Il “gioco” degli sguardi

Il gioco degli sguardi

Alla cortese attenzione della rivista “Raccontaci la tua estate”:

Nei primi giorni di ottobre del 1987, alla soglia dei trent’anni, fui nominato dal provveditore agli studi di Macerata per un incarico annuale fino al 30 giugno, come professore di lettere in un istituto alberghiero.
Nato e cresciuto a Nuoro, dopo la laurea ed il dottorato presso l’università di Cagliari, lasciavo la mia bella Sardegna per la terraferma.
Accettai al volo poiché, dopo aver terminato il dottorato, avevo ricoperto solo qualche breve supplenza in una scuola media di Cagliari.
Quello fu il mio primo incarico annuale e, in quel caso, mi vennero affidate due prime e due seconde, per un totale di 18 ore settimanali.
Fu una esperienza entusiasmante e formativa, nonostante la poca voglia di impegnarsi dei miei studenti.
Andai a vivere da miei zii (ecco il perché della scelta della città di Macerata), che avevano due figli.

Zio Lele era un postino e Zia Mariella una professoressa di biologia alle scuole medie.

Mio cugino Alfonso, che aveva la mia età, lavorava in una piccola industria tessile come contabile, mentre mia cugina Nunzia, di 23 anni, stava studiando Matematica all’Università di Perugia e che, conseguentemente, vedevo una o due volte al mese.
I miei cugini avevano trascorso quasi tutte le estati, fin da quando eravamo piccoli, da noi a Nuoro, in particolar modo fino ai miei primi anni universitari.
Durante quelle estati, con Alfonso eravamo, praticamente, inseparabili.
Terminata la scuola, insieme alla zia arrivavano lui e Nunzia, che essendo più piccola di noi di sette anni, non veniva minimamente considerata.
Questa abitudine di non considerare Nunzia, non mutò neanche con il trascorrere del tempo.
Mille avventurose scorribande estive, dai primi anni del 1960 alla fine del 1970.
La nostra estate iniziava i primi di giugno e terminava qualche giorno prima dell’inizio della scuola a settembre.
Ad agosto arrivava anche lo zio e, tra i nonni, i miei genitori ed i miei fratelli, entrambi più grandi di me, era sempre una grande festa.

In quel momento, per la prima volta, mi ritrovai a vivere con i miei zii e mio cugino.

Alfonso mi fece integrare alla grande, guidandomi per le strade di Macerata e coinvolgendomi nella sua comitiva.
Alla fine dell’anno scolastico, dopo aver aspettato che mia cugina avesse terminato gli esami di quella sessione, con lei e mia zia, ci recammo a Nuoro.
Non dovendo presenziare agli esami dei miei studenti, la mia prima esperienza come professore terminò, per questa ragione, i primi di giugno del 1988.
Arrivammo in Sardegna due giorni prima della sconfitta dell’Italia contro l’URSS agli europei di quell’anno, poi vinti dall’Olanda, guidata dal trio milanista Gullit, Van Basten e Rijkaard (che sarebbe arrivato in Italia solo alla fine del campionato europeo).
Ripresi ad uscire abitualmente con i miei pochi amici rimasti a vivere a Nuoro, però senza Alfonso.
Ma, ogni giorno che passava, vedevo Nunzia sempre più annoiata.
Le chiesi se volesse uscire con me e, pur di non stare a casa con sua mamma, i miei genitori e la nonna, accettò la proposta al volo.
Nei suoi modi di fare ritrovai tanti atteggiamenti di Alfonso e, praticamente, fino all’arrivo di quest’ultimo, trascorremmo l’intero mese di luglio insieme.
Eravamo così affiatati che anche io rimasi sorpreso.
Sostanzialmente mia cugina era una macchietta.
La situazione non cambiò neanche quando arrivò, i primi di agosto, Alfonso.
Nunzia continuò ad uscire con noi, nonostante il fratello non fosse particolarmente entusiasta della cosa.

Le serate di luglio, prima che arrivasse Alfonso, avevano il seguente copione:

aperitivo pre-cena al bar della signora Amelia, post-cena ancora nello stesso posto e poi in giro per Nuoro fino alle 2 – 3 di notte.
Tanti compaesani, non riconoscendo mia cugina, che con gli anni era diventata una ragazza carina, ci scambiavano per una coppia.
Ma questo non ci stupiva più di tanto e continuavamo con la nostra routine.
Alcuni momenti al bar mi facevano sorridere:
a volte, incrociavo lo sguardo timido e pungente di Emma, una coetanea di mia cugina, che aveva gli occhi azzurri ed i capelli biondi.
Emma era la cameriera, nonché la figlia minore di Amelia, rientrata per l’estate dall’università per aiutare la mamma e la sorella maggiore Manuela, di un paio di anni più grande della stessa Emma, a gestire il bar.
Avevo visto crescere Emma, essendo quel bar il nostro locale di riferimento e, anche lei crescendo, come mia cugina, era diventata graziosa.
L’unico problema era che le tre (Nunzia, Emma e Manuela), un tempo appartenenti alla stessa compagnia estiva, anni prima avevano litigato e, nonostante il tempo trascorso, mia cugina ancora non parlava le due sorelle.
Anzi, ogni volta che mia cugina notava qualche sguardo tra me ed Emma o si arrabbiava o mi faceva battutine.
La situazione non cambiò in seguito all’arrivo di Alfonso ma, a parte qualche altro sguardo, l’estate trascorse in un lampo senza che accadesse di niente di rilevante.
I miei cugini ed i miei zii rientrarono a Macerata ed io restai a Nuoro in attesa di una nuova chiamata a scuola.

Che arrivò puntualmente gli ultimi giorni di settembre.

Mi affidarono le stesse classi dell’anno prima, quindi ora insegnavo a due seconde e due terze.
Le terze le avrei dovute accompagnare alla qualifica professionale di fine anno.
Anche questo secondo anno trascorse tranquillo ma, rispetto all’anno precedente, riuscì a rientrare a Nuoro solo a fine giugno.
Durante l’anno scolastico acquisii maggior consapevolezza nei miei mezzi e questo aiutò sia me che i ragazzi, che a giugno dovettero sostenere l’esame per ottenere la qualifica triennale.
Ogni giorno, inoltre, prendevo confidenza e sicurezza nel vivere nella meravigliosa città di Macerata, in compagnia, anche, degli amici di mio cugino.
Giunse fine anno e insieme a zia Mariella, finiti gli esami, ci recammo a Nuoro.
Zio Lele e Alfonso ancora lavoravano mentre Nunzia stava per sostenere l’ultimo esame universitario e, dopo aver terminato, intorno al 10 di luglio, ci raggiunse in Sardegna.
Riprendemmo le abitudini dell’anno precedente e, ormai, per buona parte dei miei compaesani, eravamo diventati una coppia fissa.
Tra i pochi a non pensarla così c’era ovviamente Emma, con la quale continuammo a scambiarci qualche sguardo.
Anche Nunzia iniziò a rassegnarsi all’idea, soprattutto dopo che un suo vecchio amico, Nicola, nonché amico di Emma, mi disse, non proprio velatamente, che quest’ultima avesse un interesse nei miei confronti.

Si susseguirono i giorni, ma la situazione non cambiò.

Non avevo preso ancora in considerazione l’idea di avvicinarmi seriamente a lei, e neanche la stessa fece qualcosa per farmi cambiare idea.
Con l’arrivo di agosto giunsero a Nuoro sia Alfonso che una mia vecchia amica, Lara, che, poco prima delle ferie estive, si era lasciata con il fidanzato.
Trascorremmo in quattro un’estate spensierata, circondati anche dai restanti amici del nostro gruppo e, contemporaneamente, anche l’idea su Emma si volatilizzò.
A settembre non partirono solo i miei zii ed i miei cugini, ma anche io mi unii a loro.
Avevo ricevuto dal provveditorato una nomina dal primo settembre per un incarico annuale in un liceo scientifico.
Mi affidarono due quarte e due quinte ginnasio (l’equivalente attuale di primo e secondo anno del liceo scientifico).
Anche quell’anno trascorse in maniera tranquilla.
Ad ogni mese di lezione trascorso, per me ed Alfonso, si aggiungeva anche un invito ad un matrimonio, ricevuto direttamente da Nuoro.
Subito dopo Natale Nunzia si laureò.
Rientrata Nunzia eravamo in cinque a casa degli zii, così decisi di “avvicinarmi” a Nuoro.
Per l’anno successivo feci domanda di trasferimento per insegnare a Cagliari e decisi di iniziare a preparare l’esame per l’abilitazione come professore.

A fine aprile arrivò una notizia poco piacevole.

L’azienda di mio cugino a breve avrebbe chiuso e così, Alfonso iniziò a cercare un nuovo lavoro.
Arrivarono altri inviti per dei matrimoni, per un totale finale di sei.
La scuola finì e data la situazione, con i primi di giugno del 1990, arrivammo a Nuoro.
Io, la zia, Alfonso, Nunzia ed il suo fidanzato che, da qualche tempo, aveva iniziato a frequentare casa dei miei zii.
Giusto in tempo per seguire, qualche giorno dopo, i mondiali di Italia 90 e le sue notti magiche.
Il bar di Amelia si era organizzato alla grande, coadiuvata sempre da Manuela ed Emma che, durante l’ultimo anno, era, però, dimagrita parecchio.
Il popolo italiano era festante dopo le vittorie, seppur risicate, con Austria, Stati Uniti e Cecoslovacchia.
Il giorno degli ottavi con l’Uruguay combaciò con il compleanno di Emma ed il caso volle che al mio gruppo si fosse unita anche Lara.
La partita terminò ovviamente a favore della nazionale italiana e poco dopo, Emma invitò controvoglia tutto il gruppo, per mangiare insieme una fetta di torta.
Ovviamente non era entusiasta del fatto che ci fosse Lara.
Ma questo episodio la aiutò a farle capire che io e Lara non stessimo insieme.
Durante un aperitivo pomeridiano, prima dei quarti della nazionale italiana, per uno strano caso del destino, io ed Emma rimanemmo soli per circa dieci minuti ed iniziammo a parlare.

E ci trovammo al volo.

Da quel momento in poi, ogni qual volta andavamo con gli amici al bar, io ed Emma scambiavamo quattro chiacchiere.
E anche Amelia sembrava contenta di questa cosa mentre Manuela era, a dir poco, contrariata.
La sera dei quarti, dopo la vittoria con l’Irlanda, Emma si aggregò al nostro gruppo con un paio di suoi amici, la sua migliore amica Nadia, Nicola ed Enzo, la sorella ed altri ragazzi, e così fece anche in alcune delle serate seguenti.
Il 3 luglio, giorno delle semifinali, terminarono le notti magiche della nazionale italiana, in seguito alla sconfitta rimediata contro l’Argentina ai calci di rigori, nello scenario surreale del San Paolo che, invece di sostenere all’unisono la nazionale italiana, supportò la nazionale argentina capitanata da Maradona.
All’atto conclusivo del torneo, però, l’Argentina venne sconfitta in finale dalla Germania, riunitasi da poco, in seguito alla caduta del muro di Berlino.
L’Italia si accontenterà del terzo gradino del podio ottenuto ai danni dell’Inghilterra.
Emma continuò, in quelle sere, ad unirsi al nostro gruppo, ma sempre accompagnata dai propri amici.
Ovviamente sotto gli sguardi contrariati di Nunzia e Manuela.
Il mercoledì seguente con Alfonso ci recammo a Sassari per il primo dei sei matrimoni, che si sarebbe tenuto di giovedì, e poi sabato ci recammo a Cagliari per quello successivo.

Rientrammo a Nuoro nella tarda serata di lunedì.

Il giorno dopo, in attesa dei seguenti matrimoni, che ci avrebbero rallegrato le seguenti quattro domeniche, con la solita combriccola, andammo a degustare l’abituale aperitivo.
Emma non si avvicinò minimamente al tavolo in quel momento, ma la sera si unii tranquillamente al nostro gruppo.
E, quella sera, rimasi perplesso.
Era abbracciata ad un suo amico, Enzo.
Subito dopo incrociai lo sguardo compiaciuto, ma anche ironico, di Nunzia.
Ricordavo chi fosse Enzo poiché, quando io ero rover negli scout, lui era un simpatico lupetto sempre molto cordiale con tutti noi poco più grandi di lui.
Quella sera fu il preludio ad altre scene strane.
Dopo altri due matrimoni, Enzo per qualche giorno non si fece vedere.
Emma riprese a guardarmi, sotto lo sguardo perplesso di Alfonso, Nunzia, Lara e degli altri che conoscevano la storia.
Nei giorni precedenti il quinto matrimonio, Emma ed Enzo ripresero ad unirsi al nostro gruppo e, in quei momenti, alternavano abbracci, rapide passeggiate mano nella mano e, una sera, anche un bacio fugace.
Nunzia, intanto, gongolava.
I giorni trascorsero rapidamente e con i primi di agosto, con Alfonso, ci recammo al quinto matrimonio.
Durante questa giornata notai una graziosa ragazza con gli occhi cangianti, che attirò fortemente la mia attenzione.
Avendo vissuto per dieci anni lontano da Nuoro, non ricordavo precisamente chi fosse questa ragazza.

Con il trascorrere delle ore, la riconobbi.

Era Viola, una cugina della sposa, figlia di un fornaio che abitava nei pressi di casa di mia nonna, ma anche coetanea di Nunzia.
Come era cambiata e come era diventata carina con il passare degli anni.
Finita la cerimonia e la festa, rientrammo a casa.
In seguito, prendemmo parte all’ultimo matrimonio e per i restanti giorni di agosto ci dedicammo a rilassarci.
Trascorsero tante altre serate in compagnia, in cui a volte si univano Emma, Enzo ed il loro gruppetto, che continuavano il loro teatrino, mentre in altre sere, si univa la sola Emma con Manuela ed altri amici.
Il 31 di agosto, cioè due giorni prima di raggiungere la mia nuova destinazione (Cagliari) e il giorno prima della partenza dei miei zii e dei miei cugini, io e Nunzia fummo raggiunti da un amico o da una amica, ora non ricordo con precisione, di Emma, che mi chiese come avessi reagito al fatto di aver visto stare insieme Emma ed Enzo.
Risposi con assoluta tranquillità e sincerità di aver già accennato ai miei amici che, qualora fossero stati realmente fidanzati, a me poteva fare solo piacere.
La cosa importante era che Emma fosse convinta e felice di questa scelta.
Altre persone al mio posto, dopo gli atteggiamenti che aveva assunto nelle settimane precedenti, non avrebbero voluto sapere più niente di lei e gli spiegai che, non essendo superficiale, non basavo le mie idee esclusivamente sulle apparenze e, in ogni caso, per me, non cambiava nulla.

Nunzia avallò la mia risposta.

Il giorno dopo, prima di partire, Nunzia mi ribadì di non pensare più ad Emma.
Conosceva la mia idea, cioè che fossi semplicemente intrigato dal fatto che lei potesse essere interessata a me, ma anche del fatto che io non avrei fatto nulla se non in seguito ad una sua palese dimostrazione di interesse.
Conclusi questo breve scambio di idee con mia cugina con le parole di Cesare Pavese:
“Tu sarai amato il giorno in cui potrai mostrare la tua debolezza, senza che l’altro se ne serva per affermare la sua forza.”
Alla fine, le raccontai di aver notato, durante un matrimonio, questa graziosa ragazza con gli occhi cangianti.
Ma questa… è un’altra storia.

Cordialmente, Professor Antonello.

“Il vostro futuro non è ancora stato scritto, quello di nessuno.
Il vostro futuro è come ve lo creerete.
Perciò createvelo buono.”
Citazione del Dr. Emmett L. Brown, “Doc”, in “Ritorno al futuro – Parte III”
Brano di Michele Bruno Salerno

© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente. 

Il primo convegno mondiale delle strade

Il primo convegno mondiale delle strade

Al primo convegno mondiale delle strade c’erano le rappresentanti ufficiali di milioni di strade che intersecano il volto di ogni Paese del mondo, sotto tutti i meridiani ed i paralleli.
Strade grandiose e stradine minuscole; superbe autostrade a dodici corsie e sentieri sperduti nella giungla; mulattiere di montagna e strade ferrate; viottoli ciottolosi e strade imperiali; stradine silenziose e rumorosi lungomari sudamericani.
Nelle prime file sedevano la Strada dei Fori Imperiali e il Boulevard des Champs Elisées, una stradina nel bosco e la grandiosa Avenida 9 de Julio di Buenos Aires, la via Appia e le Ramblas di Barcellona, Wall Street e la pista sahariana per Dakar, la Leofòros Venizèlou di Atene e la russa Via Gorkij.

Presiedeva la vaticana Via della Conciliazione.

Furono affrontati i più complessi problemi del settore:
dai metodi di asfaltatura ai cedimenti fognari nelle metropoli intasate dal traffico, dalle carenze di illuminazione notturna alla riforma della segnaletica.
Dopo tre giorni di confronto serrato, di lauti pranzi di lavoro, di confortanti soste di ristoro al bar e di annoiati letarghi, finalmente si giunse al momento più atteso:
l’elezione della strada più importante del mondo!
Cominciò la solita caccia ai voti, con scontri a non finire, rivendicazioni accanite, tentativi di corruzione.
Dopo tanti interventi dal fondo della sala chiese la parola un’esile, fragile, pallida stradina che era rimasta in religioso silenzio.

Era la rappresentante ufficiale delle “Stradine d’ingresso ai Cimiteri.”

Anche lei, come milioni di sue sorelle, vissuta sempre tra due fila di cipressi, regolarmente inghiaiata di tristezza e irrorata di lacrime.
“Care sorelle,” cominciò con voce sottile ma ferma, “voi correte instancabilmente sulla faccia della Terra senza fermarvi mai a pensare.
Voi accompagnate la gente in su, in giù, a destra, a sinistra senza porvi grossi problemi.
Ebbene, non dimenticatelo mai!
Sia che siate ricche, sia che siate povere, importanti o dimenticate, di sangue nobile o di origini plebee… ebbene, alla fine, anche voi, con tutti i vostri utenti, dovrete percorrere una stessa inevitabile stradina: la stradina di un Cimitero.
È solo questione di tempo.
Non c’è possibilità di inversione di marcia.

Per nessuno!

Tenetelo ben presente, prima di votare.
Io porto al traguardo!”
È così fu eletta all’unanimità come la strada più importante del mondo.
È l’unica strada che tutti gli esseri umani stanno percorrendo.
Un passo al giorno.

Brano tratto dal libro “I fiori semplicemente fioriscono.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Le pernici superbe

Le pernici superbe

Una numerosa colonia di pernici argentate si era stabilita ai bordi di un bosco.
Ma un cacciatore si accorse di loro e tese le sue reti.
Una volta prigioniere delle maglie della rete, le sfortunate pernici si dibattevano invano.
Una pernice saggia e anziana radunò le pernici scampate alla cattura e cercò di insegnare loro una tattica per salvare le piume.
“Sorelle mie,” disse, “state ben attente!
Avete visto come cadono le reti del cacciatore, nel prato.
Se per disgrazia ci finite dentro, dovete semplicemente infilare la testa nelle maglie della rete e poi battere le ali con forza tutte insieme.
Riuscirete a sollevare la rete e lasciarla sui rami di un albero.”

Il giorno dopo, molte pernici incapparono nella rete del cacciatore.

Si ricordarono delle raccomandazioni della vecchia pernice, infilarono la testa nelle maglie della rete e cominciarono a sbattere le ali con tutta la loro energia.
La rete volò con loro fin sopra la chioma di un faggio.
Là, appoggiata come un vecchio straccio inutile, la trovò il cacciatore.
Qualche giorno dopo, alcune pernici razzolavano nel prato beccando insetti e teneri germogli.
Improvvisamente la rete del cacciatore calò su di loro.
“Ascoltate, sorelle!” disse una delle pernici, “Sappiamo che cosa dobbiamo fare per liberarci.
Facciamo passare le nostre teste attraverso le maglie della rete; e poi al mio tre, battiamo le ali tutte insieme.

Siete pronte? Uno, due, tr…”

“Non vedo perché devi essere tu a comandare!” interruppe bruscamente un’altra pernice, “Sono io la più forte!
Tocca a me dirigere l’operazione…”
“E allora?” strillò un’altra, “Sono io la più anziana!”
“Ma chi vi credete di essere?” sbraitò un’altra pernice, “Non ho nessuna intenzione di stare ad ascoltare voi!”
“Io ho più esperienza!” riprese la prima, “È normale che sia io a comandare.
Attente!
Al mio segnale: uno, due, tr…”

Contemporaneamente altre pernici iniziarono a gridare:

“Tocca a me!
Voglio dare io il segnale!”
“No, tocca a me!
O sentirete quant’è affilato il mio becco!”
“Provaci se hai il coraggio, grassona!”
“Per favore, ascoltatemi!” supplicò la prima pernice, “Il cacciatore non tarderà.
Al tre, battete le ali: uno, due tre!”
Ma le pernici non sentivano più niente.
Con le piume arruffate lottavano a colpi di becco, di zampe, di testate furibonde, schiamazzando e strepitando.
Tutto quel trambusto attirò il cacciatore che, ridacchiando, ficcò le pernici nel sacco, dove continuarono a colpirsi e insultarsi.

Brano senza Autore

La dieta della bellezza

La dieta della bellezza

C’erano una volta, in un paese orientale, due bellissime sorelle.
La prima sorella andò sposa al re, la seconda ad un mercante.
Con il passare del tempo, però, la moglie del re si era fatta sempre più magra, sciupata e triste.
La sorella, che viveva con il mercante accanto al palazzo reale, pareva farsi più bella ogni giorno che passava.

Il sultano convocò il mercante nel suo palazzo e gli chiese:

“Come fai?”
“È semplice:
nutro mia moglie di lingua!”
Il sultano diede ordine di preparare quintali di lingua di montone, di cammello, di canarino per la dieta della moglie.

Ma non successe niente.

La donna era sempre più smunta e malinconica.
Infuriato, il re decise di far cambio.
Mandò la regina dal mercante e si prese in moglie la sorella.
Nella reggia però, la moglie del mercante, diventata regina, sfiorì rapidamente.
Mentre la sorella, a casa del mercante, in poco tempo ridivenne bella e radiosa.

Il segreto?

Ogni sera il mercante e sua moglie parlavano, si raccontavano storie e cantavano insieme.

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Una preghiera fatta da un bambino

Una preghiera fatta da un bambino

Un bambino pensando una preghiera, disse così:
“Signore questa notte ti chiedo una cosa speciale…

Trasformami in una televisione,

così che io possa occupare il suo posto.
Mi piacerebbe vivere come vive la televisione di casa mia.
In altre parole avere una stanza speciale per riunire tutti i membri della mia famiglia attorno a me.

Essere preso sul serio quando parlo.

Fa che io sia al centro dell’attenzione così che tutti mi prestino ascolto senza interrompermi né discutere.
Mi piacerebbe provare l’attenzione particolare che riceve la televisione quando qualcosa non funziona…
E tener compagnia a mio papà quando torna a casa, anche quando è stanco dal lavoro.

E che mia mamma, al posto di ignorarmi, mi cerchi quando è sola e annoiata.

E che i miei fratelli e sorelle litighino per poter stare con me…
E che possa divertire tutta la famiglia, anche se a volte non dica niente.
Mi piacerebbe vivere la sensazione di chi tralascia tutto per passare alcuni momenti al mio fianco.
Signore non ti chiedo molto.
Solo vivere come vive qualsiasi televisione.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Pace e le sue sorelle

Pace e le sue sorelle

Quando il mondo iniziò ad esistere, quando il grande sole giallo riscaldava la terra e di notte la bianca luna tutto illuminava, nacquero in una tiepida mattina d’autunno Pace e le sue sorelle.
Adagiate su una foglia di ninfea che faceva loro da culla, le piccole creature del bene si guardavano intorno incuriosite da tanta bellezza:
prati verdeggianti, animali liberi, un cielo azzurro e pulito, cascate limpide e cristalline.
Quando Felicità svolazzava nei prati, era solita fare a gara con le farfalle a chi raggiungeva prima la grande quercia.
E dove passava lei era felicità ovunque.
Armonia, poi, amava dondolarsi pigramente su un’altalena di liane, canticchiando dolci melodie ai suoi amici animali che, catturati da tanta soavità, rimanevano ore ed ore ad ascoltare quella meravigliosa voce.

E quando cantava lei era armonia ovunque.

Di notte Silenzio raggiungeva a piedi nudi la collina e, seduto sull’erba baciata dalla rugiada, rimirava quel paesaggio incantevole rischiarato da luna e stelle e ne assaporava la quiete.
E quando il sonno li rapiva, era silenzio ovunque.
Amore e Amicizia insegnavano agli abitanti di quel paradiso ad ascoltare il proprio cuore e ad essere sempre pronti ad aiutarsi a vicenda.
E quando parlavano loro, tutti si volevano bene ovunque.
Pace, dal canto suo, regnava sovrana ed era tanto felice nel vedere che era facile mantenere quell’equilibrio così ben costruito dal Buon Dio.
E fino a che lei regnò vi fu pace su tutta la Terra.
Poi arrivò l’uomo.
Era un essere umile e buono, rispettoso e gentile verso i suoi simili:
ma non fu così a lungo.
L’uomo iniziò a coltivare dentro di sé il seme della gelosia e dell’invidia, voleva possedere sempre più cose per essere il padrone indiscusso su tutto.
Gelosia, Invidia e Potere, creature del male senza fissa dimora, giunsero nel regno di Pace e tutto distrussero.

E al loro passaggio vi fu desolazione ovunque.

Infine arrivò Guerra, e dopo lei Tristezza.
Il mondo si tinse dei toni del nero, gli animali cercavano riparo nei boschi, l’uomo si scagliava contro i suoi fratelli, disseminando dolore ovunque.
Pace e le sue sorelle piansero per giorni e giorni, non trovando il modo per rimettere ordine sulla Terra.
In disparte, in un cantuccio, se ne stavano silenziose le due sorelline più piccole, Uguaglianza e Fratellanza, timide e un po’ impaurite.
Pace fissò a lungo i loro occhi e, avvicinandosi, disse:
“È giunto il tempo di far sentire la vostra voce.
Il mondo così sta morendo:
l’uomo lo sta rovinando con le sue stesse mani e noi dobbiamo fermarlo.
A me sta a cuore il futuro dei bambini che così non avranno più case, patiranno la fame e non giocheranno più.
Il loro mestiere è quello di fare i bambini, non vivere tra lo scempio delle guerre dei grandi.”
Uguaglianza e Fratellanza partirono subito.

Anche Amore si unì alle due sorelle.

Dall’alto, lo scenario era tanto triste:
guerra e dolore ovunque.
“Dove saranno i bambini?” si domandavano.
Poi li videro:
chiusi nelle case con le loro mamme, senza sorriso, spaventati.
“Ci pensiamo noi, piccoli.
Venite, seguiteci, fate presto e non abbiate paura!” disse a gran voce Amore.
E così, poco a poco, si formò una catena di bambini che via via diventava sempre più forte e sempre più lunga:
un vero e proprio esercito di chiassosi bimbi.
Al loro passaggio, come per magia, la terra si ricopriva di profumati fiori: fiori ovunque.

Fiori che uscivano dai fucili, dalle macchine da guerra.

Fiori nelle stanze dei bottoni, fiori che cadevano dagli aerei in volo come una pioggia colorata.
Gli uomini così non poterono più fare la guerra e finalmente capirono e si vergognarono tanto per ciò che avevano fatto.
Riposero le armi e la cattiveria e ritornarono nelle loro case, dalle loro famiglie.
Pace tornò così a regnare sulla Terra.
“La guerra è stata vinta dai bambini!” dissero le tre sorelle al loro ritorno.
Pace le accolse con gioia e disse:
“Durante la vostra assenza è venuta alla luce un’altra sorellina. Venite, vuole abbracciarvi!”
Mai i colori della Terra furono meravigliosi come in quel giorno, un giorno da ricordare.
Era nata la Speranza.

Fiaba di Greta Blu

La favola del fiocco di neve

La favola del fiocco di neve

In un tempo lontano, nel posto più freddo mai esistito, vivevano tre giovani fate, tanto belle quanto il sole.
Candida, Bianca e Cristallo non potevano uscire dal Palazzo di Ghiaccio dove la madre apprensiva, la Regina del Freddo, le aveva relegate per proteggerle dal mondo esterno, ai suoi occhi troppo triste, pieno di preoccupazioni e sofferenza.

Si deve sapere che la regina, nel passato aveva,

già vissuto nel mondo reale, e proprio lì aveva conosciuto l’uomo che le avrebbe fatto scoprire prima l’amore, regalandole la gioia di diventare madre, poi il dolore e la tristezza di essere abbandonata.
Per nascondere il mondo esterno alle figlie, fece costruire un palazzo sulla cima di una montagna irraggiungibile dove non batteva mai il sole, circondandolo da una fitta coltre di nebbia, vietando loro qualsiasi contatto con l’ambiente reale.
Le tre sorelle non avevano mai avuto la possibilità di vedere posti nuovi e conoscere altre persone.

Non avevano amici con cui passare il tempo e divertirsi.

Eppure tante volte avevano sperato che succedesse qualcosa di diverso, avevano sognato di essere libere.
Una notte, mentre la madre dormiva, le tre sorelle decisero di scappare e andare in esplorazione del mondo a loro sconosciuto.
Arrivarono a valle, in un paesino di pochi abitanti che le accolsero con grande entusiasmo.
Candida, Bianca e Cristallo si sentirono finalmente libere, finalmente vive.
S’integrarono ben presto nella comunità, incontrarono l’affetto e l’amore di tante care persone, scoprirono che il mondo reale non era così triste e malvagio.
Anche se sentivano la mancanza della madre, non vollero più tornare nel Palazzo di Ghiaccio.

La regina non rivide più le sue figlie.

Pianse lacrime e lacrime, ma si rese conto che per la prima volta le figlie erano felici.
Decise quindi di non provare a farle tornare da lei, ma di proteggerle dall’alto della cima della montagna.
Rassegnata e triste, ma ancora con tanto amore per le figlie, fece un grande sospiro su una lacrima. Questa diventò candida, bianca e a forma di cristallo.
Chiamò quella lacrima fiocco di neve e lo regalò al mondo reale come simbolo di pace interiore e serenità.
Da allora d’inverno cade la neve.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La verità e la fiaba


La verità e la fiaba

Si racconta che la Verità indossasse un abito modesto e vivesse tutta sola.
Un giorno decise di andare fra la gente.

Non l’avesse mai fatto!

Nessuno voleva accoglierla!
Quelli che la incontravano se la davano a gambe e le chiudevano la porta in faccia.
Umiliata e delusa si avviò per una solitaria strada di campagna, quando ecco venirle incontro una bella signora vestita di sete e merletti e ornata di tanti gioielli falsi, ma sfavillanti!

Era la Fiaba.

“Buongiorno.” disse cordiale “Dove vai sola soletta e così triste?”
“Tutti scappano sempre da me e nessuno vuole mai ascoltarmi…” rispose malinconicamente la Verità.
“Vedi,” replicò la Fiaba “tu sbagli perché ti presenti nuda e cruda, sei troppo disadorna!
Io invece con questi bei vestiti variopinti sono accolta bene dappertutto.
Ho un’idea!
Nasconditi sotto il mio mantello e andiamo insieme per il mondo come due sorelle.

Converrà a tutte e due.

I saggi mi accoglieranno quando capiranno che nascondo la Verità:
gli sciocchi ti accetteranno perché sarai luccicante dei miei gioielli e dei miei vestiti.”

Brano di Jean Pierre Claris de Florian

La storia di Azzurra. (La storia di una goccia d’acqua)


La storia di Azzurra. (La storia di una goccia d’acqua)

Sgorgò dalla terra un mattino in cui il cielo azzurro si rispecchiava nella sorgente dove era nata.
Per questo fu chiamata Azzurra.
Azzurra era una goccia d’acqua e con le sue innumerevoli sorelle formò subito un ruscelletto allegro che gorgogliando e saltellando scorreva tra le pietre e l’erba sui pendii di una montagna.
Azzurra faceva capriole e giocava con i raggi del sole.
La sua breve infanzia trascorse nella più assoluta spensieratezza.
Il ruscello confluì in un torrente che si precipitava baldanzoso verso il fondovalle, trascinando ghiaia e detriti.
Azzurra e le sue compagne si divertivano a fare il solletico alle radici degli alberi, scherzavano con le giovani trote che tentavano di fermarsi nelle pozze limpide e chiare.

Azzurra amava i giochi pericolosi:

con alcune amiche si buttava in corse sfrenate, si impennava con spruzzi improvvisi e iridescenti.
Si fermava talvolta in placidi laghetti.
In quei momenti di tranquillità, Azzurra chiedeva:
“Sorelle mie dove stiamo andando?”
“Al mare! Al mare!” sentiva rispondere da tutte le parti.
“Al mare, naturalmente!” dicevano le nuvole che si vantavano di avere un punto di vista molto più alto.
“Al mare, sciocchina!” ripetevano le anatre con il loro becco giallo.
“E com’è il mare?” continuava a chiedere Azzurra.

“Il mare è la cosa più bella e grande.

Non puoi neanche immaginarla e non si può dire a parole” dicevano le nuvole.
Il torrente confluì un giorno in un piccolo fiume che si muoveva fluido e deciso fra i campi e i boschetti della pianura.
Azzurra e le sue amiche non giocavano più e si erano stancate delle stupide conversazioni dei pesci, che oltretutto non hanno nessun senso dell’umorismo.
“Correre, correre senza un momento di pausa…
Chi ce lo fa fare?” sbottò un giorno Dora, la più cara amica di Azzurra.
“Dopotutto che ce ne importa del mare?”
È vero pensò anche Azzurra.
“Fermiamoci qui, possiamo sfuggire al fiume,” propose un’altra “ci sono cataletti che si inoltrano nella boscaglia, ne infiliamo uno e restiamo lì a divertirci fin che ci pare.”

Un bel gruppo di gocce accettò con entusiasmo e Azzurra si unì a loro.

Trovarono rivoli di acqua che filtravano in mezzo all’erba, rallentarono il loro cammino e si fermarono formando pozze di acqua stagnante.
I primi tempi furono di grande euforia.
Era così bello starsene a far niente, pigrottare tra chiacchiere e risate, come in una perenne vacanza.
Ma poi qualcosa cambiò.
Lentamente le gocce cominciarono a intorpidirsi e quella parte di fiume stava diventando una palude.
Era come una lenta agonia.
Un gruppetto di gocce, tra cui Azzurra, decisero di aprirsi un varco e raggiungere di nuovo il grande letto del fiume.
E muovendosi a fatica, prive di forze com’erano ormai, finirono in una secca.
Azzurra ora aveva davanti a sé solo rocce, sabbia.

E fu presa dal panico.

“E’ la mia fine, non riuscirò ad attraversare questo deserto!
La sabbia mi assorbirà ed io scomparirò…
non arriverò mai al mare… ho fallito tutto!” e si disperò.
Ma il Vento aveva ascoltato i suoi lamenti e decise di salvarle la vita.
“Lasciati scaldare dal sole, salirai in cielo sotto forma di vapore acqueo… al resto penserò io.” le suggerì.

Azzurra ebbe ancor più paura:

“Io sono fatta per scorrere fra due rive di terra, liquida, pacifica, limpida… non sono fatta per volare per aria.”
Il Vento rispose: “Non aver paura quando salirai nel cielo sotto forma di vapore diventerai una nuvola e io ti porterò al di là del deserto e tu potrai di nuovo cadere sulla terra sotto forma di pioggia, ritroverai il fiume e arriverai al mare.”
Molte compagne di Azzurra avevano troppa paura e furono divorate dal deserto.
“Verrò con te.” sussurrò Azzurra al Vento.
I raggi del sole la presero con grande dolcezza e la sollevarono nel cielo e con tante altre compagne divenne una nuvola bianca che il vento spingeva con garbo.

Volare era un’ebbrezza stupenda e dall’alto Azzurra vedeva tutto il percorso della sua vita:

la montagna su cui era nata, il ruscello, il torrente, il fiume, e la palude in cui aveva rischiato di perdersi…
E improvvisamente tutto le fu chiaro e una gioia sconfinata la inondò:
c’era un piano in tutto ciò e laggiù, oltre l’orizzonte qualcuno la stava aspettando, il mare.
Il vento mantenne la promessa e un mattino Azzurra scese come pioggia leggera nei pressi del grande fiume, che l’accolse nel suo cuore liquido.
Il fiume si muoveva maestoso verso il mare e Azzurra scorreva leggera, pervasa da una gioiosa speranza.
Quando il caldo abbraccio del mare l’accolse, conobbe quello che da sempre cercava.
Una cosa la colpì: nell’incontro col mare non si era dissolta nel tutto era rimasta se stessa e così tutte le altre gocce immerse nella felicità del mare infinito che tutte le accoglieva e le superava.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il falenino e la stella (Osare)


Il falenino e la stella (Osare)

Una piccola falena d’animo delicato s’invaghì una volta di una stella.
Ne parlò alla madre e questa gli consigliò d’invaghirsi invece di un abat-jour.
“Le stelle non son fatte per svolazzarci dietro.” gli spiegò, “Le lampade, a quelle sì puoi svolazzare dietro!”
“Almeno lì approdi a qualcosa.” disse il padre, “Andando dietro alle stelle non approdi a niente!”

Ma il falenino non diede ascolto né all’uno né all’altra.

Ogni sera, al tramonto, quando la stella spuntava s’avviava in volo verso di essa e ogni mattina, all’alba, se ne tornava a casa stremato dall’immane e vana fatica.
Un giorno il padre lo chiamò e gli disse:
“Non ti bruci un’ala da mesi, ragazzo mio, e ho paura che non te la brucerai mai.
Tutti i tuoi fratelli si sono bruciacchiati ben bene volteggiando intorno ai lampioni di strada, e tutte le tue sorelle si sono scottate a dovere intorno alle lampade di casa.
Su avanti, datti da fare, vai a prenderti una bella scottatura!

Un falenotto forte e robusto come te senza neppure un segno addosso!”

Il falenino lasciò la casa paterna ma non andò a volteggiare intorno ai lampioni di strada né intorno alle lampade di casa:
continuò ostinatamente i suoi tentativi di raggiungere la stella, che era lontana migliaia di anni luce.
Lui credeva invece che fosse impigliata tra i rami più alti di un olmo.
Provare e riprovare, puntando alla stella, notte dopo notte, gli dava un certo piacere, tanto che visse fino a tardissima età.
I genitori, i fratelli e le sorelle erano invece morti tutti bruciati ancora giovanissimi!

Brano tratto dal libro “40 storie nel deserto.” di Bruno Ferrero