L’industriale, il manager e l’operaio

L’industriale, il manager e l’operaio

In una piccola città c’era un industriale.
Era un uomo potente, con gli occhiali d’oro, la borsa di cuoio, la voce tonante e una grossa automobile con l’autista in divisa blu.
Quando l’industriale usciva dalla sua palazzina dirigenziale, il manager che dirigeva la sua fabbrica si toglieva il cappello, faceva un profondo inchino e porgeva deliziosi saluti anche alla signora.
Il manager aveva lo sguardo d’acciaio e modi bruschi, usava parole inglesi ed era sempre indaffarato.
Aveva, inoltre, una grossa automobile rossa e quando usciva dall’ufficio, l’operaio si toglieva il cappello, faceva un inchino e porgeva deferenti saluti.

L’operaio viaggiava su una Panda, aveva le spalle un po’ curve e il sorriso triste.

Quando usciva dalla fabbrica nessuno lo salutava.
Solo un cane giallo, con la testa ciondoloni, una sera lo seguì e da quel momento non lo lasciò più.
Quando l’industriale era di cattivo umore strapazzava il manager, lo chiamava “incapace” e “inefficiente”, scaricava sulle sue spalle tutti i guai dell’azienda e faceva svolazzare fogli di carta battendo grandi manate sulla scrivania di mogano.
Quando il manager era di cattivo umore chiamava l’operaio e gli sbraitava “pelandrone” e “scansafatiche”, lo minacciava di licenziamento, mostrandogli i pugni, e gli attribuiva tutte le colpe per le difficoltà dell’azienda.
Quando l’operaio era di cattivo umore se la prendeva con il cane e lo chiamava “bastardo”.

Il cane non se la prendeva, perché era la verità.

I figli dell’industriale frequentavano la migliore scuola privata della regione, arrivavano a scuola con il macchinone e avevano il tutor che li aiutava a studiare e a fare i compiti.
I figli del manager frequentavano una scuola del centro, arrivavano a scuola con il fuoristrada della mamma e avevano lezioni private di inglese e informatica.
I figli dell’operaio andavano a scuola in tram (quando pioveva) e facevano i compiti da soli perché la mamma aveva tanto da fare e l’operaio non sapeva le risposte.
L’industriale abitava in una grossa villa con giardino e aveva tre persone di servizio.
Il manager abitava in una graziosa villetta e aveva la colf filippina.
L’operario abitava al settimo piano di un condominio rumoroso.
Il cane si nascondeva dietro i cassonetti dell’immondizia.
L’industriale non voleva che i suoi figli giocassero con i figli del manager e dell’operaio e li mandava in un costoso centro sportivo.
Il manager non voleva che i figli giocassero con i figli dell’operaio e regalava loro sempre nuove playstation.
I figli dell’operaio giocavano con il cane.
Tutti i bambini erano infelici perché, insieme, avrebbero potuto giocare a calcio nel campo dell’oratorio.

Anche i grandi erano infelici.

L’operaio aveva paura del manager, il manager aveva paura dell’industriale, l’industriale aveva paura di morire.
Il cane aveva paura di tutti.
Poi arrivò Natale.
Nella parrocchia dell’industriale, del manager e dell’operaio si faceva ogni anno una “sacra rappresentazione” del mistero della nascita di Gesù e i personaggi erano presi tra la gente.
Essere scelto per la recita natalizia era un motivo di gran prestigio e tutti lo volevano fare.
Così i personaggi venivano tirati a sorte.
L’industriale, il manager e l’operaio furono sorteggiati per personificare i tre Re Magi.
L’industriale si fece fare un prezioso costume dal sarto, il manager noleggiò un magnifico costume da sultano e l’operaio si avvolse nel copriletto della nonna e si dipinse la faccia di nero.
Il cane fu dipinto di bianco per fare la pecorella.
Venne la sera della rappresentazione.
Tutto si svolse in modo meraviglioso.

Alla fine avanzarono solennemente i tre Magi.

Dovevano posare i doni sulla culla del bambino e andarsene.
Si avvicinarono e tesero contemporaneamente le mani verso il bambino, che secondo il copione avrebbe dovuto dormire.
Ma il cane-pecorella abbaiò e il bambino si svegliò.
Gorgogliando felice, spalancò gli occhioni e afferrò con le braccine paffute le sei mani protese verso di lui.
I tre Magi, imbarazzati, tentarono di liberare le mani, ma il bambino scoppiò a piangere e furono costretti a prendere in braccio il bambino tutti e tre insieme, finché non arrivò la mamma del piccolo con il biberon.
I tre Magi scesero dal palco turbati.
Avevano tutti e tre dentro un pensiero del tipo:
“Il bambino è venuto dal cielo per tutti.
Per l’industriale, per il manager e per l’operaio.
E per tutti morirà sulla croce…”
Così, nelle vacanze di Natale, tutti videro i figli dell’industriale, del manager e dell’operaio giocare felici ed insieme sul prato dell’oratorio.
Il cane giocava in porta.

Brano tratto dal libro “Storie di Natale, d’Avvento e d’Epifania.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Un grande amore

Un grande amore

Dopo vari anni di matrimonio scoprii una nuova maniera di mantener viva la scintilla dell’amore.
Mia moglie mi raccomandò di uscire con un’altra donna!
“Io però ho scelto te!” protestai, “Lo so.
Ma ami anche lei.
La vita è molto breve, dedicale tempo.”
Accettai.
L’altra donna, a cui mia moglie voleva che facessi visita, era mia madre.
Gli impegni di lavoro e i figli mi permettevano di farle visita solo occasionalmente.

Una sera le telefonai per invitarla a cena e al cinema.

“Che ti succede?
Stai bene?” mi chiese.
Mia madre è il tipo di donna che pensa che una chiamata serale o un invito sorprendente sia indice di notizie cattive.
“Ho pensato che sarebbe bello passare un po’ di tempo con te.” le risposi.
“Mi piacerebbe moltissimo.” disse.
Quel venerdì mentre, dopo il lavoro, la andavo a prendere, ero nervoso.
Era il nervosismo che precede un appuntamento.
E quando giunsi alla sua casa, vidi che anch’ella era molto emozionata.

Un bel sorriso sul volto, irradiava luce come un angelo.

“Ho detto alle amiche che dovevo uscire con mio figlio e quasi mi invidiavano!” mi spiegò mentre entrava in macchina.
Mi attendeva sulla porta con il suo soprabito, era stata dalla parrucchiera e il vestito era quello dell’ultimo anniversario di nozze.
Andammo a un ristorante non particolarmente elegante, ma molto accogliente.
Mia madre mi prese a braccetto come se fosse “La Prima Dama della Nazione”.
Quando ci sedemmo presi a leggerle il menù.
I suoi occhi riuscivano a leggere solo le scritte più grandi.
Quando andai a sedermi di fronte a lei, alzai lo sguardo:
la mia mamma, seduta dall’altro lato del tavolo, mi guardava con ammirazione.

Un sorriso felice si delineava sulle sue labbra:

“Ero io che ti leggevo il menù, quand’eri piccolo.
Ti ricordi?”
“Adesso è ora che ti riposi e che mi permetta di restituirti il favore!” risposi.
Durante la cena facemmo una gradevole conversazione:
niente di straordinario.
Ci aggiornammo sulla nostra vita.
Parlammo tanto che perdemmo il film che ci eravamo proposti di vedere.
“Verrò ancora fuori con te, solo però se permetti a me di invitarti!” disse mia madre quando la portai a casa sua.
Accettai, la baciai, la abbracciai.
“Come hai trovato la ragazza?” volle sapere mia moglie.
“Molto piacevole.
Molto più di quanto immaginavo!” le risposi.
Alcuni giorni dopo mia madre morì di infarto, e avvenne così velocemente che non si poté fare niente.
Poco tempo dopo ricevetti un avviso dal ristorante dove avevamo cenato mia madre e io e un invito che diceva:

“La cena è stata pagata in anticipo!”

Mia madre era sicura di non poterci essere, ma pagò lo stesso per due:
“Per te e per tua moglie, non potrai mai capire cosa ha significato per me quella serata.
Ti amo!”
In quel momento compresi l’importanza di dire a tempo debito “Ti amo” e di dare ai nostri cari lo spazio che meritano; niente nella vita sarà più importante di Dio e della tua famiglia:
dalle il tempo perché possano sentirsi amati.

Brano tratto dal libro “Un cuore rattoppato.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Gli auguri meccanici

Gli auguri meccanici

Un giovane, invitato al matrimonio di un amico, fu incuriosito dal gran numero di persone che si recavano a porgere gli auguri agli sposi e ai parenti degli sposi, che in fila li ricevevano.
Aveva notato che ospiti e parenti degli sposi si scambiavano meccanicamente frasi rituali, senza neppure ascoltarsi reciprocamente.
Perciò si mise in fila e, quando arrivò di fronte al primo parente, disse con tono pacato e con il sorriso sulle labbra:

“Oggi è morta mia moglie!”

La risposta fu:
“Mille grazie, molto gentile!”
Ripeté la stessa frase a un altro parente e gli fu risposto:
“Molto gentile, grazie infinite!”
Alla fine arrivò dallo sposo, sempre ripetendo la stessa frase.

Questa volta la risposta fu:

“Grazie.
Adesso tocca a te, vecchio mio!”

Brano senza Autore

La promessa di sorridere

La promessa di sorridere

Mi capitava di ridere senza motivo in classe e la maestra, la signorina Piromallo, s’indispettiva tanto che un giorno mi disse che voleva parlare con “un adulto di casa”.
Disse proprio così, e io le portai nonno che venne col cappello e se lo mise in grembo prima di disporsi all’ascolto di ciò che la maestra aveva da dire.

Lei mi accusò, s’indignò, pretese scuse e pentimento.

Lui annuì con la testa e poi le fece notare che il mandorlo del giardino della scuola era in fiore.
“E cosa c’entra?” chiese la Piromallo.
“Lei non trova strano che nonostante questo giugno piuttosto freddo il mandorlo sia fiorito lo stesso?” rispose nonno continuando a guardare l’albero in boccio.

“Affatto.

È nella natura dell’albero fiorire in primavera e comunque non è così freddo da impedirlo.
Siamo nella norma direi.” concluse lei con quella voce stridula che ancora ricordo.
“Bene!” disse nonno alzandosi e prendendomi per mano, “Anche il sorriso di mia nipote fiorisce nonostante il freddo che avverto qui dentro.
Com’è giusto che faccia un’anima giovane che impara ad essere felice.

Quindi direi che siamo nella norma.

I miei ossequi signorina Piromallo!”
Camminammo in silenzio fino a casa, poi sulla porta nonno mi fece promettere di non addormentarmi mai senza aver sorriso almeno dieci volte al giorno.
E io glielo promisi.

Brano di Milena Maggio

Tonto Zuccone, la luna ed i complimenti

Tonto Zuccone, la luna ed i complimenti
—————————–

La luna

Un complimento

Il gentil sesso

—————————–
“La luna”

Era una sera con una bellissima e luminosa luna piena.
La mamma di Tonto Zuccone lo mandò a prendere un secchio d’acqua al pozzo di casa, dicendogli:
“Tonto, siccome sei tanto bravo e ti piacciono le storie, ti racconto, prima di andare, la storiella dell’asino di Bronte, della provincia di Catania, il quale, in una sera come questa, si bevve tutto di un fiato la luna del pozzo, riflessa nel secchio pieno d’acqua, tanto da gonfiarsi la pancia!”
A Tonto piacque tanto la storia e andò al pozzo più contento del solito e con sorpresa constatò che anche lui, riempiendo il secchio, aveva catturato la famosa luna del pozzo, pur non essendo di Bronte.

Velocemente, felice come mai,

con il suo secchio colmo d’acqua corse a casa per mostrare a sua mamma la luna piena appena catturata dal loro magico pozzo, ma questa gli fece osservare che non vedeva nessuna luna dentro.
Tonto, fattosi serio, si scusò:
“Forse, mamma, è fuoriuscita insieme ad un po’ di acqua caduta per strada mentre stavo rientrando di fretta a casa, solo perché volevo fartela vedere!”

—————————–
“Un complimento”

Tonto aveva in sospeso un piccolo conto nel bar che di solito frequentava.
Era momentaneamente senza soldi.
Il locale era molto frequentato e animato soprattutto il giorno del mercato e, su tutti i clienti, spiccava una eccentrica signora, che tentava approcci non tanto chiari con gli avventori.
Il barista disse a Tonto:
“Ti cancello il debito delle consumazioni se dai pubblicamente a quella signora il titolo che si merita, poiché infastidisce i miei clienti e sei l’unico che può farlo, sia per la tua innocenza sia perché non sei mai stato compromesso!”

Tonto accettò la sfida e, vedendo entrare la signora, esclamò:

“Buona donna di una signora, che bel capellino che porti, così ben intonato con il resto!”
La signora, tutta contenta, esultò per l’inaspettato complimento sul suo ricercato abbigliamento, alla quale teneva tanto, e fu talmente contenta da esultare per la gioia.
Elargì un radioso sorriso a tutti, non badando minimamente al titolo che lo aveva preceduto.
Insistette, inoltre, affinché Tonto accettasse da bere per sdebitarsi del complimento.

—————————–
“Il gentil sesso”

Tonto Zuccone era molto invidioso di un suo amico, che di nome faceva Felice e di cognome Fortunato, poiché, contrariamente a quanto succedeva a lui, era sempre attorniato da belle ragazze, una più desiderabile dell’altra.
Tonto gli chiese di svelargli, da amico, quale fosse il suo segreto con il gentil sesso per avere così tanto successo.

L’amico non si fece pregare e gli confidò:

“Dico solo il mio nome, che sono Felice Fortunato di conoscerle e alle più timide faccio l’occhiolino!”
Tonto alla prima occasione che ebbe di incontrare una ragazza, fece tesoro dello stratagemma dell’amico e disse:
“Sono Tonto Zuccone di incontrarti!” e tentò di fare l’occhiolino e invece gli venne una buffa smorfia.
Si aspettava di incontrare lo stesso successo del fortunato amico e invece per poco non ricevette un sonoro schiaffo.
Ancora oggi Tonto sta rimuginando il suo insuccesso con l’altra metà del cielo, non capendo il perché del fallimento, nonostante avesse scandito il suo nome senza balbettare…

Brani di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione dei racconti a cura di Michele Bruno Salerno

La stanza ordinata (Gabriele e la mamma)

La stanza ordinata (Gabriele e la mamma)

Strano, ma vero…
Gabriele, un bambino di quattro anni, quella mattina si alzò dal letto proprio deciso a fare un bel regalo alla mamma.
Era la sua festa!
“Mamma, oggi ci penso io a mettere in ordine la mia stanza!” e, dopo aver detto questo, la pregò di lasciarlo solo almeno per due ore.
Si chiuse nella sua camera per la grande “operazione-regalo!”

Ce la mise proprio tutta!

Passate le due ore la mamma bussò alla porta, lo chiamò e si fece aprire.
Il sorriso di compiacenza della mamma si intrecciò con lo sguardo rammaricato del figlio.
Com’era prevedibile il disordine nella stanza del piccolo regnava più sovrano di prima.
Gabriele capii di non essere riuscito a portare a termine l’impresa chiedendo alla mamma altre due ore di tempo.

A questo punto, la mamma lo prese in braccio,

facendogli capire che il regalo fosse già completo e gradito, ma dicendogli:
“È ancora meglio se tu lasci la tua stanza e vai a giocare con tuo fratello!”
“Ma… L’ordine nella mia cameretta?” domandò il bimbo.
“Preferisco che tu vada a giocare con tuo fratello che ti aspetta, alla tua stanza ci penso io!” rispose dolcemente la mamma.

Verso mezzogiorno, i piccoli, dopo aver giocato, rientrarono.

Prima di mettersi a tavola a consumare il pranzetto che la mamma aveva preparato, Gabriele andò in camera a deporre berretto e cappotto, accorgendosi di quanto fosse vero quello che gli aveva detto la sua mamma:
“Tu pensa a stare con tuo fratello:
impegnati a giocare con lui ed io penserò a te e a farti trovare il regalo di una stanza ordinata!”

Brano senza Autore

Il ricamo della vita

Il ricamo della vita

Per anni e anni, Ghior girò il mondo alla ricerca di qualche risposta ai suoi affannosi “Perché?”
Da piccolo aveva perso la mamma e il papà e aveva dovuto arrangiarsi per vivere, subendo ogni sorta di privazioni.
La vita, tra imprevisti, delusioni e accidenti di ogni tipo, non gli aveva mai sorriso veramente.
Ora, stanco e arrabbiato, stava per abbandonarsi definitivamente allo sconforto, ma, prima di mollare la presa, decise di fare un ultimo viaggio per il mondo e, preparata alla buona una sacca con cibo e vestiti, s’incamminò alla ricerca di risposte.
Dopo molto tempo, una notte molto fredda, arrivò in un piccolo villaggio, poche tende di pastori, qualche fuoco e molte stelle.
Entrò in una delle tende e vicino al fuoco vide addormentata una vecchia donna.
Stava quasi per svegliarla e chiederle ospitalità, quando una mano gli sfiorò la spalla.

Girandosi di scatto, si trovò davanti un giovane:

era un guerriero che sottovoce, ma con tono imperioso, gli disse:
“Per la notte copriti con questa!” e gli porse una coperta morbidissima, di lana pettinata, ricamata con colori accesi:
nemmeno il tempo di ringraziare, ed era già sparito.
La luce tenue dell’alba svegliò Ghior, che ancora sotto la sua coperta, si sentì invadere dal peso dei suoi perché e dai suoi dubbi antichi.
La vecchia donna rientrando nella tenda con una brocca fumante di latte di capra e qualche focaccia gli disse:
“Figliolo, smetti di tormentarti per nulla!”
“Ma la mia sofferenza e le mie disgrazie sono nulla?” rispose Ghior stupito e rattristato.
“Figliolo, riprese la donna, “smetti di tormentarti!
Ciò che ti ha tenuto caldo durante la notte è proprio la risposta che cerchi!”

Ghior non capiva.

Cos’era questa cosa che lo aveva tenuto caldo per tutta la notte… ed era anche la risposta ai suoi perché?
Sfiorando il bordo della coperta, la morbidissima sensazione della lana si trasformò in una illuminazione:
“La coperta!
La coperta mi ha tenuto caldo, la coperta!
Ma… come può essere la risposta ai perché complicati della mia vita?”
Appoggiato il latte e le focacce per terra, la vecchia donna si chinò fino a sedersi al giaciglio di Ghior.
“Guarda figliolo,” disse mostrandogli un lato della coperta, “cosa vedi?”
“Dei colori bellissimi, e disegni ancor più belli ricamati con perfezione mai vista!” rispose Ghior.
“Ora guarda l’altro lato: cosa vedi?” domandò ancora la donna.
“Vedo il tipico aggrovigliarsi dei fili del ricamo, colori sovrapposti, confusione, nodi curati ma sempre nodi, e tagli di filo e colori, intrecci imprevisti, senza senso, disegni incomprensibili e brutti da vedere!” esclamò Ghior.

“Ecco figliolo, la vita, la tua vita è esattamente così:” continuò la donna,

“tu sei sotto il ricamo della vita, puoi vedere questa coperta solo da sotto; è la condizione umana.
Nel frattempo, per te, su di te e dentro di te si ricamano dall’altro lato disegni e sfumature straordinarie e di una bellezza sconvolgente, e per questo ricamo a volte si rende necessario tagliare, fare nodi, correggere.
Da qua sotto è ovvio che senza un po’ di fede e fantasia vedi solo tagli, nodi e confusione, ma guarda un po’ cosa sta realizzando Dio su di te… un disegno bellissimo!” e dicendo queste ultime parole, con un sorriso, concluse il suo discorso.

Brano senza Autore

Concorso di bellezza

Concorso di bellezza

Una nota azienda produttrice di prodotti di bellezza invitò gli abitanti di una grande città a segnalare i nominativi, allegando anche le foto, delle donne più belle che conoscessero.
Nell’arco di poche settimane la società ricevette migliaia di lettere.
Una lettera in particolare catturò l’attenzione dei selezionatori e fu subito consegnata al presidente.
Era stata scritta da un ragazzo con problemi famigliari che viveva in un quartiere degradato.

Dopo le correzioni ortografiche, la lettera diceva:

“C’è una donna bellissima che vive in fondo alla strada dove abito io.
Vado a trovarla tutti i giorni.
Mi fa sentire il bambino più importante del mondo.

Giochiamo a dama e lei ascolta i miei problemi…

Lei mi capisce e quando vado via si ferma sulla porta e mi grida che è fiera di me.”
Il ragazzo concludeva la lettera dicendo:
“Questa immagine mostra che lei è la donna più bella, spero di avere una moglie bella come lei.”
Incuriosito, il presidente chiese di vedere la foto della donna.

La sua segretaria gli porse una foto di una donna sorridente,

senza denti, avanti negli anni, seduta su una sedia a rotelle.
I pochi capelli bianchi erano raccolti in uno chignon e le rughe che formavano profondi solchi sul suo viso sembravano attenuarsi alla luce dei suoi occhi.
“Non possiamo usare questa donna.” disse il presidente con un sorriso, “Mostrerebbe al mondo intero che i nostri prodotti non sono necessari per essere belle.”

Brano tratto dal libro “More stories for the heart.” di Carla Muir

Il prelievo in banca

Il prelievo in banca

Una vecchia signora si presentò in banca e, rivolgendosi al cassiere, gli chiese di poter prelevare 20,00 €.
Il cassiere le rispose:
“Per prelievi inferiori a 100,00 €, si prega di voler utilizzare il bancomat!”
L’anziana signora gli domandò come mai non potesse prelevare la cifra di cui necessitava, ma il cassiere le restituì la carta di credito, esclamando:

“Queste sono le regole, per favore se ne vada se non c’è altro.

C’è una fila di clienti dietro di lei!”
La vecchia signora rimase in silenzio per alcuni istanti e, restituendo la propria carta al cassiere, gli disse:
“Per favore, mi aiuti a ritirare tutti i soldi che ho!”
Il cassiere rimase sbalordito dopo aver controllato il saldo del suo conto.

Annuì, si chinò e le disse rispettosamente:

“Signora, lei ha 310.000,00 € nel suo conto!
Ma la banca non dispone di così tanti contanti al momento.
Potrebbe fissare un appuntamento e tornare domani?”
La vecchia signora chiese al cassiere quanto potesse prelevare immediatamente.
Il cassiere le spiegò che poteva prelevare qualsiasi importo fino a 3.000,00 €.

“Perfetto, per cortesia mi dia 3.000,00 € ora!”

Il cassiere effettuò l’operazione e consegnò gentilmente 3.000,00 € alla signora, in modo molto amichevole e con un sorriso.
La vecchia signora, dopo aver preso i soldi, mise 20,00 € nella borsa, dopodiché chiese al cassiere di depositare 2.980,00 € sul suo conto.

Non essere difficile con le persone anziane, hanno passato una vita a imparare l’abilità!

Brano senza Autore