Il volto di Cristo

Il volto di Cristo

In Sicilia, il monaco Epifanio un giorno scoprì in sé un dono del Signore:
sapeva dipingere bellissime icone.
Voleva dipingerne una che fosse il suo capolavoro:
voleva ritrarre il volto di Cristo.
Ma dove trovare un modello adatto che esprimesse insieme sofferenza e gioia, morte e risurrezione, divinità e umanità?

Epifanio non si dette più pace:

si mise in viaggio; percorse l’Europa scrutando ogni volto.
Nulla.
Il volto adatto per rappresentare Cristo non c’era.
Una sera si addormentò ripetendo le parole del salmo:
“Il tuo volto, Signore, io cerco.
Non nascondermi il tuo volto!”

Fece un sogno:

un angelo lo riportava dalle persone incontrate e gli indicava un particolare che rendeva quel volto simile a quello di Cristo:
la gioia di una giovane sposa, l’innocenza di un bambino, la forza di un contadino, la sofferenza di un malato, la paura di un condannato, la bontà di una madre, lo sgomento di un orfano, la severità di un giudice, l’allegria di un giullare, la misericordia di un confessore, il volto bendato di un lebbroso.

Epifanio tornò al suo convento e si mise al lavoro.

Dopo un anno l’icona di Cristo era pronta e la presentò all’abate e ai confratelli, che rimasero attoniti e piombarono in ginocchio.
Il volto di Cristo era meraviglioso, commovente, scrutava nell’intimo e interrogava.
Invano chiesero a Epifanio chi gli era servito da modello.
Non cercare il Cristo nel volto di un solo uomo, ma cerca in ogni uomo un frammento del volto di Cristo.

Brano tratto dal libro “A volte basta un Raggio di Sole.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Le scarpe di Natale

Le scarpe di Natale

C’era una volta una città i cui abitanti amavano sopra ogni cosa l’ordine e la tranquillità.
Avevano fatto delle leggi molto precise, che regolavano con severità ogni dettaglio della vita quotidiana.
Tutte le fantasie, tutto quello che non rientrava nelle solite abitudini era mal visto o considerato una stranezza.
E per ogni stranezza era prevista la prigione.
Gli abitanti della città non si dicevano mai “buongiorno” per la strada; nessuno diceva mai “per piacere”:
quasi tutti avevano paura degli altri e si guardavano sospettosamente.
C’erano anche quelli che denunciavano i vicini, se trovavano un po’ troppo bizzarro il loro comportamento.
Il commissario Leonardi, capo della polizia, non aveva mai abbastanza poliziotti per condurre inchieste, sorvegliare, arrestare, punire…
Già nella scuola materna, i bambini imparavano a stare ben attenti alle loro chiavi.

E c’erano chiavi per ogni cosa:

per le porte, per l’armadietto, per la cartella, per la scatola dei giochi e perfino per la scatola delle caramelle!
La sera, la gente aveva paura.
Rientravano tutti a casa correndo e poi sprangavano le porte e chiudevano ben bene le finestre.
Erano rimasti tuttavia dei ragazzi che sapevano ancora scambiarsi qualche strizzata d’occhi e anche degli insegnanti che li incoraggiavano…
Ma, soprattutto, c’era Cristiana.
Cristiana aveva i capelli biondi come il sole, gli occhi scintillanti come laghetti di montagna e non pensava mai:
“Chissà che cosa dirà la gente!”
Nella città si facevano molte dicerie sul suo conto.
Perché Cristiana aiutava tutti quelli che avevano bisogno di aiuto, consolava i bambini che piangevano e anche i vecchietti rimasti soli, perché accoglieva tutti coloro che chiedevano un po’ di denaro o anche solo qualche parola di speranza.

Tutto questo era scandaloso per la città.

Non potevano proprio sopportare ulteriormente quel modo di vivere così diverso dal loro.
E un giorno il commissario Leonardi, con venti poliziotti, andò ad arrestare Cristiana, o Cri-Cri, come l’avevano soprannominata gli amici.
E per essere sicuro che non combinasse altre stranezze, la fece mettere in prigione.
Questo accadde qualche giorno prima di Natale.
Natale era una festa, ma molti non sapevano più di chi o di che cosa.
Sapevano soltanto che in quei giorni si doveva mangiare bene e bere meglio.
Ma senza esagerare, per non prendersi qualche malattia…
Soprattutto, la sera della vigilia di Natale, tutti dovevano mettere le proprie scarpe davanti al camino, per trovarle piene di doni il giorno dopo.
Una cosa questa che, nella città, facevano tutti, ma proprio tutti.

Così fu anche quel Natale.

All’alba, tutti si precipitarono dove avevano messo le scarpe, per trovare i loro regali.
Ma… che cosa era successo?
Non c’era l’ombra di un regalo.
Neanche un torrone o un cioccolatino!
E poi… le scarpe!
In tutta la città, le scarpe risultavano spaiate.
Il commendator Bomboni si trovò con una scarpina da ballo, una vecchia ottantenne aveva una scarpa bullonata da calcio, un bambino di cinque anni aveva una scarpa numero 43, e così di seguito.
Non c’erano due scarpe uguali in tutta la città!
Allora si aprirono porte e finestre e tutti gli abitanti scesero in strada.
Ciascuno brandiva la scarpa non sua e cercava quella giusta.
Era una confusione allegra e festosa.
Quando i possessori delle scarpe scambiate si trovavano, avevano voglia di ridere e di abbracciarsi.
Si vide il commendator Bomboni pagare la cioccolata a una bambina che non aveva mai visto e una vecchietta a braccetto con un ragazzino.
Solo qualche finestra restava ostinatamente chiusa.
Come quella del commissario Leonardi.
Quando però il commissario sentì il gran trambusto che veniva dalla strada, pensò a una rivoluzione e corse a prendere le armi che teneva sul camino.
Immediatamente il suo sguardo cadde sulle scarpe che aveva collocato davanti al camino.

E anche lui si bloccò, sorpreso.

Accanto alla sua pesante scarpa nera c’era… una pantofola rossa di Cri-Cri.
Stringendo la pantofola rossa in mano, il commissario corse alla prigione.
La cella dove aveva rinchiuso Cri-Cri era ancora ben chiusa a chiave.
Ma la ragazza non c’era.
Ai piedi del tavolaccio, perfettamente allineate c’erano l’altra scarpa del commissario e l’altra pantofola rossa.
Dal finestrino, protetto da una grossa inferriata, proveniva una strana luce.
Il commissario si affacciò.
Nella strada la gente continuava a scambiarsi le scarpe e ad abbracciarsi.
Con un insolita commozione, il commissario si accorse che la luce che veniva dal finestrino era bionda e calda come il sole e aveva dei luccichii azzurri, come succede nei laghetti di montagna.
E incominciò a capire.

Brano senza Autore.

Rimpiango i genitori di una volta


Rimpiango i genitori di una volta

Rimpiango quei genitori risoluti di una volta, per i quali un “si” era un “si” e un “no” era un “no”.
Quelli che ci insegnavano come non sia possibile avere tutto e subito e

ci facevano capire che si può vivere dignitosamente con poco.

Quelli che ci spiegavano che la nobiltà d’animo si evince dai comportamenti, e non da ciò che si possiede.
Quelli che non ci davano ciò che pretendevamo ma solo ciò di cui avevamo bisogno e sapevamo meritarci.

Quelli che non ci viziavano per tentare di comprare il nostro affetto,

ma ci preparavano alla vita, anche a costo di mortificarci, perché quest’ultima ci propone una lunga catena di sconfitte che bisogna affrontare con determinazione ed equilibrio interiore.
Quelli che ci invitavano ad essere uomini di valore, piuttosto che rincorrere la strada del successo che, col tempo, si rivela sempre illusorio e temporaneo.

Quelli che ci davano sempre torto al cospetto dei professori,

senza pretendere di aver ragione o imporre suggerimenti agli educatori.
Quelli che ci imponevano il rispetto delle regole e delle persone.
Allora, tutto questo si chiamò severità, oggi io so che era educazione all’umiltà.

Brano di Antonio Curnetta