Quando ho cominciato ad amarmi davvero…

Quando ho cominciato ad amarmi davvero…

Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho capito di trovarmi sempre ed in ogni occasione al posto giusto nel momento giusto e che tutto quello che succede va bene.
Da allora ho potuto stare tranquillo.
Oggi so che questa si chiama… Autostima.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero, mi sono reso conto che la sofferenza e il dolore emozionali sono solo un avvertimento che mi dice di non vivere contro la mia verità.
Oggi so che questa si chiama… Autenticità.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho smesso di desiderare un’altra vita e mi sono accorto che tutto ciò che mi circonda è un invito a crescere.

Oggi so che questa si chiama… Maturità.

Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho capito com’è imbarazzante aver voluto imporre a qualcuno i miei desideri, pur sapendo che i tempi non erano maturi e la persona non era pronta, anche se quella persona ero io.
Oggi so che questo si chiama… Rispetto.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero, mi sono liberato di tutto ciò che non mi faceva del bene:
cibi, persone, cose, situazioni e da tutto ciò che mi tirava verso il basso allontanandomi da me stesso, all’inizio lo chiamavo “sano egoismo”, ma oggi so che questo è…

Amore di sé.

Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho smesso di privarmi del mio tempo libero e di concepire progetti grandiosi per il futuro.
Oggi faccio solo ciò che mi procura gioia e divertimento, ciò che amo e che mi fa ridere, a modo mio e con i miei ritmi.
Oggi so che questa si chiama… Semplicità.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho smesso di voler avere sempre ragione.
E così ho commesso meno errori.
Oggi mi sono reso conto che questa si chiama… Umiltà.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero, mi sono rifiutato di vivere nel passato e di preoccuparmi del mio futuro.

Ora vivo di più nel momento presente, in cui tutto ha un luogo.

È la mia condizione di vita quotidiana e la chiamo… Pienezza.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero e ad amare, mi sono reso conto che il mio pensiero può
rendermi miserabile e malato.
Ma quando ho imparato a farlo dialogare con il mio cuore, l’intelletto è diventato il mio migliore alleato.
Oggi so che questa si chiama… Saper vivere!

Brano di Sir Charles Spencer “Charlie” Chaplin

Un uomo e una donna (La parola di Dio)

Un uomo e una donna
(La parola di Dio)

Approfittando della bella giornata, una giovane donna aveva accompagnato i suoi due bambini ai giardini pubblici e, seduta su una panchina, leggeva un grosso libro con evidente interesse.
Alzava gli occhi soltanto per dare un’occhiata ai due bambini e sorridere loro.

Perché anche loro la tenevano d’occhio.

Sulla panchina accanto un uomo elegante, che fumava con aria annoiata, osservava la donna.
Dopo qualche minuto, le fece una domanda:
“Che cosa sta leggendo di così interessante?”
“Oh, è la Bibbia!
La Parola di Dio!” rispose gentilmente la donna.
L’uomo assunse un’aria scettica e con tono di vanitosa superiorità chiese:

“La Parola di Dio?

Chi gliel’ha detto?”
“È così evidente!” rispose la donna con semplicità e sorrise ai bambini incuriositi e intimiditi dalla presenza dello sconosciuto.
“Parola di Dio, nientemeno.
Come fa a saperlo?” domandò nuovamente l’uomo.
La donna alzò gli occhi verso il cielo e replicò tranquillamente:

“Come fa a sapere che in cielo c’è il sole?”

“Mi pare elementare:
scalda e illumina tutto!” rispose l’uomo.
“Proprio così!” continuò la donna con un lampo di gioia negli occhi, “Le parole di questo libro scaldano la mia vita e la illuminano.
Questo è l’effetto della Parola di Dio!”

Brano senza Autore

Il giocoliere di Notre Dame

Il giocoliere di Notre Dame

C’era un giocoliere, nativo di Compiègne, paesino nel nord-est della Francia, che tanti secoli fa girava le piazze dei paesi divertendo la gente con i suoi giochi di destrezza.
Un suo pezzo forte era quello di mettersi con la testa all’ingiù e, sostenendosi sulle mani, buttare in aria sei palle di rame e prenderle con i piedi.
Un altro numero rinomato era quello di arrotolarsi come una palla in modo che i suoi piedi toccassero la nuca e in quella posizione maneggiare dodici coltelli.
La gente sbarrava gli occhi per la meraviglia e volentieri sganciava qualche monetina.
Durante la buona stagione, la cosa funzionava discretamente e Barnabé, questo era il nome dell’uomo, viveva dignitosamente.
La situazione, invece, diventava molto difficile con l’arrivo dell’autunno e dell’inverno, quando,

a causa del freddo, non si poteva esibire.

Il nostro amico pativa la fame, ma lui era timorato di Dio e molto devoto della Vergine Maria, perciò non si lamentava, tantomeno imprecava o bestemmiava come invece facevano altri giocolieri.
Un giorno, nel suo vagabondare da un paese all’altro, incontrò un monaco, a cui aprì il cuore:
gli disse che il suo sarebbe stato il più bel mestiere del mondo, se non fosse stato per le ristrettezze e la fame che tante volte era costretto a sopportare.
Al che il suo compagno di strada ribatté che il più bello stato di vita era quello dei monaci, perché in convento essi potevano celebrare ogni giorno le lodi a Dio, alla Vergine ed ai Santi, sicché la loro vita era un continuo cantico al Signore.
Nella semplicità del suo cuore, Barnabé restò ammaliato dal racconto e chiese di entrare in convento.
Quando arrivò in convento, vide che tutti i monaci, secondo le loro doti e capacità,

servivano Dio e veneravano la Vergine:

alcuni scrivendo dei libri e degli inni, altri dipingendo o facendo delle miniature, altri ancora scolpendo o svolgendo i lavori più umili…
Barnabé, ignorante com’era, si rese conto di non saper fare nulla di tutto questo e si senti immediatamente molto triste ed umiliato.
Ad un certo punto, però, i suoi confratelli si accorsero che il suo umore era cambiato:
non era più triste e non si lamentava più.
Incuriositi ed insospettiti, lo pedinarono e, un giorno, lo scoprirono in cappella, dove davanti all’altare della Vergine stava eseguendo in suo onore i numeri che un tempo erano i più ammirati nelle piazze dei paesi:
quello con le sei palle di rame e quello con i dodici coltelli.

Che cosa gli era venuto in mente?

Di lodare la Vergine con le uniche cose che sapeva fare.
I monaci gridarono allo scandalo ed il priore, pur conoscendo la sua semplicità d’animo, lo considerò matto e tentò di trascinarlo a forza fuori dalla cappella, ma a quel punto successe qualcosa che fece rimanere tutti di stucco:
miracolosamente la Vergine scese dall’altare, si avvicinò a Barnabé e con il manto gli asciugò il sudore che gli rigava la fronte.

Favola medioevale.
Brano di Daniele Cunial

Crescendo impari

Crescendo impari

Crescendo impari che la felicità non è quella delle grandi cose.
Non è quella che si insegue a vent’anni, quando, come gladiatori si combatte il mondo per uscirne vittoriosi!
La felicità non è quella che affannosamente si insegue credendo che l’amore sia tutto o niente!
Non è quella delle emozioni forti che fanno il “botto” e che esplodono fuori con tuoni spettacolari!
La felicità non è quella di grattacieli da scalare, di sfide da vincere mettendosi continuamente alla prova.

Crescendo impari che la felicità è fatta di cose piccole ma preziose…

… ed impari che il profumo del caffè al mattino è un piccolo rituale di felicità, che bastano le note di una canzone, le sensazioni di un libro dai colori che scaldano il cuore, che bastano gli aromi di una cucina, la poesia dei pittori della felicità, che basta il muso del tuo gatto o del tuo cane per sentirti una felicità lieve.
Impari che la felicità è fatta di emozioni in punta di piedi, di piccole esplosioni che in sordina allargano il cuore, che le stelle ti possono commuovere e il sole far brillare gli occhi,
Impari che un campo di girasoli sa illuminarti il volto, che il profumo della primavera ti sveglia dall’inverno, e che sederti a leggere all’ombra di un albero rilassa e libera i pensieri.

Ed impari che l’amore è fatto di sensazioni delicate,

di piccole scintille allo stomaco, di presenze vicine anche se lontane, ed impari che il tempo si dilata e che quei cinque minuti sono preziosi e lunghi più di tante ore!
Ed impari che basta chiudere gli occhi, accendere i sensi, sfornellare in cucina, leggere una poesia, scrivere su un libro o guardare una foto per annullare il tempo e le distanze ed essere con chi ami.
Impari che sentire una voce al telefono, ricevere un messaggio inaspettato, sono piccolo attimi felici.
Impari ad avere, nel cassetto e nel cuore, sogni piccoli ma preziosi.

Ed impari che tenere in braccio un bimbo è una deliziosa felicità.

Impari che i regali più grandi sono quelli che parlano delle persone che ami!
Impari che c’è felicità anche in quella urgenza di scrivere su un foglio i tuoi pensieri, che c’è qualcosa di amaramente felice anche nella malinconia.
Ed impari che nonostante le tue difese, nonostante il tuo volere o il tuo destino, in ogni gabbiano che vola c’è nel cuore un piccolo-grande Jonathan Livingston.
Ed impari quanto sia bella e grandiosa la semplicità.

Brano tratto dal libro “Il gabbiano Jonathan Livingston.” di Richard Bach

Il cucciolo di cammello

Il cucciolo di cammello

Mongolia del Sud.
È primavera nel Deserto Dei Gobi, una famiglia di pastori nomadi alleva cammelli.

Tra aprile e maggio nascono i cuccioli, da sempre.

La vita quotidiana è fatta di rituali, mansioni da svolgere con costanza e umiltà, di tempeste di sabbia e di canti.
Una famiglia di pastori nomadi aiuta a far nascere un cammello del loro branco.
Il parto risulta essere molto difficile e doloroso per la madre, che stremata, dopo due giorni metterà alla luce un cucciolo di cammello albino.
Ma dopo la nascita, la madre non accetta questo suo piccolo così diverso.

Quindi gli rifiuta il latte e le cure materne.

Dopo tanti sforzi, i pastori mandano i loro figli nel deserto, alla ricerca di un musicista.
Finalmente arriva un violinista, e dopo alcuni giorni, la dolce musica e le carezze da parte di una donna, riescono a commuovere e intenerire la madre del piccolo cammello fino alle lacrime, riuscendo così a recuperare l’istinto materno, cominciando a nutrire e ad accudire il proprio cucciolo.

Brano tratto dal film-documentario sulla perdita dell’amore “La storia del cammello che piange.” di Luigi Falorni e Byambasuren Davaa.

Un film semplice e straordinario, che cerca di parlare con l’amore della natura.
Talvolta, le storie vere racchiudono in se stesse quella magia dell’incanto che nessuna finzione riesce ad eguagliare.
Non ci sono effetti speciali, costumi o sofisticate strategie in grado di competere con la bellezza che ci circonda.
Basta saper vedere con gli occhi del cuore e riscoprire la meravigliosa semplicità dello stupore.

La felicità – Fabio Volo


La felicità 
Fabio Volo
(a fine pagina troverete il video di questo brano, interpretato da Giovanni Scognamiglio con base musicale “Nuvole Bianche.” di Ludovico Einaudi)

Crescendo impari che la felicità non è quella delle grandi cose.
Non è quella che si insegue a vent’anni, quando, come gladiatori si combatte il mondo per uscirne vittoriosi!
La felicità non è quella che affannosamente si insegue credendo che l’amore sia tutto o niente!
Non è quella delle emozioni forti che fanno il “botto” e che esplodono fuori con tuoni spettacolari!
La felicità non è quella di grattacieli da scalare, di sfide da vincere mettendosi continuamente alla prova.

Crescendo impari che la felicità è fatta di cose piccole ma preziose…

… ed impari che il profumo del caffè al mattino è un piccolo rituale di felicità, che bastano le note di una canzone, le sensazioni di un libro dai colori che scaldano il cuore, che bastano gli aromi di una cucina, la poesia dei pittori della felicità, che basta il muso del tuo gatto o del tuo cane per sentirti una felicità lieve.
Impari che la felicità è fatta di emozioni in punta di piedi, di piccole esplosioni che in sordina allargano il cuore, che le stelle ti possono commuovere e il sole far brillare gli occhi,
Impari che un campo di girasoli sa illuminarti il volto, che il profumo della primavera ti sveglia dall’inverno, e che sederti a leggere all’ombra di un albero rilassa e libera i pensieri.
Ed impari che l’amore è fatto di sensazioni delicate, di piccole scintille allo stomaco, di presenze vicine anche se lontane, e impari che il tempo si dilata e che quei cinque minuti sono preziosi e lunghi più di tante ore!

Ed impari che basta chiudere gli occhi,

accendere i sensi, sfornellare in cucina, leggere una poesia, scrivere su un libro o guardare una foto per annullare il tempo e le distanze ed essere con chi ami.
Impari che sentire una voce al telefono, ricevere un messaggio inaspettato, sono piccolo attimi felici.
Impari ad avere, nel cassetto e nel cuore, sogni piccoli ma preziosi.
Ed impari che tenere in braccio un bimbo è una deliziosa felicità.

Impari che i regali più grandi sono quelli che parlano delle persone che ami!

Impari che c’è felicità anche in quella urgenza di scrivere su un foglio i tuoi pensieri, che c’è qualcosa di amaramente felice anche nella malinconia.
Ed impari che nonostante le tue difese, nonostante il tuo volere o il tuo destino, in ogni gabbiano che vola c’è nel cuore un piccolo-grande Jonathan Livingston.
Ed impari quanto sia bella e grandiosa la semplicità.

Brano tratto dal libro “Il Volo del Mattino.”