Il “gioco” degli sguardi

Il gioco degli sguardi

Alla cortese attenzione della rivista “Raccontaci la tua estate”:

Nei primi giorni di ottobre del 1987, alla soglia dei trent’anni, fui nominato dal provveditore agli studi di Macerata per un incarico annuale fino al 30 giugno, come professore di lettere in un istituto alberghiero.
Nato e cresciuto a Nuoro, dopo la laurea ed il dottorato presso l’università di Cagliari, lasciavo la mia bella Sardegna per la terraferma.
Accettai al volo poiché, dopo aver terminato il dottorato, avevo ricoperto solo qualche breve supplenza in una scuola media di Cagliari.
Quello fu il mio primo incarico annuale e, in quel caso, mi vennero affidate due prime e due seconde, per un totale di 18 ore settimanali.
Fu una esperienza entusiasmante e formativa, nonostante la poca voglia di impegnarsi dei miei studenti.
Andai a vivere da miei zii (ecco il perché della scelta della città di Macerata), che avevano due figli.

Zio Lele era un postino e Zia Mariella una professoressa di biologia alle scuole medie.

Mio cugino Alfonso, che aveva la mia età, lavorava in una piccola industria tessile come contabile, mentre mia cugina Nunzia, di 23 anni, stava studiando Matematica all’Università di Perugia e che, conseguentemente, vedevo una o due volte al mese.
I miei cugini avevano trascorso quasi tutte le estati, fin da quando eravamo piccoli, da noi a Nuoro, in particolar modo fino ai miei primi anni universitari.
Durante quelle estati, con Alfonso eravamo, praticamente, inseparabili.
Terminata la scuola, insieme alla zia arrivavano lui e Nunzia, che essendo più piccola di noi di sette anni, non veniva minimamente considerata.
Questa abitudine di non considerare Nunzia, non mutò neanche con il trascorrere del tempo.
Mille avventurose scorribande estive, dai primi anni del 1960 alla fine del 1970.
La nostra estate iniziava i primi di giugno e terminava qualche giorno prima dell’inizio della scuola a settembre.
Ad agosto arrivava anche lo zio e, tra i nonni, i miei genitori ed i miei fratelli, entrambi più grandi di me, era sempre una grande festa.

In quel momento, per la prima volta, mi ritrovai a vivere con i miei zii e mio cugino.

Alfonso mi fece integrare alla grande, guidandomi per le strade di Macerata e coinvolgendomi nella sua comitiva.
Alla fine dell’anno scolastico, dopo aver aspettato che mia cugina avesse terminato gli esami di quella sessione, con lei e mia zia, ci recammo a Nuoro.
Non dovendo presenziare agli esami dei miei studenti, la mia prima esperienza come professore terminò, per questa ragione, i primi di giugno del 1988.
Arrivammo in Sardegna due giorni prima della sconfitta dell’Italia contro l’URSS agli europei di quell’anno, poi vinti dall’Olanda, guidata dal trio milanista Gullit, Van Basten e Rijkaard (che sarebbe arrivato in Italia solo alla fine del campionato europeo).
Ripresi ad uscire abitualmente con i miei pochi amici rimasti a vivere a Nuoro, però senza Alfonso.
Ma, ogni giorno che passava, vedevo Nunzia sempre più annoiata.
Le chiesi se volesse uscire con me e, pur di non stare a casa con sua mamma, i miei genitori e la nonna, accettò la proposta al volo.
Nei suoi modi di fare ritrovai tanti atteggiamenti di Alfonso e, praticamente, fino all’arrivo di quest’ultimo, trascorremmo l’intero mese di luglio insieme.
Eravamo così affiatati che anche io rimasi sorpreso.
Sostanzialmente mia cugina era una macchietta.
La situazione non cambiò neanche quando arrivò, i primi di agosto, Alfonso.
Nunzia continuò ad uscire con noi, nonostante il fratello non fosse particolarmente entusiasta della cosa.

Le serate di luglio, prima che arrivasse Alfonso, avevano il seguente copione:

aperitivo pre-cena al bar della signora Amelia, post-cena ancora nello stesso posto e poi in giro per Nuoro fino alle 2 – 3 di notte.
Tanti compaesani, non riconoscendo mia cugina, che con gli anni era diventata una ragazza carina, ci scambiavano per una coppia.
Ma questo non ci stupiva più di tanto e continuavamo con la nostra routine.
Alcuni momenti al bar mi facevano sorridere:
a volte, incrociavo lo sguardo timido e pungente di Emma, una coetanea di mia cugina, che aveva gli occhi azzurri ed i capelli biondi.
Emma era la cameriera, nonché la figlia minore di Amelia, rientrata per l’estate dall’università per aiutare la mamma e la sorella maggiore Manuela, di un paio di anni più grande della stessa Emma, a gestire il bar.
Avevo visto crescere Emma, essendo quel bar il nostro locale di riferimento e, anche lei crescendo, come mia cugina, era diventata graziosa.
L’unico problema era che le tre (Nunzia, Emma e Manuela), un tempo appartenenti alla stessa compagnia estiva, anni prima avevano litigato e, nonostante il tempo trascorso, mia cugina ancora non parlava le due sorelle.
Anzi, ogni volta che mia cugina notava qualche sguardo tra me ed Emma o si arrabbiava o mi faceva battutine.
La situazione non cambiò in seguito all’arrivo di Alfonso ma, a parte qualche altro sguardo, l’estate trascorse in un lampo senza che accadesse di niente di rilevante.
I miei cugini ed i miei zii rientrarono a Macerata ed io restai a Nuoro in attesa di una nuova chiamata a scuola.

Che arrivò puntualmente gli ultimi giorni di settembre.

Mi affidarono le stesse classi dell’anno prima, quindi ora insegnavo a due seconde e due terze.
Le terze le avrei dovute accompagnare alla qualifica professionale di fine anno.
Anche questo secondo anno trascorse tranquillo ma, rispetto all’anno precedente, riuscì a rientrare a Nuoro solo a fine giugno.
Durante l’anno scolastico acquisii maggior consapevolezza nei miei mezzi e questo aiutò sia me che i ragazzi, che a giugno dovettero sostenere l’esame per ottenere la qualifica triennale.
Ogni giorno, inoltre, prendevo confidenza e sicurezza nel vivere nella meravigliosa città di Macerata, in compagnia, anche, degli amici di mio cugino.
Giunse fine anno e insieme a zia Mariella, finiti gli esami, ci recammo a Nuoro.
Zio Lele e Alfonso ancora lavoravano mentre Nunzia stava per sostenere l’ultimo esame universitario e, dopo aver terminato, intorno al 10 di luglio, ci raggiunse in Sardegna.
Riprendemmo le abitudini dell’anno precedente e, ormai, per buona parte dei miei compaesani, eravamo diventati una coppia fissa.
Tra i pochi a non pensarla così c’era ovviamente Emma, con la quale continuammo a scambiarci qualche sguardo.
Anche Nunzia iniziò a rassegnarsi all’idea, soprattutto dopo che un suo vecchio amico, Nicola, nonché amico di Emma, mi disse, non proprio velatamente, che quest’ultima avesse un interesse nei miei confronti.

Si susseguirono i giorni, ma la situazione non cambiò.

Non avevo preso ancora in considerazione l’idea di avvicinarmi seriamente a lei, e neanche la stessa fece qualcosa per farmi cambiare idea.
Con l’arrivo di agosto giunsero a Nuoro sia Alfonso che una mia vecchia amica, Lara, che, poco prima delle ferie estive, si era lasciata con il fidanzato.
Trascorremmo in quattro un’estate spensierata, circondati anche dai restanti amici del nostro gruppo e, contemporaneamente, anche l’idea su Emma si volatilizzò.
A settembre non partirono solo i miei zii ed i miei cugini, ma anche io mi unii a loro.
Avevo ricevuto dal provveditorato una nomina dal primo settembre per un incarico annuale in un liceo scientifico.
Mi affidarono due quarte e due quinte ginnasio (l’equivalente attuale di primo e secondo anno del liceo scientifico).
Anche quell’anno trascorse in maniera tranquilla.
Ad ogni mese di lezione trascorso, per me ed Alfonso, si aggiungeva anche un invito ad un matrimonio, ricevuto direttamente da Nuoro.
Subito dopo Natale Nunzia si laureò.
Rientrata Nunzia eravamo in cinque a casa degli zii, così decisi di “avvicinarmi” a Nuoro.
Per l’anno successivo feci domanda di trasferimento per insegnare a Cagliari e decisi di iniziare a preparare l’esame per l’abilitazione come professore.

A fine aprile arrivò una notizia poco piacevole.

L’azienda di mio cugino a breve avrebbe chiuso e così, Alfonso iniziò a cercare un nuovo lavoro.
Arrivarono altri inviti per dei matrimoni, per un totale finale di sei.
La scuola finì e data la situazione, con i primi di giugno del 1990, arrivammo a Nuoro.
Io, la zia, Alfonso, Nunzia ed il suo fidanzato che, da qualche tempo, aveva iniziato a frequentare casa dei miei zii.
Giusto in tempo per seguire, qualche giorno dopo, i mondiali di Italia 90 e le sue notti magiche.
Il bar di Amelia si era organizzato alla grande, coadiuvata sempre da Manuela ed Emma che, durante l’ultimo anno, era, però, dimagrita parecchio.
Il popolo italiano era festante dopo le vittorie, seppur risicate, con Austria, Stati Uniti e Cecoslovacchia.
Il giorno degli ottavi con l’Uruguay combaciò con il compleanno di Emma ed il caso volle che al mio gruppo si fosse unita anche Lara.
La partita terminò ovviamente a favore della nazionale italiana e poco dopo, Emma invitò controvoglia tutto il gruppo, per mangiare insieme una fetta di torta.
Ovviamente non era entusiasta del fatto che ci fosse Lara.
Ma questo episodio la aiutò a farle capire che io e Lara non stessimo insieme.
Durante un aperitivo pomeridiano, prima dei quarti della nazionale italiana, per uno strano caso del destino, io ed Emma rimanemmo soli per circa dieci minuti ed iniziammo a parlare.

E ci trovammo al volo.

Da quel momento in poi, ogni qual volta andavamo con gli amici al bar, io ed Emma scambiavamo quattro chiacchiere.
E anche Amelia sembrava contenta di questa cosa mentre Manuela era, a dir poco, contrariata.
La sera dei quarti, dopo la vittoria con l’Irlanda, Emma si aggregò al nostro gruppo con un paio di suoi amici, la sua migliore amica Nadia, Nicola ed Enzo, la sorella ed altri ragazzi, e così fece anche in alcune delle serate seguenti.
Il 3 luglio, giorno delle semifinali, terminarono le notti magiche della nazionale italiana, in seguito alla sconfitta rimediata contro l’Argentina ai calci di rigori, nello scenario surreale del San Paolo che, invece di sostenere all’unisono la nazionale italiana, supportò la nazionale argentina capitanata da Maradona.
All’atto conclusivo del torneo, però, l’Argentina venne sconfitta in finale dalla Germania, riunitasi da poco, in seguito alla caduta del muro di Berlino.
L’Italia si accontenterà del terzo gradino del podio ottenuto ai danni dell’Inghilterra.
Emma continuò, in quelle sere, ad unirsi al nostro gruppo, ma sempre accompagnata dai propri amici.
Ovviamente sotto gli sguardi contrariati di Nunzia e Manuela.
Il mercoledì seguente con Alfonso ci recammo a Sassari per il primo dei sei matrimoni, che si sarebbe tenuto di giovedì, e poi sabato ci recammo a Cagliari per quello successivo.

Rientrammo a Nuoro nella tarda serata di lunedì.

Il giorno dopo, in attesa dei seguenti matrimoni, che ci avrebbero rallegrato le seguenti quattro domeniche, con la solita combriccola, andammo a degustare l’abituale aperitivo.
Emma non si avvicinò minimamente al tavolo in quel momento, ma la sera si unii tranquillamente al nostro gruppo.
E, quella sera, rimasi perplesso.
Era abbracciata ad un suo amico, Enzo.
Subito dopo incrociai lo sguardo compiaciuto, ma anche ironico, di Nunzia.
Ricordavo chi fosse Enzo poiché, quando io ero rover negli scout, lui era un simpatico lupetto sempre molto cordiale con tutti noi poco più grandi di lui.
Quella sera fu il preludio ad altre scene strane.
Dopo altri due matrimoni, Enzo per qualche giorno non si fece vedere.
Emma riprese a guardarmi, sotto lo sguardo perplesso di Alfonso, Nunzia, Lara e degli altri che conoscevano la storia.
Nei giorni precedenti il quinto matrimonio, Emma ed Enzo ripresero ad unirsi al nostro gruppo e, in quei momenti, alternavano abbracci, rapide passeggiate mano nella mano e, una sera, anche un bacio fugace.
Nunzia, intanto, gongolava.
I giorni trascorsero rapidamente e con i primi di agosto, con Alfonso, ci recammo al quinto matrimonio.
Durante questa giornata notai una graziosa ragazza con gli occhi cangianti, che attirò fortemente la mia attenzione.
Avendo vissuto per dieci anni lontano da Nuoro, non ricordavo precisamente chi fosse questa ragazza.

Con il trascorrere delle ore, la riconobbi.

Era Viola, una cugina della sposa, figlia di un fornaio che abitava nei pressi di casa di mia nonna, ma anche coetanea di Nunzia.
Come era cambiata e come era diventata carina con il passare degli anni.
Finita la cerimonia e la festa, rientrammo a casa.
In seguito, prendemmo parte all’ultimo matrimonio e per i restanti giorni di agosto ci dedicammo a rilassarci.
Trascorsero tante altre serate in compagnia, in cui a volte si univano Emma, Enzo ed il loro gruppetto, che continuavano il loro teatrino, mentre in altre sere, si univa la sola Emma con Manuela ed altri amici.
Il 31 di agosto, cioè due giorni prima di raggiungere la mia nuova destinazione (Cagliari) e il giorno prima della partenza dei miei zii e dei miei cugini, io e Nunzia fummo raggiunti da un amico o da una amica, ora non ricordo con precisione, di Emma, che mi chiese come avessi reagito al fatto di aver visto stare insieme Emma ed Enzo.
Risposi con assoluta tranquillità e sincerità di aver già accennato ai miei amici che, qualora fossero stati realmente fidanzati, a me poteva fare solo piacere.
La cosa importante era che Emma fosse convinta e felice di questa scelta.
Altre persone al mio posto, dopo gli atteggiamenti che aveva assunto nelle settimane precedenti, non avrebbero voluto sapere più niente di lei e gli spiegai che, non essendo superficiale, non basavo le mie idee esclusivamente sulle apparenze e, in ogni caso, per me, non cambiava nulla.

Nunzia avallò la mia risposta.

Il giorno dopo, prima di partire, Nunzia mi ribadì di non pensare più ad Emma.
Conosceva la mia idea, cioè che fossi semplicemente intrigato dal fatto che lei potesse essere interessata a me, ma anche del fatto che io non avrei fatto nulla se non in seguito ad una sua palese dimostrazione di interesse.
Conclusi questo breve scambio di idee con mia cugina con le parole di Cesare Pavese:
“Tu sarai amato il giorno in cui potrai mostrare la tua debolezza, senza che l’altro se ne serva per affermare la sua forza.”
Alla fine, le raccontai di aver notato, durante un matrimonio, questa graziosa ragazza con gli occhi cangianti.
Ma questa… è un’altra storia.

Cordialmente, Professor Antonello.

“Il vostro futuro non è ancora stato scritto, quello di nessuno.
Il vostro futuro è come ve lo creerete.
Perciò createvelo buono.”
Citazione del Dr. Emmett L. Brown, “Doc”, in “Ritorno al futuro – Parte III”
Brano di Michele Bruno Salerno

© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente. 

Il pulcino Calimero

Il pulcino Calimero

Diversi anni fa andai con un mio amico, in treno, alla fiera internazionale di agricoltura a Verona.
L’esperienza di una fiera tematica è unica e soddisfa i gusti più esigenti, con tante novità, dai macchinari agli animali, circondati di tanta bella gente.
Il mio amico andò al settimo cielo quando poté acquistare dei pulcini, sponsorizzati come razza super rustica.
Lo invitai a desistere, visto che portare in treno 22 pulcini era una impresa ardua e avremmo attirato troppo l’attenzione.
Come se non bastasse, aveva anche acquistato e indossato un capello a larghe falde.

Contadini sì, ma non macchiette.

Non mi ascoltò, e con la scatola forata ed il certificato in mano, salimmo sul treno del ritorno all’ora di punta, con molta difficoltà per gli spintoni e per la calca.
Prevedibilmente, la scatola si ruppe in maniera irreparabile ed i pulcini si sparsero per il vagone, causando ilarità tra i passeggeri.
In quello stesso vagone erano presenti anche dei bambini con le loro insegnanti.

Fecero a gara per catturarli in mezzo alle gambe dei passeggeri.

Lo schiamazzo attirò l’attenzione del capotreno che ci disse:
“Voi contadini avete forse preso il mio treno per un pollaio ?”
Risposi alla provocazione e replicai:
“Sarà anche un pollaio, ma credo che lei non abbia mai visto ragazzini così felici per aver potuto tenere in mano un pulcino vivo, per la prima volta nella loro vita!”

Il capotreno non replicò.

Dopo questo simpatico dibattito, il mio amico decise di donare alla scolaresca i pulcini con mille raccomandazioni, suggerendo ai bambini di dare a ciascun pulcino anche un nome.
Quando, ad un certo punto, il più piccolo lo tirò per la giacca e gli disse:
“Signor contadino, potrei avere assieme a questo pulcino giallo anche quello nero, chiamato Calimero, per regalarlo a mia sorella che è allergica ai peluche?”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La giusta stima (L’orologio da taschino)

La giusta stima
(L’orologio da taschino)

Un simpatico nonnetto possedeva un orologio da taschino e lo mostrò al nipote dicendogli:
“Questo un giorno sarà definitivamente tuo, ma questo accadrà solo quando scoprirai il suo vero valore, nel frattempo puoi farlo stimare!”

Il nipote andò da diversi antiquari e rigattieri per avere una stima,

ma tutti gli dissero che era semplicemente un vecchio orologio scolorito e che valeva pochissimo perfino per il banco dei pegni.
Quando riferì al nonno dei suoi vari insuccessi, questi gli consigliò di insistere.
Allora si recò in un museo che gli offrì una cifra elevata, vicina al milione di euro, perché era un pezzo unico.
Tutto contento corse dal nonno che gli disse:

“L’orologio è tuo perché hai imparato la lezione.

Se per il tuo lavoro dovessi essere pagato poco perché non apprezzano il tuo valore, non arrenderti ma continua a cercare un lavoro migliore, fino al momento in cui non riuscirai a trovare chi ti stima e ti valorizza per quello che sei.”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Chi cerca trova

Chi cerca trova

Durante una sera d’autunno, un distinto signore anziano si recò lungo il viale alberato di una nota clinica.
Camminando piano piano, con la punta del suo bastone,

era intento a spostare le foglie cadute.

Alcune infermiere, mentre stavano per rientrare a casa a fine turno, si avvicinarono incuriosite e chiesero al nonnetto cosa stesse facendo.
Lui con un fil di voce senza alzar la testa, rispose:

“Cerco soldi!”

Le infermiere, impietosite, decisero di aiutarlo spostando anche loro meticolosamente le foglie.
Passarono dei medici che, dopo essere stati informati del problema, si unirono, facendo una razionale linea di ricerca.
Sopraggiunse anche il Primario che, dopo essere stato messo al corrente del motivo dell’assembramento, non volle essere da meno e chiese all’anziano dove avesse perso esattamente i soldi.

L’anziano rispose:

“Io non li ho persi, li cerco solamente perché ne ho estremo bisogno!”
Impietositi e divertiti tutti decisero di fare una generosa coletta al simpatico nonnetto.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il grande pittore

Il grande pittore

Tanti anni fa viveva un pittore molto bravo, ugualmente famoso per la lentezza con la quale dipingeva i suoi quadri.
Un giorno il superiore di un convento gli commissionò di dipingere una Ultima Cena.
Il grande pittore, molto esigente nel fare le cose, cominciò a girare per le chiese, conventi e case di preghiera per trovare un volto adatto per la figura di Gesù.

Cercò dovunque e all’uscita di una chiesa trovò finalmente il volto:

era un giovane bellissimo, dagli occhi puri e gentili, simpatico e modesto.
Il pittore lo prese subito e lo fece posare per il volto di Cristo.
Passarono degli anni ed il pittore procedeva lentissimamente:
al massimo ritraeva il volto di un apostolo all’anno, malgrado le proteste del superiore.

Giunto finalmente al termine, rimaneva da dipingere il volto di Giuda.

Anche questa volta il grande pittore si mise a cercare un modello:
girò per le osterie, le case più malfamate, le zone più sporche.
Mentre frequentava queste località così brutte, un giorno incontrò una persona i cui tratti facciali davano l’idea della peggiore perversione.

Detto fatto, il grande pittore lo chiamò per posare e dipingere il volto di Giuda.

Il dipinto era ormai giunto alla fine quando, voltandosi, il pittore vide quell’uomo piangere:
tanti anni prima era stato lui a posare per il volto di Gesù!

Brano senza Autore, tratto dal Web

La felicità a scoppio ritardato

La felicità a scoppio ritardato

C’era una volta un re che aveva una figlia, bella e virtuosa.
Il re non voleva che la sua unica figlia, buona e intelligente, finisse per sposare il primo figlio di re o principe che domandasse la sua mano.
Era giustamente preoccupato e brontolava:
“Questi giovani che sono stati educati nei palazzi, tra onori e ricchezze smisurate, sono dei bambini viziati; ricercano solo il loro piacere, e non sarebbero in grado di governare dopo la mia morte.
Quello che voglio è una persona degna di fiducia, fosse anche un contadino o un operaio.”
Ma tutti quelli che facevano la fila davanti alla sua porta per chiedere la mano della bellissima principessa o erano stupidi e vanitosi, o rozzi e scortesi, o grandi intenditori di armi e cavalli, ma ignoranti e incolti.
Il re decise di cercare per sua figlia un buon artigiano, un operaio, laborioso e previdente, che potesse prendersi cura di lei.

Iniziò perciò a girare i cantieri, alla ricerca di un uomo prestante, laborioso, simpatico e intelligente.

Davanti a ogni casa in costruzione chiamava il proprietario e il capomastro perché gli indicasse qualcuno che faceva al caso suo, un uomo che potesse diventare suo genero e che fosse degno di ereditare un giorno il suo trono.
Un giorno il re passò davanti a una casa in costruzione e vide dei giovani operai che trasportavano mattoni su un’impalcatura.
Uno di loro attrasse la sua attenzione; andò a cercare il proprietario dell’edificio e chiese informazioni su di lui.
“E’ un operaio che lavora per me senza ricevere salario.
Mangia e beve alla mia tavola, dorme in casa mia, ma non riceve denaro!” rispose il proprietario.
E continuò:
“Suo padre era un mercante importante.
Quando morì mi doveva ancora centomila denari d’oro.
Allora ho preso con me il ragazzo e gli ho insegnato il mestiere.
Lavora dall’alba al tramonto, e in tal modo paga il debito del suo defunto padre.”

Il re allora disse:

“Ti pago tutto quello che ha mangiato e bevuto e in più saldo l’intero suo debito.”
Il proprietario accettò e ricevette la somma proveniente dal tesoro del re.
Senza parlare, il re condusse il giovane muratore nel palazzo reale.
I servitori gli tolsero i suoi abiti dismessi e sporchi di calce.
Il barbiere di corte gli tagliò accuratamente barba e capelli.
I sarti gli prepararono su misura degli abiti ricamati, poi un solerte maggiordomo lo guidò nella sala da pranzo, dove fu servita una squisita cenetta.
Il giovane mangiò e bevve, ma si sentiva frastornato, per tutto quello che gli stava capitando.
I servitori del re lo condussero allora in una stanza del palazzo che era stata preparata per lui, e il giovane cadde sul letto, stanchissimo, e si addormentò.
Tutti erano allegri, meno lo sposo
Il mattino dopo, il re fece chiamare nel suo studio il giovane muratore e gli disse:
“Mi sei piaciuto.
Voglio darti mia figlia in sposa.

Se vuoi sposarla, così com’è, bene.

Altrimenti ti farò uccidere.
Nella stanza accanto ci sono le mie guardie del corpo.
Se rifiuterai, ti incateneranno e ti taglieranno la testa.”
Il povero giovane non aveva scelta.
Perdere la vita, dopo tutto, gli sarebbe dispiaciuto assai.
Perciò rispose al re:
“Accetto.”
Incominciarono i preparativi per le solenne nozze reali.
Il re invitò tutti i nobili del regno, i suoi ministri, i fedeli vassalli e i notabili della città.
La festa cominciò tre giorni dopo e venne celebrata con molto sfarzo e splendore.
Il vino scorreva come acqua.
Tutti gli invitati si divertivano ed erano allegri e felici.
Lo sposo invece era triste e preoccupato:

“Come sarà la mia sposa?

Forse è cieca e zoppa, forse muta o malata…
Perché il re mi obbliga a sposarla per forza?
C’è sicuramente una ragione!”
Il povero giovane era in preda allo sconforto e alla preoccupazione.
Con un certo batticuore attese la fine del ricevimento.
Finalmente tutti gli invitati fecero ritorno a casa e gli sposi rimasero soli.
Il giovane di rivolse alla ragazza:
“Vieni, avvicinati.”
Lei si avvicinò.
“Preparami qualcosa da mangiare.” disse lui tanto per metterla alla prova, “Ho fame.
Non sono abituato alla cucina del castello.”
Sorridendo, la figlia del re preparò una deliziosa macedonia di frutta e del latte.
Poi lui le disse:
“Scrivi una lettera alla mia vecchia madre.”
E lei si sedette e scrisse la lettera.

Lui le disse ancora:

“Raccontami una bella storia, mi piacciono le storie.”
E la figlia del re fece quello che le aveva chiesto suo marito, già conquistata dal suo fascino e dalla sua intelligenza.
Nel giro di pochissimo tempo, insomma, il giovane muratore scoprì che la moglie che gli era stata imposta era praticamente perfetta.
Era bellissima, intelligente, una brava massaia, buona e capace in tutto.
Il giovane si rallegrò moltissimo che gli fosse toccata una sorte così.
Qualche mese dopo, il genero del re invitò tutti i ministri e i notabili del regno e fece dare a palazzo reale una grande festa.
Era contento, allegro, felice.
Ballò tutta la notte, bevve del vino e mangiò frutti deliziosi.
I re e i suoi ministri gli chiesero:
“Come mai eri così triste alle tue nozze e sei invece così felice ora?”
Il genero ed erede del re rispose:
“Il re mi aveva costretto a sposare sua figlia, minacciando di mettermi a morte se non avessi accettato.
Pensai che forse sua figlia aveva un’infermità, che forse fosse cieca o zoppa…”
Ma ora che ho vissuto con lei per alcuni mesi, so che possiede ogni virtù: è bella e buona.
Ecco perché la mia gioia è grande, ho il privilegio di ave ricevuto una perla: la figlia di un grande re, una moglie buona e fedele.”

Brano senza Autore, tratto dal Web