Il sogno del Paradiso

Il sogno del Paradiso

Un vecchio sognò di morire e di andare in cielo.
Là vide un uomo con un sacco sulle spalle sui cui era scritto:

“Sofferenze.”

Dal sacco l’uomo tirava fuori dei pezzi di carbone, che un angelo prendeva e trasformava in oro.
Al risveglio, il vecchio decise di cambiare vita ed iniziò a ricercare sacrifici e privazioni.
Pensava infatti che ogni sua sofferenza sarebbe stata ricompensata nell’aldilà.

Così facendo, divenne triste e scontroso.

E, col tempo, la sua tristezza contagiò anche coloro che gli stavano accanto.
Fu allora che, una notte, il vecchio sognò di nuovo di morire e di ritornare in cielo.
Là rivide l’uomo col sacco sulle spalle e l’angelo che trasformava il carbone in oro.
Ma, questa volta, vide anche che l’angelo rimetteva l’oro dentro il sacco e che il sacco era adesso molto più pesante sulla schiena del pover’uomo.

Sempre nel sonno, l’angelo disse al vecchio:

“Mi dispiace se ha frainteso:
questo non è il paradiso!”

Brano senza Autore

Una ragazza e due monaci

Una ragazza e due monaci

Due monaci, un vecchio e un novizio, stavano ritornando al loro monastero in Giappone camminando sotto la pioggia lungo un fangoso sentiero.
Incontrarono una bella ragazza che guardava impotente quel fiume di fango.

Voleva attraversarlo, ma non poteva.

Vedendo la situazione, il monaco anziano la prese sulle sue robuste spalle e la portò dall’altra parte.
La donna gli teneva le braccia attorno al collo sorridendogli, finché il monaco la depose dolcemente dall’altra parte.
La donna si inchinò per ringraziarlo e i due monaci continuarono per la loro strada.

Quando furono in vista del monastero,

il novizio non riuscì più a trattenersi.
“Come hai potuto prendere una donna in braccio?
Un tale comportamento non si addice a un monaco!”

Il vecchio monaco guardò il suo giovane compagno e rispose:

“Io l’ho lasciata là.
Tu la stai ancora portando?”

Storia Zen
Brano tratto dal libro “La via del guerriero di pace: Un libro che cambia la vita.” di Daniel Jay “Dan” Millman

Gesù e gli apostoli (La pietra)

Gesù e gli apostoli (La pietra)

Una volta Gesù e gli apostoli, nei loro continui viaggi, si trovarono a dover superare le asperità di un monte.
Gesù disse:
“Ciascuno prenda una pietra sulle spalle e la porti su!”

Volle provare il loro spirito di sacrificio.

San Pietro osò chiedere:
“Di quale grandezza?”
Rispose Gesù:

“La grandezza non interessa!”

Mentre tutti si caricarono di grosse pietre, Pietro prese con sé un sasso, tanto piccolo da stare, diremmo noi, in una tasca.
La salita e il carico facevano sudare e ansimare gli apostoli; Pietro invece camminava spedito e rideva, sotto, sotto, dell’ingenuità degli amici.
Arrivati su, si fermarono presso una fontana per riposarsi e mangiare un boccone.
Mancava il pane.

Gesù allora con una benedizione cambiò le pietre in pane.

Qui la sorpresa, l’umiliazione, la vergogna di Pietro, costretto a domandare, per favore, agli altri apostoli, che presero a guardarlo con un sorriso di compassione.
Gli apostoli ne ebbero d’avanzo:
Pietro ebbe, sì e no, il necessario.

Brano senza Autore

L’angelo e le preghiere della sera

L’angelo e le preghiere della sera

Nel cuore di una vallata di campi, prati e boschi, in una casetta a due piani, viveva una famigliola felice.
Erano in tre per il momento:
una mamma, un papà e un bambino biondo di sei anni.
Al centro della valle scorreva un torrente “allegro” e “tortuoso”.
La casetta sorgeva un po’ isolata dal paese e così, la domenica, la famigliola saliva in un’auto piccolina e andava a Messa nella Chiesa parrocchiale.
La sera, prima di addormentarsi, tutti insieme pregavano.
Un Angelo del Signore, tutte le sere, raccoglieva le preghiere e le portava in cielo.
Un inverno piovve per molti giorni.
Il torrente si gonfiò di acqua scura.
La valle cominciò ad essere sommersa dall’acqua.

Il papà svegliò la mamma e il bambino.

Si strinsero spaventati perché l’acqua aveva invaso il pian terreno della casetta.
E continuava a salire.
Sempre più scura, sempre più veloce.
“Saliamo sul tetto!” esclamò il papà.
Prese il bambino e salì in soffitta e di là sul tetto, mentre la mamma li seguiva.
Sul tetto si sentirono come naufraghi su un’isoletta che diventava sempre più piccola.
Perché l’acqua che continuava a salire arrivò implacabile fino alle ginocchia del papà.
Il papà si sistemò ben saldo sul tetto, abbracciò la mamma e le disse:
“Prendi il bambino in braccio e sali sulle mie spalle!”
Mamma e bambino salirono sulle spalle del papà, che continuò:
“Mettiti in piedi sulle mie spalle e alza il bambino sulle tue, non avere paura!
Qualunque cosa capiti, io non ti lascerò!”

La mamma baciò il bambino e disse:

“Sali sulle mie spalle e non avere paura.
Qualunque cosa capiti, io non ti lascerò!”
L’acqua continuava ad alzarsi.
Sommerse il papà e le sue braccia tese a tenere la mamma, poi inghiottì la mamma e le sue braccia tese a tenere il bambino.
Ma il papà non mollò la presa e neanche la mamma.
L’acqua continuò a salire.
Arrivò alla bocca del bambino, agli occhi ed infine alla fronte.
L’Angelo del Signore, che era venuto a prendere le preghiere della sera, vide solo un ciuffetto biondo spuntare dall’acqua torbida.
Con mossa leggera afferrò il ciuffo biondo e tirò.
Attaccato ai capelli biondi venne su il bambino e, attaccata al bambino, venne su la mamma e, attaccato alla mamma, venne su il papà.
Nessuno aveva mollato la presa!
L’Angelo spiccò il volo e posò con dolcezza l’originale “catena” sulla collina più alta dove l’acqua non sarebbe mai arrivata.

Papà, mamma e bambino “ruzzolarono” sull’erba:

poi si abbracciarono, piangendo e ridendo.
Invece delle preghiere, quella sera, l’Angelo portò in cielo il loro amore.
E tutte le “schiere celesti” scoppiarono in un fragoroso applauso!

Brano senza Autore

Dimitri e Gesù

Dimitri e Gesù

C’era una volta un santo buono buono, che si chiamava Dimitri.
Un giorno, mentre pregava, Gesù gli disse:
“Mio caro Dimitri, oggi voglio incontrarmi con te.
Troviamoci al piccolo santuario della Santissima Trinità, sulla via per Kiev, a mezzogiorno.” Figuratevi la gioia del buon Dimitri!
Non si prese neanche il mantello e partì di corsa.
Camminava in fretta, con il cuore che batteva forte, perché aveva un appuntamento con Dio.
La strada che portava al santuario era sconnessa e tormentata e non gli era mai sembrata così lunga.
Improvvisamente, dove c’era un po’ di discesa, si imbatté in un povero carrettiere che si affannava inutilmente a riportare sulla strada il suo carro che si era semi rovesciato nel torrentello che fiancheggiava la strada.
Da solo, il pover’uomo non ci sarebbe certamente riuscito.

Dimitri non sapeva proprio che cosa fare:

“Devo fermarmi ad aiutare questo pover’uomo in difficoltà o far finta di niente e proseguire velocemente per arrivare al mio unico e imperdibile appuntamento?
Dopotutto carrettieri in difficoltà ne incontrerò ancora.
Ma mancare all’appuntamento con Dio sarebbe gravissimo.
Non mi capiterà mai più nella vita!”
Era veramente dibattuto fra una cosa e l’altra.
Fu il suo cuore a decidere.
Dimitri si fermò e si affiancò al carrettiere, appoggiò anche lui le spalle al carro, che era finito di traverso nel fosso, e unì i suoi sforzi a quelli dell’uomo che lo ringraziò con gli occhi.
Sbuffando e sudando, i due riuscirono a riportare sulla strada le ruote del carro.

Dimitri non sentì neppure i ringraziamenti del carrettiere.

Appena il carro fu sulla strada ripartì di corsa verso il suo appuntamento, verso il suo incontro con Dio.
Ma quando, stanco e ansimante, arrivò nel posto convenuto per l’incontro, Dio non c’era.
Forse stanco di aspettare se n’era andato.
Con il cuore spezzato per la delusione, Dimitri si accasciò piangendo sul ciglio della strada.
Dopo un po’ passò di là il carrettiere che, vedendolo così abbattuto, si fermò, si sedette sull’erba accanto a lui, lo guardò con occhi pieni di dolce comprensione, trasse dalla bisaccia una pagnotta, la divise in due e gliene porse metà, mormorando:
“Dimitri…”
Con l’animo in subbuglio, davanti a quel pane spezzato.
Dimitri capì.

Abbracciò quell’uomo piangendo di felicità:

“Gesù mio, eri tu!
Eri tu, il carrettiere!
Mi eri venuto incontro…”

Brano tratto dalla rivista “Dossier Catechista.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi. Marzo 2013.

Il pane nell’armadio

Il pane nell’armadio

Come era sua abitudine, Dio stava passeggiando sulla Terra e, come sempre, erano pochi quelli che Lo riconoscevano.
Quel giorno passò davanti ad una casa dove un bambino stava piangendo.
Si fermò e bussò alla porta.
Uscì una donna con la faccia sofferente e disse:
“Cosa desidera, signore?”

“Vengo ad aiutarti.” rispose Dio.

“Aiutarmi?
È molto difficile.
Nessuno lo ha fatto finora.
Solo Dio potrebbe aiutarmi.
Il mio bambino piange perché ha fame.
Mi resta soltanto un pezzo di pane nell’armadio… quando lo avremo mangiato, sarà tutto finito per noi!”
Sentendo questo, Dio cominciò a sentirsi male.
Il suo Volto diventò sofferente come quello della donna e alcune lacrime, come quelle del bambino, rigarono le sue guance.
“Nessuno ha voluto aiutarti, donna?” domandò Dio.

“Nessuno, signore.

Tutti mi hanno voltato le spalle!” rispose.
La donna restò impressionata dalla reazione di quello sconosciuto.
A guardarlo, sembrava povero come lei.
Lo vide così mal messo, con una faccia così pallida, che pensò che stesse per svenire.
Allora andò all’armadio, dove conservava il suo ultimo pezzo di pane, ne tagliò un pezzo e glieLo offrì.
Davanti a quel gesto, Dio si commosse profondamente e, guardandola negli occhi, le disse:
“No, no, grazie.
Tu ne hai più bisogno di me.
Conservalo e dallo a tuo figlio.
Domani ti arriverà il mio aiuto.
Non smettere di fare agli altri quello che oggi hai fatto a Me!”

Detto questo, se ne andò.

La donna non capì nulla… ma fu molto colpita da quello sguardo.
Quella sera, lei e suo figlio mangiarono l’ultimo pezzo di pane che era rimasto.
Il mattino dopo, la donna ebbe una grande sorpresa:
l’armadio era pieno di pane.
Ma la sorpresa fu ancora più grande quando si accorse che, per quanti pani prendesse, non finivano mai.
In quella casa non mancò mai più il pane.
Allora comprese chi era “Colui” che aveva bussato alla sua porta e, da quel giorno, non cessò più di fare agli altri quello che ha fatto con Lui:
condividere il pane con i bisognosi.

Brano senza Autore

Il signor felicità

Il signor felicità

Won Li era un contadino cinese semplice e generoso.
Un giorno scendeva dalla montagna con un gran fascio di giunchi sulle spalle, quelli che usa la povera gente per ricoprire la propria capanna.
Stanco e sudato si fermò per riposare un po’.
Ad un tratto una bella farfalla, dalle ali ricamate, venne a posarsi sulle foglie della sua fascina.
Won Li cercò di allontanarla.
“Vai, creatura bella, goditi la libertà che Dio ti ha dato!”
Ma per quanto cercasse di allontanarla, la farfalla continuava a tornare sui giunchi del contadino.
Allora la prese delicatamente tra le dita e la legò a un filo d’erba.

“La porterò ai miei bambini!” pensava, “Ne saranno felici,”

La farfalla, che era stanca di volare, se ne stava tutta tranquilla, senza far proprio nulla per riprendere il volo.
Giunto ai piedi della montagna, Won Li incontrò una signora che teneva per mano un bambino.
“Mamma, mamma!” gridò il piccolo, “Guarda che bella farfalla!
Prendila, prendila!”
“Non vedi che quest’uomo l’ha presa per portarla ai suoi bambini?” disse la donna.
Il bambino però era del tipo capriccioso.
E quando si incaponiva a volere una cosa, non rinunciava facilmente:
“La voglio, mamma, voglio la farfalla!”
Won Li aveva il cuore buono e sorrise al bambino.
“Vieni, bambino, prendi pure la farfalla, ma non farle del male.” e gli porse il filo d’erba che teneva prigioniera la farfalla.
“Lei è veramente buono.” disse la donna.
“Mi dispiace di non avere con me il borsellino; ma almeno prenda queste tre arance che ho colte nel mio giardino, serviranno per dissetarsi!”
Erano tre arance veramente belle e succose.

Won Li se le mise in tasca:

“Le porterò ai miei bambini. Non ne hanno mai viste di così grosse!
Ma che farò di tutta questa ricchezza?”
Dopo un pezzo di strada, Won Li si imbatté in un uomo seduto sotto una pianta, con accanto un gran fagotto di pezze di seta:
“E da stamattina che cammino in queste lande deserte.
Ho una sete da morire.
Buon uomo, non avresti qualcosa per dissetarmi?”
L’uomo sotto l’albero era proprio esausto.
“Prendi queste tre arance!” disse Won Li e gliele porse, “Ti toglieranno l’arsura.”
“Grazie, buon uomo.
Ma io voglio ricambiare la tua generosità.
Prendi questo taglio di seta, potrai fare un bel vestito a tua moglie.” disse l’uomo.
Won Li, felice, riprese il cammino verso casa.
Arrivato sulla strada principale si imbatté in una portantina sostenuta da quattro uomini e seguita da sei eleganti cavalieri.

Era la principessa.

“Vieni qui!” disse la principessa appena lo vide.
Come tutte le principesse aveva la voce dolcissima, simile a tanti campanellini d’oro tintinnanti. “Fammi vedere quel pezzo di stoffa che tieni sotto il braccio!”
Won Li si accostò tremante e svolse il rotolo di seta.
Era bellissimo, disegnato a fiori e uccelli multicolori.
“Se vi piace, sarò lieto di regalarvela, gentile principessa!” mormorò Won Li.
“Sei molto buono e generoso.
Voglio anch’io farti un dono!”
E la principessa porse al contadino la sua borsetta.
Won Li corse a casa stringendo il dono della principessa.
Arrivato nella sua povera capanna chiamò la moglie e i figli e, con mani tremanti, aprì la borsetta.
Com’è facile immaginare, come tutte le borsette delle principesse era piena di monete d’oro.
“Ma che farò di tutta questa ricchezza?” si chiese un po’ smarrito Won Li.

Gli venne un’ispirazione:

“Ah, si. Cercherò di far felici i più poveri del paese!”
Comprò una vasta estensione di terra, la suddivise in tanti appezzamenti e la donò ai poveri che non possedevano nulla.
Così tutto il villaggio diventò più ricco e tutti vissero contenti e felici.
Ma il più felice di tutti era Won Li che tutti ormai chiamavano:
“Il signor Felicità!”

Brano tratto dal libro “Tutte storie. Per la catechesi, le omelie e la scuola di religione.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il gigante buono

Il gigante buono

Il paese dove i bambini rimanevano bambini era diviso a metà da un fiume.
Là c’era un gigante buono che si caricava i piccoli sulle spalle per portarli da una parte all’altra.
Ma i bambini erano tanti e il gigante uno solo.

Un giorno, un merlo disse al gigante buono:

“Perché, invece di fare tanti viaggi, non aspetti che ci siano almeno tre bambini su una sponda?
Tu ti riposeresti un po’ e loro potrebbero conoscersi meglio.”
Ma il gigante pensò che sarebbe stato egoistico da parte sua.
Dopo qualche mese, lo stesso merlo gli disse:
“Tu conosci il fiume molto bene.
Perché non gli chiedi di darti una mano abbassando le sue acque, solo per qualche settimana?”
Ma il gigante pensò che sarebbe stata una mancanza di tatto.
Dopo un anno, il merlo si fece vivo di nuovo:
“Guarda quanti alberi ci sono!

Per te sarebbe un gioco da ragazzi farci una zattera.

Potresti insegnare ai bambini…”
Il gigante, sorridendo, lo interruppe:
“Grazie, grazie davvero.
Ma non ti devi preoccupare per me!
E poi dove lo trovo il tempo?
Con tutti i piccoli che devo traghettare…”
Il merlo non tornò più.
Ma una sera, il gigante buono, stremato da tutte le sue traversate, cadde disteso sul letto del fiume.
Grosso come era, non riusciva più ad alzarsi.

Allora i bambini si dissero:

“Non possiamo lasciarlo lì!”
Piano piano, dandosi la mano, entrarono nel fiume.
Con loro grande stupore (e con grande stupore dello stesso gigante) si accorsero che l’acqua non arrivava loro più in su della vita.
“Uno, due, tre… issa!” gridarono tutti insieme.
Con gentilezza, sollevarono il gigante buono e lo portarono sull’altra sponda.

Brano senza Autore.

Il massaggio e l’acqua di petali rosa

Il massaggio e l’acqua di petali rosa

Si chiamava “Bella come l’aurora” e viveva serenamente in un piccolo villaggio di pescatori sulle rive del Fiume Azzurro.
Fu chiesta in moglie dal più ricco dei pescatori del fiume.
I primi anni della giovane coppia furono veramente felici e spensierati.
Ma tutta quella felicità infastidiva e irritava sempre di più la suocera di Katy, che era stata rapidamente spodestata dal cuore del figlio, dei familiari e dei servi dalla bella nuora.
Così cominciò a tormentarla in ogni modo ed a diffondere le più orribili dicerie sul suo conto.
Esasperata, la bella Katy decise di vendicarsi uccidendo la suocera.

In preda a questa cupa decisione, si recò da uno stregone per procurarsi un filtro di morte.

Lo stregone l’ascoltò attentamente e poi le diede una fiala che conteneva un liquido rosa da mescolare ogni giorno nel tè della suocera, poi le propose, per stornare da sé ogni sospetto, di praticare ogni mattino sulle spalle, la nuca e la fronte della suocera un massaggio dolce e rilassante:
“In questo modo la morte la sorprenderà lentamente nel giro di sei mesi!”
Katy paziente e ostinata, per mesi versò regolarmente gocce di liquido rosa nel tè della suocera e praticò con la stessa pazienza il dolce massaggio ogni giorno.
Il massaggio quotidiano tesseva una rete nuova tra le due donne, che divennero amiche.

Il loro cuore cambiò.

La suocera notò quanto la nuora fosse gentile e generosa oltre che bella.
Katy riscopriva ogni giorno il cuore materno della suocera.
Dopo qualche mese, Katy aveva praticamente dimenticato il motivo delle quotidiane visite, delle gocce di liquido rosa nel tè e del massaggio alla suocera:
tutto questo era diventato una tranquilla e piacevole abitudine, fatta di complicità, di lunghe chiacchierate e di tenerezza.
Ma un giorno, all’improvviso, fu costretta a ricordarsene.
La suocera innocentemente disse:
“Stiamo bene insieme.
Che peccato che io debba morire molto prima di te…”.
Katy si alzò e corse dallo stregone per avere l’antidoto al veleno della fiala.
Si gettò in ginocchio e lo supplicò, spiegandogli quello che era successo e come fosse cambiato il suo cuore.

Lo stregone sorrise:

“Alzati, mia bella figliola.
Il liquido che ti ho dato è soltanto acqua di petali di rosa.
Il vero antidoto al veleno dell’odio, che in realtà era dentro di te, è stato il massaggio quotidiano.
Se guardi una persona negli occhi, le stai vicino, parli con lei non potrai più odiarla!”

Brano senza Autore

Portar troppe croci

Portar troppe croci

Un uomo viaggiava, portando sulle spalle tante croci pesantissime.
Era ansante, trafelato, oppresso e, passando un giorno davanti ad un Crocifisso, se ne lamentò con il Signore così:
“Ah! Signore, io ho imparato nel catechismo che tu ci hai creato per conoscerti, amarti e servirti… ma invece mi sembra di essere stato creato soltanto per portare le croci!
Me ne hai date tante e così pesanti che io non ho più la forza di portarle!”
Il Signore però gli disse:
“Vieni qui, figlio mio, posa queste croci per terra ed esaminiamole un poco.
Ecco, questa è la più grossa e la più pesante; guarda che cosa c’è scritto sopra!”

Quell’uomo guardò e lesse questa parola: sensualità.

“Lo vedi?” disse il Signore, “Questa croce non te l’ho data io, ma te la sei fabbricata da solo.
Hai avuto troppa smania di godere, sei andato in cerca di piaceri, golosità, di divertimenti… e di conseguenza hai avuto malattie, povertà, rimorsi!”
“Purtroppo è vero,” soggiunse l’uomo, “questa croce l’ho fabbricata io!
Ed è giusto che io la porti!”
Sollevò da terra quella croce e se la pose di nuovo sulle spalle.
Il Signore continuò:
“Guarda quest’altra croce.
C’è scritto sopra: ambizione.
Anche questa l’hai fabbricata tu, non te l’ho data Io.
Hai avuto troppo desiderio di salire in alto, di occupare i primi posti, di stare al di sopra degli altri… e di conseguenza hai avuto odio, persecuzione, calunnie, disinganni!”
“È vero, è vero!
Anche questa croce l’ho fabbricata io!
È giusto che io la porti!” detto ciò sollevò da terra la seconda croce e se la mise sulle spalle.

Il Signore additò altre croci, e disse:

“Leggi.
Su questa è scritto: gelosia, su quell’altra: avarizia, su quest’altra…”
“Ho capito, ho capito!” esclamò l’uomo, “Signore, è troppo giusto quello che tu dici!”
E prima che il Signore avesse finito di parlare, il povero uomo aveva raccolto da terra tutte le sue croci e se l’era poste sulle spalle.
Per ultima era rimasta per terra una crocetta piccola piccola e quando l’uomo la sollevò per porsela sulle spalle esclamò:
“Oh! Com’è piccola questa!
E pesa poco!”
Guardò quello che c’era scritto sopra e lesse queste parole:
“La croce di Gesù!”
Vivamente commosso, sollevò lo sguardo verso il Signore ed esclamò:
“Quanto sei buono!”
Poi baciò quella croce con grande affetto.

E il Signore gli disse:

“Vedi figlio mio, questa piccola croce te l’ho data io, ma te l’ho data con amore di Padre; te l’ho data perché voglio farti acquistare merito con la pazienza; te l’ho data perché tu possa somigliare a me e starmi vicino per giungere al Cielo, perché io l’ho detto:
Chi vuole venire dietro a me prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.
Ma ho detto anche:
il mio giogo è soave e il mio peso è leggero!”
L’uomo delle croci riprese silenzioso il cammino della vita; fece ogni sforzo per correggersi dei suoi vizi e si diede con ogni premura a conoscere, amare e servire Dio.
Le croci più grosse e più pesanti caddero, una dopo l’altra dalle sue spalle e gli rimase soltanto quella di Gesù.
Questa se la tenne stretta al cuore fino all’ultimo giorno della sua vita, e quando arrivò al termine del viaggio, quella croce gli servì da chiave per aprire la porta del Paradiso.

Brano di Giovanni Francile