Il rabbino ed il guardiano

Il rabbino ed il guardiano

Una storia ebraica narra di un rabbino saggio e timorato di Dio che, una sera, dopo una giornata passata a consultare i libri delle antiche profezie, decise di uscire per la strada a fare una passeggiata distensiva.

Mentre camminava lentamente per una strada isolata,

incontrò un guardiano che camminava avanti e indietro, con passi lunghi e decisi, davanti alla cancellata di un ricco podere.
“Per chi cammini, tu?” chiese il rabbino, incuriosito.
Il guardiano disse il nome del suo padrone.

Poi, subito dopo, chiese al rabbino:

“E tu, per chi cammini?”
Questa domanda, conclude la storia, si conficcò nel cuore del rabbino.

E tu, per chi cammini?
Per chi sono tutti i passi e gli affanni di questa giornata?
Per chi vivi?

Puoi vivere solo per qualcuno.

Ad ogni passo, oggi, ripeti il suo nome.
Mai avrai avuto una giornata così leggera.

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

I cavalieri coraggiosi e Dio

I cavalieri coraggiosi e Dio

C’erano una volta due coraggiosi cavalieri.
Avevano affrontato battaglie, avventure rischiose e messo a repentaglio la vita al soldo di molti signori.
Una sera, uno dei due, guardando il sole che tramontava, disse:
“Mi resta un’ultima impresa!”

“Che cosa?” chiese l’altro.

“Voglio salire sulla montagna dove abita Dio!” esclamò il primo.
“Perché?” domandò il secondo.
“Voglio sapere perché ci carica di pesi e fardelli gravosi per tutta la vita e continua a pretendere sempre di più invece di alleggerire il nostro carico, ogni tanto almeno!” disse, amareggiato, il primo cavaliere.
“Verrò con te.
Ma io penso che Dio sappia quello che fa!” concluse l’altro.

Il viaggio fu lungo e faticoso.

Giunsero al monte di Dio.
Salivano in silenzio accanto ai cavalli poiché il sentiero era ripido e tormentato.
Già si intravedeva la sommità della montagna nella nebbia, quando una voce tuonò dall’alto:
“Prendete con voi tutte le pietre che trovate sul sentiero!”
“Lo vedi?” protestò il primo cavaliere, “È sempre la stessa storia!
Dopo tutta questa fatica, Dio ci vuole oberare ancora.
Io non ci sto più al suo gioco!”

E tornò indietro.

L’altro cavaliere invece fece quello che la voce aveva ordinato.
Impiegò molto tempo e, inoltre, la salita fu penosa.
Ma quando il primo raggio di sole del giorno le sfiorò le pietre ammassate sul cavallo e sulle braccia del cavaliere, queste brillarono di una luce limpidissima.
Si erano trasformate in splendidi diamanti di inestimabile valore.

Brano senza Autore

Christine e la Vergine del Carmelo

Christine e la Vergine del Carmelo
(Nostra Signora del Monte Carmelo, o anche del Carmine)

Christine era una buona madre ed un’ottima moglie, ma un triste e desolato giorno il suo giovane marito morì.
Un dolore immenso e rovente dilaniò la sua esistenza.
Niente riusciva ad attenuare la sua sofferenza.
Cercava invano brandelli di consolazione nei suoi bambini, che la fissavano smarriti.
Come specchi, gli umidi occhioni le rimandavano l’immagine del loro papà tanto amato.
Neanche più ricordava il tempo in cui lavorava cantando.
Il lavoro, come il pane, le era diventato amaro e pesante.
Una sera, rannicchiata nel letto, piangeva silenziosamente per non svegliare i bambini, quando le apparve una figura dolce e rassicurante, che la prese per mano.

Era la Vergine del Carmelo.

“Vieni con me, Christine!” le disse, “Vieni con me: ti porterò al Fiume della Pace.
Chiunque si bagna nelle sue acque, troverà la consolazione che cerca!”
Camminarono nella notte per molto tempo.
Ad un certo punto, Christine cominciò a sentire il rumore di acque scroscianti.
Un fiume immenso, dalle acque pure e trasparenti, scorreva davanti a loro.
“Immergiti nel Fiume della Pace!” le intimò la Vergine, “Le sue acque scioglieranno la tua pena e la tua angoscia!”

Christine si immerse.

Il suo corpo fu avvolto da un conforto pieno di vigore e serenità, una pace balsamica che guariva le sue ferite.
Dopo quell’immersione salutare, Christine chiese alla Madonna:
“Da dove viene quest’acqua miracolosa?”
“Sono le lacrime del mondo!” rispose la Vergine.
“Tutte le lacrime del mondo si raccolgono in questo fiume.
Lacrime amare, di paura, di dolore, di delusione, di sconfitta, di rabbia.
Ma anche le lacrime più dolci, quelle versate per amore, per il ritorno di una persona cara, per uno scampato pericolo!”
Christine udì i sospiri ed i gemiti di tutti coloro che avevano versato quelle lacrime, e comprese che anche le sue lacrime erano ormai un unico pianto, puro e indistinto, che scorreva nelle acque di quel fiume.

Si sentì in comunione totale con tutto il dolore e la gioia del mondo.

Fu in quel momento che la Madre di Dio le parlò del dolore di suo Figlio.
Christine sentì il pianto di Cristo davanti alla tomba di Lazzaro, il pianto nel Getsemani, il suo pianto ai piedi della croce.
Christine si ridestò improvvisamente, il cuscino era ancora bagnato, ma una pace profonda si era impadronita di lei…

Brano senza Autore

L’orsacchiotto di peluche e la renna

L’orsacchiotto di peluche e la renna

Misha era un orsacchiotto di peluche.
Aveva le piante dei piedi in velluto avana, una sciarpetta e un nasetto, sempre di velluto, marrone.
Apparteneva ad una bambina capricciosa, che a volte lo colmava di coccole e a volte lo sbatteva di malagrazia sul pavimento prendendolo per le delicate orecchie di stoffa.
Così, un bel giorno, Misha prese la più grande decisione della sua vita: scappare.
Approfittò della confusione dei giorni che precedevano il Natale, infilò la porta e si riprese la libertà.
Se ne andò nella neve battendo i tacchi, felice come non era mai stato.

In ogni angolo faceva scoperte meravigliose:

gli alberi, gli insetti, gli uccelli, le stelle.
Misha sgranava gli occhi:
era tutto così incredibilmente bello.
Venne la sera di Natale, quella in cui tutte le creature sono invitate a fare una buona azione.
Misha sentì i sonagli di una slitta.
Era una Renna che correva tirando una slitta carica di pacchetti avvolti in carta colorata.
La Renna vide l’orsacchiotto, si fermò e gli spiegò, con molta cortesia che sostituiva Babbo Natale, il quale era troppo vecchio e malandato e con tutta quella neve non poteva andare in giro a piedi.

La Renna invitò Misha a salire.

E così Misha cominciò a girare città e paesi sulla slitta magica di Babbo Natale.
Era proprio lui che deponeva in ogni camino un giocattolo o un regalino confezionato apposta.
Si divertiva, era pieno di gioia.
Se fosse rimasto il piccolo saggio giocattolo, avrebbe mai conosciuto una simile notte?
Ed ecco che arrivò l’ultima casa: una povera capanna ai margini del bosco.
Misha cacciò la mano nel gran sacco, cercò, frugò: non c’era più niente!
“Renna, o Renna!
Non c’è più niente nel tuo sacco!” disse l’orsacchiotto.

“Oh!” gemette la Renna.

Nella capanna viveva un ragazzino ammalato.
L’indomani, svegliandosi, avrebbe visto le sue scarpe vuote davanti al camino?
La Renna guardò Misha coi suoi begli occhi profondi.
Allora Misha sospirò, abbracciò con un colpo d’occhio la campagna dove gli piaceva tanto gironzolare tutto solo e, alzando le spalle, mettendo avanti una zampa dopo l’altra, uno-due, uno-due, per fare la sua buona azione di Natale, entrò nella capanna, si rannicchiò in una scarpa e aspettò il mattino.

Brano senza Autore

Gli acquisti della Vigilia di Natale (La commessa e la signora)

Gli acquisti della Vigilia di Natale
(La commessa e la signora)

Era la Vigilia di Natale e la commessa non vedeva l’ora di andarsene.
Pensava in continuazione alla festa che l’attendeva appena finito il lavoro.
Sentiva già i mormorii di ammirazione che l’avrebbero accompagnata mentre entrava vestita con l’abito da sera di velluto, con il cavaliere che la scortava…
Quando arrivò l’ultima cliente.
Mancavano solo cinque minuti alla chiusura.
“Non è possibile che venga proprio al mio banco!” pensò.

Finse di non sentire quando quella si schiarì la voce e disse piano:

“Signorina, signorina quanto costano quelle calze?”
“Credo che sul cartellino ci sia scritto 3 euro!” rispose brusca.
“Non ne avete di meno care?” domandò la signora.
“2 euro.” scattò guardando l’orologio.
“Mi faccia vedere quelle meno care, gentilmente.” chiese la signora.
“Spiacente signora, stasera chiudiamo alle 18,30 perché, se non lo sa, oggi è la Vigilia di Natale!” esclamò la commessa.
Siccome non apriva bocca si decise a guardarla.
Era pallida, aveva l’aria affaticata, le occhiaie profonde, non doveva avere neanche 30 anni.
“Ma i miei figli non hanno neanche un regalo.” disse alla fine tutta d’un fiato.
“Fino a stasera non avevo soldi!” spiego la signora.
“Mi dispiace per lei signora!” disse la commessa e se ne andò.
Non giunse fino al fondo del banco.
La donna non aveva detto una parola ma non le riuscì di fare un passo in più.
Quando si voltò notò nei suoi occhi l’espressione più triste che avesse mai visto.

Si ritrovò dietro al banco:

“D’accordo, signora, ma faccia presto!”
Un sorriso le illuminò il volto, e si mise a correre dai calzini ai nastri poi ai giradischi portatili.
Alla commessa quei pochi minuti sembravano lunghi come l’eternità.
Finalmente si decise per alcune paia di calze, per dei nastri colorati, un giradischi portatile e due dischi di fiabe natalizie.
La commessa gettò gli acquisti in un sacchetto e le diede il resto delle 25 euro.
Ormai non c’era più nessuno.
Andò di corsa negli spogliatoi e si infilò in fretta il vestito e corse fuori dal negozio incontro al suo “cavaliere” che l’attendeva in macchina, con il motore acceso.
Fu al terzo semaforo rosso che vide la donna del negozio:
camminava in fretta tenendo stretto contro il suo esile corpo il pacco dei doni per i suoi figli.
Il suo volto, che aveva perduto la patina di stanchezza, era ancora illuminato dal sorriso.
In quel breve istante qualcosa avvenne dentro di lei.

Non vide solo una donna:

vide i suoi quattro bambini che, il mattino dopo, si sarebbero infilati felici le calze nuove, messi i nastri nei capelli e avrebbero ascoltato le favole natalizie sul giradischi nuovo
Dona ora.
Grazie!

Brano tratto dal libro “Tutte storie. Per la catechesi, le omelie e la scuola di religione.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il regalo per Fabrizio

Il regalo per Fabrizio

“Devo fare qualcos’altro?” chiese la segretaria.
L’occupatissimo direttore sbirciò l’orologio e l’agenda:
“Dovremmo già essere fuori da un po’.
Non si combina più niente ormai!”

La segretaria sorrise:

“Veramente c’è ancora la lista dei regali di Natale di suo figlio.
Non dimentichi che fra tre giorni è Natale!”
“Meno male che almeno lei ci ha pensato!” esclamò il direttore.
L’indaffaratissimo direttore sospirò:
“Temo che il mio povero bambino sia un po’ arrabbiato con me.
E forse ha ragione.
Ho così poco tempo da dedicare alla mia famiglia.
Quando arrivo a casa alla sera, il bambino è già a letto.
Non ci parliamo quasi mai.
Ah! Ma almeno a Natale, voglio che abbia un bellissimo regalo!
Solo che non ho tempo…

Facciamo così:

me lo compri lei.
Non badi a spese.
Legga la lettera e compri tutto quello che il bambino vuole.”
La segretaria aprì la lettera e sorridendo scosse il capo:
“Eseguo sempre i suoi ordini, ma questa volta mi è proprio impossibile!”
“Perché no?
Possibile che ci sia qualcosa che non si può procurare oggi a un bambino di otto anni?
Che cosa avrà mai desiderato?
Mi faccia vedere, accidenti!” disse il direttore.
Senza parlare la segretaria tese al direttore la letterina del figlio.

L’uomo lesse:

“Caro papà, come regalo di Natale vorrei che tu per il prossimo anno tenessi da parte tutti i giorni (o quasi) mezz’ora di tempo per me.
Nient’altro.
Tuo figlio Fabrizio.”

Brano senza Autore

La leggenda della Stella di Natale

La leggenda della Stella di Natale

Anche a Città del Messico, nella lontana America, il Natale è una grande occasione di festa.
Tutti ne approfittano per sfoggiare vestiti nuovi, imbandire le tavole con cibi e bevande abbondanti e diversi dal solito, scambiarsi regali costosi e raffinati.
Che è poi quello che succede in gran parte del mondo.
Ma anche a Città del Messico ci sono persone che non possono permettersi di far festa neppure la Vigilia di Natale.
Una di queste, forse la più povera di tutte, si chiamava Ines.
Era una piccola e graziosa bambina indiana, grandi occhi neri nel visetto scuro, che anche la Vigilia di Natale vagava per il mercato grande a piedi nudi, sgranando gli occhi sulla mercanzia esposta sulle bancarelle:
trionfi di frutta colorata, dolci, tacchini e oche arrostiti, profumate patatine.
Tutte cose proibite per Ines, ricca solo del suo sorriso con cui cercava di intenerire i venditori, che le volevano bene e le regalavano sempre qualcosa.
La mamma le aveva cucito una grossa tasca sul davanti della gonna, e tutto quello che la bambina riceveva finiva in quella tasca.
Ogni giorno la piccola Ines la controllava perché nulla di quanto raccoglieva andasse perduto.

Il contenuto di quella tasca era preziosissimo:

quello era il cibo per i suoi fratellini e la mamma ammalata che aspettavano a casa.
Ines aveva l’occhio allenato a scoprire anche nei mucchi di rifiuti del mercato qualche cosa ancora in buono stato e la sua mano veloce sapeva sceglierlo con cura, ripulirlo, renderlo accettabile.
La sera della Vigilia di Natale, la tasca era colma più del solito.
Anche i suoi fratellini avrebbero fatto festa quella sera.
Ma Ines non era del tutto felice.
Aveva un piccolo ma insistente, segreto, cruccio.
A Città del Messico c’era una simpatica tradizione.
Nella Notte di Natale tutti i bambini della città portavano un fiore a Gesù Bambino nella chiesa della loro parrocchia.
C’era una specie di gara a chi portava il fiore più bello.
Ines desiderava portare anche lei un fiore a Gesù Bambino.
A volte si immaginava nel gesto di offrire, proprio lei, povera piccola bambina indiana, il fiore più bello.
Ma già faticava tanto a procurarsi un po’ di frutta e di verdura, come poteva procurarsi un fiore?
Aveva visto qualche fiore sui balconi più ricchi, altri fiori facevano capolino invitanti da cancelli di ferro battuto.

Era tentata di coglierli, ma non si può donare a Gesù un fiore rubato.

La piccola pensava con soddisfazione alle cose buone che portava ai fratellini, alla gioia con cui l’avrebbero accolta, ma non si decideva a tornare a casa.
Vagava inquieta, alla ricerca di un fiore, il più bello, quello che aveva visto solo nella sua fantasia.
La stradina tortuosa che portava al suo quartiere attraversava una zona di ruderi antichi.
Altre volte aveva visto tra le rovine ciuffi di foglie verdi con qualche fiore colorato.
Forse là avrebbe potuto trovare qualche fiore speciale da portare a Gesù Bambino.
Cautamente si addentrò tra i ruderi.
Girò, cercò, frugò attentamente tra le vecchie pietre, ma non c’era niente da fare.
Non c’era neppure un fiorellino.
Era quasi buio.
La mamma e i fratellini la stavano certo aspettando con impazienza.
Doveva tornare a casa.
Gettò un ultimo sguardo intorno e vide, in un angolo, un ciuffo di piantine che avevano foglie verdi, lucide, disposte come i petali di un fiore.
Si chinò e in fretta ne raccolse alcuni rametti; li mise insieme nel modo più gradevole possibile e formò un piccolo mazzo.

Mancava ugualmente qualcosa.

Con un sospiro, la bambina si tolse la cosa più bella che possedeva:
il nastro rosso che le serviva a legare i capelli.
Con il nastro fece una coccarda intorno alle foglie verdi.
Fu soddisfatta del risultato.
“Gesù Bambino gradirà i miei fiori verdi.” pensò, “E poi li ho legati con il nastro rosso!”
Era buio ormai e Ines si diresse verso casa.
Passò davanti alla chiesa:
il portone principale era spalancato.
“A quest’ora non ci sarà nessuno in chiesa!” pensò, “È l’ora di cena.
Verranno più tardi a portare i fiori a Gesù!”
Entrò furtivamente, con i suoi piedini nudi, il grembiulone sporco con la tasca piena di frutta e verdura.
Sgattaiolò, leggera come un’ombra, dietro le colonne della navata verso l’angolo pieno di luce dove su un cuscino ricamato avevano posto la statua di Gesù Bambino.
Con le lacrime agli occhi, Ines guardò il suo mazzo di foglie verdi e poi, rivolta alla statua del Bambino Gesù disse:
“Te li lascio adesso.
Non posso venire dopo con gli altri bambini.
Mi vergognerei troppo.
Spero ti piacciano lo stesso!”

Un “Oh!” di meraviglia la fece trasalire.

C’era un gruppo di gente intorno a lei.
Tutti fissavano meravigliati il mazzo che stringeva in mano.
“Che bei fiori…
Dove li hai trovati?
Non ho mai visto dei fiori così!”
Ines abbassò gli occhi sul suo mazzo di foglie e rimase senza fiato per la sorpresa.
Le foglie erano diventate di un bel rosso vivo.
Al centro della corolla le bacche avevano formato come un cuore d’oro.
Timidamente, la bambina depose il suo prezioso mazzo di stelle rosso-oro au piedi della statua del Bambino Gesù e poi corse a casa.
Non le sembrava neanche di toccare il terreno per la felicità.
Ora sapeva che Gesù aveva gradito il suo dono e aveva trasformato delle semplici foglie nel fiore più bello del Messico:
la stella di Natale.
Ancora oggi, a Natale, in tutto il mondo, le rosse stelle dal cuore d’oro ricordano il miracolo della fede di una povera bambina indiana.

Brano senza Autore

L’angelo e le preghiere della sera

L’angelo e le preghiere della sera

Nel cuore di una vallata di campi, prati e boschi, in una casetta a due piani, viveva una famigliola felice.
Erano in tre per il momento:
una mamma, un papà e un bambino biondo di sei anni.
Al centro della valle scorreva un torrente “allegro” e “tortuoso”.
La casetta sorgeva un po’ isolata dal paese e così, la domenica, la famigliola saliva in un’auto piccolina e andava a Messa nella Chiesa parrocchiale.
La sera, prima di addormentarsi, tutti insieme pregavano.
Un Angelo del Signore, tutte le sere, raccoglieva le preghiere e le portava in cielo.
Un inverno piovve per molti giorni.
Il torrente si gonfiò di acqua scura.
La valle cominciò ad essere sommersa dall’acqua.

Il papà svegliò la mamma e il bambino.

Si strinsero spaventati perché l’acqua aveva invaso il pian terreno della casetta.
E continuava a salire.
Sempre più scura, sempre più veloce.
“Saliamo sul tetto!” esclamò il papà.
Prese il bambino e salì in soffitta e di là sul tetto, mentre la mamma li seguiva.
Sul tetto si sentirono come naufraghi su un’isoletta che diventava sempre più piccola.
Perché l’acqua che continuava a salire arrivò implacabile fino alle ginocchia del papà.
Il papà si sistemò ben saldo sul tetto, abbracciò la mamma e le disse:
“Prendi il bambino in braccio e sali sulle mie spalle!”
Mamma e bambino salirono sulle spalle del papà, che continuò:
“Mettiti in piedi sulle mie spalle e alza il bambino sulle tue, non avere paura!
Qualunque cosa capiti, io non ti lascerò!”

La mamma baciò il bambino e disse:

“Sali sulle mie spalle e non avere paura.
Qualunque cosa capiti, io non ti lascerò!”
L’acqua continuava ad alzarsi.
Sommerse il papà e le sue braccia tese a tenere la mamma, poi inghiottì la mamma e le sue braccia tese a tenere il bambino.
Ma il papà non mollò la presa e neanche la mamma.
L’acqua continuò a salire.
Arrivò alla bocca del bambino, agli occhi ed infine alla fronte.
L’Angelo del Signore, che era venuto a prendere le preghiere della sera, vide solo un ciuffetto biondo spuntare dall’acqua torbida.
Con mossa leggera afferrò il ciuffo biondo e tirò.
Attaccato ai capelli biondi venne su il bambino e, attaccata al bambino, venne su la mamma e, attaccato alla mamma, venne su il papà.
Nessuno aveva mollato la presa!
L’Angelo spiccò il volo e posò con dolcezza l’originale “catena” sulla collina più alta dove l’acqua non sarebbe mai arrivata.

Papà, mamma e bambino “ruzzolarono” sull’erba:

poi si abbracciarono, piangendo e ridendo.
Invece delle preghiere, quella sera, l’Angelo portò in cielo il loro amore.
E tutte le “schiere celesti” scoppiarono in un fragoroso applauso!

Brano senza Autore

Il clown

Il clown

Nello studio di un celebre psichiatra si presentò un giorno un uomo apparentemente ben equilibrato, serio ed elegante.
Dopo alcune frasi, però, il medico scoprì che quell’uomo era intimamente abbattuto da un profondo senso di malinconia e da una tristezza continua e assillante.
Il medico iniziò con grande coscienziosità il suo lavoro terapeutico e,

al termine del colloquio, disse al suo nuovo paziente:

“Perché questa sera non va al circo che è appena arrivato nella nostra città?
Nello spettacolo si esibisce un famosissimo clown che ha fatto ridere e divertire mezzo mondo:
tutti parlano di lui, perché è unico.

Le farà bene, vedrà!”

Allora quell’uomo scoppiò in lacrime, dicendo:
“Quel clown sono io!”

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il vecchio e la famiglia

Il vecchio e la famiglia

Cera una volta una famiglia serena e tranquilla che viveva in una piccola casa di periferia.
Una sera i membri della famiglia erano seduti a cena, quando udirono bussare alla porta.

Il padre andò alla porta e l’aprì.

Cera un vecchio in abiti laceri, con i pantaloni strappati e senza bottoni.
Portava un cesto pieno di verdura.
Chiese alla famiglia se volessero acquistare un po’ di verdura.
Loro lo fecero subito, perché volevano che se ne andasse.
Con il tempo, il vecchio e la famiglia fecero amicizia.
L’uomo portava la verdura per la famiglia ogni settimana.

Scoprirono che soffrisse di cataratta e che fosse quasi cieco.

Ma era così gentile che impararono ad aspettare con ansia le sue visite e ad apprezzare la sua compagnia.
Un giorno, mentre consegnava la verdura, il vecchio disse:
“Ieri ho ricevuto un grande regalo!
Ho trovato fuori della mia casa un cesto di vestiti che qualcuno ha lasciato per me!”
Tutti quanti, sapendo quanto lui avesse bisogno di vestiti, dissero:
“Meraviglioso!”

E il vecchio cieco disse:

“Ma la cosa più meravigliosa è che ho trovato una famiglia che aveva davvero bisogno di quei vestiti!”
La gioia di donare è più forte della vita.
È veramente povero solo chi non la prova mai.

Brano senza Autore