridevano e l’avena, già alta, propagò al vento il suo parere:
“Divento gialla se ne uscirà una fogliolina sola!”
Il piccolo seme si sentì avvilito da quelle voci di disprezzo, che il vento, gran chiacchierone, sparpagliava dappertutto.
Si fece ancora più piccolo, in un cantuccio di terreno, ma non si scoraggiò.
Non aveva nessuna intenzione di mancare alla sua missione.
Qualcosa era pur capace di fare!
Sognò di crescere alto fino a sovrastare anche le canne dello stagno…
“Chissà se l’avena diventerà gialla per davvero.” pensò.
Voleva riuscirci a tutti i costi!
Lasciò che i grossi semi di frumento si crogiolassero pigramente deridendolo e facendosi beffe della sua piccolezza.
Egli affondò subito le radici nel terreno umido e pieno di squisito nutrimento.
Fu un inverno faticosissimo per lui.
Gli altri semi si godevano il tepore profumato della terra, facevano le cose con calma.
Giocavano a carte o agli indovinelli per passare il tempo.
Il piccolo seme invece ce la metteva tutta.
Sbuffava, sudava, ma impegnava nella sfida tutte le sue forze.
C’era freddo fuori!
Non importava.
Il piccolo stelo si aprì la strada verso il cielo senza paura.
Venne l’estate.
I viandanti che percorrevano la stradina accanto al campo di grano si fermavano e additavano meravigliati una pianta alta e rigogliosa che dominava la distesa del grano.
Un mattino dorato passò anche il Signore.
Chiacchierava con i suoi apostoli, parlando loro dei gigli del campo e degli uccelli dell’aria.
Giunto davanti alla pianta sì fermò e la guardò con intensità.
I passerotti smisero di far chiasso e anche il vento, che si divertiva a far frusciare gli steli del grano e ad arruffare l’erba del fosso, tacque sospeso.
Gesù sapeva l’enorme fatica del piccolo seme nell’inverno e volle coronare la fiducia che aveva avuto in se stesso.
Disse:
“Guardate il granello di senape.
È il più piccolo di tutti i semi, ma quando è cresciuto, è più grande di tutte le piante dell’orto; diventa un albero, tanto grande che gli uccelli vengono a fare il nido in mezzo ai suoi rami.”
Il frumento, che si aspettava qualche elogio sulla sua importanza, quasi seccò per l’invidia.
Il piccolo seme nero, là sotto, esplodeva di gioia.
Brano tratto dal libro “Tutte storie. Per la catechesi, le omelie e la scuola di religione.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.
Il Re scricciolo
Il Re scricciolo
Un giorno, tanto tempo fa, un orso grande e grosso sentì dire che lo scricciolo era il Re degli uccelli.
Lo scricciolo però è un uccellino così piccolo, ma così piccolo che l’orso non voleva credere che fosse Re.
Decise perciò di ficcare il suo nasone nella reggia del sovrano.
“Puah!” brontolò ad alta voce, “Questa sarebbe una reggia?
Lo scricciolo è solo il Re degli straccioni!”
Ma nel nido c’erano i piccolini dello scricciolo, così minuscoli da essere quasi invisibili.
Sentendo le parole dell’orso saltarono su offesi e senza paura si misero a gridare:
“Chiedi subito scusa, maleducato!”
L’orso se ne andò sghignazzando.
Poco dopo tornarono Re e Regina scriccioli.
I piccoli raccontarono subito che cosa era accaduto.
“Non sia mai detto che i miei piccoli vengano offesi!” disse il Re, “Dichiarerò subito guerra all’orso!”
E così fece.
Quando l’ambasciatore piccolo piccolo di Re scricciolo andò a dichiarare la guerra, l’orso gigantesco rise ancora più forte e la sua risata soffiò via l’ambasciatore, che era un moscerino.
Intanto l’esercito di Re scricciolo si radunava.
C’erano tutti gli animaletti con le ali: uccellini, farfalle, mosche, api…
Anche l’orso radunò il suo esercito.
C’erano tutti gli animali più grossi a quattro zampe: lupi, cavalli, elefanti…
Il comando supremo era affidato alla volpe, perché era la più astuta.
Prima di partire per la battaglia, la volpe spiegò il suo piano ai soldati:
“Seguitemi e vi porterò alla vittoria!
La mia coda sarà il segnale.
Finché starà ritta avanzate e picchiate sodo.
Soltanto se mi vedrete abbassare la coda, vorrà dire che le cose vanno male e dobbiamo scappare, ma questa è un’eventualità da non prendere neppure in considerazione…”
Nascosta nel cespuglio vicino, c’era una libellula del controspionaggio.
Subito volò dal Re a raccontare quello che aveva udito.
“Bene.” disse il Re, “Quando la volpe verrà avanti, la zanzara vada a pungerla sotto la coda!”
I due eserciti si fronteggiarono.
La volpe aveva la coda ben dritta e, dietro di lei, orsi e lupi ironizzavano sui nemici.
Ma la zanzara piccola piccola volò sotto la coda della volpe e cominciò a pungerla e a pungerla finché essa fu costretta ad abbassare la coda per il dolore.
Vedendo la volpe con la coda abbassata, i soldati dell’orso pensarono:
“Abbiamo perso!” e fuggirono a gambe levate.
E questa volta risero Re scricciolo e i suoi coraggiosi piccolini.
Brano tratto dal libro “C’è ancora qualcuno che danza.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.
Il pane buono (La ragazza rom)
Il pane buono
(La ragazza rom)
Tempo fa, sul cader della sera di un sabato qualunque, in una bella e profumata giornata primaverile, stavo innaffiando l’erba ed i fiori del piccolo giardino che adorna la nostra casa, assorto nei lieti pensieri del dolce far niente.
Davanti al cancello, all’improvviso, apparve la figura di una ragazzina.
Chiaramente una Rom, una zingara:
il suo volto ed il suo cencioso abbigliamento non lasciavano certo spazio a dubbi in tal senso.
Con un italiano piuttosto stentato mi chiamò e mi disse:
“Dio ti benedica te e tua famiglia, mi dai pane vecchio per mangiare?”
Le risposi:
“Dove abiti?” (curioso, vero? Quando Dio ci parla, capita spesso che di primo acchito cambiamo discorso)
“Là, vicino fiume Mella!” replicò.
“E di cosa vivi?” le domandai.
“Di quello che mi danno!” esclamò.
“Non vai a scuola?” proseguì.
“No, mai andata!” mi rispose.
“E i tuoi genitori cosa dicono?” chiesi ancora.
“Padre non so, non vedo da tanto, lui carcere; madre dice:
andare prendere qualcosa da mangiare.
Mi dai pane vecchio?” mi chiese nuovamente.
“Sì, certo, scusa, volevi del pane vecchio.
Ho quello fresco, buono, di oggi, vado dentro a prenderti quello!” le dissi mentre mi stavo girando per entrare in casa.
“Buono, hai già dato!” rispose.
Brano senza Autore.
Un sorriso in giro per il mondo
Un sorriso in giro per il mondo
C’era una volta un sorriso che se ne andava a spasso per il mondo.
Era un sorriso cordiale, allegro, affettuoso.
Era felice come può esserlo un sorriso e ogni tanto fischiettava.
Arrivò un giorno in una cittadina dove gli abitanti e il traffico erano particolarmente nervosi.
Stava giudiziosamente aspettando il verde ad un semaforo,
quando due auto si urtarono.
Si arrestarono stridendo sul ciglio della strada, le portiere si aprirono e dalla prima auto balzò fuori un uomo con un cipiglio feroce.
In modo fulmineo il sorriso si attaccò alla sua bocca e gli illuminò il volto con una luce arrendevole, disponibile, amichevole.
La signora irritata che stava venendo fuori dall’altra auto con i pugni chiusi rimase interdetta, sorpresa e stupita.
Poi sorrise anche lei:
“Chiedo scusa, è colpa mia!” disse subito.
“Capita! Pazienza…” rispose l’uomo, “Prendiamo un caffè insieme?”
Il sorriso riprese il suo cammino.
Fece sorridere l’impiegata dell’ufficio postale e tutta la fila di gente in attesa fiorì di chiacchiere.
Passò sul viso di un insegnante e gli studenti cominciarono a stare attenti.
Si fermò sulla faccia di un professore del policlinico e gli ammalati si sentirono meglio.
Poi toccò ad un capoufficio, alla cassiera del suo supermercato, ad un marito che tornava a casa, a due ragazzini che si erano sempre detestati …
Alla sera, il sorriso ripartì.
Era un po’ stanco, ma la cittadina era più felice.
Brano senza Autore.
Quello che…
Quello che…
Quello che ci siamo sentiti dire da bambini:
stai fermo, muoviti, fai piano, sbrigati, non toccare, stai attento, mangia tutto, lavati i denti, non ti sporcare, ti sei sporcato, stai zitto, parla t’ho detto, chiedi scusa, saluta, vieni qui, non starmi sempre intorno, vai a giocare, non disturbare, non correre, non sudare, attento che cadi, te l’avevo detto che cadevi, peggio per te, non stai mai attento, non sei capace, sei troppo piccolo, lo faccio io, ormai sei grande, vai a letto, alzati, farai tardi, ho da fare, gioca per conto tuo, copriti, non stare al sole, sta al sole, non si parla con la bocca piena.
Quello che avremmo voluto sentirci dire da bambini:
ti amo, sei bello, sono felice di averti, parliamo un po’ di te, troviamo un po’ di tempo per noi, come ti senti, sei triste, hai paura, perché non hai voglia, sei dolce, sei morbido e soffice, sei tenero, raccontami, che cosa hai provato, sei felice, mi piace quando ridi, puoi piangere se vuoi, sei scontento, cosa ti fa soffrire, che cosa ti ha fatto arrabbiare, puoi dire tutto quello che vuoi, ho fiducia in te, mi piaci, io ti piaccio, quanto non ti piaccio, ti ascolto, sei innamorato, cosa ne pensi, mi piace stare con te, ho voglia di parlarti, ho voglia di ascoltarti, quando ti senti più infelice, mi piaci come sei, è bello stare insieme, dimmi se ho sbagliato.
Ci sono accanto a te molte persone adulte che
ancora aspettano le parole che avrebbero voluto sentire da bambini.
Tormentando il manico della borsetta, una donna diceva:
“So che mio marito sa essere tenero e affettuoso.
Con il cane si comporta così!”
Brano tratto dal libro “L’importante è la rosa.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.
La ragazza ed il barbone
La ragazza ed il barbone
Un giorno, mentre passeggiava per strada, una ragazza notò un barbone che cantava in cambio di qualche monetina.
Non ci fece troppo caso ed entrò in una caffetteria.
Qualche minuto dopo aver presto posto ed aver ordinato, vide entrare il barbone.
Questi iniziò a contare le monetine, vicino a lei, ma con le offerte ricevute aveva raccolto solo poco più di un euro.
Titubante e deluso si avviò verso l’uscita,
ma la ragazza, avendo assistito a tutta la scena, impulsivamente, decise di offrigli un caffè ed un bel panino.
Il barbone indeciso se accettare o meno si convinse solamente quando la stessa ragazza lo invitò al suo tavolo.
Nonostante fosse rimasto sorpreso e combattuto dalla proposta si sedersi con lei, alla fine la raggiunse.
Iniziarono a parlare ed il barbone le fece diverse confidenze.
Le raccontò che la maggior parte delle volte le persone erano cattive nei suoi confronti,
solo per il fatto che vivesse per strada.
Le ammise anche che furono le droghe a farlo finire per la strada e che per questo si odiava.
Lui continuava a sognare di essere il figlio del quale la propria madre possa essere orgogliosa, nonostante la donna fosse morta per un tumore diversi anni prima.
I due parlarono per più di un’ora, ma ad un certo punto la ragazza si rese conto che il tempo era trascorso in fretta e che si era fatto molto tardi.
Nel momento in cui la ragazza stava per alzarsi, il barbone le chiese di aspettare solo un momento e si mise a scrivere qualcosa su un foglietto tutto spiegazzato.
Le diede il foglio di carta in mano e le chiese scusa per la sua brutta lettera, poi si salutarono.
Quando la ragazza aprì il biglietto capì di aver fatto qualcosa di molto più importante che offrire un semplice pasto ad un mendicante.
Sul foglietto c’era scritto:
“Mi sarei voluto suicidare oggi, ma grazie a te non lo voglio più fare.
Grazie bella persona.”
A volte un gesto generoso o solamente un sorriso possono fare la differenza, più di quanto possiamo immaginare.
Storia vera, liberamente ispirata al racconto autobiografico di Casey Fisher
L’amore, il discepolo ed il saggio
L’amore, il discepolo ed il saggio
Un giovane discepolo andò da un saggio e gli disse:
“Maestro ditemi una parola.
Quando un uomo ama è sa di essere amato è la persona più felice di questo mondo.
Ma come si fa ad imparare ad amare?”
“Beh,” rispose il saggio, “potresti iniziare a mettere in pratica queste regole:
- Non dare mai un’immagine falsa di se stessi.
- Dire sempre di sì, quando è sì, e no, quando è no.
- Mantenere la parola data, anche e soprattutto se costa.
- Guardare gli altri ad occhi aperti, cercando di conoscere i pregi e i difetti.
- Accogliere degli altri non solo i pregi ma anche i difetti e viceversa.
- Esercitarsi a perdonare.
- Dare agli altri il meglio di se stessi, senza nascondere loro i propri difetti.
- Riprendere il rapporto con gli altri anche dopo delusioni e tradimenti.
- Imparare a chiedere scusa, quando ci si accorge di aver sbagliato.
- Condividere gli amici, vincendo la gelosia.
- Evitare amicizie possessive e chiuse.
- Dare agli altri anche quando gli altri non possono darci niente.”
Il discepolo con uno sguardo perplesso disse:
“Sono regole belle ma difficili da vivere!”
“Perché, chi ti ha detto che amare è facile?” rispose il saggio, “Non esiste l’amore facile, non esiste l’amore a buon mercato.
Non esiste la felicità facile, non esiste la felicità comprata a prezzi di saldo.
Tutti cercano l’amore ma pochi sono disposti a pagare il prezzo per ottenerlo: il sacrificio!
Imparare ad amare richiede un lungo cammino e un lungo tirocinio.
È difficile, ma non impossibile!”
“Quando potrò dire a me stesso di aver imparato ad amare?” disse il discepolo.
“Mai. Perché la misura dell’amore è amare senza misura.” esclamò il saggio.